sabato 20 giugno 2015

Un noto pittore, un giureconsulto e un notaio… salvarono dalla rovina la chiesa del SS. Salvatore in Piscinola…

Autoritratto, Francesco De Mura
La millenaria chiesa parrocchiale del Casale di Piscinola, dedicata al SS. Salvatore, ha avuto nella sua lunga storia momenti di splendore alternati a momenti di decadenza ed incuria... Più volte, infatti, nelle fonti storiche e nei vari documenti ritrovati, emergono problematiche legate allo stato di conservazione dell'edificio, vuoi per incuria umana e vuoi per fattori esterni, come eventi calamitosi: i terremoti, i nubifragi, ecc., nonché le conseguenti azioni  e le opere di ripristino.
Singolare è la storia che stiamo per raccontare, che vede legata questa  nostra antica chiesa alla figura di un grande pittore del secolo dei Lumiattivo nel periodo del tardo barocco-roccocò napoletano, parliamo del celebre artista Francesco De Mura. Al pittore si legano nella vicenda altri due personaggi, che pure hanno operato in questo piccolo Casale e lasciato una traccia della loro vita nella sua storia. Essi sono il regio notaio Michele Valenzia e il giureconsulto, barone Giambattista Gallotti.
Allegoria delle arti, di Francesco De Mura
Il pittore Francesco De Mura nacque a Napoli, il 21 aprile del 1696, da Giuseppe ed Anna Linguiti. Il padre, Giuseppe, era originario della provincia di Salerno (era nato a Scala, presso Amalfi), ma prese presto a frequentare Napoli per la professione esercitata di mercante, infatti negoziava la lana in una strada, che fu poi spazzata via dal Risanamento di Napoli, chiamata “via Orti del Conte”. Già dalla tenera età emersero le sue doti non comuni di apprendimento e di grande passione per le arti ornate.
SS. Severino e Sossio. Volta affrescata da Francesco De Mura
Dopo una brutta esperienza in un collegio napoletano, fu dai genitori indirizzato presso la bottega del pittore Domenico Viola, dal quale apprese i primi rudimenti della nobile arte. Ben presto, nell'anno 1708, passò nella più celebre bottega napoletana di pittura, quella dell’abate Francesco Solimena, che fu anche maestro del celebre Sant’Alfonso Maria de Liguori (nato anche lui nel 1696). Nella bottega del maestro Solimena, Francesco De Mura vi rimase fino a tutto il 1730.
Fu senza dubbio presso la bottega del Solimena - che subito lo predilesse e lo considerò il più dotato dei suoi allievi - che il De Mura acquisì, anche sulla scorta degli insegnamenti del Giordano, del De Matteis e del "colorare" di Giacomo Del Po, il suo mestiere e la capacità di un disegno forbito e delicato insieme. Famosi sono i panneggi dei personaggi rappresentati nelle sue opere.
Francesco De Mura divenne un’artista richiesto e ambito, sia nel Regno di Napoli e sia nelle più importati corti d'Europa, le sue tele sono oggi conservate nelle principali residenze reali e nei più importanti musei europei, dalla Spagna, alla Russia, finanche negli Stati Uniti d'America. Notevole sono le opere conservate presso le collezioni private, tra le più benemerite ed importanti.
Dipinto di Francesco De Mura
Le committenze, importanti, proseguirono senza sosta nella sua vita: i benedettini dell'abbazia di Montecassino e quelli della chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio gli offrirono interventi di notevole consistenza e prestigio che lo impegnarono per alcuni anni (1731-1745).
Datato 1740 è l'enorme affresco per la volta della chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio, retta dai padri benedettini, considerato suo capolavoro, rappresentante S. Benedetto e S. Scolastica che propagano le regole dell'Ordine. L'opera è stata il punto di riferimento per tutti i colti viaggiatori del "Grand Tour", da Cochin a Fragonard. Per la stessa chiesa dipinse, tutt'intorno all'enorme navata, 32 Santi, Pontefici e Vescovi benedettini, che furono pagati 1.800 ducati, il 25 dicembre 1745.
Chiesa della Nunziatella, volta affrescata da F. De Mura
Altro grande lavoro del De Mura fu la realizzazione, nel 1746, della tela gigantesca per la rimodernata chiesa angioina di S. Chiara a Napoli, da porre sull'altare maggiore (quasi come un fondale da palcoscenico...), al di sopra della tomba di Roberto d'Angiò: rappresentava S. Chiara ed altri santi francescani nel trionfo dell'Eucarestia, e venne distrutta dai bombardamenti del 1943 (resta una foto Alinari). Per la stessa chiesa De Mura realizzò la tela: S. Chiara che mette in fuga i Saraceni con il Santissimo, dipinta poco dopo il 1746, e Salomone che dirige l'edificazione del tempio, dipinta nel 1751-52.
La produzione artistica del De Mura è ampissima: tanto egli fu prolifico di tele e capolavori d'arte figurativa che elencare tutte le sue opere sarebbe un'impresa non poco ardua e corposa!
Martirio di Virginia, tela di Francesco De Mura
Il 3 settembre 1772, Luigi Vanvitelli scriveva: "Il migliore di tutti li dipintori, che presentemente sono in Napoli, nel quale concorrono le parti che avere deve un valent'uomo, per distinguersi sopra gli altri, egli è Don Francesco de Muro, di cui sarebbe desiderabile averne qualche opera a fresco sulle mura del Real Palazzo di Caserta..." (cfr. N. Spinosa, L. Vanvitelli e i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento..., in Storia dell'arte, 1972, 14, pp. 204).
Il 20 maggio 1756 portò a compimento il magnifico ritratto del Cardinale Antonio Sersale (arcivescovo di Napoli dal 1754 al 1776).
La stanchezza (aveva ormai 75 anni) e il disgusto per le sopraffazioni subite in seno alla famiglia (cfr. Napoli, Pio Monte, Testamento, 17 febbraio 1770: "ebbi a soffrire molte inquietudini non compatibili né alla mia età né alle mie applicazioni..."), lo indussero a rinunziare alla prestigiosa carica di direttore della Reale Accademia di nudo, come risulta dalla lettera di dimissioni che firmò il 9 marzo 1770 (Lorenzetti, 1952). Malgrado la rinunzia all'incarico e l'accettazione delle sue dimissioni, al De Mura fu pagato lo stipendio sino alla sua morte.
Sacra famiglia e S. Giovanni Battista, tela di Francesco De Mura
Dal carattere schivo e riservato, ebbe e coltivò pochissimi amici, dei quali non si dimenticò mai e soprattutto volle lasciare loro un segno della sua stima, al momento della sua scomparsa.
Non sappiamo quali interessi l’artista ebbe nell’allora Casale di Piscinola, se dipinse tele per la chiesa del Salvatore (Diversi quadri sono andati perduti all'inzio del secolo scorso) o per l’Arciconfraternita del SS. Sacramento, all’epoca già attiva e operante, ma sappiamo che fu cliente e soprattutto amico di un famoso notaio regio dell’epoca, che a Piscinola aveva il suo studio, e forse l'abitazione, il cui nome era Michele Valenzia.
L’11 ottobre 1780 per mano del notaio Michele Valenzia di Piscinola, De Mura stilò il suo testamento e al Pio Monte di Misericordia di Napoli lasciò gran parte delle sue sostanze. Gli lasciò tutto quanto contenesse la sua casa: un capitale che raggiungeva la impressionante cifra (in danaro contante) di 55.454 ducati, oltre i suoi 187 quadri, gli argenti, il mobilio, le carrozze, nonché altre numerose fedi di credito...! Dispose che tutte le sostanze dopo l'avvenuto inventario fossero vendute e "... che di quel denaro ricavato fosse invertita la rendita in soccorso di gentiluomini e di gentildonne poveri o di nobili famiglie di fuori, e dimoranti in Napoli o nelle sue borgate."
Piazza B. Tafuri e facciata della chiesa del SS. Salvatore, anno 2004
Il pittore, ormai vecchio, era rimasto solo, senza figli e senza eredi diretti; nel 20 giugno 1768 era morta la sua cara moglie, D. Anna D’Ebreù, che aveva sposato nel novembre del 1727.
Nel suo testamento aggiunse un codicillo, che così recitava:“Io Francesco de Mura di questa Città ritrovandomi infermo di corpo, sano però per la Dio grazia di mente, e d’intelletto, e  del mio retto parlare e memoria parimente esistente, dichiaro, che sotto il dì undici Ottobre dell’anno 17ottanta feci il mio inscriptis chiuso, e suggellato Testamento, che diedi a conservare al regio Notar D. Michele Valenzia di Napoli. Indi il 26 Febbraio dell’Anno 17ottantuno feci un Codicillo chiuso che consegnai parimenti…”.
Tra le disposizioni dettate si legge anche un pensiero di riconoscenza nei riguardi del suo notaio e amico Michele Valenzia:
Autoritratto di Francesco de Mura (Galleria degli Uffizi)
[...]“Item lascio juri Legati al suddetto Regio Notar Don Michele Valenzia, mio carissimo amico, docati cento per una sola volta, per un fiore per le tante fatighe per me fatte…”. Il De Mura dispose in un codicillo aggiunto posteriormente al primo testamento, un aiuto concreto per la riattazione della chiesa del Salvatore, intimando il suo erede, il Pio Monte della Misericordia, a provvedere secondo le necessità dell'edificio sacro, attraverso il suo regio sovrintendente: “Dippiù io suddetto D. Francesco, codicillando, voglio, ordino e comando che, occorrendo al detto avvocato Sig.r  D. Gio: Battista Gallotti, mio carissimo Amico e  Compadre, soccorso per provedere alli bisogni della parocchiale chiesa del Casale di Piscinola, debba il detto Sacro Monte mio Erede somministrarcelo, secondo ne farà Le Istanze e richieste il detto Avvocato Sig.r D. Gio: Battista Gallotti, per lo quale soccorsomi le rimetto alla coscienza del medesimo… 
E voglio che gli esecutori del presente mio Codicillo siano quelli stessi da me stabiliti nel citato testamento inscriptis, con le medesime facoltà, e non altrimenti. E finalmente dichiaro, che con il suddetto mio testamento, ordinai di corrispondersi al mag.co Notar Don Michele Valenzia, annui docati venticinque sua vita durante, colle leggi e condizioni indetto Testamento…”
Si noti, nella lettura dei brani estratti dal testamento, la ricorrente menzione dell’avvocato Giambattista Gallotti, dichiarato suo "carissimo amico e compadre”... 
…Ogni dubbio si debba sciogliere e, dichiarare dal suddetto Sig.r Avvocato D. Gio: Battista Gallotti a chi ho comunicata tutta la mia volontà, e che mi ha consigliato nel presente mio Testamento, e la dichiarazione facienda dal medesimo, si abbia come parte del presente mio Testamento, e si debba ad unguem osservare ed eseguire dal detto mio Erede, atteso così è mia volontà.  
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta- Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Chiesa del SS. Salvatore parte absidale
In effetti anche questo personaggio è stato attivo a Piscinola, lasciandone ampia e meritoria memoria del suo operato. Il pittore Francesco De Mura tanto apprezzava le qualità umane e spirituali del barone Gallotti, che gli volle regalare il crocifisso conservato nella sua casa, con questa disposizione: “Ed oltre a ciò Lego a beneficio dello stesso avvocato Sig.r Gio: Battista Gallotti il mio Crocifisso, che conservo in uno Scarabatto nella stanza del mio Letto, unito collo stesso Scarabatto ed altro di suo ornamento, acciò si ricordi dell’Anima mia”.
Nello stesso testamento, stipulato nello studio di Piscinola, il De Mura dispose anche il luogo della sepoltura, al sopraggiungere della sua morte: "...nella chiesa del convento di S. Pasquale di 88 alcantarini di Chiaja, al quale convento si ritrovano pagati ducati 50 per detto interro...". 
Guarigione di un cieco, tela di F. De Mura
Aggiungerà poi altri codicilli al testamento, il 16 luglio 1782. 
Le sue ultime volontà concludono, dicendo: “Lascio Esecutori di questo mio ultimo testamento L’ill.re Marchese Presidente della regia Camera della Sommaria, Sig.r Don Angelo Granito, L’Ill.re Marchesino D. Giovanni Granito e L’Avv. Sig.re D. Gio: Battista Gallotti. 
Il giorno 19 agosto 1784, nel pieno della calura estiva, Francesco De Mura morì al terzo piano del palazzo del principe di Torino (nell'attuale via Foria, tratto Pontenuovo), dove abitava in un appartamento composto da sedici stanze, località quella della città all'epoca assai amena.
Le volontà del De Mura ebbero anche un percorso giuridico alquanto travagliato, tanto che alla sua morte si ebbe una controversia sorta tra la Casa “Santa Ave Gratia Piena” e il “Pio Monte Della Misericordia”, anche se quest'ultimo era considerato, chiaramente, beneficiario del patrimonio per lascito testamentario, dell'intero immenso patrimonio dell'artista.
Ritratto del conte John J. Mahony, tela di Francesco de Mura
Nella controversia in parola l'”Ave Gratia Piena” pretendeva l'eredità, avanzando come prova la versione secondo la quale il De Mura era stato un trovatello "esposto" alla ruota dell'Annunziata, battezzato col nome di Francesco e successivamente affidato, perché lo allevasse, ad Andreana Pastore, moglie del lanaiolo Pompilio di Amura (cfr. Causa, 1970, pp.5 2 s.). Per questo il De Dominici (1743) scriveva che il pittore era figlio di Pompilio…
Per quanto riguarda il terzo personaggio di questo racconto storico, ossia dell’avvocato e giureconsulto, nonché barone, Giovanbattista Gallotti, le fonti storiche riportano che era originario della provincia di Salerno, era infatti nato nel 1718,  in terra di Battaglia. 
Ritratto di prelato, opera di F. De Mura
All’età di 20 anni fu mandato dai genitori a Napoli, a formarsi presso lo studio del cugino, l’avvocato Tomaso Benevento. Studiò le varie discipline umanistiche e scientifiche, la filosofia e le lingue antiche, ma poi si soffermò sul diritto naturale, ecclesiastico e di guerra, acquisendone ampia conoscenza ed erudizione. Si dedicò all’insegnamento e all’attività forense, distinguendosi per rettitudine, onestà e dedizione.
Rinunciò alla carica di giudice della Gran Corte della Vicaria, offertagli dal Re Ferdinando I, per le sue doti e per lo stile accademico: rinunciò alla toga, sacrificando tutto se stesso alla difesa dei diritti sacri dell’uomo e alla difesa dei diritti dei suoi assistiti.
Anche se non lasciò opere di grande mole, nessuno che abbia letto le scritture legali di Giambattista Gallotti gli potrà negare il valore e la laude di sommo giureconsulto, esaltandone lo stile che lo contraddistinsero. Fu apprezzato in patria, così come dagli studiosi stranieri. Uomo molto religioso, pose sempre la fede come baricentro del suo operare con giustizia ed equità.
Facciata chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, anno 2004
Fu chiamato ad amministrare la chiesa del SS. Salvatore di Piscinola dal re Ferdinando I, infatti nel libro “Opere di Nicolò Morelli dall’autore medesimo rivedute corrette e ammendate, 1846 Volume I”, così si riporta: [...]"Il magnanimo Ferdinando I obliar non potendo il riverito nome del nostro Gallotti, lo chiamava al governo del Banco di S. Giacomo, e poco di poi creavalo sopraintendente della Chiesa parrocchiale di Piscinola. Corrispose alla fiducia del suo Signore assai del proprio contributo per la ristaurazione di quel cadente edificio. Che se alcuno non reputa questo un gran pregio, io lo prego a considerare, che mentre pure sono creduti utili alla città coloro che faticando per essa, non ne ricusano mercede, Giambatista alle fatiche imprese a vantaggio della sua patria, e dei suoi concittadini aggiunse ancora il dispendio. Morì nel mese di giugno del 1799. 
Ai baroni Gallotti sono legati altri episodi ed eventi della storia del Casale di Piscinola, che narreremo, per ovvie ragioni di spazio e di argomento, in un apposito post futuro.
Salvatore Fioretto
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Campanile della chiesa del SS. Salvatore, veduta dalla Villa Mario Musella, anno 2015


Napoli Chiesa dei Santi Severino e Sossio -Volta affrescata da Francesco De Mura




Allegoria, opera di F. De Mura

Le foto riportate in questo post sono state liberamente tratte da alcuni siti web dove erano contenute, questo senza alcun fine di lucro, ma solo per la libera divulgazione della cultura.

domenica 7 giugno 2015

Giuseppina, la fanciulla del perdono...! 1^ parte

Attraversando via Aldo Moro, colpisce al viandante la vista di quel semplice monumento edificato alcuni anni fa, con caparbietà, da alcuni abitanti del posto e da un comitato spontaneo di cittadini, per dedicarlo a una sfortunata ragazza della Guerra, che si chiamava Giuseppina Bianco.
Sono trascorsi da quell'episodio cruento, che la vide cadere per mano della viltà umana, settantuno anni, ma il suo ricordo, la memoria di quell'apparente inutile sacrificio non sono mai stati cancellati o sopiti da questa comunità, che fortunatamente conserva ancora alti i valori della riconoscenza e della pietà umana.  
Giuseppina Bianco, morta a diciassette anni, per conservarsi pura, per non cadere preda delle luride voglie di un marocchino imbestiato e ubriaco (G. Altamura).

Siamo qui a rievocare la storia di questa sfortunata ragazza di Piscinola, perché convinti che il suo esempio di vita, al di la della religione e della fede, possa e debba essere un riferimento, la forza e lo stimolo capace di far evolvere in maniera inversa tante criticità, materiali e morali, che attanagliano ancora, in questi nostri tempi, il nostro sfortunato quartiere... 

Chi viene ricordato non morirà mai!

Per illustrare la luminosa figura di questa semplice ragazzina, e il contesto storico nel quale si è verificato l'episodio, prenderemo più volte in prestito il racconto scritto dalla sua insegnante alla scuola elementare "Torquato Tasso", Giovanna Altamura, che la tenne molto a cuore tra le sue alunne più care, e l'ha immortalata nella sua novella: "Dove passò lo straniero", contenuta nel libro "La rivolta dell'umanità e altre novelle",  Gastaldi editore" e anche lo scritto del libretto di Innocenzo Davide: "Giglio Insanguinato" .

Giuseppina Bianco, nacque nel gennaio del 1927, a Piscinola, allora frazione del Quartiere San Carlo All'Arena, nella masseria Delle Donne. La sua era una famiglia numerosa, i cui genitori, Andrea e Teresa, e i numerosi fratelli piccoli, si dedicavano con sacrificio al duro lavoro nei campi.
[...] "Era una fanciulla buona, senza nulla di eccezionale, semplice e mite, modesta e bene educata come tutte le fanciulle del paese, religiosa, senza smanie, studiosa per quel tanto che le permise di ottenere la licenza elementare, per poi dedicarsi alle cure della famiglia e della terra come quasi tutte le contadinelle del luogo, presto spose e prolifiche mamme".
Scuola Torquato Tasso, foto anni '30
Giuseppina era molto pia e devota, dedicava spesso fioretti alla Madonna e frequentava la cappellina del Sacro Cuore durante le funzioni del mese di maggio; sovente si recava a piedi, con altre amichette, nel convento di Pianura, per visitare delle amiche suore. Spesso provava tristezza nel lasciarlo, per far ritorno a casa...
"Giuseppina, se avesse potuto, avrebbe scelto proprio quella vita, ma sapeva che la numerosa schiera di fratelli e delle sorelline avevano bisogno di lei, delle sue cure, e poi c'era la terra, la "loro" terra, che non poteva essere privata dell'opera delle sue braccia forti".
Spesso si confidava con la sua maestra, forse sua unica confidente, di quel sogno, quel desiderio segreto, dolorosamente soppresso, proprio per pensare alla sua famiglia. Concludeva le sue confidenze, con delle espressioni a lei abituali: "Non importa, non fa nulla"...
Giovanna Altamura descrive con molto realismo, i luoghi e il sacrificio che ogni giorno Giuseppina doveva compiere per recarsi alla scuola Torquato Tasso, attraversando impervie strade, che allora congiungevano le masserie ai confini con Mugnano, con la piazza di Piscinola:
"Era davvero una cara fanciulla, così come era stata una scolaretta tra le più care, affettuosa, garbata, allegra ma composta, che giocava e rideva con faciltà, ma senza abbandonarsi, mai, a scompostezza di giuochi. 
Per andare a scuola doveva fare, come tutti i bambini delle masserie lontane, un lungo cammino, attraversando una "cupa", stretta tra le terre, ma che accorciava di molto la lontananza. Giungeva a scuola con gli zoccoletti impolverati, con il grembiulino nero, diventato grigio, specie nei tempi di siccità, con i capelli disordinati dai lunghi rami dei rovi spinosi dei quali son fatte le siepi, ma le manine forti e scure, tenevano sempre un mazzolino di fiori colti lungo la via, o una mela, o un pugno di noci verdi e tenere ancora, da offrire alla maestra. E si scusava <<di non essere pulita - come dice lei, signora maestra - perché quella strada era così sporca e infangata e polverosa, che anche ogni attenzione, non era possibile giungere a scuola pulita come era sortita da casa>>".
Qualche volta cartella e cestino erano finiti a terra, per via, ed allora tirava fuori il grosso fazzoletto quadrettato, che la mamma le ficcava nella tasca del grembiule di scuola, e si metteva, svelta svelta, a pulire tutto, abituata a tenere tutto in ordine anche nella rustica semplice sua casa".
Giunse la terribile guerra, l'occupazione tedesca, i numerosi bombardamenti eseguiti dalle truppe angloamericane... Molti uomini, padri di famiglie numerose, furono mandati a combattere su altri fronti di guerra; in tanti furono deportati e in tanti resi prigionieri e trattenuti nei lager tedeschi o russi. Anche il padre di Giuseppina, Andrea Bianco dovette lasciare la sua numerosa famiglia per la guerra e anche lui fu fatto prigioniero.
"La guerra tremenda aveva portato i suoi lutti e le sue rovine anche laggiù, nel piccolo borgo tranquillo, e quando gli uomini dovettero lasciare la casa e la vanga, per il fronte ed il fucile, le donne, come tutte le donne d'Italia, si sostituirono ad essi, presero nelle mani, dure e forti gli arnesi della terra e continuarono, in silenzio, come sempre, il lavoro, senza recriminazioni né soste, bagnando, nei momenti più duri ed incerti, con le loro lacrime, le zolle dissodate e seminate con le loro mani. Le aiutavano i bambini, dimentichi dei trastulli, fatti adulti dalla necessità e dal dolore,...".
Truppe anglo-americane nei pressi del Museo Arch. Nazionale, in via Pessina
Fu la volta dell'arrivo in città delle truppe di "liberazione" angloamericane, che oltrepassando il Vesuvio, costrinsero il divenuto nemico germanico a ripiegare verso Cassino, sulla linea Gustav... 
Ma per questo territorio i guai  erano appena iniziati...
"Il paese era stato trasformato in sede di accampamento per i lerci marocchini del generale francese Jouè, reduci dalle bravure di Esperia e le donne avevano paura. Non osavano più andare fuori sole, nemmeno di giorno, nemmeno per andare in chiesa, e si raccoglievano nella minuscola cappella votiva dedicata al Sacro Cuore, in piena campagna".
Gran parte delle campagne dello Scampia, poste a ridosso della linea ferroviaria della Piedimonte d'Alife, furono scempiate dalla loro secolare quiete e rese improvvisati campi militari.... 
Terra sfortunata questa, che non ha avuto mai pace, anche nei tempi recenti...!
"Gli attendamenti dei semiselvaggi esseri strani avevano invaso le terre, e si allargavano nella campagna sconvolta, nella quale i secolari noci erano stati spezzati e divelti, le viti strappate, e la terra coltivata calpestata, battuta e trasformata in campo di manovra per autocarri, oppure in attendamenti e cucine".
Le donne, specie quelle sole, abitanti nelle lontane masserie erano le più indifese, e si organizzarono come potevano per un mutuo soccorso...
"Si davano coraggio, riunendosi a gruppi quando dovevano allontanarsi dalle immediate vicinanze di casa, e non rimanendo mai isolate nel lavoro. 
Sotto le ampie gonne ciascuna celava l'affilato falcetto, tagliente e leggero, che come arma di difesa non perdonava". [...] Nessuno degli afri maleodoranti riuscì a toccare una sola donna o fanciulla del piccolo borgo assolato. Piuttosto morire che cadere nelle mani di quegli infedeli che sputavano quando passavano dinnanzi alle chiese".

L'episodio dell'eccidio di Giuseppina Bianco avvenne, il 17 maggio del 1944, quando la ragazza era dedita, insieme alla mamma e alcuni fratellini, al lavoro di diserbo del grano nel suo piccolo podere, situato non lontano dalla masseria Epitaffio, dove c'era una cappellina (segue nella seconda parte).

Salvatore Fioretto 

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martedì 2 giugno 2015

Bike and passion...! La bella storia del ciclismo a Piscinola e nell'Area Nord di Napoli!

Se per il basket, per il pugilato e per la corsa campestre, sono in tanti a sapere la grande passione e l'antica tradizione sportiva detenuta da questa antica comunità piscinolese, poco o nulla invece si conosce dell'uguale nobile tradizione sportiva che tanti giovani piscinolesi e non, hanno esercitato nei decenni trascorsi per le "due ruote", vale a dire per la disciplina sportiva del ciclismo su strada!
Tappa a cronometro a squadra a Secondigliano, anno 1932
Piscinola, negli anni del dopoguerra, è stato uno dei centri abbastanza famosi tra le località campane a organizzare e disputare tornei di ciclismo su strada di una certa importanza, attirando corridori e tifosi da ogni parte della Regione e anche da fuori Regione. Lo stesso possiamo dire anche per Marianella e per Secondigliano.
Senza trascurare il fatto che le strade statali e provinciali adiacenti sono state sedi di importanti tappe del Giro d'Italia, che aveva come partenza o arrivo la città di Napoli.
Giro alla Doganella, anno 1932
Infatti spesso le tappe di questo torneo si snodavano per via Roma Verso Scampia, il Corso Secondigliano, per Capodichino e per la Doganella, con arrivo previsto allo Stadio Albricci nell'Arenaccia. In tali circostanze tanti erano i ragazzi del territorio che si recavano a piedi, per i campi, per raggiungere la strada provinciale passante per Scampia e tifare quindi i propri beniamini: Bartali, Coppi, ... 
Altro giro importante che interessava il territorio era il Giro della Campania, che spesso prevedeva tappe che interessavano le strade di Secondigliano, Scampia, Chiaiano, Miano, Capodimonte e i Colli Aminei.
Corridori napoletani della U.S. Internapolis
In tantissimi, poi, erano gli appassionati a seguire con entusiasmo le cronache delle tappe del Giro d'Italia e del Tour de France trasmesse alla radio, spesso commentando gli episodi accaduti, con amici e altri sportivi, la domenica mattina, seduti al tavolino di un bar, gustando un buon caffè...
Qui a Piscinola si disputò per diversi anni il torneo della Coppa Adolfo Leone, che era organizzato da un gruppo di volenterosi e appassionati, che si riunivano nel palazzo Chiarolanza, i loro nomi erano: Ferdinando Sica, Enrico Sica, Dante Palladino, Gennaro Sarnacchiaro e Vincenzo Esposito, a questo circolo sportivo aderirono tanti giovani ciclisti del quartiere e anche dei quartieri cittadini vicini. Vincenzo Esposito (padre del dott. Natalino Esposito) ne fu anche presidente, per diversi anni. La tappa ciclistica del giro "Adolfo Leone" si svolgeva prevalentemente tra Piscinola, la Pigna, Pianura e Qualiano, con ritorno e arrivo previsto a Piscinola. Anche se dobbiamo dire che il giro fu vinto una volta sola da un piscinolese, che si chiamava Sabatino Cascella. Il direttore di gara era Dante Palladino. Tra i corridori ricordiamo: Salvatore Bianco, Gennaro Abatiello, Gennaro Giordano, Raffaele Riccio e Salvatore Palladino; di quest'ultimo, che abbiamo conosciuto, tracceremo il suo particolare profilo sportivo.
Nato a Piscinola nel 1934, Palladino disputò diversi tornei regionali e anche fuori regione, come ciclista esordiente, per un arco di circa sette anni. Salvatore militò anche tra le fila della squadra ciclista del Lepor Casoria, ottenendo apprezzabili piazzamenti in tante tappe e giri. Vinse, tra gli altri, il torneo di Grumo Nevano e due volte quello della città di Casandrino. Disputò anche le semifinali del campionato italiano, nella "Squadra B", anche se poi, pur vincendo la selezione, la "Squadra B" non fu ingaggiata dalla federazione al torneo nazionale... preferendo stranamente quella perdente...!
Giuseppe Coppola (*)
Un altro grande organizzatore dei tornei di ciclismo a Piscinola fu Vincenzo De Lise, detto 'O Guardiano, che nel 1955 impiantò in piazza B. Tafuri un circolo sportivo chiamato "Rinascente Piscinola", che era affiliato alla U.V.I. (Unione Velocipedistica Italiana). Vincenzo organizzava con cadenza annuale il torneo della "Coppa Piscinola", a cui partecipavano molti ciclisti. Tra i corridoi piscinolesi di quel periodo c'è da segnalare anche Avolio Paolo, vincitore di diverse gare disputate nel comprensorio. Il torneo aveva una tappa lunga quasi 120 km, con percorso che si snodava tra Piscinola, Chiaiano, Marano, Qualiano, Montagna Spaccata e ritorno a Piscinola; con arrivo previsto in rettilineo nella zona Madonna delle Grazie. Dopo qualche tempo la tappa divenne cittadina, con doppio percorso tra Piscinola, Capodichino, Capodimonte, Colli Aminei, Cappella Cangiano, Chiaiano e Piscinola.
Il gruppo sportivo piscinolese e supporters "Adolfo Leone", in una gara a Sparanise, anno 1950
Significativa era la partecipazione di atleti provenienti dalla provincia di Caserta e altre località della Regione Campania. La gara era nota per la sua durezza, per i sostenuti dislivelli, con strette curve; lunga quasi 80 km, prevedeva due giri e una volata in discesa di 4 chilometri, fino al traguardo di Piscinola. 
Registriamo una cronaca avvenuta al giro dell'anno 1960. In quel torneo era dato per vincente il corridore originario di Alvignanello, frazione di Ruviano, che si chiamava Giuseppe Coppola, giovane promettente atleta, che aveva tutto il sostegno e il tifo dei suoi compaesani, giunti in molti a Piscinola per sostenerlo nell'impresa. 
Giuseppe Coppola e Luigi Del Buono, 1963 (*)
Correva insieme ad altri due suoi conterranei: Luigi Del Buono e Salvatore Russo. Questi giovanissimi, pieni di speranza, partivano dal nulla, per inseguire un sogno ritenuto da tanti compaesani praticamente impossibile... Tra i corridori c'era anche Carapella e De Novellis, nonchè l'intera rosa dei corridori piscinolesi della Rinascente.
Verso l'ultimo giro della corsa ci fu uno scatto a tre di Carapella, De Novellis e Coppola, ma poi Coppola prese il sopravvento nel rush finale, proiettatosi verso l'ambito traguardo, quando mancavano poco più di quattro chilometri alla fine... Così perdurava la situazione in testa e il Coppola sentiva già suo l'ambito trofeo, ma non aveva fatto i conti con la sfortuna, sempre in agguato per un corridore...! Quando mancavano solo due chilometri al traguardo, purtroppo, accadde che due motociclette uscendo da un incrocio sbarravano la volata al traguardo del sicuro vincitore, spedendolo direttamente al pronto soccorso del Cardarelli..., con la prognosi di frattura alla clavicola e quaranta giorni di ingessatura, immobilizzato con tanto di busto di gesso. Coppola arrivò al nosocomio privo di sensi e, quando rinvenne, gli fu difficile accettare la disfatta, senza che questa fosse stata da lui stesso determinata. Riuscì per fortuna a superare il brutto momento e dopo sei mesi era di nuovo in sella a sognare altre avventure con le due ruote...
Nel 1962, la tappa del Giro di Piscinola, con 24 corridori partecipanti, tra cui Cristiano, Martino e Madonna, fu vinta invece dall'altro corridore di Alvignanello, Luigi Del Buono (*).
Partenza della gara ciclistica Piscinola, organizzata dalla "Rinascente" di Vincenzo De Lise, 1960
Anche Pierino De Lise, soprannominato come il padre 'O guardiano, negli anni 70, fondò nei locali del palazzo Chiarolanza il circolo  sportivo chiamato "Motta", organizzando e partecipando a tornei di ciclismo provinciali e  regionali, con una propria squadra. 

Gruppo di corridori del "CSI Piscinola" in una tappa di allenamento, anni '80
Alcuni dei nostri atleti divennero nella maturità importanti dirigenti sportivi, come Sabatino Cascella che fu per molti anni giudice di gara e Gennaro Giordano, che fu un buon allenatore di Basket.
Nel 1970, come affiliati C.S.I., la famiglia De Lise organizzò anche un torneo di ciclismo, intitolato Coppa Chiarolanza. 
Nell'anno 1982, dopo essere stato allievo del CSI di Piscinola, di Pierino de Lise, vinse a Falciano del Massico (CE), il Campionato regionale, categoria dilettanti (di seconda), il corridore piscinolese Nicola Palladino, appartenente alla squadra sportiva De Maio di San Giovanni.
Giuseppe Iovine, erede di una grande tradizione sportiva
Anche Marianella organizzava in quegli anni un torneo di ciclismo, messo in piedi dall'Associazione cattolica S. Alfonso, il cui presidente si chiamava Domenico Todaro. L'organizzatore sportivo era Ciro D'Aniello. Tra i suoi corridori ricordiamo Giovanni Ciaramella. Altro bravo corridore piscinolese fu Vittorio Avolio.
Dell'attività sportiva della famiglia De Lise ritorneremo con un apposito post dedicato.
Oggi tanti giovani e meno giovani coltivano nel nostro quartiere questo sport a livello amatoriale (ricordiamo l'amico Iovine Giuseppe) e ancora tanti giovanissimi si affacciano a questa antica tradizione sportiva del territorio, sperando che in un imminente futuro sia ripresa e valorizzata anche a livello professionale.
Salvatore Fioretto 

(*) Alcune notizie di cronaca e le due foto sono state tratte dal libro "La bella favola dei tre compari - Piccola storia di paese", scritto dal dott. Giovanni Casaura, ed. R.E.I., anno 2014.

Si ringrazia per la gentile collaborazione: Salvatore e Nicola Palladino, Pierino de Lise, Luigi Sica (di Ferdinando), Avolio Paolo, Gerardo Ciccarelli e Ferdinando Iannicelli. 

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Giro per il Viale dei Colli Aminei, anni '60 (dall'archivio fotografico Mattozzi)

sabato 23 maggio 2015

In ricordo di quei ragazzi della Prima Guerra Mondiale...

Sono trascorsi cent'anni da quel 24 maggio del 1915, dal giorno dell'ingresso dell'Italia nel primo conflitto mondiale... Un triste avvenimento che vide cadere milioni di ragazzi dell'uno e dell'altro fronte. Ragazzi che provenivano da ogni parte d'Italia, dai piccoli paesini sparsi per i monti, alle grandi città della bella Penisola. Immaginiamo le scene di commiato alla loro partenza: lacrime, sorrisi, disperazione, mani trattenute, speranze, addii...
Tanti addii: delle madri, dei padri, delle mogli, dei figli, delle fidanzate, degli amici e dei tanti parenti...! Un evento che ha sconvolto la vita di intere famiglie e per moltissimi nulla è stato più uguale a prima!
Quanti di questi ragazzi non sono più tornati a casa..., e tantissimi, che sono pur tornati, ma senza più arti... tanti ciechi, impazziti, o gravemente feriti.
https://www.youtube.com/watch?v=fok4Y9JiZAw
La guerra è sempre una gran brutta cosa, sia per i perdenti e sia per i vincitori. La guerra non premia mai nessuno!!
https://www.youtube.com/watch?v=rZM9Qizy--Q

Intendiamo in questo post ricordare i tanti soldati caduti del primo conflitto mondiale, originari o abitanti in questo quartiere, che comprende: Piscinola, Marianella e San Rocco, i cui semplici nomi sono da tanti anni scolpiti sulle fredde lastre di marmo bianco, affisse alla facciata del vecchio municipio di Piscinola, con la seguente dedica "Ai caduti della grande Guerra 1915-1918 che immolarono la loro vita per la Patria vollero i cittadini di Piscinola, Marianella e S. Rocco dedicare, 1919".
Un monumento semplice che è però un simbolo che accomuna tutti i figli morti per la Patria, a perenne loro ricordo. Le due lastre di marmo, coi nomi dei caduti, furono qui sistemate intorno agli anni cinquanta, mentre prima erano collocate ai lati dell'altare dedicato alla Vergine Addolorata, nella chiesa del SS. Salvatore, nella prima cappella a destra, entrando dall'ingresso principale. 
Bisogna aggiungere che Marianella è l'unica tra queste località del quartiere ad aver dedicato ai caduti un bel monumento scultoreo, che si erge al centro della piazza principale, costituito da un'alta colonna sormontata da un angelo alato, rappresentante la gloria che cinge l'alloro ai caduti.
Ecco l'elenco dei caduti del territorio con i loro dati essenziali, come riportato nel registro del Ministero della Guerra: "Militari caduti nella guerra nazionale 1915-18". Albo d’oro – Volume V Campania (province di Napoli e Salerno), edito dal Poligrafico dello Stato, nell'anno 1929.
E' stato riportato quale luogo nascita dei soldati la città di Napoli, perché il Comune di Piscinola era stato soppresso già nel 1866, mentre Marianella era già frazione di Napoli, a partire dal 1809.
-   Aruta Salvatore di Raffaele
Soldato del 32° Reggimento Fanteria, nato il 7 giugno 1889 a Napoli, morto il 28 ottobre del 1915 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
-    Barone Giuseppe di Pasquale
Tenente di complemento del 48° Reggimento Fanteria, nato il 10 maggio del 1890 a Napoli, disperso il 24 agosto 1917 sull’altopiano della Bainsizza in combattimento.
-    Barrese Gaetano di Giovanni
Soldato del 60° Reggimento Fanteria, nato il 2 aprile del 1891, disperso il 26 luglio del 1916 sul Monte Colbricon in combattimento.
-    Boccia Nicola di Antonio
Soldato del 38° Reggimento Fanteria, nato il 18 dicembre 1894 a Napoli, morto il 18 giugno del 1916 sul Monte Novegno per ferite riportate in combattimento.
-    Capasso Domenico di Donato
Soldato del 133° Reggimento Fanteria, nato il 5 gennaio 1890 a Napoli, morto il 28 novembre del 1915 nella Sezione di Sanità per ferite riportate in combattimento.
-    Cascella Gabriele di Francesco
Soldato del 31° Reggimento Fanteria, nato il 25 febbraio del 1891 a Napoli, disperso il 30 giugno del 1915 sul Carso in combattimento.
-    Cicatiello Francesco
(dati non disponibili)
-    Cipolletta Antonio di Carmine
Soldato della 143a Centuria, nato il 17(?) marzo del 1881 a
Napoli, morto l’11 febbraio del 1917 nell’ospedale di guerra n.1 
per malattia.
-     Cuozzo Giovanni di Giovanni
Soldato del 264° Reggimento Fanteria, nato il 24 giugno del 1899 a Napoli, morto l’11 dicembre 1917 nell’ospedale da campo n.116 per malattia.
-     D’Amore Orazio di Antonio
Soldato del 90° Reggimento Fanteria, nato il 25 febbraio del 1885 a Napoli, morto il 4 settembre del 1916 sul Carso in combattimento.
-     Della Corte Giuseppe di Giovanni
Soldato del 216° Reggimento Fanteria, nato il 18 marzo del 1896 a Napoli, morto il 10 novembre del 1916 nell’ospedale da campo n. 073 per ferite riportate in combattimento (da verificare).
-     Della Corte Luigi di Angelo
Soldato del 129° Reggimento Fanteria, nato il 1° gennaio 1887 a Napoli, morto il 24 agosto del 1917 sul campo per ferite riportate in combattimento.
-     Della Corte Natale di Gaetano
Soldato del 111° Reggimento Fanteria, nato il 1° dicembre 1895 a Napoli, morto il 13 dicembre del 1917 a Maddaloni per ferite riportate in combattimento.
-     Di Febbraro Pasquale di Marco
Soldato del 1° Reggimento Genio, nato il 6 gennaio 1883 a Napoli, morto il 23 agosto del 1915 sul campo per ferite riportate in combattimento.
-     Di Vaio Giovanni di Salvatore
Soldato del 32° Reggimento Fanteria, nato il 20 febbraio del 1889 a Napoli, disperso il 20 ottobre del 1915 sul Carso in combattimento (da verificare).
-     Esposito Giorgio di Raffaele
Marinaio C.R.E.M., nato il 27 luglio 1896 a San Giorgio a Cremano (appartenente alla Capitaneria di Porto di Napoli), morto il 23 gennaio 1919 a Napoli per malattia.
-     Fioretti Vincenzo
(dati non disponibili)
-     Fioretto Pasquale di Agostino
Soldato del 32° Reggimento Fanteria, nato il 1° gennaio 1886 a Napoli, morto il 23 giugno del 1915 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
-     Giordano Sabatino (Sabato) di Giuseppe
Caporale del 31° Reggimento Fanteria, nato il 28 novembre 1888 a Napoli, morto il 2 luglio del 1915 sull’Isonzo per ferite riportate in combattimento.
-     Granata Andrea di Angelo
Soldato del 276° Reggimento Fanteria, nato il 10 luglio 1883 a Napoli, morto il 31 agosto del 1917 sull’Altopiano della Bainsizza per ferite riportare in combattimento.
-     Guarino Luigi di Pasquale
Caporale del 216° Reggimento Fanteria, nato il 20 maggio 1896 a Napoli, disperso il 17 settembre del 1917 sul Carso in combattimento.
-     Guarino Giuseppe di Giuseppe
Soldato del 216° Reggimento Fanteria, nato il 23 dicembre 1893 a Napoli, disperso il 17 settembre del 1917 sul Carso in combattimento.
-     Ippolito Vincenzo di Gennaro
Caporale del 19° Reggimento Artiglieria, nato il 1° gennaio 1892 a Napoli, morto l’11 marzo del 1918 nell’ospedaletto da campo n.240 per malattia.
-     Lanzuise Carmine di Vincenzo
Soldato del 29° Reggimento Fanteria, nato il 21 giugno 1890 a Napoli, disperso il 28 maggio del 1916 in combattimento.
-     Lanzuise Pasquale di Gennaro
Soldato del 134° Reggimento Fanteria, nato il 25 marzo 1888 a Napoli, disperso il 27 giugno del 1915 sul monte Sei Busi in combattimento (da verificare).
-     Manna Antonio di Gaetano
Caporale del 241° Reggimento Fanteria, nato il 20 agosto 1898 a Casalnuovo di Napoli (appartenente al distretto di Aversa), morto il 26 agosto del 1917 nell’ospedale chirurgico mobile “Città di Milano” per ferite riportate in combattimento.
-     Manna Antonio di Gennaro
Caporale del 1° Reggimento Granatieri, nato il 17 aprile 1896 a Casalnuovo di  Napoli (appartenente al distretto di Aversa), morto l’11 agosto del 1916 nell’ospedaletto da campo n.236 per le ferite riportate in combattimento.
-     Manna Vincenzo di Antonio
Soldato del Reparto Contraerei di Nettuno, nato l’8 marzo 1896 a Napoli, morto il 18 agosto del 1919 a Ferrara per malattia.
-     Mele Sabatino di Francesco
Soldato del 133° Reggimento Fanteria, nato il 4 marzo 1891 a Napoli, morto il 18 giugno del 1916 nell’ospedaletto da campo n. 89 per ferite riportate in combattimento.
-     Mele Vincenzo di Donato
Soldato del 6° Reggimento Bersaglieri, nato il 5 ottobre 1894 a Napoli, morto il 31 ottobre del 1915 sul Carso per ferite riportate in combattimento (da verificare).
-     Miccù Oreste di Raffaele
Soldato del 12° Reggimento Bersaglieri, nato il 24 agosto del 1896 a Napoli, morto il 7 novembre del 1916 nell’ospedaletto da campo n.236 per ferite riportate in combattimento.
-     Musella Raffaele di Ferdinando
Soldato del 31° Reggimento Fanteria, nato il 15 novembre del 1889 a Napoli, morto il 6 novembre del 1917 a San Leonardo per malattia (da verificare).
-     Musella Salvatore di Vincenzo Giuseppe
Soldato del 216° Reggimento Fanteria, nato l’8 gennaio del 1895 a Napoli, morto il 18 ottobre del 1916 nell’ospedaletto da campo n.123 per malattia.
-     Noviello Federico
(dati non disponibili)
-     Noviello Giuseppe
(dati non disponibili)
-     Perrone Carlo di Nicola
Soldato del 131° Reggimento Fanteria, nato il 23 luglio 1890 a Napoli, molto il 28 luglio 1917 nell’ospedaletto da campo n. 101 per malattia.
-     Russo Luigi di Domenico
Soldato del 1° Reggimento Fanteria, nato il 13 ottobre 1894 a Napoli, morto il 30 ottobre del 1918 sul campo per ferite riportate in combattimento.
-     Salzano Vincenzo di Domenico
Soldato del 231° Reggimento Fanteria, nato il 16 dicembre 1891 a Napoli, morto l’8 agosto del 1916 sul Medio Isonzo per ferite riportate in combattimento.
-     Sarnella Alberto 
(dati non disponibili)
-     Silvestri Gennaro di Pasquale
Soldato del 52° Reggimento Fanteria, nato il 6 dicembre del 1897
a Napoli, morto il 16 settembre del 1918 in Francia per ferite riportate in combattimento.
-     Silvestri Vincenzo di Giuseppe
Soldato del 1° Reggimento Artiglieria da Fortezza, nato il 31 luglio del 1890 a Napoli, morto il 19 ottobre del 1918 nell’ospedaletto da campo n.158 per malattia (da verificare).
-     Terracciano Vincenzo di Michelangelo
Soldato del 31° Reggimento Fanteria, nato il 28 febbraio del 1896 a Napoli, morto il 23 settembre del 1918 a Savona per malattia.
-     Tomo Giuseppe
(dati non disponibili)
-     Vitale Alessandro di Antonio
Soldato del 56° Reggimento Fanteria, nato il 16 marzo del 1886 a Frattamaggiore, (appartenente al distretto di Aversa), morto il 15 settembre del 1916 nella 19° Sezione di Sanità per ferite riportate in combattimento.

In loro ricordo:

L'inno militare che fu composto per ricordare quel conflitto, rievocando gli episodi salienti, come la vita in trincea, la disfatta di Caporetto, la resistenza sul Piave e la vittoria finale, s'intitola: "La leggenda del Piave", il cui autore (versi e musica) fu un poeta napoletano, di nome Giovanni Ermete Gaeta, meglio conosciuto da tutti con lo pseudonimo di E.A. Mario. La Leggenda del Piave è tutt'oggi rappresentata nelle grandi occasioni ufficiali e nelle parate, come nelle commemorazioni all'"Altare della Patria" e durante le ricorrenze della prima Guerra Mondiale.


https://www.youtube.com/watch?v=OWfbfdY_je8


La rievocazione storica, oltre a voler narrare e spiegare gli episodi e gli eventi accaduti a una comunità nel corso del tempo, vuole essere un monito rivolto alle attuali e alle futuri generazioni, affinché mai più l'umanità possa cadere nel baratro della guerra!! 
Mai più la guerra....!
Viva la pace...!

Salvatore Fioretto

Si ringrazia l'amico Carmine Cecere per la sua preziosa e generosa collaborazione.

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Piazza Bernardino Tafuri, e il monumento ai caduti del quartiere