mercoledì 11 settembre 2013

"Li Cunti" di Basile, tra Miano e Piscinola...!

 
Sospeso tra sogno e realtà, tra fantasia e suggestione, tra incanto e natura, così il mondo della fiaba e del cunto ha caratterizzato la letteratura del Seicento, non solo in Italia, ma nell'intera Europa... Tale esperienza culturale non poteva non toccare anche il nostro magico e incantato scenario campano e ancor più quello napoletano, rappresentato dagli antichi Casali di Napoli... e tra questi, come vedremo nel seguito, due Casali a noi vicini...! A farlo è stato quel "portento" della letteratura italiana del Seicento, lo scrittore Giambattista Basile. 
Basile fu figlio della nostra terra, della cosiddetta Campagna Felice; nacque infatti nell'Area Nord della provincia di Napoli, e precisamente nel Casale di Giugliano, nell'Anno di Grazia 1556 (15 febbraio).
Con Giambattista Basile la parlata napoletana viene elevata a lingua completa, perché il capolavoro da lui scritto, avente per titolo: "Lo cunto de li cunti, ovvero lo trattenemiento de peccerille", ha dimostrato a tutto il mondo, allora conosciuto e a quello dei secoli seguenti, la versatilità e la completezza del nostro bellissimo idioma napolitano. Il napoletano, dopo questa composizione letteraria, giudicata importantissima da tutti gli esperti e i critici,  viene così assurto a lingua completa, diffusa e tradotta in tutto il mondo. Altri due grandi scrittori, che hanno anche loro per primi contribuito alla diffusione della "parlata napolitana", sono stati: Giulio Cesare Cortese, compagno di studi del Basile e lo Sguttendio.  

Atto di nascita del Basile, conservato nella chiesa dell'Annunziata a Giugliano
I "Cunti" del Basile furono pubblicati postumi, intorno all'anno 1634, dalla sorella dello scrittore, la famosa cantante Adriana; l'opera fu in seguito soprannominata "Il Pentamerone", per semplice accostamento all'opera del Boccaccio; il Basile fu anche soprannominato il "Boccaccio Napoletano". L'impostazione del Pentamerone, infatti, è simile a quella del Decamerone del Boccaccio (anche se i contenuti sono diversi): mentre la prima opera (del Basile) si compone di 50 cunti divisi in 5 giorni di intrattenimento (PENTA), l'opera del Boccaccio è strutturata in 100 novelle divise in 10 giorni di intrattenimento (da cui il suffisso DECA).
Basile ambienta i suoi "Cunti" prevalentemente in posti fantastici, non disdegnando, in qualche racconto, la citazione di alcuni luoghi reali del territorio napoletano e dei suoi antichi Casali (Vomero, Marigliano, ecc.), nonché piazze, castelli, palazzi, regge, taverne e osterie della città di Napoli.
Due Cunti del Pentamerone, in particolare, sono stati ambientati nel nostro territorio, entrambi appartenenti alla raccolta della I^ Giornata: "La Mortella" e "'Lo Mercante", il primo ambientato a Miano e il secondo a Piscinola....
Incominciamo a descrivere il cunto de "La Mortella".
E' una storia fantastica ambientata a Miano...  Una contadina di Miano, ritenuta sterile, partorisce finalmente, dopo tante sue attese, una bella pianta di mortella. La donna la coltiva con molto amore... come avrebbe fatto per un figlio in carne e ossa... Un giorno passa per Miano un principe che si innamora della bella pianticella e riesce a convincere la donna, dopo molte insistenze, a vendergliela. Una volta entrato nella reggia, il principe scopre con molta meraviglia che dalla mortella fuoriesce una bellissima fata...  Inutile dire che si innamora perdutamente della bella ragazza. Anche la fanciulla ricambia l'amore al giovane e bel principe. Un giorno il principe è chiamato a partecipare a una battuta di caccia contro un animale feroce e quindi è costretto ad assentarsi alcuni giorni dalla reggia. Parte a malincuore, ma convince la bella fata a nascondersi nella mortella, ai cui rami attacca un campanello per poterle comunicare il suo rientro. Ma a notte fonda entrano nella camera del principe alcune femmine brutte e cattive, vecchie amanti del principe, le quali avendo notato la freddezza dell'uomo nei loro riguardi, cercano incuriosite di scoprire l'arcano... Le brutte donne, notando la bella pianta di mortella in un angolo della stanza da letto, prelevano alcune foglie dai rami, ma, ahimè, fanno suonare il campanello legato ad essa. La fata udendo il suono e credendolo segnale della venuta del Principe, esce dal nascondiglio, ignara del pericolo. Le donne ingelosite da tanta bellezza, capiscono che essa è la causa del distacco del Principe e cosi l'ammazzano, colpendola alla testa e dividono a pezzi il suo corpo. Solo una di esse però si rifiuta di inveire contro la povera fata.
Il principe tornando nella reggia, trova la stanza a soqquadro e l'assenza della fata... Si dispera dal dolore e invoca la morte per la perdita del suo amore; ma la fata, impietosita da tante sofferenze del principe, si fa resuscitare e ritorna ad abbracciare con più amore il suo uomo. I due decidono così di sposarsi. Si celebrano solenni nozze a corte e vengono invitate, tra i tanti sudditi e cortigiani, anche le vecchie e brutte assassine della fata. Il principe, conoscendo la storia, con uno stratagemma riesce a condannarle a morte, per annegamento nella fogna... perdona poi la donna che non aveva partecipato all'assassino. Ai genitori della mortella, che restano a vivere a Miano, il principe assicura la protezione e il sostegno economico per la loro vecchiaia.


Prologo al Cunto  de "La Mortella"

Il secondo cunto, quello de "'Lo Mercante" presenta invece due scene ambientate in un'osteria piscinolese, chiamata "Osteria dell'Aurinale". Il protagonista Cienzo, si ferma una domenica in questo locale e quindi scrive una lettera alla figlia del re... 
Riportiamo un sunto del cunto "'Lo Mercante": 
Un mercante di Napoli molto ricco, di nome Antoniello, ha due figli molto rassomiglianti: Cienzo e Meo. Un giorno il primogenito Cienzo, facendo a “pretate” (guainella) all’Arenaccia col figlio del re, lo colpisce malamente a sangue. Antonello, temendo una vendetta del re, consiglia il figlio di fuggire e gli affida  un cavallo e una cagna fatata. Il ragazzo lascia a malincuore Napoli e inizia un viaggio avventuroso nel suo entroterra... Dapprima trova rifugio in un casolare diroccato, ma rifiuta l’offerta generosa di un tesoro in monete d’oro. Poi salva una bella fata dalle molestie di un gruppo di malviventi. Poi, ancora, salva Menechella, la figlia del re, dalla imminente morte, liberandola dalle fauci di un drago a sette teste, che riesce ad uccidere, decapitandolo. Il re, saputo della disavventura della figlia e del salvataggio da parte dell’eroe, decide, quale sua ricompensa, di concedere la figlia in sposa al suo salvatore. Ma un impostore, sapendo della promessa del re, raccoglie le teste del drago e si presenta a corte sotto le mentite vesti del benefattore. Il re lo incorona quindi suo erede, onorando la promessa fatta. Cienzo, che nel frattempo si trova nella osteria di Piscinola, detta “Osteria dell’Aurinale”, viene a conoscenza del accaduto e dell’usurpazione subita, così scrive una lettera alla figlia del re, che le trasmette, servendosi della cagna fatata. La lettera viene consegnata alla fanciulla, non senza generare sospetti a corte. Il re fa intanto seguire la cagna da alcuni soldati, rintracciando l’autore della missiva, che si trova ancora nella taverna piscinolese. Cienzo viene quindi condotto al cospetto del re accusato di falsità, ma riesce a far valere la sua versione, mostrando come prova le sette lingue del drago. L’impostore viene così smascherato, con la testimonianza della fanciulla. Cienzo, incoronato dal re, diventa lo sposo di Menechella. Una mattina però scorge una bellissima ragazza dirimpettaia alla reggia e si innamora perdutamente. Abbandona quindi il talamo reale, per raggiungere la fanciulla... Meo, intanto, insospettito dall’assenza di notizie di Cienzo, decide di andare in cerca del fratello. Ripete, quindi, tutte le tappe da questi effettuate, nelle quali è ogni volta scambiato per il fratello, a causa della sua perfetta somiglianza. Giunge così a palazzo reale e incontra Menechella, che alla pari degli altri lo scambia per Cienzo. Meo trascorre la notte dormendo diviso dalla cognata, inventandosi una scusa per non disonorare il fratello. Il giorno seguente, continuando la ricerca, si reca dalla bella dirimpettaia e lì trova il fratello come assopito e disincantato dalla bellezza della fanciulla. Riesce a farlo rinvenire, raccontandogli tutto il viaggio e gli incontri avuti, compreso della notte trascorsa con la cognata. Cienzo, credutosi disonorato, uccide Meo, sgozzandolo. Menechella, che assiste alla scena dalla finestra, impreca contro il marito, rivendicando l’innocenza di Meo, che l’aveva invece rispettata. Così Cienzo, pentitosi dell’insano gesto, riesce a far resuscitare il fratello, utilizzando un infuso magico. I due fratelli si riabbracciano e vivono felici a corte, insieme a Menechella e al re, ai quali si aggiunge anche il padre dei due, il mercante Antoniello.

Lettera scritta nell'osteria dell'Aurinale, durante la prima giornata, il cunto si intitola "Il Mercante"
Per identificare il sito dell'"Osteria dell'Aurinale" dobbiamo "scomodare" il grande storico e filosofo napoletano Benedetto Croce, infatti nella versione de "Lo Cunto de li Cunti" da lui pubblicata e commentata (edita a Bari nel 1925), il filosofo riporta una nota a tergo della pagina, nella quale identifica l'osteria dell'Aurinale, grazie alla mappa "Topografia dell'Agro Napoletano" redatta nel 1793 dal topografo Antonio Rizzi Zannoni. In questa mappa, poco a nord del Casale di Piscinola, è riportato l'edificio con la scritta "Taverna del Pisciatoro". 
Particolare della mappa dell'Agro Napoletano, di A. Rizzi Zannoni, 1793
Il termine adoperato potrebbe destare non poca ilarità nel lettore...,  pensando a un luogo poco ameno, diciamo frequentato da gente poco raccomandabile..., ma in realtà non è proprio così... Per prima cosa, bisogna ricordare che il Basile non cura molto l'estetica del linguaggio adoperato ma, come in moltissimi altri casi, riporta fedelmente la "parlata" napoletana del XVII secolo; in secondo luogo, questa taverna prende il nome da un ruscello o "rigagnolo", che scorre in questa zona ancor oggi ed è denominato "Canale o Lagno del Pisciatoro". La denominazione di questo corso d'acqua si riferisce sicuramente alla sua modestissima e irrisoria portata d'acqua, specie in tempo di assenza di piogge. Il ruscello raccoglie le acqua meteoriche e sorgive provenienti dalle pendici dei Camaldoli e le convoglia, a distanza di chilometri, fino ad immettersi nel vecchio Clanio, ossia l'odierno canale dei Regi Lagni.

Ecco la nota a margine della pagine nell'edizione del 1925, tradotta da Benedetto Croce:


P- 97) • 19** «Osteria de Aurinale». Nella bellissima carta: Topografia dell'Agro Napoletano del Rizzi Zannoni, 1793, è segnata sulla via tra Mugnano e Piscinola una Taverna del Pisciatoro.


In una versione in inglese della stessa opera del Croce:


Nella versione de "Lo Cunto de li Cunti" curata e pubblicata dal maestro Roberto De Simone, nel 1989, si riporta per esteso il nome dell'osteria, come scritto nella mappa dell'Agro Napoletano.

Targa dedicata a G. B. Basile a Giugliano
Le altre opere scritte dal Basile sono: la raccolta "Delli madrigali et ode", dedicata ai Gonzaga di Mantova e la raccolta "Opere poetiche", comprendenti, tra l’altro, il "Pianto della Vergine", le "Egloghe amorose e lugubri", la "Venere addolorata" e "Le Muse Napolitane".
L'opera più importante resta senza dubbio "Il Cunto de li Cunti".
Dopo avere viaggiato per molti anni, Basile tornò definitivamente a Napoli nel 1614, dove, insieme al lavoro letterario, svolse anche molti incarichi diplomatici e quello di governatore in diversi centri del Regno, tra cui Montemarano, Avellino, Aversa e Giugliano. A Giugliano, sua città natale, morì forse di  peste, il 23 febbraio 1632.
Fu proprio grazie a tali incarichi di natura politica che Basile ebbe modo di conoscere a fondo il territorio campano, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella “metropolitana” della capitale del Viceregno di Napoli. Nella loro complessità questi contatti furono però una felice e fruttuosa fonte di ispirazione per lo scrittore. 
"I Cunti" non sono stati scritti per essere indirizzati ai bambini, come si è portati a pensare, bensì destinati a un pubblico adulto; infatti, pur se rozzi e incolti, quali erano ai suoi tempi buona parte degli abitanti della metropoli e dei suoi casali, questi erano pur sempre capaci di intendere i frequentissimi doppi sensi che caratterizzano le metafore contenute nell'opera e, peraltro, il mezzo costituiva l'unico modo e metodo per diffonderle, senza incorrere alla sicura censura. L'opera divenne subito un libro noto e fu tradotto in altre lingue europee, già alla fine del Seicento. Grazie ad essa possiamo conoscere oggi con esattezza  l'idioma  parlato nella Napoli del Seicento!
"Lo Cunto de li Cunti" è quindi un classico di genere fiabesco popolare, al quale s’ispireranno poi, nei secoli successivi, molti favolisti, tra cui Perrault, Carlo Gozzi, Wieland, Ludwig Tieck e i fratelli Grimm; infatti, non tutti sanno che i più noti racconti di "Cenerentola", "La bella addormentata" e "Il gatto con gli stivali", altro non sono che il risultato di riduzioni o adattamenti de "Lo Cunto de li Cunti": fiabe a loro volta poi destinate ai più piccini.
Salvatore Fioretto
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sabato 7 settembre 2013

Un festival di Canzoni a Marianella...?

Un festival delle canzoni (forse di canzoni napoletane), organizzato durante i festeggiamenti di San Gerardo a Marianella, nell'anno 1957.... Così è riportato nel retro di questa rara fotografia.
Nella parte anteriore si menziona il direttore dell'orchestra, il maestro Giuseppe Savarese. Si tratta chiaramente una festa di Piazza, perché si vede il tendone della scena dipinto, con un panorama fantasioso e, poi, le persone che sono accalcate e tutte in piedi... come avveniva in antico tempo, un po' ovunque, durante le feste popolari estive.... 
                                                                             Salvatore Fioretto

Qualcuno ricorda  questa festa e altri particolari??


venerdì 6 settembre 2013

La storia di 'Ntuono e Cuncetta... di Abbascio Miano...!


In ricordo dei personaggi, di un luogo e della umanità di Piscinola...

Via Vecchia Miano e la sua antica Masseria, foto aprile 2001
C'era una volta, fino a trent'anni fa.... Abbascio Miano, ossia l’antico abitato di Piscinola, attraversato dalla Via Vecchia Miano, con ai lati, la Carrara (un piccolo vicolo cieco) e una vecchia masseria, dal portale con il grande arco..., chiamata "Torre Galdieri".... Qui si svolge questa storia, bella e anche un po’ triste, che sto ora per raccontarvi: storia di uomini semplici, poveri, ma non privi di quella grande ricchezza, direi incalcolabile, che oggi tutti chiamano: "Umanità"! 
'Ntuono, ovvero Antonio (in napoletano si chiama 'Ntuono una persona che ha il nome dedicato a sant’Antonio Abate), aveva all'incirca cinquant’anni e abitava in un monolocale, situato al piano basso, nell’antica masseria di Abbascio Miano, che in lingua napoletana si dice semplicemente “'o vascio” (Basso). Il suo amore di sempre, genuino e schietto, si chiamava Cuncetta (Concetta, ovvero Immacolata). 
Concetta era una donna gracile e minuta, originaria di un paese del Salernitano, se non erro era del Comune di Buccino.
Particolare del portale ad arco, ridotto in rudere  (foto aprile 2001)
'Ntuono e Cuncetta stavano insieme da molto tempo, in quella vecchia masseria di Piscinola, erano poveri e vivevano alla giornata, ma vivevano in maniera dignitosa: non erano esigenti dalla vita e si accontentavano di quel poco che essa gli offriva…. Spesso, come si dice da noi, si arrangiavano per sbarcare il lunario… Erano sempre allegri e fiduciosi nella vita, perché la loro vita consisteva soprattutto nello stare insieme ed affrontare giorno per giorno i vari problemi che si presentavano; non si ponevano tante domande e tanti perché…. quella era lo loro vita e basta…! Per 'Ntuono e Cuncetta gli unici beni posseduti erano una carretta con un “ciucciariello” (asino) ed era già possedere molto, per una coppia indigente dell'epoca, parliamo degli anni '70... 'Ntuono si era organizzato a lavorare in proprio e vendeva sedie sdraio, sedie di paglia, girelli e tanti altri oggetti di legno, tanto in uso in quegli anni. Svolgeva il suo umile lavoro recandosi su e giù per i quartieri popolari di Napoli e tra i paesi della Provincia, soprattutto quelli confinanti con Piscinola.
La masseria  di "Abbascio Miano" vista dalla "Carrara": Nella foto i luoghi sono già trasformati come si vedono oggi
'Ntuono non si lamentava mai e spesso diceva "'a nnomme 'e Ddio!" (in nome di Dio), anche se a volte gli affari non erano proprio brillanti e a stento riusciva a rimediare per quel minimo che occorreva per poter sopravvivere. La coppia non aveva figli e la loro vita la trascorrevano in simbiosi con gli altri abitanti della masseria: allora “la masseria” era come una sola famiglia, tutti si aiutavano e si sostenevano vicendevolmente. Spesso 'Ntuono era chiamato anche dai vari contadini del posto per dare una mano nei campi o per dare un aiuto nella masseria stessa, ricevendo ricompense in natura (ortaggi, frutta, latte, vino..). Per 'Ntuono e Cuncetta la loro famiglia era composta da loro due, insieme al loro asino. Il “ciucciariello” era la loro vita, era il piccolo bene che permetteva loro di poter vivere e sostenersi e, quindi, lo trattavano come un figlio…!
Ogni mattina 'Ntuono tirava fuori l'asino dalla stalla e lo puliva accuratamente con le spazzole, dette la “brusca” e la “striglia”: l'una metallica e rettangolare, denterellata, come tante piccole seghe accostate e l'altra di legno, ovale, dalle setole molto dure. Spesso, quando l’animale era poco docile al lavoro, l’uomo sapeva come ammansire la bestia: afferrando un orecchio dell'asino con le mani, gli sussurrava alcune parole... che lui riteneva essere efficacee e così,
l'asino, come se fosse addomesticato, capiva subito il messaggio di ‘Ntuono, ubbidiva, eseguendo quello che gli veniva comandato di fare...
‘Ntuono mi voleva molto bene e una volta ricordo volle portarmi con sé sulla carretta (carro da traino), per fare una commissione; non potrò mai descrivere con le parole la sensazione e l’emozione che provai durante quel viaggio e soprattutto nel vedere le strade di Piscinola da questo mezzo per me inconsueto... Non mi era mai capitato una cosa del genere ed avevo appena 8-9 anni!
Quell’evento, purtroppo irripetibile, lo ricordo con piacere ancora oggi e lo conservo tra i ricordi più belli della mia gioventù…! Quando c’era da caricare o scaricare la merce dalla carretta, composta da tante sedie e tavolini, spesso si formava una piccola folla di ragazzini e di bambini abitanti nella masseria e nei dintorni, che prestavano volentieri una mano, per alleggerire la fatica del povero ‘Ntuono... La coppia osservava compiacente e commossa l’aiuto de bimbi, ringraziando tutti e offrendo loro caramelle e altri dolciumi: ormai quei ragazzi erano diventati tutti come dei figli adottivi…. Un giorno, purtroppo, l'asino ebbe una brutta colica e si ammalò gravemente, ricordo che restò steso, agonizzante in mezzo alla masseria per due giorni e 'Ntuono e Concetta lo vegliarono per tutto il tempo, piangendo a dirotto, come per un loro parente: una tenerezza senza eguali... Purtroppo non ci fu verso di salvarlo…!
Rudere della masseria in fase di demolizione (foto Aprile 2001)
Gli anni passarono, venne poi il terremoto del 1980 e tanti legami esistenti in quel Abbascio Miano si spezzarono e finirono a causa dello sgombero delle case; molti abitanti furono trasferiti nelle case popolari e nei rioni di Scampia. La masseria di Abbascio Miano, cosi come mezza Piscinola, fu dichiarata terremotata e sgomberata... Seppi poco dopo che la cara Cuncetta, dopo una breve malattia, lasciò 'Ntuono solo... perchè era volata per una …“Masseria” più bella e più comoda di quella dove aveva vissuto...!
'Ntuono, ormai solo, senza lavoro e senza più la sua amata compagna, si era trasferito presso una sorella cieca, che abitava a Secondigliano.
Negli anni che seguirono, ogni tanto lo incontravo per le strade di Piscinola, alla guida di una vecchia bicicletta; mi diceva che veniva ancora nel quartiere per fare compere e per incontrare i suoi vecchi amici. Quando lo incontravo mi faceva sempre una grande festa e io ero contento, in fondo io ero uno dei suoi cari figliocci della cara masseria, uno di quelli che lo aiutava spesso e gli voleva bene... Poi, per molto tempo non lo vidi più... Un giorno seppi che era morto ed era andato a congiungersi con la sua cara Cuncetta, in Paradiso...!
 
   
La Masseria e il "Tenimento Marchesa di Rutigliano", foto aprile 2001 (trasformato in parcheggio auto nel 2008)
Questa è la bella storia, anche se il finale è un po' triste, di due personaggi piscinolesi a cui ho voluto bene e loro a me… Persone che con la loro umanità mi hanno insegnato da bambino tante cose della vita, molto più di quanto ho appreso dai libri e tra i banchi di scuola...!  Questa è anche la storia di un luogo, chiamato Abbascio Miano, che oggi appare come svuotato della sua anima...!
Ciao cari 'Ntuono e Cuncetta di Abbascio Miano, vi ho voluto un gran bene...!                                                                             
Salvatore Fioretto 
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mercoledì 4 settembre 2013

La piazza contesa e quella senza nome...!!

Via del Plebiscito a Piscinola, angolo con via Miano a Piscinola e Piazza G. B. Tafuri


La piazza principale di Piscinola, ossia l'antico largo che si estende tra la chiesa parrocchiale dedicata al SS. Salvatore e l'edificio storico del Municipio (ex sede del Comune di Piscinola), è intitolata da moltissimi anni ad un certo Giovanni Bernardino Tafuri, originario della Puglia; ma se qualcuno chiedesse chi è stato veramente costui e che rapporti avesse con il nostro quartiere, dalla risposta che ora riceverà, rimarrà sicuramente deluso; perché nulla di tutto quanto pensato o immaginato si sarebbe verificato nella vita di questo personaggio, vissuto nel secolo dei Lumi... 
E' strano a dirsi, ma il suo rapporto con il Casale di Piscinola si limitò ad una semplice epistola di corrispondenza, peraltro non scritta di suo pugno, bensì ricevuta.... 
Un suo amico, anch'egli scrittore, di nome Giacomo Castelli, un giorno divagando sul ruolo e sulla responsabilità avuta dagli storici e dagli studiosi di cose antiche, gli ricordò, scrivendo l'epistola, che uno storico doveva essere obiettivo e scrupoloso, lontano dal commettere errori grossolani o tali da generare dei falsi ripetibili poi "a catena"... Chissà, forse il Castelli aveva già immaginato il contenuto delle opere che andava pubblicando il suo caro amico Bernardino...!
Il Castelli, nella sua missiva, prese a mò di esempio lo storico che nel XVII secolo, ricordando l'impresa del generale condottiero Belisario, che ripopolò Napoli dopo averla distrutta (episodio del 536 d.C., tratto dalla Storia Miscella), confuse la cittadina di Pisciotta, situata in provincia di Salerno, con l'abitato del casale di Piscinola, che invece fu tra quelli che aveva contribuito veramente  al ripopolamento di Napoli. Tutto questo non senza ripercussioni negative sugli altri studiosi e ricercatori, che lo seguirono nell'errore...! 
Ecco uno stralcio finale della epistola...


E P I S T O L A DEL NAPOLETANO GIACOMO CASTELLI
Avvocato Difensore della Città
ALL’ERUDITISSIMO GIOVANNI BERNARDINO TAFURI Patrizio Neretino
Opusc. Tomo XII
GIACOMO                     CASTELLI                     A  GIOVANNI BERNARDINO TAFURI 
SALUTE


La delusione del lettore ora non sarà certamente irrilevante nell'apprendere che questo personaggio (Tafuri), a cui è stata intitolata la piazza centrale di Piscinola, di fatto non ha eseguito niente di significativo per il quartiere o per la sua memoria..., suppongo che questa delusione sarà ancor più forte quando lo stesso lettore saprà che il Tafuri ha conservato nei secoli la triste e singolare nomea di storico erudito, e (ahimè!) di un "falsario" nel narrare i fatti storici.... Attribuzione riportata in diversi testi, antichi e recenti. Anche lo storico napoletano Bartolommeo Capasso fu tra quelli che lo sconfessò, con la pubblicazione della sua famosissima opera, intitolata: "Monumenta ad Neapolitani Ducatus Historiam Pertinentia"...
Ora sarebbe interessante sapere quali furono le motivazioni che spinsero la allora legittimante "Commissione di Toponomastica del Comune di Napoli" a intitolare, nei decenni a cavallo tra gli anni '50 e '60, l'antica piazza allo scrittore pugliese Giovanni Bernardino Tafuri, originario della cittadina di Nardò, in provincia di Lecce!
Rispolveriamo un po' la vita di Bernardino Tafuri.... riportando la recensione pubblicata nell'enciclopedia/dizionario on-line della "Treccani":


 
L'antica denominazione di questo storico largo era invece "Piazza del Municipio", un'attribuzione derivante sicuramente per la vicina presenza dell'edificio comunale, che fu sede del consiglio municipale del Comune di Piscinola, ahimè, fino al lontano 31 dicembre 1865, quando Piscinola fu annessa al Comune di Napoli.
La cosa curiosa da sapersi è quella che all'insigne scienziato, chirurgo, ricercatore scientifico, primario, medico personale di Caruso e deputato della Repubblica Italiana, ovvero all'on. Raffaele Chiarolanza, nato e vissuto a Piscinola proprio davanti alla piazza, a tutt'oggi, non è stato dedicato nemmeno un giardinetto o qualche aiuola del quartiere di Piscinola...!!
Risulta poi, è questo è ancor più grave, che allo stesso professore considerato, nella sua epoca, un luminare della medicina, alla pari di Cardarelli e Giuseppe Moscati, non è stata dedicata nessuna strada o vicolo, anche piccolo, nella intera città di Napoli!
La piazza B. Tafuri è delimitata da un lato dallo spigolo della Arciconfraternita del SS. Sacramento e dall'altro lato dall'uffico Postale, mentre tutto il largo esistente, prospiciente all’edificio ex scuola Torquato Tasso  non ha nessun nome nella toponomastica cittadina. Si, avete inteso bene! Perché tale superficie, che si vede attraversandola tutti i giorni ed è pavimentata e arredata con panchine, con marciapiedi, con aiuole e alberi e con tanto di stazionamento degli autobus di linea AMN, non risulterebbe al Comune di Napoli come una piazza o largo, bensì solo una mera estensione della via Plebiscito a Piscinola. Un vero assurdo!

Racconto brevemente un curioso aneddoto, di un fatto realmente avvenuto... con al centro della storia proprio questo posto di Piscinola...
Nella seconda metà degli anni '60 si verificò a Piscinola un evento curioso a dirsi, diciamo un caso simile alla serie allora in auge: "Peppone e don Camillo", ma condito in salsa prettamente Piscinolese...!
Il prof. on. Raffaele Chiarolanza negli ultmi anni della sua vita.
La sezione locale del Partito Comunista Italiano organizzò..., (udite!) una petizione popolare per sollecitare la dedica di questo lato della piazza di Piscinola, (allora come oggi, in cerca di un nome) al "Papa buono", al secolo Papa Giovanni Roncalli (Giovanni XXIII), per aver promosso, con la sua forte azione pastorale, politica e sociale, la pace in Italia, in Europa e nel mondo. Il Papa era morto da pochi anni, ma era già compianto da tutti gli strati sociali della penisola, da nord a sud e anche dai vari orientamenti politici italiani. Anche da parte di quelli tradizionalmente un po' lontani dalla Chiesa e poco inclini ai messaggi di fede religiosa... 
Papa Giovanni XXIII
A questa iniziativa, strano e curioso a dirsi, si oppose e non appoggiò l'opera, la sola Parrocchia di Piscinola, forse condizionata dalla decisione della stessa Curia Arcivescovile, perchè l'iniziativa del PCI, che divenne un caso da blog  nazionale, pubblicata su molte riviste e periodici, era giudicata come di parte, pretestuosa e addirittura speculativa! La Parrocchia non solo non appoggiò l'iniziativa, ma in un certo senso la ostacolò pure!
Il Comitato per il monumento aveva già messo in cantiere la raccolta dei fondi, l'affidamento degli incarichi per coniare una statua e per far costruire un piedistallo rivestito in marmo. Quindi con il monumento al Papa quel lato della piazza di Piscinola oggi sarebbe stata chiamata... Piazza Giovanni XIII, sicuramente meglio di Via Plebiscito a Piscinola!! 

Piazza Giovanni Bernardino Tafuri (già Piazza Municipio)
Il progetto era pronto ed era stata individuata anche un'area della piazza da trasformare ad aiuola, con sopra il monumento contestato.
Non sappiamo perchè l'iniziativa si arenò, forse perchè iniziò a prendere fiamma quel famoso movimento di protesta, che fu chiamato "Sessantotto"... e quei problemi  presero sicuramente il sopravvento alle effimere discussioni nostrane, giudicate fin troppo locali...!
E' stato per me interessante e bello apprendere, a distanza di tempo, che una nobile e simbolica iniziativa abbia avuto i natali proprio in questo piccolo borgo di periferia e sia balzata alla cronaca nazionale, accendendo tanto interesse su Piscinola... Se allora fosse stato realizzato quel monumento, sarebbe stato indubbiamente un bell'esempio di riappacificazione sociale... Ma la storia ha fatto un corso ben diverso...! Peccato per il monumento e per la nostra Piazza...!

Credo che è giunto il fatidico momento di dedicare la "Piazza senza nome" all'emerito prof. Raffaele Chiarolanza, medico, scienziato e deputato della Repubblica... o è ancora presto...!?
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Scorcio della via Plebiscito e veduta dall'alto tratte da "Google Map"

domenica 1 settembre 2013

Miseno nelle tradizioni della mia terra....!


Tante volte mi sono chiesto come mai la cittadina di Mugnano di Napoli avesse un'antica tradizione per il commercio del pesce fresco... Sono le cittadine che si affacciano sul mare ad avere sviluppate queste tradizioni ed usanze e mai (per quanto ne sappia)  quelle con vocazioni agricole, specie se situate nell'entroterra, in aperta campagna e con scarse vie di comunicazioni... Questa tradizione anomala esisterebbe quindi solo a Mugnano ed è, infatti, tanto radicata da avere da tempo immemorabile un mercato ittico, conosciuto in tutto il circondario a nord di Napoli e fino all'intera Provincia. 
Veduta di Miliscola e Miseno 


Anche Frattamaggiore aveva sviluppata fino a pochi decenni fa la tradizione e l'arte di realizzare i cordami di canapa, usanza legata soprattutto alle origini marinare della popolazione, come a breve spiegherò.
Miseno, chiesetta ricostruita sul luogo dove erano venerate le reliquie di S. Sossio
Da diverse estate mi reco al mare a Miseno, negli stabilimenti balneari lì presenti e, spesso, ascoltando l'idioma degli abitanti dell'area puteolana ho potuto riscontrare come la loro inflessione dialettale del parlato e le espressioni gutturali sono molto simili a quelle dei Frattesi, dei Mugnanesi e anche dei Maranesi. Leggendo un po’ la storia dei Campi Flegrei si può dedurre che Miseno, Cuma e Pozzuoli furono a metà nel IX secolo invase e distrutte dai Saraceni provenienti dal mare e che gli abitanti di queste cittadine, fuggendo nell'entroterra della Liburia e dell'Agro napoletano, si spinsero ancora oltre, per trovare un luogo sicuro e protetto, fino a insediarsi in un bosco fitto di vegetazione, che fu per questo motivo chiamato "Fracta" e poi successivamente trasformato in "Fratta". Forse già conoscevano in precedenza quel luogo, per l'approvvigionamento della Canapa, con la quale realizzavano le corde per le loro imbarcazioni. Nei secoli seguenti si distinsero due abitati, uno grande e uno piccolo, al punto da indicarli per distinguerli, in Fracta Majore e Fracta Pictula (piccola). Frattamaggiore e Frattaminore di oggi.
Capo Miseno
In questa riflessione ho pensato anche alla presenza della chiesetta piscinolese dedicata a San Sossio, che le fonti storiche riportano nelle carte celebrate, fin dal IX secolo. Una mappa del Valmagini, risalente all'inizio 1800, riporta evidenziata la chiesetta di san Sossio nella antica località chiamata Piscinella, ossia nei pressi del locus della primitiva Piscinula. Quindi la chiesetta in parola doveva trovarsi nei pressi della via cupa Perillo, pressappoco dove esiste oggi la caserma dei Vigili del Fuoco di Scampia. Dopo queste premesse introduttive, e pensandoci bene, esisterebbe (il condizionale è però d'obbligo) un legame storico che unirebbe questi quattro siti: Miseno-Pozzuoli, Mugnano, Piscinola (chiesetta di S. Sossio) e Frattamaggiore (Città Misenate)...
Analizziamo la mia ipotesi...


Cappella del Tesoro di San Gennaro, "Sossio e Gennaro", affresco del Domenichino.
Per farlo dobbiamo risalire alla storia dei primi anni del Cristianesimo in Campania... Per chi non lo sapesse, San Sossio Diacono era amico fraterno di San Gennaro Vescovo ed era nativo della città di Miseno. Quando fu incarcerato a Pozzuoli, perché tradito dai pagani, San Gennaro si recò a visitare Sossio in carcere e professando anch'egli la sua fede cristiana, morirono insieme decapitati preso la Solfatara. I martiri furono poi sepolti in un luogo clandestino, nei pressi dell'Agro Marcianum (forse nei pressi di Fuorigrotta). 
Con la proclamazione dell'Editto di Milano da parte dell'imperatore Costantino I (313 d.C.), editto che tollerava il cristianesimo e i cristiani, i Misenati ed i Napoletani prelevarono i resti dei rispettivi concittadini e li traslarono nelle loro diocesi. Quindi San Sossio fu sepolto nella chiesa di Miseno, mentre San Gennaro fu riposto nelle Catacombe di Capodimonte. Nell'ultima scorreria dei Saraceni, avvenuta alla metà del IX secolo, la cittadina di Miseno fu distrutta e le reliquie di San Sossio rimasero ivi sepolte sotto i resti della chiesa di Miseno che le venerava. I Misenati, come già detto, fuggirono nell'entroterra per cercare un luogo sicuro. E' probabile che un gruppetto dei fuggitivi portò con sè nella fuga qualche piccola reliquia del martire e che poi, trovando rifugio, si stabilì a metà strada, presso la località Piscinella, che allora doveva essere già popolata. 
Particolare della mappa del Valmagini, di inizio '800

Per custodire questa ipotetica reliquia o magari solo per perpetuare il culto del Martire, è fondato supporre che la piccola comunità abbia edificato e dedicato a San Sossio una chiesetta, in piena e aperta campagna, altrimenti non si spiegherebbe l'attribuzione del titolo del Santo alla nostra chiesetta, proprio nel IX secolo, in un sito distante oltre 25 chilometri da Miseno e senza alcun legame storico con questo Santo e Miseno...! 
Le reliquie di san Sossio, che restarono sepolte e dimenticate sotto le macerie della chiesa di Miseno per diversi decenni, furono poi ritrovate per caso da alcuni monaci benedettini Napoletani, intorno all'anno 902 e traslate solennemente a Napoli, nel loro convento. Successivamente a partire dal 1494 fu edificata nel centro di Napoli una grande basilica, che prese il nome di "Santi Severino e Sossio".
Anche la cittadina di Frattamaggiore, che nel frattempo si era sviluppata e aveva avuto l'insediamento di una comunità di monaci Benedettini, aveva edificato una basilica  dedicata in onore del suo patrono, San Sossio appunto. I Frattesi ebbero modo di chiedere ai napoletani,  rivendicando le loro origini flegree, che le reliquie del loro protettore fossero traslate a Frattamaggiore, cosa che poi avvenne il XXXI maggio1807. Il corteo solenne, partendo dalla cattedrale di Napoli, si fermò una notte nella zona di Capodichino e proseguì la mattina seguente per la cittadina frattese, dove le reliquie furono accolte trionfalmente dai cittadini.  
Della nostra chiesa di San Sossio si sono perse le tracce a partire dalla fine del 1800. Ebbe nei secoli  momenti di splendore, divenendo anche Estaurita. Probabilmente fu distrutta durante qualche terremoto e non più ricostruita oppure caduta in abbandono e trasformata per farne altro uso, tipo: deposito agricolo o abitazioni. 
Quindi l'antica tradizione mugnanese per il commercio ittico sarebbe un retaggio storico risalente all'origine della diaspora misenate, perchè è altrettanto fondata l'ipotesi che un gruppo di misenati si sia stabilito anche in quel luogo, contInuando le proprie costumanze. 
Intanto il mercato ittico di Mugnano si è sviluppato molto negli ultimi tempi, tanto da abbandonare alcuni decenni fa la sede storica, in via Mercato Vecchio e trasferirsi nella nuova struttura situata nei pressi della circumvallazione esterna, vicino alla stazione della MetroCampania di Mugnano.
L'odierno mercato ittico di Mugnano
Ancora oggi tutti possono notare, la somiglianza gutturale dell'idioma dei Frattesi, dei Mugnanesi, dei Maranesi, dei Cumani, dei Puteolani e dei Misenati, tutti accomunati probabilmente dalle stesse origini flegree.

Dopo queste considerazioni, tratte un po' tra la deduzione, il paragone e l'intuito..., ipotizzando il percorso effettuato dai misenati in fuga, ho disegnato una linea immaginaria tra i siti di "Miseno-Cuma" e Frattamaggiore e si puo' facilmente vedere che questa linea passa proprio nelle vicinanze delle località di Marano, Mugnano e Piscinola-Scampia... 
Certo che occorreranno indagini approfondite e riscontri storici ineluttabili, ma la base di partenza dell'ipotesi non è infondata... Sarei molto grato se qualche lettore potesse fornire un contributo alla ricerca...
Non ci resta che augurarci una "buona ricerca"...! 

 
Salvatore Fioretto
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Tramonto a Capo Miseno... (Foto tratta da Internet, di autore ignoto)