venerdì 2 settembre 2022

La Piedimonte? Come una "Stella Polare"....!

Stazione terminale S. Maria Capua V.  S. Andrea - Foto anni '70

I treni e i binari della Piedimonte d'Alife, come i lettori potranno immaginare, sono stati, nel corso dei sessantacinque anni di esercizio, luoghi di svolgimento di episodi e di avventure, ma anche occasione di incontri, di amicizie e di amori... Ci piace oggi pubblicare due racconti tratti da due episodi realmente accaduti, correlati ai ricordi di questo poetico trenino che un tempo, non tanto lontano, solcava ogni giorno campagne e centri agricoli della bella piana napoletana e aversana. Il primo racconto è stato scritto dal dott. G. Caracciolo, tratto dalla testimonianza del dott. Adolfo Cocchiararo, figlio del dottore Michele, all'epoca medico condotto di Marano, ed è ambientato nel periodo della seconda guerra mondiale; mentre il secondo racconto è la narrazione di un episodio accaduto circa dieci anni fa, a Napoli. Il dott. Adolfo, all'epoca della pubblicazione del libro, "C'era una volta... la Piedimonte", fu molto gentile a concedere l'autorizzazione (unitamente a quella dello scrittore G. Caracciolo) a poter inserire il suo racconto nell'appendice del libro, oltre a voler essere presente alla cerimonia di presentazione, tenutasi presso la sala della biblioteca "Domenico Severino" di Piscinola, nel mese di ottobre 2014. Bello e commovente fu anche il suo intervento in sala, appena completata la lettura del racconto, ricordando il caro genitore. Purtroppo il dott. Adolfo ci ha lasciati alcuni anni fa.
Ecco i due racconti, il primo s'intitola: "La Stella Polare", mentre il secondo:
"Nicola, un “giovane” passeggero della Piedimonte...".

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La stella polare (Ricordi del Dott. Adolfo Cocchiararo, figlio del dott. Michele, anch’egli medico, in Marano di Napoli - tratti dal libro "Mitica Alifana", di Giovanni Caracciolo).

Stazione di Marano di Napoli - Foto cartolina

"Correva l’anno 1945, nel giorno dedicato a San Gennaro, e un giovane reduce si avviava lungo il tragitto della ferrovia Alifana, che gli indicava la rotta di casa. Era la stazione di Santa Maria Capua Vetere e il giovane, che proveniva da Caserta, pensò di incamminarsi seguendo i binari in direzione di Marano, suo paese di origine. Era stato per lui un lungo viaggio, con una tradotta che da Berlino, ormai liberata dai Russi, lo aveva portato, con alternate vicende, fino a Foggia e da lì a Caserta. La sua vita nel campo di lavoro di Berlino non fu una passeggiata e lui, giovane ufficiale medico, riuscì, grazie alla sua professione, a cavarsela aiutando tanti suoi commilitoni di varia nazionalità, ma anche tanti Tedeschi, anch’essi vittime di tante brutalità.
Le sue condizioni fisiche erano al limite dello stremo, quarantacinque chili di peso e tanta stanchezza non passano inosservati; ma ecco che, cammina cammina, si vede avvicinarsi una elettromotrice con una rimorchiata che rallenta e si ferma. Si affacciò il macchinista Ancelotti, lo riconosce e, fermando la vettura, lo solleva giusto in tempo, prima che svenisse. La notizia del ritorno del giovane dr. Cocchiararo Michele correva per Marano; erano anni che non c’era più un medico di fiducia nel paese e il giovane dr. Michele godeva di un grosso affetto e di una stima professionale, proveniente dall’antica tradizione medica della sua famiglia. La vecchia madre lo aspetta, ma bisogna renderlo più presentabile. Così fecero a gara per lavarlo, vestirlo e rifocillarlo. E la vita che continua...

Deposito officina di S. Maria C. Vetere- S. Andrea
Ormai il dr. Cocchiararo poteva riprendere il suo ruolo, anche come medico fiduciario della ferrovia Alifana (F.N.P.). Il treno, la stazione, il personale con le sue famiglie, erano per lui la vita. Quanti bambini sono venuti al mondo nelle sue mani, quante vite sono trascorse con le sue cure.
Era ormai una grande famiglia e come in tutte le famiglie ci sono sempre gli elementi “pestiferi”: due bambini che grazie al loro padre avevano la possibilità di giocare tra i binari, crescevano con il treno nel sangue e la loro eccessiva curiosità faceva disperare i ferrovieri. Erano proprio i due figli del dr. Cocchiararo.
Essi trovavano nel personale della ferrovia i loro compagni di giochi, con tanta pazienza e disponibilità; i treni erano i loro giocatoli veri che, sulle ginocchia dei macchinisti, facevano finta di manovrare, giocavano con gli scambi, imparavano i trucchi del mestiere e tanta conoscenza su ogni aspetto della ferrovia.
Il tempo passa, la vita li allontanava dai loro “giocattoli”, ma nel cuore rimane sempre l’amore profondo e il grande bagaglio di conoscenze tecniche ed umane che hanno segnato la loro infanzia.
Oggi tante cose sono cambiate e tante altre ne cambieranno e una grande nostalgia colora i ricordi chiusi nello scrigno dei loro cuori".

Stazione di Mugnano Calvizzano - Foto cartolina

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"Nicola, un “giovane” passeggero della Piedimonte"…" (Racconto di Salvatore Fioretto)

Copertina del Libro

"Siamo agli inizi dell’estate 2011 e, nonostante la calura, sono costretto a recarmi nell’ufficio dell’INPS di Napoli per chiedere informazioni circa una pratica di mio padre. Gli uffici di via Galileo Ferraris sono affollatissimi di persone e mi capita di prendere un numero di prenotazione alto. Nell’estenuante attesa che giunga il mio turno, ammazzo il tempo leggendo qualcosa e osservando ogni tanto le tantissime persone che attendono impazienti lo svolgersi di estenuanti file di attesa. Non ricordo da quando tempo è seduto accanto a me, un anziano dal fisico esile e dalla statura minuta, con degli occhi azzurri, vispi e attenti. Con singolare semplicità mi dà subito a parlare e così scopro che il suo nome è Nicola ed è un "giovane" e arzillo anziano di appena 87 anni; originario della città Aversa, ma abitante da molti anni in un piccolo comune a nord di Napoli. Nicola mi racconta moltissime cose della sua vita e soprattutto della sua giovinezza.

Quando ho scoperto che è originario di Aversa, gli ho chiesto subito: "Nicola, hai mai preso la Piedimonte?!" Devo dire che mai domanda è stata così prodiga di ricompensa...! Nicola, con il suo modo di raccontare preciso e semplice e con la passione di un ragazzino, mi rivela così diversi particolari e aneddoti sulla ferrovia, alcuni per me inediti, nonostante le molteplici testimonianze raccolte negli anni! Grazie a lui, la mia lunga attesa diventa meno pesante…
Nicola è stato per diversi anni, parliamo nel periodo antecedente la II Guerra Mondiale, un abbonato della ferrovia Napoli Piedimonte d’Alife, perché periodicamente utilizzava il treno per recarsi a lavorare al centro di Napoli; lavorava infatti in una piccola fabbrica nella zona dell'Arenaccia. Racconta che il treno si componeva normalmente di due vetture trainate e di un'elettromotrice; le corse erano sempre molto affollate di viaggiatori.

Stazione di Giugliano in Campania
Alla partenza da Napoli (Piazza Carlo III), veniva agganciata alla coda del treno una piccola locomotiva a vapore che, sbuffando molto fumo nero, provvedeva a spingere il trenino affinché superasse le ripidissime rampe di via Filippo Maria Briganti, fino a raggiungere l’altura di Capodichino. Nicola ripete più volte che la corrente disponibile era poca e il treno non ce la faceva a superare il dislivello esistente... Giunti a Capodichino, poi, la vaporiera veniva sganciata dal treno e così poteva far ritorno lentamente a Piazza Carlo III. Altra curiosità che mi racconta è quella che spesso la locomotiva a vapore era alimentata con pezzi di legno, perché di carbone non se ne disponeva mai a sufficienza…
Stazione di Giugliano in Campania
Sulla salita di Capodichino erano stati compiuti nei tempi passati sostanziosi sbancamenti per prelevare la pozzolana e il tufo, erodendo buona parte della collina ed i binari erano molto vicini al ciglio del dirupo, con un pauroso declivio sul lato che guarda la città. Tale strapiombo per giunta era senza alcuna protezione e da lì, dai finestrini del treno, si poteva ammirare un panorama mozzafiato, scorgendo tutti i tetti dell’abitato di Capodichino.
Lungo il suo tragitto, prima di giungere ad Aversa, il treno attraversava le varie cittadine della pianura napoletana. I paesini erano intervallati gli uni dagli altri da una immensa, sconfinata e bella campagna, piena di alberi da frutta. Nicola ricorda con nostalgia i meleti di Mugnano e, soprattutto, i “letti di paglia” sopra i quali le mele erano messe a maturare. Durante il viaggio era solito incantarsi a vedere queste immense distese colorate di rosso porpora e giallo ocra..!
Stazione di S. Maria C. Vetere, stazione terminale
Arriva purtroppo il mio turno e così mi appresto a salutare a malincuore Nicola. Lui commosso mi dice “… Sai, avrei voluto avere un amico come te, mi piace molto come ti interessano e appassionano queste cose che nessuno più vuol ascoltare…!”. Resto senza parole e lo abbraccio affettuosamente.
Ciao Nicola..."

Testimonianze come queste pubblicate ne sono state trovate tante nel corso di questi anni di ricerca, ed erano contenute in romanzi, articoli di riviste e giornali vari. Sono racconti molto belli e anche nostalgici, che trasmettono in generale sentimenti di grande umanità, oltre che di bellezza, di semplicità, di pace ed armonia con l'ambiente e la natura. Ci piacerà nel prossimo futuro pubblicarne altri, realizzando una serie di racconti a puntate. 

Salvatore Fioretto 

I due racconti sono contenuti nel libro, già menzionato: "C'era una volta... la Piedimonte", di Salvatore Fioretto, ed. Atena, anno 2014.  

Tutti i diritti per la pubblicazione e la diffusione di testi e di foto sono riservati agli autori dei testi e detentori delle foto, è vietata ogni forma di copia, e pubblicazione anche parziale degli stessi, secondo le norme di legge vigenti in merito ai diritti d'autore e di proprietà. 

 

 

sabato 30 luglio 2022

Per la festa del Salvatore, una cucina tradizionale semplice e festosa...!!

Peperoni farciti al forno
Ed eccoci di nuovo a descrivere i ricordi e le tradizioni legate alla festa patronale di Piscinola, in onore del SS. Salvatore. Sono nove anni che dedichiamo a quest'evento un "post tradizionale" nel Blog, ricordando avvenimenti di folclore, di usanze e di personaggi... ma non abbiamo ancora finito...!
Quest'anno, approssimandosi la "festa delle feste", così essa era considerata dai "piscinolesi doc", abbiamo pensato di narrare un aspetto della festa di un tempo, che rappresentava e rappresenta ancora oggi, una tradizione familiare, ovvero la preparazione del pranzo, con alcuni piatti tipici locali, tramandati di generazione in generazione.
Peperoni farciti al forno
Non c'è da stupirsi se Piscinola conserva questa tradizione anche nel campo dell'arte culinaria, perché anche altri quartieri di Napoli, come pure altri siti ubicati fuori Regione, conservano ancora queste tradizioni; basti pensare, restando nelle vicinanze, che a Ponticelli (quartiere di Napoli), per la festa della Madonna della Neve, si usa preparare le "Melanzane alla cioccolata", oppure a Miano, festa di San Gaetano, il "Ruoto di stocco" con pomodori e spezie...
A Piscinola la festa e quindi il pranzo, un tempo era un'occasione per riunire tutta la famiglia, come a Natale e a Pasqua, perchè molti piscinolesi, che avevano abbandonato il quartiere per lavoro o per altro motivo personale o familiare, solevano far ritorno a Piscinola, per riunirsi alle rispettive famiglie, proprio per la ricorrenza della festa patronale.
Processione del SS. Salvatore in piazza Tafuri, foto anni '50
Il piatto principe della festa del SS. Salvatore a Piscinola, era i cosiddetti "Puparuole 'mbuttunati", ovvero i peperoni farciti, cotti nel forno a legna. Ovviamente gli ingredienti principali della pietanza erano i peperoni di stagione, quelli callosi, belli e grandi, sia gialli che rossi, preparati assieme ad altri ortaggi, condimenti e spezie. Ecco in sintesi la ricetta tradizionale che abbiamo recuperato:

Ingredienti:

  • peperoni grandi e carnosi (sia gialli che rossi)
  • pane raffermo tagliato a pezzetti
  • melanzane
  • capperi
  • olive di Gaeta
  • acciughe sotto sale
  • prezzemolo tritato
  • aglio
  • olio d’oliva/sugna
  • sale e pepe q. b.

Preparazione: Mettere ad arrostire i peperoni lavati e asciugati su una "fornacella" con carboni ardenti, appoggiati a una grata. I peperoni si devono girare più volte, fino a che la "pelle" esterna di questi non sia abbastanza "bruciacchiata".

Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)

A cottura ultimata togliere i peperoni dalla "fornacella", e attendere che raffreddino. Successivamente, occorre togliere la pellicina (spellarli), completamente con accuratezza, facendo molta attenzione a non romperli. Togliere poi il tòrsolo con i semi, conservando la forma chiusa dell'ortaggio, perché dovrà essere riempito con la farcitura.
Farcitura
(Imbottitura): Tagliare a dadini le melanzane e poi friggerle in una padella. A parte, si soffrigge il pane con dell’olio d’oliva (ne basta davvero poco), con 2 spicchi d’aglio schiacciati, aggiungendo a essi, le olive snocciolate, i capperi e le acciughe aggiunte. Prima di togliere il soffritto dal fuoco, aggiungere le melanzane e fare insaporire il tutto qualche istante. Condire il "ripieno", così preparato,

Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)
con abbondante prezzemolo tritato, sale e pepe; ricordare di togliere l’aglio, per chi non lo gradisce...
Farcire quindi i peperoni, chiudendoli con dello spago (ma vanno bene anche degli stuzzicadenti). Questi vanno infine disposti in una pirofila (o ruoto di rame, se cotti nel forno a legna). Il tegame deve essere preventivamente unto con olio (meglio con sugna). Sui peperoni aggiungere un pizzico di sale e filo di olio d’oliva.
Infornare e fare cuocere per circa venti minuti, a 160°.
Sfornare e servire, senza frazionare i peperoni...!
Qualcuno realizzava una variante alla ricetta, inserendo degli ingredienti proteici: un uovo, del formaggio grattuggiato, della carne macinata e un po' di prosciutto tagliato a dadini.
Non si crederà ma in passato i peperoni erano racchiusi con il loro riempitivo, utilizzando ago e filo di cotone...!

Tagliolini all'uovo fatti in casa
Ovviamente il piatto dei "puparuoli 'mbuttunati", non era l'unica pietanza preparata per il pranzo del SS. Salvatore. Spesso si associava ad esso anche il "ruoto con il coniglio o con il pollo alla cacciatora", cotti assieme alle patate novelle e altre spezie, sempre nel forno a legna. C'era pure chi preparava per la circostanza i tagliolini all'uovo fatti in casa, conditi col sugo del ragù e, qualcun'altro, addirittura gli gnocchi fatti con le patate, conditi sempre col sugo del ragù... Nel ragù, che era preparato col sugo di pomodoro, rigorosamente autoprodotto in casa ('a passata), si aggiungevano tagli di carne e involtini molto particolari, appartenenti a parti macellati di animali, considerati dei tagli secondari, come: le tracchie (tracchiulelle), la mammella di vaccino ('a zizza 'e vacca) e gli involtini di intestini di gallina che, per la cottura, erano avvolti su ramoscelli di prezzemolo (stentenielli 'e gallina)...
Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)

Il dolce, quando previsto, era molto semplice, ma genuino; di solito si preparava la torta di gelato al caffè.
Era questa un semifreddo preparato con biscotti duri (da noi chiamati pastarelle), che venivano disposti a strati in un vassoio, dopo essere stati inzuppati singolarmente nel caffè amaro, reso tiepido. Tra i vari strati di biscotti si inseriva una sorta di crema preparata a base d'uovo. Dopo aver completato i vari strati, si cospargeva la sommità del semifreddo con dei confettini colorati di varie dimensioni, distribuiti su uno strato di albume montato; poi si metteva il contenitore nel frigo, aspettando che diventasse gelato.

Zuppa di cozze tipica
Altro piatto tradizionale tipico della festa del Salvatore è quello che è definito la "regina" delle feste patronali, vale a dire sua maestà la "Zuppa di cozze"!
La Zuppa si gustava seduti ai tavolini allestiti dai maestri di zuppa di cozze, detti "cuzzecari" o dagli esercizi commerciali del posto, situati nei punti prestabiliti del quartiere, quasi sempre nella zona centrale. Fuori alla trattoria "Sarnacchiaro", lato via vecchia Miano, allestiva la  sua postazione con i tavolini, il "maestro cuzzecaro" soprannominato "Buccetiello", la cantina di "don Lurenzo" allestiva nella piazzetta della Chiesa, sul lato via V. Emanuele, mentre in via del Plebiscito, lungo il marciapiede lato cantina Di Guida, allestiva il suo stand il "maestro cuzzecaro" chiamato "don Peppe 'o Russo".
Banco zuppa di cozze per la festa, foto Sarnacchiaro

Ogni postazione stradale comprendeva l'esposizione di banchi, di pentolame e di decorazioni, finalizzati alla cottura e alla vendita di zuppe di cozze.
Questi tipi di allestimenti era molto belli e particolari, perché erano composti da grossi e caratteristici pentoloni di rame lucidati a specchio, muniti ognuno di grossi manici e sormontati da variopinti e decorati festoni di carta colorata, sottilissima, tipo velina (realizzati in colori vivacissimi: bianco, rosso, giallo, verde, rosa, blu, azzurro... Curatissima era anche l'illuminazione, inizialmente con fiammelle a gas e, poi, con lampadine elettriche. Per preparare la zuppa si usavano le freselle, detti anche biscotti, ovvero dei biscotti rustici di grano, molto duri, che venivano disposti alla base dei piatti piani, dopo essere stati inzuppati con acqua calda ricavata dalla cottura dei polipi.
I polipi, che erano veraci e giganti, erano messi a cuocere
in grossi pentoloni, in bagnomaria, fin dal primo pomeriggio. A parte, poi, si cuocevano anche gli altri "frutti di mare", necessari per il completamento e il decoro della zuppa: cozze, fasolari, vongole, telline, capesante, lumache (marruzzielli 'e mare), ma anche le "marruzze di terra" di stagione.
Le lumache  dovevano essere sapientemente fatte "spurgare" alcuni giorni prima della cottura, come pure i frutti di mare, per eliminare la presenza di sabbia. Il condimento finale, che completava la zuppa, era ovviamente la salsa concentrata, a base di peperoncino piccante.
Caratteristici erano anche i tavolini e le sedie disposte per gustare la zuppa, tutti rigorosamente di tipo unificato, realizzati con listelli di legno, colorati di rosso, giallo o blu e tutti necessariamente pieghevoli per facilitare il trasporto e agevolarne l'immagazzinamento durante l'anno.
Ma non tutti si recavano a mangiare la zuppa di cozze ai tavolini, perchè erano in tanti quelli che, muniti di tovaglioli e zuppiera, portati da casa, acquistavano le zuppe di cozze al banco e, poi, una volta giunti a casa, dividevano con il resto della famiglia il succulento piatto... seduti comodamente nella propria sala da pranzo, lontani dallo schiamazzo della festa...
Il giorno preferito per gustare la zuppa di cozze era la domenica sera della festa, dopo lo spettacolo dei fuochi che si svolgeva in piazza, a conclusione della processione del Salvatore.
Dobbiamo aggiungere una parentesi per l'argomento: lo spettacolo pirotecnico domenicale era detto "Ciuccio 'e ffuoco", perchè a differenza delle esibizioni pirotecniche con le bombe di mortaio (esplosi il lunedì), i fuochi
erano fatti esplodere in un angolo della piazza, ed erano formati da petardi e vari tipi di botti, sistemati a pochi metri di altezza, sorretti su fili di ferro oppure su telai di legno. A questi si aggiungevano delle "girandole di fuochi", delle "scritte" colorate, sempre composte con i fuochi e di altri dispositivi pirotecnici (forse si simulava anche qualche figura di animale, da cui il termine "Ciuccio 'e ffuoco"). Come per i fuochi pirotecnici esplosi in aria (con bombe a mortaio), anche per il "Ciuccio 'e fuoco" erano previsti dei premi, assegnati da una apposita giuria, alla più bella e particolare esibizione.

Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)

Si racconta che ogni anno (negli anni '50), a vincere questo premio era sempre lo stesso fuochista, originario del quartiere di Miano, che aveva per soprannome "Musso a musso", anche se i piscinolesi facevano ovviamente il tifo per il loro concittadino, il fuochista cav. Piccolo (al quale abbiamo dedicato un post l'anno scorso).
Ritornando al rito della zuppa di cozze, ricordiamo che erano tantissime le persone che preferivano degustarla alla sera del lunedì della festa, prima che si svolgesse la gara pirotecnica, quando in piazza si conduceva la cosiddetta "Venneta", che poi era la vendita all'asta dei doni offerti al Comitato dei festeggiamenti, da parte di commercianti, da contadini e da semplici cittadini.

Banco espositivo trippa e carne cotta (foto repertorio)

C'era ovviamente anche la banda musicale di Piscinola, che suonava sul palco degli intermezzi musicali, tra un'aggiudicazione e l'altra. Era piacevole ascoltare i vari passaggi della Venneta durante questa parentesi conviviale, perchè erano simpaticamente condotti da un esilerante banditore, spesso era il celebre "Eugenio cu 'e lente" (Eugenio Pragliola, detto Cucciariello), di cui abbiamo già narrato la storia in questo Blog.
Tutto lo spettacolo era diffuso attraverso l'impianto audio-amplificato, ramificato in ogni angolo o strada del quartiere, attraverso delle gigantesche "trombe".

Non mancavano, poi, le postazioni dove si vendeva anche la trippa e la "carne cotta" ('O pere 'e 'o musso). Quest'altro piatto tipico era composto da parti di bovini e di ovini (mucca, agnello e capretto), opportunamente bolliti, ridotti a pezzetti e
conditi con sale e limone in abbondanza. Erano offerti dentro a involucri di carta, tipo "oleata", chiamati "coppetelli". In piazza B. Tafuri era celebre e apprezzatissima la postazione ambulante di don Pascale, soprannominato "Pascale, callo 'e trippa".

           Piatto di trippa e carne cotta (foto repertorio)

Molti ricordano ancora che la sua caratteristica bancarella, che negli anni '50 era illuminata con una lampada ad acetilene dall'odore caratteristicamente acre... ma i prodotti offerti erano a dir poco squisitissimi!
Tutti questi piatti caratteristici della festa erano ovviamente "innaffiati" con delle bevande fredde. Nei pranzi casalinghi si offriva ai commensali vino semplice e casareccio, tipo: il Perepalummo, un vinello bianco nostrano o lo Sferrazzuolo... (Il Perepalummo era il celebre Piedirosso, mentre lo "Sferrazzuolo" era un vino locale leggerissimo, ricavato da un mix di uve prodotte a Piscinola, bianche e nere).

Blocco di ghiaccio prodotto a livello industriale

Non mancavano le percoche di stagione, "affogate" nel vino rosso... Nelle cantine e nelle postazioni ambulanti esterne, invece, erano offerti i vini di qualità, vesuviani, aversani o dei Campi Flegrei, tipo: Gragnano, Asprinio, Lettere, Falanghina o altro. Come pure non mancavano le birre alla spina o in bottiglia e le classiche gassose, sempre in bottiglia... Per conservare le bibite fresche, si preparavano delle capienti tinozze di legno, riempite di scaglie di ghiaccio; una volta disposte al loro interno le bottiglie, si copriva il tutto con dei teli di canapa bagnati (sacchi). Il ghiaccio lo si trovava presso dei rivenditori specializzati ed era venduto a blocchi, di misura prestabilita.
E c'era pure qualcuno, a Piscinola, che in un piccolissimo esercizio sito nel vico Cupa Acquarola, si era "industriato" a produrre una gassosa artigianale, con tanto di bottiglia e nome etichettato sul vetro, per la vendita al dettaglio!
Poi c'erano anche gli ambulanti che offrivano taralli di sugna e pepe, zucchero filato, figurine (fichi d'india) e altro ancora...

Famoso era il venditore di taralli, chiamato "don Cosimo 'o tarallare",
piscinolese, originario di vico I Plebiscito, il quale, con l'immancabile cesta piena di taralli, girava le strade di Piscinola, specialmente dove erano posti i tavolini dei "Cuzzecari" e dava la sua voce-richiamo caratteristica, che faceva: "'o bbuono 'e sempe bbuono!"
La mattina della festa, le famiglie che avevano tra i componenti un congiunto di nome "Salvatore", solevano preparare del cioccolato fondente, che erano offerto ad amici e a parenti che si recavano per porgere gli auguri al festeggiato; il cioccolato era offerto in tazze, associato a dei biscotti molto friabili, chiamati "Savoiardi".
Lo sparo dei mortaretti della Diana, che preannunciava la giornata della festa del Salvatore, rendeva quel momento suggestivo, molto sentito e gratificante per l'intera comunità, sentendosi coesa e parte integrante dei festeggiamenti.

E c'era pure chi riceveva la "serenata" in musica, da parte di una minibanda organizzata, i cui componenti, in maniera sorprendente, conoscevano a memoria tutti i nomi dei piscinolesi festeggiati in quel giorno e le loro abitazioni...!

Altro dolce che era d'obbligo acquistare e gustare durante la festa del Salvatore era il torrone. All'epoca c'era solo la versione classica, quella bianca con nocciole. Il torrone era venduto sulle classiche bancarelle in forma sfusa, in grosse o piccole scaglie, oppure del tipo a mattoncino incartato.
Il torrone dell'epoca era comunque molto duro da masticare, anche se aveva un sapore e una dolcezza indescrivibile...! La versione "mini" del torrone era chiamato "tudaretto 'e San Biase", chiamato così perché era offerto in un formato tondeggiante ed era distribuito solitamente durante la festa di San Biagio a Mugnano.

Immagine SS. Salvatore - comitato fest. 1968

Il "Tudaretto" fu ripreso anche a Piscinola, e veniva distribuito, come a Mugnano, principalmente dal "Comitato dei festeggiamenti" (mastri 'e ffesta - maestri della festa), quando nelle settimane precedenti la festa, essi si recavano casa per casa (questuando), in cerca di offerte e doni.
A ogni offerta ricevuta, i "mastri" ricambiavano donando un'immagine grande, a colori, del SS. Salvatore, che riportava scritto l'anno dei festeggiamenti e anche un torroncino "Tudaretto di San Biase".

In passato, non c'era famiglia a Piscinola che non conservasse, appesa sull'uscio di casa, un'immagine del SS. Salvatore, specie quella stampata per la festa dell'anno corrente. Altri tempi, purtroppo!

Banco Zuppa di Coppe, foto di repertorio
Un altro anno è trascorso, ed eccoci ancora insieme ad augurare a Piscinola una buona e santa festa per il Suo Protettore secolare: il SS. Salvatore!
Auguri a tutti i lettori che si chiamano "Salvatore" e auguri a tutti i piscinolesi, soprattutto a quelli che sono lontano da Piscinola per motivi di lavoro, di studio, di viaggio o per famiglia.

Auguri a tutti ... Evviva Gesù Salvatore! 

Salvatore Fioretto

Ringraziamo gli amici: Pasquale Di Fenzo, GiovanniBattista Mele,  Michela Sarnella e Imma Cuozzo, per la loro gentilissima collaborazione.

Per i lettori interessati a leggere tutti i post dedicati negli anni, in questo Blog, alla festa del SS. Salvatore a Piscinola, ecco il link che riporta il riepilogo di tutti i documenti, i filmati, i documentari e le dediche pubblicate. Buona lettura!

http://piscinola.blogspot.com/2021/08/elencodi-tutti-i-lavori-e.html

 

Cena conviviale di piscinolesi, nel giardino esterno della trattoria Sarnacchiaro (foto Sarnacchiaro)