sabato 10 ottobre 2020

I personaggi leggendari del mondo magico-sacrale della cività contadina piscinolese...

La nostra terra, abitata nei secoli scorsi da braccianti agricoli e da muratori, ha alimentato storie di personaggi e figure leggendarie, ma anche di misteri e di magici poteri. Storie e misteri che si sono tramandati nei secoli e sono giunti miracolosamente fino a noi, pressoché incontaminati. Ci piace oggi raccontare qualche aneddoto di personaggi e curiosità tratti dalla nostra antica tradizione popolare contadina.

Iniziamo con alcuni personaggi tratti dai racconti di Natale Mele, che sono stati rappresentati in un lavoro teatrale organizzato alcuni anni fa nell'Auditorium della VIII Municipalità, nel corso della kermesse cittadina del "Maggio dei Monumenti".

“‘O Misciulillo”
Tra i tanti personaggi straordinari realmente esistiti, ricordiamo “ò Musciulillo”, ossia colui al quale venivano attribuiti dei grandi poteri magici. Si narra che questo uomo una volta fu sfidato da un pastore di capre (craparo)

Il “capraro” conduceva i greggi a pascolare nello “Scampagnato”, vale a dire nel territorio dell’attuale “Scampia”. Il “capraro” erano una sorta di camorrista dell’epoca e la gente lo temeva perché era facilmente avvezzo a ritorsioni ed a vendette. Usava abilmente il suo bastone, per infliggere sonore bastonature ai malcapitati di turno, specie quelli che non volevano sottostare ai suoi abusi. Uno di questi caprai, mettendo in discussione il potere magico del “Musciulillo”, simulò con un gesto del braccio di colpire l’uomo con il suo bastone, ma questi con la forza del suo sguardo lo pietrificò, inibendo ogni suo movimento. Anche altri caprai che accorsero a sostegno del loro compagno, subirono la stessa sorte. Solo l’intervento dei vicini convinse il “Musciulillo” a liberare i malcapitati da quella stregoneria, affinché potessero ritornare a sera ai loro capanni. Intanto la notizia dell’episodio si diffuse rapidamente tra gli abitanti di Piscinola e i caprai dovettero ridimensionare di molto i loro comportamenti estorsivi e vendicativi nei confronti dei contadini. Con quell’episodio, il “Musciulillo” consolidò la sua fama di “mago stregone”, già da tempo attribuitagli. 

“‘A vermenara”
Ricordiamo poi “‘a vermenara”, ossia colei che aveva il potere di “sverminare” i bimbi, colti da infezione di vermi intestinali. In antico tempo si pensava che lo sviluppo di tenie avvenisse a seguito di un grosso spavento. Si diceva, in sintesi, che il bimbo aveva avuto una “vermenata”. La “vermenara” procedeva con un rituale prestabilito, tramandato di madre in figlia, fatto di gesti, preghiere e invocazioni. Eseguiva al contempo con le mani una sorta di massaggio direttamente sul pancino del bimbo, eseguendo dei segni sacri ed esoterici. Ancora oggi a Piscinola persistono queste figure di “guaritrici”.

“Zia Maria ‘o Cristo“
La figura di questa pia donna è rimasta nei ricordi di molti anziani Piscinolesi. Era una semplice vecchietta, che forse lasciò questa terra in “odore” di santità ed era soprannominata “Zia Maria ‘o Cristo”. La sua fama è legata al fatto che andava ogni giorno girovagando per “cupe” e per masserie della zona in cerca di crocifissi rotti, che erano stati buttati via dalla gente. La poverina li teneva in braccio come si tiene un bambino e, camminando, invocava la pietà del Signore per la gente che li aveva abbandonati. Ella ripeteva, dicendo: “Che t’hanno fatto!… che t’hanno fatto!”. Si racconta che, quando la donna morì, furono trovati sul comodino di casa numerosissimi crocefissi rotti, raccolti per strada durante le sue periodiche ricerche.

“Raziella ‘a muntona”
Molta più tenebrosa è la storia di “Raziella ‘a muntona”, considerata una “fattucchiera”, ovverossia costei aveva il potere di fare fatture, per favorire i “ritorni d’amore”, oppure per vendicare i torti subiti. Questa vecchietta si distingueva per avere una figura minuta e un vistoso gozzo. Due episodi si attribuiscono al suo potere: il primo avvenne un giorno per strada, quando un carrettiere osò brandire la frusta del cavallo, per sollecitarla a liberare celermente la strada al transito del suo carro. La donna fissò il conducente con uno sguardo gelido, esclamando: “... Ci vediamo stanotte!” Si narra che quella notte la donna, con l’aiuto di altre fattucchiere, entrò nella stalla del malcapitato e ne prelevò i cavalli, cavalcandoli poi fino all’alba. 

La mattina seguente il carrettiere constatò, entrando nella stalla, che i cavalli erano molto sudati, presentavano una vistosa bava alla bocca e a stento riuscivano a mantenersi sulle zampe. Subito l’uomo collegò la vicenda all’episodio accaduto il giorno prima e non osò più sfidare la vecchia, anzi ne ebbe molto timore. La seconda vicenda, legata a questa leggendaria vecchietta, avvenne sempre per una sfida lanciata da un padre di famiglia, che mise in discussione i suoi poteri magici. In quella notte l’uomo trovò la sua bimba senza il “tudero”, ossia senza la stretta braga di fasciatura. La bimba fu trovata sul pavimento nel centro della camera da letto, anziché nel letto, dove era stata riposta la sera prima. Nel letto fu trovata la fasciatura integra. Anche questo episodio veramente accaduto, fu attribuito alla magia della donna. Si sa che era impossibile liberare a quei tempi un bimbo dalla sua fasciatura (tudero), senza romperla o srotolarla!

“‘O lupemannaro”
Un’altra figura leggendaria di Piscinola era il “lupemannaro”, ossia l’”uomo-lupo”. Si diceva che il lupemannaro appariva sempre in occasione del plenilunio, quando era costretto ad uscire allo scoperto ed a emettere, per la forza esercitata dalla Luna, dei singulti simili ai latrati di un lupo. Di questi personaggi ce ne erano diversi a Piscinola; accorrevano nel loro girovagare vicino a fontanine pubbliche, per ristorarsi e provare a placare il loro stato di sete. Ciò avveniva spesso in Via SS. Salvatore e in Via V. Emanuele, come racconta qualche convinto testimone oculare… Forse queste persone, veramente esistite, erano affette da malattie, che oggi sono riconducibili all’asma, ma in passato, a causa dell’ignoranza popolare, venivano loro attribuiti dei veri poteri sovrannaturali.

Continua questo “viaggio” nel tempo, tra personaggi e aneddoti popolari…, riportiamo ora i racconti tratti dai ricordi del sig. Pasquale Di Fenzo.

“‘A signora cu’ ’a coda!…”
Si racconta che una signora, abitante in Via Vittorio Emanuele (‘O cape ‘e coppa), un giorno si mostrò infastidita dal passaggio della processione, forse a causa del suono della banda e del frastuono delle voci emesse dalle persone e dagli scugnizzi che seguivano il corteo. Invece di esporre al balcone la solita coperta colorata e lanciare petali di fiori, la signora chiuse stizzita i battenti del balcone e si ritirò in casa. La leggenda popolare vuole che, dopo tale fatto, alla donna crebbe una vera e propria coda...!! Molte persone, dichiaratisi testimoni dell’avvenimento, erano pronte a giurare di aver veramente visto questa “appendice” anatomica, non comune per un essere umano…!!

“‘O serpente cu’ ’a calamita...!”
Si racconta che nella “casa dei serpenti”, di cui abbiamo già descritto il manufatto, un tempo avesse trovato ricovero e vi dimorasse uno straniero vagabondo, forse di origine greca o indiana e che costui avesse con sé un serpente. Questo serpente, secondo l’immaginario popolare, aveva qualcosa di sovrannaturale, forse di magico! Si racconta, infatti, che avesse la facoltà di ipnotizzare con lo sguardo le persone, un po’ come fa una calamita bloccando gli oggetti di ferro! Per questo potere, il serpente fu soprannominato “‘O serpente cu’ ’a calamita”. Alcuni sostengono che il rettile avesse le corna, oppure le lenti. E’ molto probabile che lo straniero fosse un girovago o un circense, che guadagnava qualche soldo esibendo nelle feste la “danza del serpente”. Come pure è attendibile che questo serpente fosse un cobra e ciò spiega l’attribuzione degli occhiali. La forma del rettile e il suo modo di porsi in posizione eretta, che fissa le persone, sicuramente all’epoca avranno attirato la fantasia e la curiosità dei popolani. Spesso le madri ammonivano i pargoli a non allontanarsi troppo dal loro sguardo vigile, ricordando il “serpente cu’ ‘a calamita”...!

“‘O Barone”
Anche quest’uomo, come gli altri personaggi raccontati, è realmente esistito. Tutti lo chiamavano con il nomignolo bonario di “‘o Barone”. Non si conosce precisamente il vero motivo, forse a causa del suo portamento un po’ bizzarro e trascurato, forse parafrasando il suo stato di povertà con il titolo previsto per una persona ricca e blasonata. Una volta, nell’immediato dopoguerra, fu preso in giro anche dai soldati americani, che marcando la sua nomea di nobile, lo scortarono fino a casa, con tanto moschetto e di picchetto...! Dal fisico apparentemente normale, anche se non proprio bello nell’aspetto e forse anche un po’ sciatto nel vestire, è entrato a far parte nell’immaginario collettivo della nostra gente per un’altra caratteristica che lo distingueva: vale a dire l’eccezionale forza posseduta. Egli sembrava un uomo dal fisico normale, ma era dotato di una forza straordinaria. Secondo le testimonianze raccolte, riusciva a sollevare e trasportare sulle sue spalle, mobili o sacchi pesanti, anche oltre il quintale, senza l’aiuto di nessuno. Ironia della sorte, spesso si riduceva anche in stato di ubriachezza e si vedeva brancolare nei pressi di qualche “vineria” di Piscinola. Prese moglie in tarda età. Per molti anni abitò in un “basso” di Piscinola, non ebbe mai un lavoro fisso e visse soprattutto grazie al sostegno e alla generosità della gente di Piscinola. Quando morì, furono in molti a compiangerlo, perché in fondo si era fatto volere bene da tutti, per la sua semplicità e umanità.

 “‘Don Vicienzo" detto "'O Popolo"

Foto di repertorio

Un altro personaggio caratteristico di Piscinola di un tempo è stato “Don Vicienzo”, detto “‘O Popolo”, di professione ciabattino, il quale con un suo “repertorio” di centinaia di storielle e aneddoti ha incantato diverse generazioni di piscinolesi. Don Vincenzo si posizionava con il suo banchetto di “solachianiello” nel cortile antistante alla sua abitazione in Vico Plebiscito, sempre circondato da bambini e ragazzi incantati ad ascoltare i suoi affascinanti racconti e a osservare le sue espressioni colorite. Specie in estate, iniziava di buon mattino e finiva all’imbrunire, raccontando come in una recita senza sosta, i suoi numerosi “fattarelli”. Si esprimeva sempre in italiano, con una prosopopea da letterato e per tale motivo la gente gli coniò il nomignolo di “‘O Popolo”. Si racconta che egli ricordava tutta la Divina Commedia a memoria. Era un concentrato di filosofia di vita e di simpatia!

L’angelo misterioso…!
Foto di repertorio
All’interno di un giardino, in Via
Madonna delle Grazie, esisteva fino ai primi anni Sessanta, una gigantesca statua di pietra bianca, raffigurante un bell’angelo con le ali piegate. La statua si trovava in pessimo stato di conservazione, ma doveva essere di fattura molto antica. Nessuno conosce con certezza la sua storia e per quale motivo si trovasse in quel luogo. Come pure, nulla si conosce, purtroppo, della sua scomparsa...!

L'intero contenuto di questo post è tratto da un intero paragrafo del libro "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di Salvatore Fioretto, ed. The Boopen, anno 2010. Si ringraziano sempre con affetto gli amici: Natale Mele e Pasquale di Fenzo, per la loro continua e generosa collaborazione nel fornire queste preziose testimonianze e ricordi.

Salvatore Fioretto

domenica 27 settembre 2020

La tradizione equestre a Napoli e i tornei ippici dedicati ai centri dell'Area Nord di Napoli...

Testa di cavallo in bronzo, conservato nel museo archeologico di Napoli


Il rapporto tra l'uomo ed il cavallo si perde nella notte dei tempi....! Sicuramente nell'antichità il cavallo fu elemento importante e determinante per lo sviluppo della civiltà dei popoli, come avvenne per tante comunità antiche: i Fenici, i Sumeri, gli Egiziani, i Greci. E per quanto ci riguarda, in occidente: gli Opici, i Volsci, gli Osci, i Sanniti, ecc.,... fino a giungere ai coloni greci, che raggiunsero nel VIII-VII secolo a.C. le coste dell'Italia meridionale, portando al seguito le loro razze equine. Questo popolo ellenico eseguì una paziente e costante selezione di razze, giungendo a tipologie di cavalli molto docili e facilmente addomesticabili per tutti i loro utilizzi, sia in guerra che in pace, nelle città e nei campi, per i mezzi di trasporto e per le attività lavorative. Gli Etruschi e i Romani continuarono questa tradizione, migliorando la selezione di razze equine, soprattutto quelle utili al servizio delle loro armate, durante le varie guerre ed espansioni nel mondo allora conosciuto.
Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e con l'invasione dei popoli nordici, ci fu una commistione tra le razze equine: conseguenza fu che i cavalli ebbero connotati dell'uno e dell'altro "ceppo"... I vari invasori (mongoli, germanici, vandali, goti, saraceni, ecc.), "sovrapponendo" i loro cavalli a quelli romani, non fecero altro che protrarre nel tempo, inconsapevolmente e disordinatamente, quanto i Latini e loro discendenti avevano consciamente e razionalmente saputo selezionare.
Du
rante la conquista bizantina in Italia e con l'istaurazione di amministrazioni locali dipendenti dall'impero di Bisanzio, come il Ducato a Napoli, l'incrocio con le razze di cavalli provenienti dall'Oriente, apportarono nuove caratteristiche genetiche ai cavalli nostrani. Dopo l’anno 1000, le armate cristiane reduci dalle Crociate in Palestina, furono artefici di altre commistioni di razze, soprattutto a seguito dei contatti avvenuti con i vari popoli, durante le attraversate verso la Terra Santa.
Nell'Alto Medioevo, con  l'avvento nell'italia meridionale della dominazione Sveva (XII-XIII secolo), fu preferito selezionare una razza di cavallo agile e veloce, adatta al tipo di caccia, molto in auge all'epoca, chiamata "Falconeria". Di questa pratica di caccia, un esempio luminoso fu il grande sovrano Federico II di Svevia, detto Stupor Mundi.
S
uccessivamente  (XIV-XVsecolo), con la venuta degli Angioini prima e degli Aragonesi dopo, si riuscì a selezionare nuova razze di cavalli, sempre più corrispondenti alle esigenze dei tempi, che andavano mutando con diversi stili di vita, verso l'Era Moderna.
Fu, poi, con l'occupazione spagnola, nel XVI secolo, e l'istaurazione  del Vicereame di Napoli, che si provvide a incrociare le varie razze prevalenti, anche con quelle provenienti dal modo arabo, giungendo a selezionare un'eccellente razza di cavallo, che divenne subito un esempio di perfezione equina, tanto che fu richiesta ed esportata in tutta Europa, e anche oltre, per realizzare altri incroci locali. La nuova magnifica razza fu chiamata del "Corsiero Napolitano".

Tanto fu importante per gli spagnoli e l'aristocrazia locale l'importanza del cavallo, che
a Napoli intorno al 1534, nacque per opera di Giovan Battista Ferraro e Federico Grisone, la prima Accademia equestre d’Europa, mentre nelle scuderie imperiali spagnole andavano aumentando il numero ed il prestigio dei Corsieri Napolitani. Lo stesso imperatore Carlo V d’Asburgo, "… hauendo ottima conoscenza, e prattica di tutte le specie di caualli, e di tutte l’arti Caualleresche, sempre elesse per seruigio di persona i caualli Napolitani, come idonei ad ogni essercitio, e fattione." (Pasquale Caracciolo, La gloria del cavallo, Venezia, 1589).
L'appellativo di Corsiero (o corsiere) fu dato alla nuova razza per esaltarne le proprie attitudini naturali, che erano corrispondenti a un tipo di cavallo adatto al combattimento, data la proprio andatura che risultava essere più veloce (il corso, cioè il galoppo) delle altre razze di cavallo e lo differenziava dal "portante", ossia dal cavallo usato prevalentemente per lunghi e comodi trasferimenti in sella. Il termine napolitano, poi, ne caratterizzava prettamente la sua origine geografica, che però non si limitata esclusivamente alla città di Napoli e dintorni, ma si intendeva estesa all'intero Regno di Napoli.
Il periodo nel quale la razza del Corsiero Napolitano assurse il suo massimo splendore, anche in tutta Europa, fu quello compreso tra il XVI ed il XVIII secolo. Non vi fu monarca o principe che non ambisse ad ospitare, nelle proprie scuderie, corsieri napolitani. Durante tutto il XVIII secolo e nel primo quarto del successivo, anche la monarchia asburgica ottenne numerosi cavalli Corsieri Napolitani. Celebri sono i dipinti del pittore inglese George Hamilton, che nell'anno 1725 immortalò sulle tele di alcune sue opere di scene e paesaggi, i cavalli napolitani.
Prendendo ancora spunto dal celebre trattato equestre "La gloria del cavallo (1589), ecco la descrizione di altri pregi di questo celebre cavallo: "Ma se di tutti i cavalli rarissimi sono quelli, che di tutte le conditioni necessarie adornati, e à tutti gli essercitij siano idonei; di tal lode i Napolitani soli veramente al più generale si trovan degni; perché al caminare, al passeggiare, al trottare, al galoppare, all’armeggiare, al volteggiare, e al cacciare hanno eccellenza, e sono di buona taglia, di molta bellezza, di gran lena, di molta forza, di mirabile leggierezza, di pronto ingegno, e di alto animo; fermi di testa, e piaceuoli di bocca, con ubbidienza incredibile della briglia; e finalmente così docili, e così destri, che maneggiati da un buon Cavaliere, si muovuono à misura, e quasi ballano…" .
Nella Relazione delle persone, governo e Stati di Carlo V e di Filippo II, letta nel Senato della Repubblica di Venezia, nel 1557, dall’ambasciatore Federico Badoero, i cavalli napolitani furono definiti non vaghi come li giannetti, ma più belli che li frisoni, forti e coraggiosi…
La cavalleria del Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone godeva, nella seconda metà del XVIII secolo, buona fama per numero e qualità di razza. La casa borbonica dedicò molte attenzioni all'allevamento dei cavalli e del Corsiero in particolare. Tanti erano i siti nel Regno di Napoli dove esistevano delle importanti strutture e scuderie dedite all'allevamento e alla sua selezione, almeno fin dal 1750: a Carditello (in Terra di Lavoro - CE), a Persano (in Principato Citra - SA), a Ficuzza, in Sicilia (dal 1799) ed a Tressanti, (in Capitanata - LE, almeno fin dal 1815). è noto che i cavalli del Real sito di Persano transumavano a primavera sui vicini monti Alburni, dove potevano godere, sino all’inizio dell’autunno, di un clima più fresco e più salubre e di pascoli d’alta quota abbondanti di essenze preziose per l’armonico sviluppo dei puledri nati nell’anno che venivano chiamati "carusi".
Dopo il 1860, con l'Unità d'Italia, l'allevamento del cavallo Corsiero Napolitano subì un durissimo contraccolpo e fu quindi condannato ad un rapido ridimensionamento di capi, fino alla sua estinzione completa in Italia. Causa determinante di ciò fu l'effetto delle scelte di politica economica, poco favorevoli al mantenimento e allo sviluppo del settore ippotecnico e di questa razza in particolare.
Veniamo ora alla storia della tradizione ippica
in Città,  nell'era moderna.
Con il trascorrere dei decenni del XIX e del XX secolo, i nobili, gli aristocratici e i borghesi di Napoli e provincia, tenevano a cuore di riservare stalle e spiazzi nei loro tenimenti e ville, per l'allevamento dei cavalli. Nel lungomare di via Caracciolo, fin dalla realizzazione delle opere di "colmata a mare", nei pressi dell'attuale piazza Vittoria, era presente un piccolo galoppatoio transennato, dove i napoletani solevano far galoppare i loro cavalli, specie durante le giornate festive e nei loro tempi di svago.
Ma anche nel campo sportivo, nelle gare che vedevano il cavallo come protagonista, ossia nell'Ippica, la città di Napoli e i napoletani non furono da meno rispetto al resto d'Italia, anzi...!
Il Campo di Marte, a Capodichino, oltre alle parate militare, fu utilizzato per eseguire esibizioni equestri durante gli ultimi anni del periodo borbonico e anche in quello sabaudo. In altri punti della città erano presenti campi e piccoli ippodromi locali condotti da privati, come ad Agnano, nella proprietà Ruggiero, dove si eseguivano allenamenti e pratiche sportive, seppur in forma dilettantistica.
Negli anni '30 del secolo trascorso, fu Raffaele Ruggiero, a dare un'impronta decisiva all'ippica nella città di Napoli. Infatti Egli provvide a donare al Municipio di Napoli, l'intera area di sua proprietà, sulla quale nei secoli pregressi esisteva un vasto lago, di origine termale, chiamato il lago d'Agnano. La donazione avvenne a un preciso patto: che il Comune di Napoli costruisse e amministrasse con proprie risorse e spese un nuovo e bellissimo ippodromo, che fosse vanto e lustro per la nobile Città, oltre che in Italia, in tutta Europa e nel mondo; richiamando in città per le gare e i tornei decine di giocatori e di appassionati di questo antico sport.

Monumento a R. Ruggiero, Ipp. di Agnano

L'ippodromo di Agnano fu quindi realizzato su un'area complessiva di 48 ettari, a spese del Comune di Napoli, tra la tenuta degli Astroni e le Terme di Agnano e fu subito adibito a disputare le gare di corse di trotto e di galoppo. Le piste furono inaugurate nell'anno 1935.
Nel corso della sua esistenza, ultraottantennale, l'impianto di Agnano ha ospitato, nelle varie gare organizzate, i cavalli e i fantini più famosi del mondo. Tradizione, storia ed uno scenario di incomparabile bellezza, conferiscono ad Agnano il titolo di uno degli ippodromi più rappresentativi della storia dell’ippica italiana!
Le gare ebbero subito un forte richiamo cittadino, sia di sportivi e sia di amanti delle scommesse sportive. Gli spalti dell'Ippodromo di Agnano furono invasi da migliaia di napoletani, tra sportivi e curiosi, e tanti provenienti da ogni angolo d'Italia e dell'Europa, spesso per seguire i propri beniamini o per semplice turismo sportivo. Furono instituite delle lotterie, celebre era la cosiddetta Lotteria D'Agnano, che veniva organizzata annualmente, abbinata alla corsa di cavalli che era chiamata Gran Premio Città di Napoli. Ma nei primi anni di esercizio dell'ippodromo tante erano le gare a premio, molte erano intitolate in omaggio ai luoghi del circondario di Napoli, che sicuramente avranno avuto una valenza significativa nella storia dell'Ippica e nell'allevamento dei cavalli di razza.
Abbiamo rinvenuto, nel corso delle nostre ricerche storiche, un'importante testimonianza risalente all'anno 1937. Dalle pagine dell'"Annuario Ufficiale delle corse al Trotto" (edito nell'anno 1938), risulta che venivano organizzate a Napoli delle gare di Trotto, con premi per i quattro primi classificati, intitolati (come per dedica), a diversi luoghi della Città e della sua Area Nord, tra questi: Piscinola, Miano, Capodimonte e Mugnano.  Con molta probabilità, le gare si disputarono nell'Ippodromo di Agnano, dato che l'impianto fu inaugurato, come si è detto, nell'anno 1935. La scelta dei titoli dei premi riferiti a Piscinola, Miano, Capodimonte e Mugnano, lascia pensare che fu una desiderio chiesto e ottenuto dal benefattore dell'Ippodromo, ossia dal Ruggiero, il quale come è noto possedeva a Piscinola un vasto tenimento, e  frequentava con assiduità il territorio dell'Area Nord di Napoli; ma al momento non abbiamo la certezza di questo. A Piscinola, come è noto, Ruggiero realizzò, dal nulla, una fondazione, tuttora esistente che porta il suo nome (Fondazione "Raffaele Ruggiero"), dedicata alla cura e all'assistenza delle fanciulle con problematiche neuropsichiatriche.
Nel seguito riportiamo le varie tabelle dei risultati finali delle singole corse al trotto disputate nell'anno 1937, pubblicate sulle pagine dell’”Annuario Ufficiale delle Corse al Trotto", edito dall’Ente Nazionale delle Corse al Trotto,  e della Unione Nazionale Dilettanti, 1937/1938, Volume I, Roma, aprile 1938.

Alcuni anziani hanno reso testimonianza sul torneo di cavalli che si svolgeva a Piscinola, negli anni '50, nel giorno di festività dedicata al santo patrono degli animali: Sant'Antonio Abate, il 17 gennaio. Ogni anno, dopo il rito della benedizione di tutti gli animali domestici, tra cui tanti cavalli, eseguito sul sagrato della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola, si disputava nel luogo dove oggi esiste via Giovanni Antonio Campano, un torneo dilettantistico di galoppo, organizzato da appassionati piscinolesi di corse ippiche.
All'epoca la strada doveva essere ancora in fase di cantiere, e comunque ancora in terra battuta. I cavalli venivano fatti gareggiare ornati di decorazioni e nastri rossi, come erano stati preparati per la benedizione precedente. Il campo di gara, corrispondente all'attuale via G.A.Campano, era lungo pressoché un chilometro.
Ritornando alla passione per i cavalli della razza Corsiero Napolitano, è confortante apprendere che c'è una flebile speranza di ripresa di questa bella e nobile razza di cavallo originario del meridione d'Italia... Dall'anno 2004 alcuni appassionati allevatori stanno realizzando un complesso programma zootecnico che tende al recupero genealogico e morfologico del Corsiero Napolitano, attraverso l’individuazione di  alcune popolazioni equine dell’Italia meridionale risalenti a capostipiti di origine autoctona, da incrociare con le linee generazionali estere, discendenti da quelle napoletane nei secoli XVII e XVIII.
A questi valorosi, non ci resta che augurare un buon lavoro e un simpatico: "in bocca al cavallo"...!
Salvatore Fioretto

Molte notizie sulla storia del "Corsiero Napolitano" sono state tratte dal sito web:" http://www.cn-corsieronapolitano.it/pages/1/3/il-corsiero-napolitano/", a cui rimandiamo il lettore interessato per gli approfondimenti.