martedì 4 agosto 2020

Piscinola è la "Terra del Salvatore": un'indagine storica su uno straordinario legame millenario!!

Prefazione:
“I paesani di esso Villaggio avuto avessero un culto speciale verso il Santissimo Salvatore”…, è la deduzione che fece il celebre storico Antonio Chiarito, nella sua opera “Commento Istorico-critico-diplomatico sulla costituzione de Istrumentis conficiendis per curiales dell’imperador Federico II” (ed. anno 1772), quando descrisse il Villaggio di Piscinula, riferendosi a una “carta celebrata” il 20 agosto dell’anno 1323.
Basilica di S. Restituta, Cristo Pantocratore (VI e XVI sec.)
Partiamo da questa bella attribuzione, che riconosce ed evidenzia l’antico culto dei Piscinolesi per il loro Protettore, ossia per il Santissimo Salvatore, per eseguire questa trattazione storica a riguardo, che ha l’intento di cercare di ricomporre e di ordinare, a livello storico e antropologico, quanto oggi conosciamo dalle fonti storiche certe e quanto, invece, sia ancora avvolto nel mistero e nella leggenda addensate nei secoli trascorsi…! 
E' proprio vero che questa volta la nostra storia si perde nella notte dei tempi..., d'altra parte il sito ecclesiale di Piscinola, su cui si erge la chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, conta ben 1000 anni di storia!  Vedremo che per ricostruire le vicende storiche che ci interessano,  dobbiamo attraversare buona parte della storia di Napoli, fino a lambire le origini del cristianesimo in città...! 
Ma procediamo per gradi, e con calma...
 
Piscinola è la "terra del Salvatore"...:
Nella summenzionata carta, celebrata nel 1323, sono descritti i confini di un appezzamento di terreno detenuto da un certo Pietro di Fiore, detto l’Amalfitano, dato in fitto dal monastero di San Pietro a Castello; in particolare questo terreno era situato nella Villa di Piscinola e confinante con la "Terra del S. Salvatore"… Ecco l'estratto del testo, in latino:“l’Udex Petrum de Flore dictus Amalfitanus tenet a Monasterio S. Petri ad Castellum quamdam terram modiorum trium, fitam in Villa Piscinule pertinentie Neapolis, cujus fines hii, cum terra Sancti Salvatoris de predicto loco Piscinule & cum terra...”.
Facciata della cattedrale angioina, prima della trasformazione ottocentesca
Risulta evidente che la carta presa in riferimento dal Chiarito non rappresenti la testimonianza storica più antica che descrive il legame di Piscinola con il SS. Salvatore, dell’esistenza della “Villa di Piscinola” e della sua Chiesa, ma bisogna andare molto più indietro nei secoli. Per trovare testimonianze più antiche dobbiamo far scorrere almeno altri quattro secoli..., fino a giungere intorno alla metà del X secolo d.C.!
Nella carta celebrata nell'anno 941, per mano del "curiale" (era figura di notaio dell'epoca) Anastasio, si legge: “Die 20 m. augusti ind. XIX Neapoli (Anno 941) Imperante d.n. Costantino m.i. an. 33 et Romano m.i. an. 20. Gregorius filius d. Sergii vendit et tradit d. Ihoanni cognato suo, filio d. Andreae quatur pectias de terra positas in loco nominatur Piscinulae, qui est in marzano Massa belenzanense, quartum una que vocatur Custaneu, coheret cum terra dicti Iohannis, cum terra de illi Langubardi, cum terra dicti Iohannis Rannusi; alia terra que vocatur ad illum Felicem coheret cum terra Iohannis Toccatocca, cum terra Iohannis  filii Gaudiosi Vicedomini, cum terra Drose uxoris Pituli, alia terra que nominatur Fracta coheret cum terra monasterii Insule Salvatori et cum terra d. Gregorii Sparharii; alia terra que dicitur Marilianum coheret cum terra de illu Langubardi, cum terra ecclesie S. Severini, et ab uno capite est paludis…; pro pretio auri taren sex et pena controventionis statuta est in auri solidos sex bizanzios.
Actum per Anastasium culialem et testes subscripti sunt omnes caractere greco.” [...].
Questo documento risulta essere il più antico (al momento conosciuto) che menziona la villa di Piscinola e con essa una terra posseduta dal monastero del Salvatore; la pergamena viene denominata Notam istrum. S. Gregori, n. 297. 
Basiliche di Santa Restituta e della Stefania, stampa contenuta in un libro
In sintesi esso sancisce una compravendita eseguita tra un certo Gregorio, figlio di Sergio e Giovanni, suo cognato, riguardante quattro appezzamenti di terreno situati nella villa di Piscinola, nella località antica, chiamata Marzano Massa Belanzanese. Sono quindi descritte le quattro parti. La "terza parte" di terreno venduta viene chiamata “Fratta” e confina con la terra dei Longobardi, con i Toccatocca, con la terra del Monastero del Salvatore, e con Gregorio Spataro.
Si deduce che nel X secolo (941), dei monaci del monastero del Salvatore possedevano una “grancia” di terreno, ovvero un appezzamento di terreno coltivato, nella Villa (o Vicus) di Piscinula
All’epoca erano numerosi i monasteri di Napoli che avevano in dote terreni nei territori suburbani alla città, come il citato monastero di S. Severino.
Questa zona di Piscinola, posseduta dal monastero del Salvatore, prenderà con tempo il nome dei proprietari. Lo storico dott. Franco Biagio Sica, nel suo libro, "Viaggio nella mia terra" (tip. Cortese, 1989), sostiene che "la Terra del Salvatore", rappresenta un appellativo “Prediale”, ovvero un toponimo che la gente userà per indicare il luogo, attraverso i proprietari del terreno che erano, appunto, i monaci del monastero del Salvatore
Forse su questo appezzamento di terreno era già presente o sorgerà da lì a qualche decennio dopo, una primitiva edicola o cappella e, poi, una chiesetta dedicata al SS. Salvatore, che potrebbe essere stata l'antesignana struttura dell'attuale chiesa parrocchiale. Probabilmente il continuo contatto dei monaci del Salvatore con gli abitanti del posto, e la loro continua opera missionaria, avrebbero condizionato e favorito la nascita del culto verso Gesù Salvatore. Di queste evoluzioni storiche, purtroppo, non abbiamo ancora la certezza documentale, ma possiamo solo presentarle come deduzioni, risultanti però alquanto fondate...almeno come una delle ipotesi possibili.
Affresco del Cristo Pantocratore, altare magg. basilica di S.Restituta. Il tondo con testa del Cristo è in legno ed è il più antico
A questo punto è legittimo chiedersi: dove si trovava questo monastero dedicato al Salvatore, dal quale provenivano questi monaci, chiamati "Monaci del Salvatore"? E una volta individuato che tale sito sia stato su un'isola napoletana: quale è quell'isola del golfo di Napoli che all'epoca era anche chiamata "Isola del Salvatore" e, poi, perché essa fu chiamata così?
Il monastero di cui parliamo si ergeva sull'isola del Salvatore, fondato in quel luogo almeno fin dal VI-VII secolo. L’"Isola del Salvatore" (o insula Sancti Salvatoris), era la denominazione medioevale che identificava l’isola di Megaride: l'attuale sito del Castel dell'Ovo.
Su questa isola esisteva in epoca romana la lussuosa e vasta villa di Lucio Lucullo, da cui prese il nome e, poi, anche un castrum (luogo fortificato), nel quale fu rinchiuso prigioniero e vi morì (intorno al 476), l'ultimo imperatore romano d'occidente, il povero Flavio Romolo Augusto, chiamato Augustolo. In tale periodo l'isola prese il nome di “Castrum Lucullianum”, e andava trasformandosi gradualmente in fortezza.
Altare maggiore della basilica di S. Restituta (Basilica del Salvatore)
Nei secoli successivi (VI-VII secolo ca.) la villa di Lucullo andò in rovina e sui suoi resti fu edificato un cenobio, costruito dai monaci basiliani, i quali, in fuga dall'oriente, a causa delle persecuzioni che imperversano, attraversavano il Mediterraneo e qui approdavano, sentendosi al sicuro sull'isola. Qui si fermò, dopo la fuga da Costantinopoli, anche la nobile principessa Patrizia, e vi morì dopo essersi fatta monaca. 
I monaci basiliani ricavarono le loro celle nelle cavità naturali di tufo presenti nell'isola e poi adattarono alcuni ambienti superstiti della villa di Lucullo, come ad esempio il refettorio, utilizzando la cosiddetta sala delle colonne. Con il tempo questi monaci intrapresero anche intensi scambi commerciali con la terraferma. Organizzarono una  biblioteca, forse in parte derivata da quella sopravvissuta dalla villa di Lucullio ed esercitarono l'arte amanuense, per la duplicazione dei testi antichi e rari. L'isola nei secoli fu chiamata anche "Insula Maris".
Non si sa bene il periodo preciso in cui all'isola di Megaride fu dato l'appellativo di Isola del Salvatore (insula Sancti Salvatoris).
Partiamo col dire che non sempre la ricostruzione storica e l'identificazione dell'isola del Salvatore fu precisa e immediata... Purtroppo nel corso dei secoli, soprattutto nel XVIII secolo, si è fatta una certa confusione tra gli storici per la sua identificazione, i quali male interpretarono i documenti e le testimonianze antiche che menzionano l'isola e il suo cenobio. Si è spesso confuso l'isola di Megaride con quella di Nisida, per una serie di errori banali d’interpretazione... 
Nisida, prima della costruzione del collegamento alla terraferma
Fu lo storico Alessio Simmaco Mazzocchi (conosciuto con l'appellativo di "Canonico Mazzocchi") a indentificare tra i primi, ma erroneamente, l’isola, confondendola con Nisida. La fonte di riferimento, da cui partiva Mazzocchi per l'identificazione dell'isola, fu la cronaca che descriveva la traslazione del corpo di S. Attanasio, uno dei primi vescovi della chiesa di Napoli. Nella testimonianza scritta si parla di "Insula Maior", distante dalla sede episcopale napoletana, XII stadia; quest'isola fu poi affidata dall'imperatore Costantino il Grande, all’Episcopio di Napoli, ovvero all'antica basilica edificata grazie al suo intervento, chiamata "Sanctis Salvatoris" (odierna basilica di Santa Restituta). 
La citata testimonianza è contenuta nel Liber Pontificalis. E' da precisare che questa cattedrale costantiniana fu dedicata inizialmente (IV-V secolo) al SS. Salvatore e agli apostoli, e solo verso l'inizio nel IX secolo cambiò nome in Santa Restituta d'Africa, quando vi furono traslate le reliquie di questa Santa. Anche la primitiva denominazione dell'antica cattedrale costantiniania, dedicata al Salvatore, potrebbe aver esercitato una certa influenza sull'attribuzione del nome dato all'isola del Salvatore e quindi al cenobio di cui parliamo... 
Nisida, prima della costruzione del collegamento alla terraferma
Quindi il Canonico Mazzocchi, nella sua opera che descrive la cattedrale di Napoli, affermò, senza riserve, che l'isola Maior, ovvero l'isola del Salvatore, era l'isola di Nisida.
Ma in realtà l’Insula Maior (isola maggiore), contrariamente alle sue più ridotte dimensioni rispetto all'isola di Nisida, era identificabile correttamente nell'isola di Megaride, come poi dimostrato dallo storico Antonio Chiarito, il quale ebbe modo di smentire pubblicamente il Canonico Mazzocchi per l’errore commesso, nei capitoli del già citato compendio: "Commento Istorico-critico-diplomatico sulla costituzione de Istrumentis conficiendis per curiales dell’imperador Federico II”, nel 1772. 
Più recenti opere e testimonianze hanno fatto chiarezza anche sull’appellativo di "Isola Maggiore" (Insula Maior) conferita a Megaride, deducendo che esso derivi dalla maggiore estensione dell'isola rispetto al vicino isolotto (non più esistente) chiamato Isola di San Vincenzo, sul quale pure sorse un cenobio di monaci.
Ecco due brevi passaggi estratti delle conclusioni del Chiarito:
"Che l'istessa Isola (Megaride) detta ancora si fosse: Insula maris domini, et Salvatori nostri Iesu Xpi, apparisce da un copiosissimo numero di carte, [...]. 
Castel dell'Ovo, in un dipinto
"Si conchiude, che l'Isola di Megari detta si fosse del Salvadore, a cagion del Monistero quivi esistente sotto detto titolo - A lumi recati finora ben si deduce, che punto non regga ciocchè si è scritto dal Signor Canonico, che labente XII seculo Salvatori, nomenetiam Megaridi tributunn reperiri (2), poichè abbiam fatto vedere che non solo l'isola di Megari ne' mezzi tempi chiamata si fosse del Salvadore, a cagion del Monistero ivi eretto dedicato al SS. Salvadore, e che questo in una tal Isola stato fosse fin dal tempo della venuta di S. Patrizia ne' nostri lidi; ma ben anche, che il Monistero sotto l'istesso titolo, che il Signor Canonico lo vuole nell'Isola di Nisida, sia una pura sua immaginazione, non avendosene veruna memoria. Per l'opposto del vero ed effettivo Monistero del Salvadore in Megari se ne han da ogni dove certissime ed indubitate notizie assai prima del labente XII. seculo, [...]
La conferma che le due isole napoletane, Megaride e Nisida, fossero state distinte, con propri nomi, è ben evidente del documento che sancisce un patto di pace (1128), tra il duca Sergio VII (ultimo duca di Napoli) con i rappresentanti della repubblica di Gaeta: Il Duca Sergio promette pace per la durata di dieci anni, a nome suo e dei suoi sudditi; fra essi sono menzionati gli abitanti dell’”Arx (o Arce) Sancti Salvatoris” (Isola di Megaride) e quelli di “Gipeo” (forse analogo a Zippio), che è il nome dato a Nisida. La presenza di una comunità nisidiana è confermata anche dallo storico Capasso, che individua sull'isola di Nisida, ai tempi di Federico II (1240), un “monasterium Sancti Archangeli de insula Gipei”.
Castel dell'Ovo (particolare da una stampa dell''800)
L'"Arx o Arce dell'isola del Salvatore" citata, si riferisce a una sorta di cittadella abitata sull'isola del Salvatore. In questo periodo l'isola si era fortificata, inglobando anche il convento. 
Nel 1140, con l'arrivo dei Normanni, tutta la cittadella dell'Arce dell'isola del Salvatore divenne residenza fortificata ad uso di re Ruggiero e dalla sua corte: nasce quindi il celebre Castel dell'Ovo.
Ritornando all'etimologia dell'isola del Salvatore e del monastero dei monaci del Salvatore, possiamo avanzare al momento solo due ipotesi: o i monaci basiliani giunti a Napoli, importarono il culto del Salvatore dall'Oriente, dove esso era fiorente già dal IV-V secolo, e intitolarono il loro cenobio sull'isola, dedicandolo al Gesù Trasfigurato e per tale dedica anch'essa verrà chiamata Isola del Salvatore oppure, a seguito della citata donazione dell'isola di Megaride, fatta dall'imperatore Costantino alla chiesa cattedrale di Napoli (basilica chiamata del Salvatore), l'isola e il monastero prenderanno lo stesso titolo della basilica proprietaria, ovvero Sancti Salvatoris. 
Al momento non siamo in grado di indirizzare il lettore verso l'esatta verità storica su questo punto, ma una delle due deduzioni potrebbe essere quella corretta...
Sala delle Colonne, interna al Castel dell'Ovo
Ma continuiamo con le vicende legate al monastero del Salvatore.
Attanasio, vescovo di Napoli, intorno all’anno 850, edificò nel cenobio dell'isola, la chiesa di S. Salvatore in “Castro Luculliano” e concesse il culto quotidiano ai monaci di San Benedetto.
Nell'anno 861 lo stesso Vescovo Attanasio qui si rifugiò, con tutto il clero napoletano, venendo perseguitato dal nipote Sergio III (duca di Napoli), che produsse dei tumulti contro di lui, e promosse l'assedio con dei Saraceni che teneva assoldati.
Sala delle Colonne, interna al Castel dell'Ovo
Verso il 1137 il monastero del Salvatore, detto poi anche “in insula maris” venne aggregato a quello cittadino, chiamato di San Pietro a Castello, presente anch'esso sull'isola e, successivamente, quando l'isola di Megaride fu fortificata per difendere la città di Napoli dagli attacchi nemici provenienti dal mare, i monaci furono aggregati al convento cittadino dei SS. Pietro e San Sebastiano e quindi trasferiti sulla terraferma.
Tutte queste vicende storiche, quindi, potrebbero aver caratterizzato nei secoli il toponimo di una parte del territorio di Piscinola che fu, come si è detto, chiamato “La terra del Salvatore”. Come già asserito, non sappiamo con certezza se tale "terra" sia identificabile con quella che poi sarà sede della costruzione della primitiva cappella o della chiesa dedicata al Santissimo Salvatore e il periodo nel quale questo avvenne, ma sicuramente tutto ciò dovrà essere avvenuto gradualmente e molto lentamente nei secoli lontani. 
Dalla descrizioni dei confini dei terreni e delle proprietà contenute nelle carte antiche menzionate, sembra che gli appezzamenti o "grance" citate, siano state tutte vicinissime tra loro, ma in realtà bisogna considerare che all'epoca le proprietà terriere erano poche e molto estese, e le abitazioni stanziali non erano molto diffuse nel territorio, quindi c'era anche difficoltà da parte nei "curiali" di trovare dei punti di riferimento fissi e inequivocabili per descrivere i confini e, quindi, anche se oggi le zone appaiono lontane, in quell'epoca dovevano essere tra loro confinanti. 
 Carta de Evirnos de la Ville de Naples, anno 1778
Come pure non sappiamo se la chiesa di Piscinola nacque per volere dei monaci proprietari terrieri oppure furono gli abitanti stessi dell'epoca ad accogliere e ad accrescere nella loro primitiva comunità il culto verso Gesù Salvatore, tanto da dedicargli la chiesa che divenne sempre più grande, fino a essere quella principale del Villaggio.
Partic. mappa, con indicazione della chiesa del SS. Salvatore
Sicuramente, come è facile dedurre, il continuo contatto di questi monaci con gli abitanti, forse anche con opere missionarie e di carità, avrebbero potuto stimolare il culto.
L'altra chiesa esistente a Piscinola era la chiesa dedicata a San Sossio diacono, anch'essa citata nelle carte antiche, fin dal X secolo, era però situata in un luogo decentrato rispetto all’attuale centro del quartiere, verso la zona dello Scampia.

La chiesa del SS. Salvatore in Piscinola:
Di sicuro nell’anno 1033 la chiesa del Salvatore in Piscinola era già stata edificata ed era officiata, perché è menzionata in un altro documento rogato, da parte del curiale Sergio; nel quale si sancisce che il presbitero Martino custode della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, vende a Stefano Ferrario, chiamato Bonisculo, un appezzamento di terreno detto at Nipititum, sito presso S. Sossio a Piscinola, e che questa terra confina con la terra di Pietro Presbitero detto Patrizio, con la terra di quella ”estaurita plevischiamata S. Sossio, con la terra di Leone Luppari e con la terra che appartenne a Maria Russo di Donna Agata, dove sorge la “Staurita plevischiamata chiesa del Salvatore in Piscinola.
[...] coherente sivi ab uno latere terra qui fuit domini petri presbyteri qui nominatur patricii: seum et terra de illa staurita plevi memorata ecclesia sancti sossii et terra domini leoni luppari: sicuti inter se sepis exfinat: et de alio latere coheret terra qui fuit memorati domini petri parametiomeno: sicuti inter se sepis exfinat: et de uno capite coheret terra qui fuit domina maria russa de domina aghathe que modo detinet stauritas plevis ecclesie salvatoris nostri ihesu christi de memorato loco piscinule sicuti inter se sepis exfinat et de alio capite terra heredes quondam domini sergii cognomento gruccaanima [...]
Altare maggiore, e pulpito a lato, prima delle modifiche, foto cartolina, anni '50
Da quest'anno in poi altri atti menzionano e confermano l’esistenza della chiesa di Piscinola dedicata al Santissimo Salvatore, come l’atto rogato il 23 dicembre 1058, per mano del curale Giovanni, nel quale si tracciano i confini di un terreno: da un lato con la terra della staurita della parrocchia della predetta chiesa di san Sossio e dall'altro lato confinante con la terra che fu di signora Maria Russa de donna Agata che detiene la staurita della parrocchia della chiesa del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo dell’anzidetto luogo Piscinola:
[...] comparatio de memoratis iugalibus genitoribus nostris continet in presentis aput vos remisi pro vestra vestrisque posteris et de memorata ecclesia salbatione: Coherente sibi ab uno latere terra qui fui quondam domini petri patricii et presbyteri seu et terra staurita plevis memorate ecclesie sancti sossii et terra domini leoni iuppori: sicuti inter se sepis exfinat: et de alio latere coheret terra qui fuit de domino petro parametiomino sicuti iterum sepis exfinat: de uno capite coheret terra qui fuit domina maria russa de domine agathe quem detinet staurita plevis ecclesie domini et salvatoris nostri ihesu christi de memorato loco piscinule sicuti sepis exfinat: et de alio capite terra heredum quondam domini sergii gruccianima sicuti iterum sepis exfinat [...].
Calvizzano, chiesa di S. Giacomo Apostolo
Il dott. Franco B. Sica considera che se la chiesa del SS. Salvatore di Piscinola, già esisteva ed era officiata nell’anno 1033, tuttavia la sua fondazione dovette avvenire almeno 100 anni prima, considerando anche che la chiesa di Piscinola risulta essere la più antica tra quelle suburbane della Archidiocesi di Napoli, quindi ancora più antica di quella di Calvizzano, che è ritenuta di antichissima fondazione. Ad avvalorare tale tesi, infatti, è l’opera del notaio Antonio Sirleto: “Platea…”. In questo libro il Sirleto asserisce che la chiesa di San Giacomo a Calvizzano era antichissima, ed era seconda solo a quella del Santissimo Salvatore di Piscinola. Mentre, in un altro documento, celebrato per conto del Duca di Napoli, si menziona la chiesa di Calvizzano, che era già presente nell’anno 951. 
Quindi la chiesa di Piscinola, per semplice deduzione, dovrebbe essere stata fondata almeno del decennio 930-940… Ma qui il condizionale è fortemente d’obbligo! 
Altare della chiesa del SS. Salvatore, durante i festeggiamenti, anni '50
A conferma di questa teoria, ossia del primato dell’antichità della chiesa del SS. Salvatore di Piscinola su tutte le altre parrocchie e quindi anche su S. Giacomo di Calvizzano, c’era l’antica consuetudine o cerimoniale, in vigore nei secoli scorsi nella Cattedrale di Napoli, durante l’atto di conferma dell’obbedienza all’arcivescovo, che ogni anno i parroci diocesani eseguivano nella prima domenica di maggio. Durante tale manifestazione religiosa, i parroci delle chiese cittadine e quelli delle chiese suburbane (ossia della parte extramoenia di Napoli) venivano ordinati e disposti nella chiesa cattedrale, secondo un preciso ordine, dettato sia dalla ubicazione geografica e sia dall’antichità della chiesa parrocchiale di appartenenza. Quindi, negli scanni della Cattedrale, per primi, sedevano i parroci cittadini e, a seguire, sempre in ordine di precedenza, quelli del suburbio, secondo l’età di fondazione della loro chiesa. Con lo stesso ordine di sequenza si eseguiva la chiamata dei parroci all’atto dell'obbedienza all'Arcivescovo ("rito del baciamano").  Dopo quelli delle parrocchie e diaconie cittadine, il primo parroco suburbano ad essere chiamato al rito di obbedienza era quello della chiesa del SS. Salvatore di Piscinola e, a seguire, quello della chiesa di San Giacomo di Calvizzano. Questa testimonianza è un altro riscontro importante per dimostrare l’antichità assoluta della parrocchia del SS. Salvatore di Piscinola nel comprensorio dell’Archidiocesi di Napoli, fuori le mura cittadine.
Immagine del SS. Salvatore donata alla chiesta in India, anni '50
La chiesa del SS. Salvatore di Piscinola non fu subito "parrocchia", ossia "chiesa rettoria", nella quale il parroco oltre alla gestione del culto provvedeva anche alla gestione amministrativa e conservativa del tempio, così come avviene oggi; infatti fino alla prima metà del XVI secolo, come avveniva per altre chiese dei Casali, anche nella chiesa del SS. Salvatore, il sacerdote non risiedeva stabilmente nella canonica e vi si recava in chiesa solo quando doveva celebrare la messa. Il parroco più antico, del quale si hanno notizie, è stato don Antonio Ristaino, che resse la parrocchia del SS. Salvatore, dal 1538 fino al 1576.
Si può dire che, fino a pochi decenni fa, la secolare chiesa parrocchiale di Piscinola sia stata l’unica chiesa parrocchiale dell'Archidiocesi di Napoli ad avere la titolarità del suo nome, del SS. Salvatore. Infatti dopo le antichissime basiliche di S. Restituta e della Stefania, solo la cinquecentesca chiesa dell’Abazia dei Camaldoli di Napoli, che non è mai stata una parrocchia, è dedicata al SS. Salvatore; quest'ultima fu costruita nel 1585, sulle vestigia della più antica cappella ivi presente, intitolata: San Salvatore al Prospetto, che secondo alcuni fu fondata dal vescovo di Bitinia, san Gaudioso, intorno al V secolo. Quest'ultimo aspetto storico, alquanto vicino geograficamente a noi, è un altro tassello che pure dovrebbe essere considerato per la nostra ricerca...
Non sappiamo in quale periodo fu ufficialmente affidato il patronato del Casale di Piscinola al Santissimo Salvatore. Forse non c’è mai stato un atto solenne, come avvenuto in altre comunità, ma sarà stato un processo lento e graduale. 
Chiesa SS. Salvatore prima del restauro, anni '50 (foto R. P.alladino)
Sicuramente nel periodo in cui scrisse il Chiarito, ossia nella seconda metà del XVIII secolo, il SS. Salvatore era già considerato il "patrono" di Piscinola, vista l’enfasi con cui il Chiarito scrive il suo commento.
Dopo le testimonianze del X secolo, della chiesa di S. Sossio non si hanno più notizie, probabilmente l'edificio sacro andò in rovina e la chiesa del SS. Salvatore rimase l’unica ecclesia attiva sul territorio, perché viene continuamente menzionata nelle carte successive. 
Nel XIII-XIV secolo la nostra chiesa avrà avuto le fattezze di un tempio in stile Gotico, come dimostrerebbe l'unico suo reperto sopravvissuto, che è il frammento di un affresco della Madonna della Misericordia, oggi incastonato sopra l’altare maggiore. L'immagine del volto della Madonna è realizzata con uno stile pittorico, definito: "giottesco napoletano", perché eseguito da qualche allievo o seguace del grande maestro (Giotto fu attivo a Napoli diversi anni).
Nei secoli seguenti avvenne la trasformazione della chiesa nello stile Barocco; sicuramente questo avvenne prima dell'anno 1688, perchè sappiamo dai diari della parrocchia che in quell'anno un violento terremoto distrusse il tetto della chiesa barocca.  L'unica testimonianza pittorica sopravvissuta della chiesa barocca, di autore ignoto, è un frammento della scena della Trasfigurazione, che si trova ancora conservato nella parete retrostante l’antico organo della chiesa. 
L'attuale immagine in legno del Salvatore risalirebbe al XIX secolo. Un tempo, quando sopra l’altare maggiore della chiesa era collocata la tela della Sacra Famiglia (opera perduta), la statua del SS. Salvatore era esposta, come ci testimoniano gli anziani, nella nicchia dell’altarino, situato sul lato sinistro della chiesa, dove oggi è collocata la statua dell’Addolorata
Processione del SS. Salvatore, in via del Plebiscito a Piscinola, foto anni '50
La chiesa conserva anche alcune statue settecentesche e ottocentesche, appartenenti ai santi compatroni, l'organo del settecento e quello che resta degli altari laterali e di quello maggiore, che pure sono antichi.
Della presenza di una statua in argento del SS. Salvatore posseduta dalla chiesa nei secoli scorsi, abbiamo ricevuto solo testimonianze lacunose e quasi leggendarie, raccolte dai racconti degli anziani piscinolesi. Purtroppo non abbiamo trovato testimonianze scritte di questa opera in argento e non sappiamo come questa, a un certo punto, scomparve dalla scena... Su questo aspetto la leggenda fa ovviamente la sua parte... 
Tuttavia ipotizzare che in passato, anche nella nostra chiesa esisteva un’immagine del Santo Patrono cesellato in argento, non sarebbe un fatto tanto azzardato, considerando che sia Miano e sia Chiaiano hanno oggi le statue argentee dei rispettivi santi patroni. Confidiamo sulla futura ricerca storica...

Postfazione:
Immagine su locandina di festa, 1968
Il lettore avrà certamente percepito l'importanza e la complessità della materia storica che qui è stata oggetto d'indagine e di analisi: una gran varietà frastagliata di episodi, di personaggi, di luoghi, di testimonianze, che interagiscono tra loro, nei secoli; e, come per una predestinazione o forse per pura casualità, hanno condizionato la vita degli abitanti di un piccolissimo borgo, quello di Piscinula medioevale; borgo antico, abitato da semplici e poveri contadini, i quali, nel corso della storia, sono stati però aperti alla "contaminazione" degli eventi e con questi hanno interagito, accogliendo positivamente gli influssi cittadini che hanno condizionato la loro cultura, le loro tradizioni, le loro usanze e quindi il loro credo.

Conclusioni:
Il culto per il SS. Salvatore, per "Gesù Trasfigurato", che ha singolarmente attecchito nell'antico borgo di Piscinola, circa 1000 anni fa, perviene dai primi secoli della cristianità, per una serie di collegamenti storici e di coincidenze logistico-temporali, che potrebbero essere: 
1) dalla possibile donazione al clero dell'Episcopio napoletano, intitolato al Salvatore, del possedimento dell'Isola di Megaride e di un castrum, che  per questo forse prenderà il nome di "Isola del Salvatore", diffondendone il nome ai cespiti ed opere collegate;
2) dalla venuta dall'oriente, di un gruppo di monaci basiliani, i quali probabilmente importeranno a Napoli il culto di Gesù Salvatore (VI-VII secolo) e lo diffonderanno a Napoli;
3) dalla realizzazione sull'isola di Megaride di una chiesa dedicata al Salvatore, all'interno del cenobio retto da un gruppo di monaci, che già si chiamavano "Monaci del Salvatore" e il convento intitolato "Monastero del Salvatore". Il convento e la chiesa saranno successivamente affidati ai monaci Benedettini,
4) dalla presenza di un appezzamento di terreno (grancia) posseduto a Piscinola dal "Monastero del Salvatore", che per tal motivo, esso fu chiamato: "Terra del Salvatore",
5) dall'azione missionaria che probabilmente ebbero a svolgere i monaci nella villa (borgo) di Piscinola, portando all'edificazione di una primitiva cappella o chiesa dedicata al SS. Salvatore e promuovendone il Suo culto tra gli abitanti.
6) da una possibile altra motivazione o influenza, al momento a noi ancora ignota, ma da tener conto nelle future ricerche, che potrebbe far risalire la nascita del culto del Salvatore a Piscinola ad un periodo ancora più indietro nei secoli (come il riferimento alla vita di S. Gaudioso, V secolo).

Successivamente, nei secoli più recenti, al SS. Salvatore è stato affidato il patronato della comunità parrocchiale di Piscinola, mentre la chiesa è stata riedificata diverse volte e quindi ingrandita, diventando parrocchia. Almeno fin dal XVII secolo, al SS. Salvatore è stato affidato anche il patrocinio civico dell'Università e del successivo Comune di Piscinola
Speriamo in futuro di raccogliere altre notizie e conferme di quanto qui assunto, e di chiarire con fonti affidabili quegli argomenti avvolti ancora nel velo dell'incertezza e della leggenda.

Dedica:
Con questo post abbiamo voluto omaggiare Piscinola e i suoi abitanti, in occasione della prossima festa patronale. Dedichiamo questo lavoro di ricerca alla "presenza" storica millenaria del Santissimo Salvatore che, come dimostrato, è "venerato" e adorato a Piscinola, almeno fin dal IX-X secolo.
L'abbiamo scritto con umiltà e con la consapevolezza di affrontare un argomento gravoso e ricco di insidie. Alcune fonti sono lacunose e poi mancano ancora delle testimonianze più precise sull'edificazione e sulle varie trasformazioni subite dalla chiesa parrocchiale, oltre le relative tracce monumentali e archeologiche, il cui rinvenimento potrebbero chiarire diversi dubbi e aspetti. Lo abbiamo scritto con la volontà e la passione, e con lo scopo principale di diffondere, soprattutto tra i giovani di oggi, la grandezza della nostra storia e la profondità della nostra cultura, affinchè questi possano raccogliere il "testimone" (e lo speriamo vivamente), possano appropriarsi della loro storia e possano promuovere ulteriori indagini storiche e opere di divulgazione: perché queste testimonianze rappresentano le radici fondamentali del nostro essere cittadini di oggi..., del nostro essere piscinolesi del terzo millennio! 

Auguri Piscinola, e auguri a tutti i lettori che si chiamano "Salvatore"! 
Viva Gesù Salvatore, protettore di Piscinola!
Salvatore Fioretto

Il presente approfondimento storico è da considerarsi una integrazione di ricerca al capitolo contenuto del libro "Piscinola, la terra del Salvatore", in merito all'identificazione dell'"Isola del Salvatore" e sulle origini del culto a Piscinola per il SS. Salvatore. 
 

martedì 28 luglio 2020

Alfonso de' Liguori, un Santo, un uomo, che fu anche dotto grammatico e delicato poeta, nel secolo dei Lumi...!

Portale della cappella di S. Alfonso a Marianella
Ci apprestiamo a festeggiare l'annuale ricorrenza del "Dies Natalis", ovvero della nascita al cielo, di colui che viene evocato con la celebre massima: "...il più Santo tra i napoletani e il più napoletano tra i santi", ossia di Alfonso Maria de Liguori, che come è noto morì a Pagani di Nocera, l'1 agosto 1787. Tanti aspetti della sua lunga e intensa vita abbiamo già messo in risalto su queste pagine di Piscinolablog, aspetti che riguardano soprattutto le sue virtù umane, artistiche e intellettuali; a dire il vero sono delle qualità non comuni per un uomo del suo tempo, ma Alfonso seppe essere ragazzo prodigio e uno studente assiduo, ben avviato dai suoi cari genitori, allo studio delle discipline storico-umanistiche, al discernimento dei trattati filosofico-letterari, nonchè allo sviluppo dell'ingegno scientifico e artistico. Abbiamo già parlato di Alfonso scrittore, del pittore, del musicista, del compositore di canzoni, dell'insegnante di aritmetica, del zelante avvocato e del promotore del presepe napoletano. In questo post che dedichiamo al Santo di Marianella, parleremo di Alfonso insegnante di grammatica e poi, anche, di Alfonso raffinato poeta e cantore della natura e del creato...
Nell'anno 1750, Alfonso diede alle stampe un compendio di grammatica, destinato all'insegnamento dei novizi che si accostavano alla congregazione del Redentore da lui fondata, il libricino s'intitola: "Alcuni brevi avvertimenti per la lingua Toscana". La nascita di questa piccola ma significativa opera ha un curioso percorso storico che raccontiamo, prendendo spunto da uno scritto di padre Oreste Gregorio, pubblicato su “S. Alfonso”, rivista mensile di apostolato alfonsiano (anno XI novembre 1940, num.11):
"S. Alfonso dimorava nel 1746 a Deliceto mezzo a un folto gruppo di discepoli, tra cui diversi giovinetti, ammessi da poco nel suo Istituto missionario. Ad essi occorreva un maestro. Ebbene l'infaticabile Fondatore, sottraendo qualche ora ai gravi studi di Teologia morale sulla Medulle del Busembaum, con paterna bontà si assise tra i banchi scolastici per insegnare geografia e aritmetica.
Compendio di grammatica di S. Alfonso, ed. 1830
Né ricusò di spiegare ai suoi cari birichini gli elementi della lingua italiana, nel cui avviamento non sì attenne al comodo metodo coevo, che pretendeva far germinare l'idioma nostro gentile da quello latino con guazzetti spesso goffi e temerari. (Sono note le proteste del Soresi, amico del Parini, contro il comune procedimento sbagliato).
E messo da parte il famoso Portoreale, si accinse al duro lavoro, ispirandosi alle classiche tradizioni nostrane. Egli non aveva avuto nell'adolescenza una salda formazione grammaticale: il suo pio precettore Don Domenico Buonaccia (1) restò evidentemente rannicchiato nel guscio dei criteri ormai invalsi, dando tutte le deprecate preferenze al latino, ligio a logore formole empiriche. S. Alfonso non si fermò neppure al manuale stampato. Con un coraggio che stupisce prese a consultare le grammatiche più celebri, quei grossi tomi capaci di far sbadigliare i meno pigri. E stava sulla cinquantina. Non aveva ceduto alla tentazione di razzolare in talune prefazioni di vecchi dizionari : sistema a quel tempo generale, benché una tal maniera d'istruirsi sembrasse al Vico scioperata. Le lezioni limpide e brevi piacquero: alcuni degli allievi intelligenti, Tannoia o Landi, dovettero con insistenza pregare il santo maestro a riunirle in un libro. Gli appunti coordinati vennero alfine fuori da una stamperia di Napoli, quando tutti, più o meno, balbettavano, secondo l'improperio di V. Alfieri."
Per fare un commento sintetico del contenuto dell'opera, prendiamo in prestito ancora lo scritto di Padre Gregorio:
"Il trattatello non ha nessuna pretenzione scientifica, né assume alcun tono: comprende dieci capitoletti 1) dei pronomi ; 2) degli articoli e preposizioni ; 3) dei verbi ; 4) dei nomi e degli avverbi ; 5) degli accenti ; 6) dell'apostrofo ; 7) delle lettere maggiori ; 8) dei punti e virgole ; 9) del dividere le sillabe ; il 10) tratta di  alcuni avvertimenti particolari per lo scrivere latino>.
Il prospetto indica da sé il sano criterio adottato dall'autore, il quale avvisa con semplicità di aver ricavati i precetti dal Salviati, dal Buommattei, dal Cinonio, dal Facciolati, dal Maiello. Tra i nomi segnati sul frontispizio incontriamo con piacere i più operosi ed onorati.
Sant'Alfonso, anche in questo campo, non si attaccò ai panni d'un unico maestro, né aderì all'esperienza di una scuola. Nell'elenco ci sono due fiorentini, un forlivese, un padovano e un napoletano: per essere completi bisogna aggiungervi P. Segneri e il Muratori, l'autorità dei quali vien posta in rilievo a proposito della congiunzione <perché>.
A prima vista si coglie l'intento precipuo dell'autore: evitare le discussioni oziose, che rendevano lo studio grammaticale un vero fastidio con la ridondanza eruditiva, ed enunciare i precetti, necessari per bene scrivere, con chiarezza e precisione. Non ha la ricchezza di particolari del Corticelli (Regole ed osservazioni della lingua toscana, Bologna, 1745), ma in molte questioni la risoluzione è identica.
Il libretto riuscì, senza dubbio, una novità: negli ambienti cristallizzali suscitò anche un certo scalpore. Nei Seminari si venerava il metodo di Claudio Lancelot: né mancavano sul lido di Napoli i fantastici, che pensavano all'opera bizzarra dell'accademico lunatico Partenio Tosco intitolata "L'eccellenza della lingua napoletana con la maggioranza sopra la toscana".
I Brevi avvertimenti parvero intentare una riforma. Agili e umili, senza rumore, apportarono un non trascurabile contributo alla restaurazione letteraria. I critici nella colluvie delle attuali grammatiche possono non tenerne conto, ma per il '700 era un altro affare.
Nella parte puramente dottrinale S. Alfonso si attiene, assai spesso, al Buommattei, riguardato siccome il padre della grammatica italiana: in quella lessicale preferisce il Facciolati, suo contemporaneo, che nel 1721 pubblicò la preziosa Ortografia moderna italiana per uso del Seminario di Padova. Né si astiene dal discutere le opinioni divergenti, lasciandosi guidare nella scelta dall'uso vivo. Anche a lui il popolo apparve come un legislatore della lingua più attendibile d'uno scrittore vissuto in altro secolo o d'un'Accademia chiusa in quattro pareti odoranti di muffa. Tale felice intuito salvò la sua prosa ascetica da ogni determinato manierismo, come se ne cacciava allora alle falde del Vesuvio!
Trattando della ripetizione dell'articolo dinanzi ai sostantivi, il santo grammatico scrive testualmente : <Dice il Buommattei che quando alla prima parola v'è l'articolo, si dee replicare alla seconda. All'incontro quando non v'è alla prima, non si dee mettere alla seconda, v. gr.: il padre e la madre: non già: il padre e madre. Ma all'incontro dice il Salviati che ben alle volle l'articolo del primo nome può servire al secondo, ancorché di genere diverso, secondo l'esempio di Giovanni Villani: E poi que' della lega colla volontà e procaccio de' Fiorentini; cioè: colla volontà e col procaccio> (Avvertimenti, cap. II). In pratica egli segue il consiglio del Buommattei, considerando quasi come una eccezione il modo del Salviati.
Alfonso in giovane età, dipinto conservato nel museo alfonsiano
In una questione di ortografia si esprime cosi: «Si può dire  si che, né pure, come che, ed ancora: sicché, neppure e comeché. Quando si uniscono dunque le due parole, e la prima è accentuata, si hanno da raddoppiare sempre le lettere con fare: acciocché, sicché, neppure, perocché. Ma quando la prima parola non è accentata, si scrive senza raddoppiar la lettera, come: poiché, comeché, oltreché. Sebbene dica Facciolati che anche possono raddoppiarsi le lettere, scrivendo: comecché, oltrecché. Ma è meglio e più usato il non raddoppiarle» ("Avvertimenti, cap. V").
S. Alfonso prima del 1750 usò il raddoppiamento della consonante in tutte le congiunzioni, come in "Considerazioni su S. Teresa" (1743) e "Riflessioni utili ai Vescovi" (1745): dopo il 1753 adottò la maniera più usata di comeché, quantunque il senese P. Bandiera nel suo procelloso "Gerotricamerone" continuasse per la vecchia via di comecché. Per colpa di editori modernissimi sono scomparsi da alcuni libri di S. Alfonso «veduto e vivuto». Invece era precisa la sua volontà ortografica. «Ho veduto, non visto; vivuto, non vissuto > (Avvertimenti, cap. III).
Cappella S. Alfonso nella casa natale a Marianella, foto '900
A tal proposito il Corticelli notava: «Il verbo vivere fa vivuto, presso gli antichi visso e presso il Salvini vissuto, ch'è maniera più frequente ma men regolata» (Lib. I, cap. 43). «Veduto, soggiunge il Facciolati, in prosa é più, usato che visto». Basilio Puoti più tardi rilevava: «Visto si usa poco in prosa». Del resto Manzoni nella prima stesura del suo romanzo adoperò veduto.
Le poche citazioni sono sufficienti a Illuminare sulle altre pagine del caratteristico libretto, che in gran parte non pare ancora antiquato. E' un vero peccato che gli stampatori ignoranti abbiano non di rado posto in contradizione lo scrittore col grammatico! Per conoscere un po' le afflizioni di S. Alfonso bisogna svolgere il suo Epistolario. Nel 1763 scriveva dolente al Remondini: «In Napoli povere quell'opere che si Fanno rivedere a chi non è l'autore!» Gli errori si accumulavano ed erano lanciate sul mercato delle edizioni scellerate, come testimoniava Giustiniani nel "Saggio storico-critico sulla tipografia del regno di Napoli" (Napoli, 1793).
S. Alfonso nel dettare i suoi libri ascetici non amava i fiorami e i merletti del bello stile, ma non odiava la grammatica. E neppure l'ignorava. Rifuggiva dal periodare sgangherato, dalla goffaggine delle frasi... Nella sua prosa non c'è il periodo tormentato come nel grandissimo Vico o carezzato come nel Tornielli, chiamato il Metastasio del pulpito. Nè suppongo che il Barelli avrebbe potuto ripetere a S. Alfonso quel che nel 1763 diceva al Genovesi: «Quando scrivi le tue sublimi Meditazioni, lascia scorrere velocemente la penna, lascia che al nominativo vada dietro il suo bel verbo, e dietro al verbo l'accusativo senz'altri rabeschi, e lascia nelle Fiammette e negli Asolani e ne' Galatei e in altri tali spregevolissimi libercoli i tuoi tanti conciossiacosaché e i perocché e gl'imperciocché e i verbi in ultimo e l'è tra un adiettivo e l'altro...».
Il Dottore zelantissimo non ha simili smorfie di lingua, che sono in fondo raccattature.

Piazza Marianella con museo e campanile della cappella di S. Alfonso, foto anni 2000, antemodifiche
Ecco alcune parti dell'opera, estratte a caso, tanto per mostrare al lettore come Alfonso enuncia le regole di grammatica:
"Capo VI – DELL'APOSTROFO
L'apostrofo si pone quando s'incontrano due medesime vocali: l'amara doglia, bell'odore, ec.; ma quando non sono le medesime, è meglio usare due vocali: santa invidia, bello ingegno, ec.; benché non è errore scrivere ancora bell'ingegno, sant'invidia. E quando le due vocali fanno mal suono, sempr'è meglio mettere l'apostrofo, scrivendo l'invidia, l'incontro, l'uomo, e così anche nelle parole questo, quello, santo, grande, è meglio dire quest'uomo, sant'uomo, grand'uomo, ec. che questo uomo, ec.
Nelle parole ognora, sinora, talora, ognuno, qualora non si mette l'apostrofo, ancorché sieno due parole, come né anche sulle parole pel, tral, fral, sul, col, nel. 





Capo VII - DELLE LETTERE MAGGIORI

Deliceto (FG). Antica foto della Casa Redentorista
La lettera maggiore si mette sempre che si fa da capo o dopo il punto, ed anche dopo i due punti quando si cita l'autorità di qualche scrittore o il detto d'alcuno, per esempio disse: Io sarò sempre lo stesso. Rispose: E quando mai ec. Si mette per 2. in tutt'i generi e specie naturali e spirituali: Angeli, Demonj, Uomini, il Leone, l'Oro, ec.
Per 3. Comunità, Senato, Capitolo, Congregazione, Popolo, Clero, Concilio, Città, Paese, Provincia, Esercito, Parlamento e simili.[...]

Capo VIII – DE' PUNTI E VIRGOLE
Avvertasi che le seguenti regole spettano così alla lingua italiana come alla latina.
La virgola significa solamente interrompimento, onde si mette avanti l'e o l'o o né quando il senso è diviso, v. gr. voglio saper scrivere latino, e almeno leggere greco; non voglio scrivere a Pietro, né leggere le sue lettere; ma non si mette, secondo l'uso moderno, quando il senso è congiunto: voglio prima conoscerlo e vederlo; non mi fido né di scrivere né di leggere. [...]
                 ------------------------------------------------ <  O  >  -----------------------------------

E veniamo ora ad Alfonso poeta. Lo racconteremo attraverso lo scritto di Padre Mario Giordano: "La poesia della natura in S. Alfonso" (Pubblicato sempre su “S. Alfonso”, anno XI novembre 1940, num. 11); il nostro relatore descrive, in maniera ineguagliabile,  la grandezza poetica di Sant'Alfonso:
"E sempre vero che il poeta manifesta tutta la propria anima secondo che la natura, maestra dei maestri, a lui parla nel suo arcano linguaggio. E la natura parla al cuore e alla fantasia del poeta con un fascino irresistibile! Ogni cosa che in essa si trova è un motivo, uno slancio a cantare: un ruscello che scorre sperduto tra i boschi, un tramonto, un uccellino che pigola son atti a far vibrare le corde più intime.
Più si conosce la natura, più s'è poeta.
Stemma di Sant'Alfonso, vescovo di S. Agata dei Goti (BN)
I Santi di Dio che sono i conoscitori migliori della natura, sono i poeti autentici. Davide sulle vette luminose di Sion o nelle fertili pianure di Saron, prorompeva in quei salmi, in cui le stelle, le acque ed i fiumi elevano grandiosi inni al Creatore: S. Francesco d'Assisi nelle fresche foreste della nativa Umbria, ugualmente commosso, chiamava il vento, il fuoco, le allodole, gli alberi per lodare insieme il Signore. S. Alfonso, mistico cantore partenopeo, non rimane inerte tra le bellezze circostanti: come i vati ispirati dell'Oriente, come i pii aedi Umbri anch'egli canta sotto il magico cielo della sua Compania.— Ebbe anima veramente poetica, per cui amò la natura e cercò nei suoi fenomeni godimenti puri e sante elevazioni spirituali. Oh: quante volte si sottrasse allo sguardo delle moltitudini por trovare nella campagna silente, sotto l'ombra di alberi annosi, una parola grande e solenne...!
Sulle pittoresche rocce di Amalfi, negli olezzanti prati Nocerini, nel sorriso del cielo e del mare di Napoli sentì inebriante la presenza di Dio. Per questo in un aureo trattatello intitolato: "Modo di conversare alla familiare con Dio", scriveva: <Quando voi guardate campagne, marine, fiori, frutta che vi rallegrano con la loro vista o col loro odore, dite: Ecco quante cose belle, quante creature Iddio ha creato per me in questa terra, acciocché io l'ami... Quando mirate fiumi o ruscelli, pensate, che come quelle acque corrono al mare e non si fermano, così voi dovete correre sempre a Dio ch'è il vostro unico Bene..., quando udite uccelli che cantano, dite: anima mia, senti come questi animaletti lodano il loro Creatore; e tu che fai?  
La natura spiega dinanzi al tuo sguardo le pagine d'un volume meraviglioso, nel quale la bontà, la sapienza, la dolcezza di Dio si squadernano. Gli elementi naturali sono come tanti fratelli, che assurgono alle strofe alate d'una soave canzone d'amore. 
Fu un mattino primaverile, forse del fiorente maggio, che si svelò al Santo il panorama di Scala nel suo radioso e carezzevole incanto. I vetusti monti Camensi verdeggianti, le ridenti valli coi ringiovaniti castagni stormenti e i prati morbidamente ricoperti di odorose erbe dovevano rapire Alfonso in quell'alba mite, mentre allegri stormi di uccelli svolazzavano cinguettando insolitamente. Dinanzi a tale spettacolo come non vibrare l'anima sua naturalmente poetica? come non sentirsi inebriato? 
Se ci fossimo trovati presenti alla grande scena dietro il ciglione di qualche viuzza, che da S. Maria dei Monti mena alla Cattedrale, avremmo visto Alfonso giulivo ora posare le pupille sul tranquillo Tirreno, ora elevarle in alto e guardare un quadro infinitamente migliore. Lassù, in quella regione azzurra, contemplava il suo Dio e la Madre di Lui. Nella pienezza dell'amore che l'inondava, sentì potente il bisogno di sfogarsi nel canto e cantò:

"Su lodate, o valli, o monti,
prati, erbette, fiumi e fonti.
La più bella Verginella
ch'abbia fatto Il Creator...".

Chiesa di Marianella e Congrega, foto anni '50 ca.
Come il Salmista, come Francesco d'Assisi invita le creature ad unirsi al suo inno ardente. Nel suo impeto abbraccia gli esseri più attraenti della natura e dolcemente li trascina a cantare. Ma le valli, i monti, i prati e i fiumi non sembrano soddisfarlo a pieno. Con amabile apostrofe chiama ancora i rigagnoli e gli uccelli ad accrescere quel coro imponente:

"Ruscelletti, mormorando
ed augelli, voi cantando
alla vostra gran Regina
Ancor voi, su fate onor."



Parla quasi Alfonso con gli elementi della natura e li ritrae con si squisita forma che sembra proprio ascoltare il mormorio gaio di quei ruscelletti, le cui limpide acque ora scorrono placide tra due rive di erbette, ricamate da mille fiorellini integri, ora sormontano gorgogliando un mucchio di ciottoli per scomparire sotto verdi cespugli. Al richiamo iterato le valli si ridestano dalla loro abituale armonia, i monti che si elevano nell'azzurro si scuotono dalla eterna meditazione dell'infinito, le aure sospendono i loro fremiti. In quel mirabile silenzio, il poeta si aderge felice e confida gli slanci del suo cuore agli esseri che pendono dal suo labbro.
Un tale carattere della poesia di Alfonso induce a pensare che Egli sia un poeta popolare dei primi secoli, nato per sbaglio nel '700. I suoi compagni non sono Marini, Maggi e Rolli, ma Dominici, Bianco da Siena e S. Francesco, il quale in mezzo al coro delle acclamazioni degli esseri a Dio stava nella solenne letizia dell'estasi come un musicista tra le armonie dei suoni."

Statua reliquario di S. Alfonso conservata nella cappella dedicata al Santo, nella chiesa di Pagani (SA)
Alfonso, da ragazzetto, fece voto di impegnarsi durante la sua vita per fare solo cose importanti a servizio della sua fede e di non perdere mai tempo inutilmente e così, a distanza di 233 anni dalla sua morte (ricordiamo che morì ultranovantenne), Egli continua a stupirci, soprattutto quando scopriamo i frutti dello scibile del suo sapere e della sua cultura, che gli hanno consentito di generare opere, per contenuto creativo e d'intelligenza, molto significative; solo per le sue qualità di scrittore e di teologo merita un capitolo a parte e non per altro è stato riconosciuto "Dottore della Chiesa Universale". La sua vita è stata tutta imperniata su una continua sperimentazione e su una continua applicazione di concetti e di pratiche innovative, in ogni campo, perfino nell'architettura, ma sempre con il precipuo scopo di porsi a servizio dei tanti poveri e del popolo, i quali, altrimenti, non avrebbero potuto accedere alla cultura e alla conoscenza. Alfonso è stato innanzitutto un grande uomo, un uomo moderno, anticipatore del progresso e della libertà della cultura, nel bel mezzo del secolo dei Lumi!
Salvatore Fioretto

Nella ricorrenza del Santo, la redazione di Piscinolablog porge gli auguri al quartiere di Marianella e a tutti i suoi abitanti, e in particolare a coloro che portano il nome di Alfonso. Buona festa a tutti voi!!