domenica 6 novembre 2016

"'A ruta ogni male stuta!".... Pratiche e rimedi curativi in uso nella civiltà contadina...




Indagando sui costumi della civiltà contadina del territorio posto a nord di Napoli, in particolare di quello piscinolese, scopriamo diverse pratiche e rimedi usati in passato per curare malanni o lievi indisposizioni del corpo: alcuni di essi erano molto “alla buona”, privi quindi di fondamento scientifico, mentre altri erano naturali e soprattutto efficaci.
Ai bambini che avevano avuto uno spavento (vermenata) si soleva far indossare loro, per una sola notte, una collana interamente composta da spicchi d’aglio; si riteneva che in questo modo si impedisse la formazione dei vermi (tenie). Per i casi più ostinati e ricorrenti, ci si affidava alle pratiche della “verminara”
Nel libro "La nascita - Usi e riti in Campania e nel Salento", ed. FEU di T. Pasquali Coluzzi e L. Crescenzo, a pag. 66, è  ricordato: "... E a Piscinola, e nei dintorni di Napoli, negli anni sessanta, c'era ancora Rusinella, a calmare i "vierme". Se ne ricorda la signora Maria B. che, in braccio alla madre, la guardava, con una certa diffidenza, tracciare strani ghirigori sulla sua pancia e l'udiva cantilenare in una specie di "susurrus" magico, misteriose formule".
Le infiammazioni del cavo orale, come gengiviti e mal di denti, si curavano eseguendo delle applicazioni locali di foglie di lattuga (lattughella), precedentemente bollite in acqua.
Per curare le ferite da taglio si applicava una medicazione preparata alla buona, a base di ragnatele (‘a felìnia), verificando prima se l’oggetto causa della ferita fosse arrugginito o meno: poiché era credenza diffusa che la presenza della ruggine determinasse l’insorgenza del tetano. 
Lo scienziato Vincenzo Tiberio
L’utilizzo delle ragnatele per curare le ferite infette può sembrare a primo impatto improprio, ma in realtà si è dimostrato che esso ha un fondamento scientifico, in quanto le ragnatele raccolte nei luoghi umidi e bui, come le cantine, potrebbero aver contenuto delle muffe benefiche, capaci di curare le infiammazioni.
In sostanza gli antichi avrebbero anticipato di parecchi secoli la scoperta scientifica della Penicillina! Infatti, nell'anno 1895, il medico e scienziato Vincenzo Tiberio, proprio nella vicina cittadina di Arzano, eseguì delle ricerche sul potere delle muffe, anticipando di ben trent'anni gli studi di Fleming che gli valsero il riconoscimento del premio Nobel alla Medicina. 
Gli studi di Tiberio furono pubblicati su “Annali d’Igiene Sperimentale“, prestigiosa rivista scientifica italiana, sotto la supervisione dell’Istituto d’Igiene della Regia Università di Napoli, purtroppo non ebbero il giusto riconoscimento, per l'importanza della scoperta, dalla comunità scientifica italiana e internazionale dell'epoca.
Nei casi di slogature agli arti si eseguivano delle bendature rigide, tipo manicotti, utilizzando come supporto la “stoppa”, impregnata di albume d’uovo e di ragnatele ammuffite. Con l’essiccazione della parte umida dell’uovo, i manicotti si indurivano, riuscendo in qualche modo ad immobilizzare gli arti.
Noci e Nocillo
Per combattere la colite e il mal di pancia si applicava sull’addome una “borsa” di acqua bollente, perché, come si sa, il caldo aiuta a lenire il dolore.
Le difficoltà di digestione venivano superate assumendo un bicchierino di “nocillo”, la sera prima di andare a dormire. Il latte fresco era, invece, considerato un ottimo antidoto nei casi di intossicazione alimentare.
I casi di stitichezza erano risolti mangiando, durante la colazione del mattino, alcune prugne cotte al forno. Le prugne utilizzate per questa pratica curativa erano anche conservate in vasetti di vetro e in grado di durare per l’intero inverno.
Aglio
In caso di ingestione accidentale di lische di pesce si mangiava la mollica di pane. Gli episodi di tosse causati dal rigurgito di saliva o di cibo, si risolvevano con un’energica pacca sulla schiena del malcapitato. Se questi era un bimbo, lo si faceva distrarre con frasi fantasiose, tipo: “Guarda in alto l’uccellino...”, “’A vecchia ‘ncielo…!”, ecc.).
I denti “di latte”, quando cadevano, dovevano essere depositati in un nascondino, che poteva essere anche un piccolo foro in un muro. Il dente doveva essere posizionato con cura dallo stesso bimbo, recitando questa cantilena dedicata a Sant’Antonio Abate:

Sant’Antuono, Sant’Antuono,
Pigliet’ ’o viecchio e damm’ ’o nuovo;
E dammillo forte forte,
Quanno me ròseco ‘sta varr’ ’e porta.

Il nascondino doveva essere sempre lo stesso per gli altri denti, che sarebbero caduti e doveva rimanere segreto: solo cosi sarebbe cresciuta una bella e sana dentatura!
Nei casi di urti alla testa, si dovevano applicare subito, sulla zona ferita, alcune fette di patate, o mollica di pane bagnata in acqua fredda e poi strizzata. La zona doveva essere opportunamente compressa con le mani. Si riteneva che in questo modo non si formassero quei vistosi rigonfiamenti della cute. 
La testa doveva essere fasciata con una spessa bendatura, chiamata ‘a scolla, la quale, applicata molto stretta, dava la sensazione di attutire il dolore. Tutt’oggi si suole dire l’espressione un po’ sarcastica:

…Tengo ‘e scolle nfronte!

Per indicare la presenza di problemi che fanno soffrire, paradossalmente e per paragone, come un mal di testa….! Anche per curare l’emicrania si eseguiva una bendatura alla testa, interponendo però foglie fresche di limone o fette di patate.
Cespuglio di Ruta in fiore
Le patate erano applicate anche sulle palpebre degli occhi, nei casi di abbagliamento. Mentre le cipolle (oppure le superfici metalliche di monetine o di lame di coltelli) si utilizzavano per lenire le zone del corpo punte da api o da altri insetti.
Per lenire i dolori reumatici e quelli muscolari si praticavano degli energici massaggi con tintura a base di alcol e canfora (o foglie di eucalipto), oppure a base di olio di oliva e ruta. Qualcuno usava anche l’acqua o l’olio benedetto.
La tintura a base di ruta veniva utilizzata soprattutto per curare il mal di gola, ungendo dolcemente il collo e coprendo successivamente la zona con un panno nero. La tintura si preparava ponendo gli ingredienti sopra un grosso cucchiaio e riscaldando il tutto sulla fiammella di una candela. Per sottolineare le grandi proprietà curative della pianta di ruta, gli anziani recitavano questo detto:

‘A ruta, ogni male stuta,
tranne pe’ jetteche e lli mali furute…!

Vale a dire: “La ruta sana ogni malattia, tranne la tubercolosi e le gravi ferite”.
Le bronchiti, le vene varicose e le altre infiammazioni venivano curate con i “salassi”, attraverso l’applicazione di sanguisughe (sanguette) su alcune zone del corpo del malato. Questi insetti, utilizzati fino a qualche anno fa anche negli ospedali pubblici, erano prelevati dai loro habitat naturali, costituiti da stagni e pantani.
vite con tralci e uva
Le antiestetiche verruche sorte sul viso e sul collo (porri), erano eliminate ricorrendo alle pratiche dell’immancabile “vecchietta” taumaturga del posto, la quale, recitando alcune litanie, provvedeva a strofinare tre fagioli su ognuna di queste anomalie. I fagioli venivano poi nascosti in un luogo ritenuto segreto. Si diceva che quando i fagioli marcivano, le verruche “trattate” scomparivano definitivamente… Con la linfa ricavata dal taglio delle viti qualcuno riteneva di curare le calvizie precoci.
Altre essenze botaniche utilizzate nelle cure di malanni venivano ricavate dalle foglie di sorbo, dalle foglie di ortica e da alcune parti della pianta di granoturco.
I bambini malati di “Pertosse” (tossa cummerziva, ossia “tosse convulsiva”), venivano portati (“esposti”) nelle stalle, perché l’aria umida respirata in questi luoghi era ritenuta, anche secondo alcuni medici, favorevole alla guarigione.
La diffidenza degli anziani verso la medicina ufficiale è molto antica ed è chiaramente espressa nelle parole di questo antico proverbio:

Dicette ‘o mmiereco, chest’ è ‘a ricetta
e che Ddio t’ ’a manne bbona…!

Al termine di questo racconto è obbligatorio sottolineare che le pratiche curative qui descritte, frutto di semplici deduzioni o intuizioni della civiltà contadina, non sono suffragate da verità scientifica e non sono da prendere da esempio per improvvisare cure mediche e rimedi, ma occorre far riferimento sempre alla medicina ufficiale.
Salvatore Fioretto

Racconto in gran parte tratto dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni" di S. Fioretto, ed.The Boopen, anno 2010. 


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Raccolta di aglio in un dipinto antico

domenica 30 ottobre 2016

Un "Nuovo Cinema Paradise"... anche a Piscinola!

Le vicende narrate nel film premio Oscar “Nuovo Cinema Paradiso” sono comuni a molte località periferiche del sud. I miei ricordi risalgono a qualche anno dopo quelli narrati in quel film, ma non se ne discostano molto. A Piscinola avevamo ben tre sale cinematografiche: il cinema "Selis", il cinema "Europa" ed il cinema "Avvenire". Quest'ultimo in realtà si trovava nel territorio di Miano, ma da noi bambini piscinolesi, considerato “nostro”, anche se aveva una controindicazione: si trovava subito dopo l'incrocio tra via Vittorio Veneto e via Miano-Agnano, un incrocio che all'epoca era considerato “pericoloso”, tanto da essere segnalato con un semaforo lampeggiante e sospeso nel mezzo del crocevia. Sicchè, al cinema Avvenire si poteva andare solo se si era accompagnato da un adulto. 
Il cinema Selis nei miei primissimi ricordi era un cinema scoperto, oggi si direbbe "drive-in", il pavimento era fatto di brecciolino e le sedie erano di legno e pieghevoli. Si chiamava “Arena Azzurra” e spesso la sera andavo a casa di un mio amichetto che abitava proprio di fronte per vedere a sbafo le immagini che si muovevano sullo schermo. Sembra strano, ma ci sembrava di assistere ad uno spettacolo meraviglioso. Era l'epoca dei “Colossal”, tipo “Ben Hur” o “I dieci Comandamenti”. Con Ciarltòn Estòn era da noi storpiato il nome del protagonista... Come pure: Audi Murpìn, Gari Cupèr o Giòn Vaine...
La domenica era il giorno dedicato al cinema. I cartelloni pubblicitari erano affissi “for''a vianova” (via Vittorio Veneto), sul muro di fronte all'allora "Bar Abbatiello", proprio sopra al basso dove una simpatica vecchietta vendeva giocattoli e caramelle. Aveva lenti spessissime ed era conosciuta come “a Cecatella”. Generalmente davano due film oppure “Un Grande Film”, come recitava la locandina. 
Frotte di bambini provenienti da “miez''a Piscinola”, si fermavano in quell'angolo per decidere quale film scegliere. 
Spesso le discussioni erano anche animate, ma ricordo che quasi mai ci si divideva, e si finiva sempre per andare tutti a vedere lo stesso film. 
Il costo del biglietto era di 120 lire, ma spesso ci si addentrava in estenuanti trattative per cercare di risparmiare qualcosa e poter così comprare qualche caramella. 
Ricordo che la cassiera del cinema Europa era una ragazza bellissima, che non avevamo mai visto a figura intera, solo a mezzobusto dietro la cassa, come le annunciatrici della allora nascente televisione. Spesso ci faceva risparmiare, o faceva segno a don Gaetano, la maschera dai capelli foltissimi e crespi (qualcuno lo ricorderà sicuramente), di far entrare il più piccolo di noi, anche senza biglietto.
Anche il proprietario del Selis (che, a proposito di attori dell'epoca, somigliava a Robert Ryan), spesso ci faceva risparmiare qualcosa. Di contro la maschera del cinema Selis era severissimo, si chiamava Benito, e veniva a scovare fin nei gabinetti quelli che erano riusciti ad intrufolarsi senza pagare il biglietto. "...Ci ha fatto trasì 'o Marisciallo!", ci giustificavamo noi...; così era chiamato il proprietario del cinema. Non ho mai saputo a quale "arma" fosse maresciallo il signor Selis...
Per incentivare l'affluenza dei giovanissimi e di chi non aveva tante risorse, il giovedì il cinema Selis faceva pagare il biglietto 80 lire. E, in regime di sana concorrenza, il venerdì replicava il cinema Europa, che praticava un super sconto, facendo scendere il costo del biglietto addirittura a 60 lire...!!
A luci rigorosamente spente, per evitare che qualche conoscente ci vedesse fumare e “portasse spia” ai nostri genitori, accendevamo una delle due sigarette (una per ogni "tempo") che avevamo comprato; erano: una "nazionale" e una "esportazione", che all'epoca si vendevano anche sfuse, 11 lire più 9 lire, giusto 20 lire... 
Quando il cinema era molto affollato e c'erano solo posti in piedi (come indicava un cartello luminoso presso la cassa: "Solo posti in piedi"),  andavamo a caccia di “chiattoni”... (persone con taglie abbondanti), questo capitava specialmente quando si proiettavano i cosiddetti "musicarelli", con protagonista principale il cantante Gianni Morandi. Non ci crederete, ma un "chiattone" valeva tanto oro quanto pesava...! Perché gli vendevamo il posto a sedere. Poi ci mettevamo alla spasmodica ricerca di un altro posto e di un altro "chiattone"...! Spesso si stabiliva una specie di asta tra più possibili acquirenti. Era la nostra fortuna, perché ci potevano scappare anche i soldi della pizza all'uscita dal cinema. 
I generi cinematografici che andavano per la maggiore a Piscinola erano identificati con nomi tutti nostri e particolari. “I forzuti” erano i film di Ercole, Maciste e Ursus. I film di "Cappa e Spada" erano da noi chiamati i film di “spadaccini”. I "Western" erano i film di “cauboi”... Il protagonista era identificato con “isso”. Se capitava di entrare in sala a proiezione già iniziata, si chiedeva al vicino di sedia: “Chi è isso?”, per cercare di capire qualcosa della trama...
Uno dei Western che mi entusiasmò da bambino si chiamava “Tamburi lontani”, con il protagonista Gari Cupèr impegnato in un duello di coltello, immerso nel fiume contro il capo indiano. Recentemente ho scoperto che quello era un film del 1951, il mio stesso anno di nascita. Siccome ricordo bene quel film, come ricordo pure di esserci andato con gli amici e non con i genitori; dovevo avere almeno una decina di anni... Il che significa che all'epoca un film continuava a restare nelle sale per almeno dieci anni. Oggi una pellicola, anche se è un grande film, è un miracolo se raggiunge i dieci giorni di programmazione...!
Il cinema Selis rimase in attività forse fino al terremoto del 1980, perché ricordo che verso la fine degli anni '70 si trasformò in una specie di "cinema d'essai", dove venivano proiettati solo grandi film. Ricordo di avervi visto “Taxi Driver” che è un film del 1976. La sala era riscaldata da una enorme stufa a legno, dove spesso ci si accalcava quando il freddo diventava insopportabile. 

L'Europa ed il Selis avevano anche il palco, per cui non era raro poter assistere anche a spettacoli teatrali e le famose sceneggiate napoletane. Al Selis ricordo che si esibirono gli Showmen di Mario Musella, ed una volta fu anche allestito un incontro di boxe, col ring montato al centro della sala e che vide sicuramente protagonista qualche pugile locale, che, come ben sappiamo, a Piscinola, non sono mai mancati. 
Pasquale Di Fenzo

La redazione ringrazia l'amico Pasquale di Fenzo per quest'altro bello e appassionato racconto, scritto per le pagine di Piscinolablog"; ci auguriamo che non sia l'ultimo di una serie di tanti racconti qui pubblicati. Gli altri racconti di Pasquale possono essere cercati e letti tra i post del blog... Grazie Pasquale!



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