domenica 9 settembre 2018

Quel Poggio tanto amato da re Carlo di Borbone!


La collina di Capodimonte, che per tanti secoli ha fatto da contraltare naturale al panorama della città, si erge in mezzo alle colline di Poggioreale e di Sant’Elmo, ma, nonostante questa posizione predominante sulla città, essa è sempre stata poco valorizzata, con opere di interesse di Stato, dalle varie dinastie che si sono succedute nei secoli alla guida del Regno o Viceregno di Napoli, prima del XVIII secolo.
Con l’avvento della dinastia dei Borboni, questo sito, come vedremo, diventerà un "baricentro" del nascente Regno, almeno fino al completamento della reggia di Caserta.
Carlo di Borbone, figlio del re di Spagna, Filippo V e di Elisabetta Farnese, ebbe a ereditare, per l'abile diplomazia materna, il ducato di Parma e Piacenza, ma, poi, grazie a una serie di eventi storici a Lui favorevoli, riuscì a conquistare il regno di Napoli, nel maggio del 1734, allora in mano agli austriaci da circa 30 anni, con un traballante viceregno.
Con Carlo le sorti di questa collina cambieranno radicalmente, fino ad ospitare la prima residenza reale voluta dal giovane monarca, assieme al giardino e al boschetto, adatto per soddisfare il suo vezzo per la caccia. Seguiranno poi le regge di Portici, San Leucio e Caserta, e i casini di caccia di Carditiello, Fusaro, Licola e tanti altri.
Conosciuta fin dall’antichità, con il toponimo di Ara Vetus, qui in periodo medioevale era presente un piccolo villaggio, chiamato Ianula, purtuttavia il sito di Capodimonte, con il suo circostante distretto e Casali, erano penalizzati a causa della tortuosità della vie di accesso dalla città, che erano per lo più antichi letti di torrenti o ruscelletti, che defluendo da secoli avevano scavato dei percorsi nel tufo giallo napoletano, utilizzati poi come vie di comunicazione, tra cui lo Scudillo, alla Sanità e il Moiariello, ai Vergini/Sanità.
Capodimonte era (e lo è tutt’oggi) un luogo ameno e incantato, dai cui terrazzamenti e risalti naturali si poteva godere un magnifica veduta del golfo, diremo quasi a "180 gradi", includendo le viste di Sant’Elmo, dei Camaldoli, di Capri, di Sorrento, di Monte Faito, del Vesuvio, fino alla catena dei monti Lattari, ma non era per niente agevole raggiungerlo! Proprio per questa difficoltà, fino alla nascita del sito reale, non fu luogo appetibile dai nobili e dagli aristocratici per erigere le loro ville estive, fatta eccezione per il reggente Miradois, che per la sua residenza seppe sfruttare l’isolamento del luogo, allo scopo di difendersi da eventuali rappresaglie popolari.
Per la scelta di Capodimonte quale sede de primo sito reale della corte borbonica (il primo in assoluto fu la riserva di caccia di Procida confiscato alla famiglia Avalos, perché filo-austriaca), fu determinante la grande passione venatoria nutrita dal giovane Carlo; fu proprio questa passione a far decidere che questa diventasse una riserva di caccia reale, anche perché situata non lontano dalla Capitale.
La sua scelta risale al 1735, appena un anno dopo l’insediamento di Carlo sul trono di Napoli. Già a settembre del 1734 Carlo fu ospite a Capodimonte nella residenza della famiglia Carmignano e potè apprezzare e appassionarsi al sito, come si può leggere nel libro, “Lettere ai sovrani di Spagna, 1720-1734”, ed. Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per gli Archivi, 2001: “Il 17 e il 18 (settembre 1734) Carlo andò «alla caccia de' volatili» nella villa del Marchese Carmignano a Capodimonte”.
La collina di Capodimonte dava posto, a settentrione, a una fertilissima campagna leggermente degradante verso la piana casertana, disseminata di masserie e tenimenti di proprietà di chiese napoletane, conventi e famiglie nobili dell’aristocrazia napoletana di seggio e non, e poi costellata da un fitto numero di Casali e di borghi. Come è facile immaginare, la nascita del sito reale fece mutare un equilibrio socio-economico del territorio consolidato da secoli, territorio che godeva di una intensiva, anche se poco organizzata, produzione agricola locale; questo perché diversi ettari di campagna furono espropriati per fare largo a viali, aiuole, aree boschive, edifici vari e anche una chiesa, mentre tanti altri appezzamenti furono frazionati per dare spazio a nuove strade di accesso e larghi pubblici.
Tra i fondi, tenimenti e masserie espropriate, troviamo i seguenti beni: il fondo appartenuto alla Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro (ottenuto per lascito), circa ottanta moggia, comprendente una masseria (Masseria della Torre) e una specie di fortino, che saranno inglobati e adattati al parco; il fondo era coltivato con colture (nocciole, orzo, lino e viti), arbusti, giardino e un bosco.
La Masseria della Torre fu subito utilizzata per la produzione agricola, infatti aveva fruttifere e un giardino segreto, inoltre era fortificata con mura alte, a scopo difensivo. 
Stessa sorte toccò al fondo della masseria San Potito (quarantacinque moggia), anch’esso coltivato a vigna. Poi c’era il fondo della monastero di Monte Vergine (nove moggia), del quale ne furono espropriati solo due. Ma il maggior contributo alla realizzazione del parco fu dato dal fondo di proprietà della famiglia Carmignano, marchesi di Acquaviva, con un territorio di estensione pari a ben 103 moggia, confinante con la strada per Miano. La proprietà rientrante nei confini del parco fu presa interamente, comprendendo un vigneto, una casa palazzata con giardino. La restante proprietà dei Carmignano, inizialmente esclusa perché fuori dal parco, fu successivamente requisita durante il Decurionato Francese, per far posto al Casino dei Principi e ad altri edifici.
Fu sacrificata anche la masseria Scannapieco (diciotto moggia), piantumata con fichi, viti (della qualità Lacrima Bianca e Lacrima Rossa), noccioli, pruni, e altri alberi da frutta, nonché un bosco di castagni.
Del fondo della masseria Ammendola furono in parte espropriati sette moggia, sui ventitré presenti.
Del fondo della masseria Favilla, appartenente ai duca di Presenzano, furono espropriati sessanta moggia.
Per la realizzazione del parco, con strade e ponti annessi, fu incaricato fin dal 1735, l’architetto di corte, Giovanni Antonio Medrano, autore poi del progetto (originario) del palazzo reale di Capodimonte, al quale fu presto affiancato l’architetto Canevari.
Purtroppo della conformazione settecentesca del parco di Capodimonte rimane l'impostazione, perché in parte modificata con la realizzazione del giardino romantico ottocentesco.
Il cosiddetto "Bosco di Capodimonte" fu circondato da una cortina di mura, in tufo, costruita tra il febbraio e l’aprile del 1736, la cui la lunghezza ammontante a ben sei miglia. Anche per la cortina di mura si interessò il Medrano.
Come è accaduto per la realizzazione della Reggia di Portici, che favorì la nascita del “Miglio d’Oro”, la realizzazione del sito reale a Capodimonte stimolò la nobiltà napoletana a realizzare nuove ville e residenze estive nei paraggi della reggia, in un territorio all’epoca in gran parte incontaminato. Molte di queste residenze sono degne di attenzione, anche se attendono dei restauri e una rivalutazione storica.
Dopo la costruzione della tenuta di caccia a Capodimonte, il re Carlo, nel 1737, decise di far costruire anche un “casino per comodo e diporto”, richiesta trasformata poi in una Reggia. Furono acquisite altre aree e posta una guardiania al territorio, nel mentre veniva ampliata la cortina muraria di recinzione.
Il marchese Carmignano di Acquaviva, che conservava la sua residenza all’interno del parco, fu incaricato dal re, nella primavera del 1736, ad acquistare e piantumare circa 52000 essenze botaniche (tra cui alberi da frutto, Alloro e Faggi), alcune delle quali sono ancora oggi nel parco che tutti ammiriamo… Furono poi introdotti molti volatili e alcuni esemplari di cinghiali.
Dopo aver realizzato il Casino delle delizie, re Carlo provvide a far partire i lavori della fabbrica del palazzo reale di Capodimonte. Per la costruzione del palazzo furono impiegati 400 operai e molti schiavi provenienti dalla Turchia.
Una volta liquidato il Medrano, nel 1742, entrò in scena l’architetto Ferdinando Sanfelice, che provvide a dirigere i lavori, e a progettare la chiesetta dedicata a San Gennaro (1745) e la Real Manifattura di Porcellane, adattando un fortino preesistente.
In quel periodo il parco era ancora in uno stadio iniziale, con un'estensione ampiamente inferiore a come lo conosciamo oggi; al parco si accedeva attraverso una “Porta grande”, oggi chiamata “Porta di mezzo”, ai cui lati c’erano i due edifici adibiti al ricovero del personale di guardia. La strada che vi accedeva era chiamata Real Strada di Capodimonte. Ai lati, poi, era posta una strada che conduceva a Napoli.
Per congiungere il parco all’area dove sarebbe sorto poi il palazzo reale, fu necessario abbattere la chiesa e il monastero di Sant’Antonio. L'operazione fu condotta durante il Decurionato Francese.
La Strada Reale di Capodimonte, che si sviluppava come si è detto all’interno del bosco, continuava verso Miano, attraversando con un ponte, il Vallone di Capodimonte. Anche la strada periferica al bosco continuava verso Miano (Croce di Miano), intervallando salite, a gradonate. Entrambe le vie attraversavano posti di dogana, perché entravano in territori soggetti a differenti giurisdizioni.
Il progetto originale del Sanfelice presentava, secondo la concezione settecentesca, allora in gran voga, un dedalo di viali che si aprivano a ventaglio, che creavano all’interno geometrie concentriche regolari, con assi perpendicolari e diagonali e con un equilibrato rapporto tra viali centrali, giardini murati, fruttifere e aree coltivate; il tutto contornato da alberi ad alto fusto che si componevano con altre geometrie disegnate e realizzavano una sorte di architettura all’aperto. Anche grazie alla sua esperienza scenografica, Sanfelice creò “fuochi” di prospettive e belvederi panoramici, con affaccio sulla città.
Per la direzione del Palazzo Reale, una volta morto il Sanfelice, subentrò l’architetto Astarita, ma i lavori procedevano sempre più a rilento, anche perché il re puntò la sua attenzione sulla realizzazione della Reggia di Caserta, che doveva apparire agli occhi del mondo come la "nuova" Versailles italiana.
Tuttavia il sito di Capodimonte fu utilizzato dal monarca come tenuta di caccia, nella quale si eseguivano, insieme a battute di caccia, anche feste e mense reali.
Intanto, tra il 1755 e il 1757, fu deciso di spostare nei locali appena terminati del real palazzo, la quadreria della Collezione Farnese, ereditata da Carlo, e la Reale biblioteca. Si deve però attendere l’avvento dei francesi per vedere adibita la reggia a residenza reale.Dal 1761 la direzione della interminabile real fabbrica di Capodimonte fu assunta dall’architetto di casa reale, Ferdinando Fuga, che restò per circa venti anni a dirigere l'opera, fino al 1780, quando per problemi di vecchiaia dovette rinunciare all’incarico.
Fuga arricchì la scenografia del parco, conformando a siepe (spalliere) la chioma degli alberi, ampliando i cortili con punti di sosta e belvederi e introducendo le statue in marmo all’inizio dei viali, nonché la poderosa statua del Gigante.
Al mantenimento del sito di Capodimonte, alla sua manutenzione e all'esercizio, fu necessario, fin dall’anno 1751, assumere un capo giardiniere e uno staff dedicato di operai; sappiamo che il primo capo giardiniere fu un francese, un certo Martin Biancour, a cui subentrò l’anno seguente il fratello Giovanni, perché Martin fu spostato, per lo stesso incarico nella Reggia di Caserta.
Il capogiardiniere era responsabile della manutenzione del verde del parco, della messa a dimora di nuove essenze; dirigeva quindi il lavoro di diverse squadre di operai giardinieri: in pratica era responsabile di una vera e propria azienda agricola interna al parco, il cui complesso produttivo era concentrato nella Masseria Della Torre.
Si doveva provvedere prima al soddisfacimento della “Mensa del Re” e, poi, alla commercializzazione dei prodotti eccedenti. Questa masseria, che conserva i caratteri settecenteschi, è stata recentemente restaurata.
Per migliorare la viabilità d'accesso al sito reale, bisogna attendere il Decennio Francese, nell'anno 1807 (regnava Giuseppe Bonaparte), per vedere realizzata una nuova strada per Capodimonte, con un ardito ponte in tufo, che superava il vallone della Sanità; una degna opera viaria (all'epoca corso Napoleone), che finalmente collegava agevolmente la città alla collina e al suo entroterra settentrionale.
A re Carlo di Borbone, meglio noto come Carlo III, per via della sua successione al trono di Spagna, si deve quindi la nascita di uno dei gioielli architettonici più ammirati e conosciuti in Italia e nel mondo, grazie alla collezione Farnese e grazie al fiorente e lussureggiante parco (Bosco), che domina e splende su uno degli scenari cittadini più belli e incantati del mondo: Capodimonte!
Salvatore Fioretto

Per la strutturazione del racconto e per diverse notizie, si è preso in riferimento il bel libro: "Il sito reale di Capodimonte", di Francesca Capano, ed. Federico II University press, a cui rimandiamo il lettore appassionato, la lettura di approfondimento.

Il racconto integra e completa il precedente post pubblicato, dal titolo "Piscinola, Secondigliano, Miano e Marianella: il giardino di caccia di Sua Maestà, il Re!" (http://piscinola.blogspot.com/2015/03/piscinola-secondigliano-miano-e.html).

Le foto pubblicate in questo post sono state liberamente tratte dai siti web nei quali erano contenute, il loro utilizzo è finalizzato alla libera diffusione della cultura, senza scopi di lucro o di altro genere.

  
 


giovedì 9 agosto 2018

6 agosto 2018 - Festeggiamenti del Santissimo Salvatore _ Filmati e foto della banda di Casandrino

Ecco le foto e i filmati ripresi per le strade del quartiere di Piscinola, durante un giorno memorabile di quest'anno, quello dedicato al SS. Salvatore. La banda che suona è la banda sinfonica "Città di Casandrino", diretta dal bravo maestro, Antonella Frattolillo.
Altri filmati saranno caricati, man mano che ci perverranno in copia.
Salvatore Fioretto


Elenco dei links dei filmati caricati su Youtube 
(cliccare sul titolo con il puntatore del mouse):

Inizio della sfilata in via Marianella, marcia "Ariosa"

Via Marianella - Via Madonna delle Grazie, marcia "Ariosa"

Via Madonna delle Grazie - Omaggio alla Chiesetta MDG , con "Evviva Maria"

Via Napoli 

Via Napoli, fino a incrocio con Via V. Miano, "Marcia Doc"

Via Vecchia Miano, fino a Via Plebiscito - Piazza B. Tafuri  

Piazza B. Tafuri - Omaggio al SS. Salvatore, "Marcia Doc"

Piazza B. Tafuri - Omaggio ai Caduti delle Guerre ("Il Silenzio d'ordinanza" - "La Leggenda del Piave" - "Inno di Mameli")

Via Vittorio Veneto 

Piazza B. Tafuri - Omaggio ai musicisti della banda di Piscinola, con "Cuore Abruzzese" 


Ecco alcune foto:

Via Marianella

Via Napoli

Via Napoli

Piazza B. Tafuri - Chiesa del SS. Salvatore


 
Via Vittorio Veneto
Via Vecchia Miano

Via Vecchia Miano

Via Vecchia Miano

lunedì 6 agosto 2018

Festa del SS. Salvatore 2018 - Componimento dedicato alla memoria dei musicisti della banda musicale di Piscinola

La dedica alla banda ieri sera l'ho declamata in maniera sintetizzata, anche se l'emozione ha preso leggermente il sopravvento. 
Da tempo avevo nel cuore di farvi quest'omaggio, cari musicisti della banda musicale di Piscinola. 
Ieri pomeriggio ci siamo riusciti, fuori alla chiesa di Piscinola, al termine della messa per il SS. Salvatore e hanno fatto seguito le note di "Cuore Abruzzese", da parte della banda musicale di Casandrino. 
Le cose fatte con il cuore, in maniera spontanea, sono le più belle e profonde! 
Tra i musicisti anche il mio caro papà, sassofonista della banda dal 1946 al 1960.


https://www.youtube.com/watch?v=nGFsJbUgfr0 

Dedica alla banda musicale di Piscinola (6 agosto 2018)

Eravate ragazzi, con una guerra appena finita,
Eravate pieni di energie, con la voglia di cambiare il mondo…
La musica entrò prestissimo nei vostri cuori,
e, anche se c’era un paese da ricostruire,
sapeste coniugare il duro lavoro con la vostra passione.
Così, ogni sera, non vedevate l’ora di raggiungere
la sala di musica che stava “sott’ ’a chiesa”,
dove vi attendeva una persona eccezionale,
un vero maestro di conservatorio:
che si chiamava Pasquale Santoro,
un bravo maestro che vi fece diventare, presto, tutti musicisti.
Quanti concerti e quante marce ci avete donato!
E quante volte, proprio da qui,
da questo palco, avete allietato,
con la vostra musica,
le belle feste di Piscinola,
dedicate al Santissimo Salvatore.
Cari musicisti della banda sinfonica di Piscinola,
Siete stati l’orgoglio e il vanto di questo quartiere…
Piscinola non vi ha dimenticati!
Vi ricorda sempre con affetto,
tra le cose più care e più belle!
Vi ricorda oggi, in questo giorno di festa,
con questa marcia, che fu il vostro “Cavallo di Battaglia”,
s’intitola: “Cuore Abbruzzese”, un capolavoro del Maestro Giovanni Orsomando,
che avete sempre suonato per le strade di Piscinola.
Ciao a tutti, cari maestri di musica e di vita!
Vi vogliamo bene!
                                                      S. Fioretto

lunedì 2 luglio 2018

Lettera di un devoto alla Madonna delle Grazie di Piscinola (di anonimo)

Ecco il testo, letto ieri sera durante i festeggiamenti della Madonna delle Grazie, con la voce del bravo Nino Di Guida:

(Introduzione)
E’ una trascrizione anonima, che immagina di raccogliere le preghiere, le invocazioni, e le speranze di ogni devoto di Piscinola, sia maschi che femmine, di ogni età, unendole in un’unica lettera indirizzata alla Madonna delle Grazie. Sono frasi che sono sparse nell’aria, sospese tra i nostri vicoli, nelle strade di Piscinola di oggi: Un'unica voce, da un unico cuore…!”



Lettera di un devoto alla Madonna delle Grazie di Piscinola
Cara Madonna delle Grazie,
oggi, che è il giorno sacro dedicato al Tuo nome…, la Tua festa, ho pensato di scriverti questa lettera, per confidarti il mio stato d’animo e le mie speranze, anche se Tu già sai tutto quello che sto per dirti…
Permettimi se mi rivolgo a Te, da povero peccatore che sono, con un tono familiare, dandoti del “tu” e parlandoti con il linguaggio del cuore, che meglio sa esprimere i palpiti dell’animo...
Ti parlerò “a cuore aperto”, come facevano i nostri padri, le nostre madri, e tutti quelli che un tempo, qui, in questo luogo, ogni anno accorrevano a festeggiarti. Erano donne e uomini umili e semplici, ma erano grandi per la loro generosità, e ti offrivano quello che avevano di più grande:
Il loro cuore!
Uomini e donne dediti alla terra, che sopravvivevano con il pane guadagnato, quotidianamente, a costo di tanti sacrifici e di duro lavoro, ma era sempre un pane onesto!
A Te dedicavano i loro sacrifici e Ti confidavano le loro ansie. Ti raccomandavano, in particolare, la loro salute, il benessere delle loro famiglie e, soprattutto, il futuro dei loro figli.
Erano semplici e si esprimevano con cose semplici.
Lo so che Tu li apprezzavi e li benedicevi. Li capivi, perché sei stata pure Tu una figlia del popolo… Una donna umile, pia, e lavoratrice. Una madre amorevole: la madre del Salvatore!
Una madre umana, che, come le nostre donne, ha conosciuto la sofferenza, ha pregato e ha sperato.
Chissà quante volte hai accolto qui, in questo piccolo tempietto, le nostre nonne, le nostre madri, e le tante donne di Piscinola… Tantissime!
Donne che, imploranti, Ti chiedevano una Grazia, un aiuto, una speranza…
E Tu non le hai mai abbandonate sole al loro destino.
Ti chiedevano di far ritornare i figli o i mariti dalle guerre (da una delle tante guerre…), oppure di guarire i loro fanciulli o congiunti che avevano avuto incidenti o gravi malattie…
E così, grazie alla Tua intercessione, in tanti ritornavano dal fronte, in tanti ritornavano sani dalla prigionia e in tanti, curati, dagli ospedali…
Sei stata veramente la “Vergine delle Grazie”!
Cento, mille “Grazie”, tantissime “Grazie”…., “Grazie” per tutti!

Piscinola ti ha sempre voluto bene, e tu non l’hai mai abbandonata, cara Madonna Mia! Per questo, ricambiando la Tua speciale protezione, tante pie donne, negli anni passati, hanno preso a cuore il decoro del Tuo tempietto. Ricordo, tra le tante, la cara tua devota, signora Ninì Basso.
Sicuramente ora sono tutte assieme a te, in Paradiso…!
Donne di ieri, ma anche donne di oggi, che amorevolmente accudiscono la “Tua casa”, conservano la tradizione e la memoria del Tuo culto, e provvedono a diffondere tra i giovani il Tuo santo nome di “Vergine delle Grazie”, tra le quali le devote: Imma Cuozzo, Gina Esposito e altre ancora.
Ma non solo donne, anche tanti uomini che in ogni tempo hanno provveduto, con passione, alla diffusione del Tuo splendore. Devoti che ogni anno organizzavano in Tuo onore, da tempo immemorabile, la festa del 2 luglio: quella romantica festa, ricordata come “‘a festa de’ Lampadenelle”, per via delle luminarie a gas: ricordo: Pasquale Palladino, Gennaro Andreozzi e tanti altri ancora, fino ai piscinolesi dei nostri tempi, dell’Associazione “NoiePiscinola”, che hanno provveduto al restauro della “Tua casa”.
E come dimenticarsi della bella Funzione di “Marco Bruno da Campoleone”, recitata nelle sere che seguivano la tua festa? Era tutto un fermento di attori improvvisati… Accorreva un pubblico numeroso, composto da tante persone: donne, uomini, anziani e fanciulli, che impazienti, attendevano che si ripetesse il copione della “Funzione”, e potessero assistere ancora a quel “portento” da Te mostrato: il miracolo compiuto per salvare dalla pena di morte, il povero Pietro d’Avalos, l’innocente contadino di Piscinola, accusato ingiustamente di omicidio. Poi la recitazione terminava con il canto collettivo del “Gloria”, che tutti, dagli attori al pubblico, cantavano con gioia, a voce alta, in Tuo onore.
Che bello!!
Ricordo gli attori di quelle rappresentazioni di inizio ‘900: Gennaro Severino, Salvatore Mele, Salvatore Fioretto, Nardino Fioretto, Gaetano Cangiano, Mario Sica, Enrico Sica e Luigi Trematerra.
Che personaggi meravigliosi! Ora sono sicuramente insieme a Te, a godere la luce del Signore, in Paradiso!
Ricordo anche i nostri Pastori di un tempo, che hanno promosso il tuo culto: “Padre Bianco”, don Domenico Severino, don Angelo Ferrillo e don Salvatore Nappa.

Quanta grandezza del nostro popolo, oh Madre delle Grazie! Che pur povero, non disdegnava a fare grandi cose: cose che gli altri quartieri più rinomati della città, erano lontani anni luce, e non riuscivano a imitare, perché era il nostro un popolo unito e fiero delle proprie tradizioni e sapeva coniugare la fede, con il lavoro e il benessere del corpo, con la condivisione della bellezza e il piacere di stare insieme...
Già..., la condivisione della bellezza…il piacere di stare insieme…!
Oggi sono diventate solo delle belle parole…! Ma esisteranno ancora?!
Cara Madonna mia, ma dove è andata a finire l’umanità di Piscinola di una volta!? Dove sono quegli antichi piscinolesi che amavano condividere le cose belle, frutto delle loro passioni, stando sempre insieme? Quelli che provavano una gioia speciale quando si riunivano nei momenti simbolo della vita comunitaria, come in occasione delle feste religiose e di altri eventi cittadini?
Ho difficoltà a ritrovare questa Piscinola, che i miei genitori mi hanno tanto raccontato e magnificato, e che appena, appena, sono riuscito ad “assaporare”, nei primissimi anni della mia vita!
Dove è “Piscinola”, cara Madonna delle Grazie!?
Ultimamente non la ritrovo più…, sembra essere svanita nelle “pagine vuote” del progresso…!
Oggi la gente è sempre triste e pensierosa, per i tanti problemi che dice di avere. Si lamenta per tutte le forme di violenza che capitano per le strade…
La gente ha paura e non esce più di casa, anche solo per distrarsi, nemmeno quando si fa qualche pubblica festicciola o un piccolo evento per le strade o nelle piazze.
C’è poi tanta diffidenza e anche tanta superficialità nelle persone. Ognuno si chiude nella propria solitudine ed egoismo… nessuno parla più a un estraneo, manco a dire: “buongiorno”…!
Che tristezza!
Vergine delle Grazie, donaci il piacere della condivisione della gioia e della bellezza, donaci la spensieratezza e il piacere di conoscere gli altri, di saper parlare con il cuore, con la fiducia e con la pace dell’animo.
Donaci la pace dell’animo!
Madonna mia, lo sai che il problema più grande che abbiamo oggi è rappresentato dalla nostra gioventù…

I nostri tanti giovani si sentono soli e abbandonati… e hanno ragione. Molti non hanno speranza per il futuro, non trovano un lavoro stabile e spesso devono andare lontano da Napoli o addirittura fuori dai confini dell’Italia, per trovare una collocazione di lavoro dignitosa. Quelli che restano, il più delle volte, non coltivano passioni, sembrano assenti e insensibili a ogni iniziativa, e spesso si abbandonano al vizio e al vivere senza méta…, nella migliore delle ipotesi…!
Cara Madonna delle Grazie, Ti chiedo una grazia particolare per i nostri giovani… Aiutali ad affrontare i problemi contingenti della loro età; essi sono il futuro di Piscinola, il futuro di Napoli, il futuro dell’Italia…
Aiutali nel loro cammino di crescita, fai accrescere in loro la stima, la fiducia, la speranza per un domani migliore. E fai accrescere in loro l’amore per Te.
Cara Madonna delle Grazie, un ultimo pensiero è dedicato agli anziani e agli ammalati del nostro quartiere. C’è qui tanta sofferenza! Sono in tanti, non li abbandonare! Assisti tutti con il Tuo amore di madre: da “Regina delle Grazie”, qual sei, dona “Grazie” e aiuto, soprattutto agli ammalati, che sono nelle corsie degli ospedali oppure tra le mura delle loro case.
Aiuta a quelli che sono senza speranza di una guarigione. Aiuta tutti, anche i loro familiari, dona un segno del Tuo amore.
Ricordati, poi, i nostri cari che ci hanno lasciati in questo mondo, e si sono addormentati nella speranza di incontrarsi con Te, per godere la gloria di Dio.
E a noi donaci la Tua materna benedizione, ne abbiamo tanto bisogno…! Proteggici, intercedi per noi e aiutaci ad affrontare le difficoltà della vita.
Tu lo sai che tutta Piscinola ti vuole bene…!
Sono sicuro che ogni volta che passeremo davanti a questo Tuo bel tempietto, tutti diremo con fede: abbiamo qui una Madre che ci ama e ci vuol bene!
Una madre che aspetta a tutti…!
Perché la Madonna delle Grazie attende impaziente a tutta Piscinola!
Perciò permettimi di dirti ora, con fede: Maronna de’ Ggrazie, si ‘a Mamma nostra!
E a tutti i piscinolesi, dirò: ‘A Maronna de’ Ggrazie ce accumpagna e ce prutegge, ora e sempe!

Con umiltà, da un tuo devoto

lunedì 11 giugno 2018

A Piscinola, il maestro Don Beniamino Montesano impartisce lezioni di musica a tutti!


Abbiamo sempre definito questo territorio e questo quartiere, come la "Terra della musica" e i tanti post che abbiamo pubblicato sulle pagine di questo blog ci hanno dato piena ragione. Il personaggio che oggi descriveremo in questo post rappresenta un altro degno rappresentante di questa nobile arte, per aver divulgato, con le sue composizioni, la bellezza del canto e della musica napoletana (ma anche quella in lingua italiana) e, soprattutto, per aver insegnato, fino al momento della sua scomparsa, la teoria musicale e saper suonare gli strumenti, a tantissimi giovani del quartiere: ci riferiamo al maestro don Beniamino Montesano.
Il maestro Montesano nacque a Piscinola, il 9 dicembre dell'anno 1875. Coltivò fin dalla giovane età la passione per la musica; non prese mai lezioni, ma apprese l'arte di suonare e di comporre brani, studiando da autodidatta il solfeggio e iniziando poi a strimpellare il pianoforte. Arrivò a saper suonare, con estro, diversi strumenti musicali, tra i quali: il violino, le percussioni, il mandolino..., diciamo che possedeva una dote innata, tanto è vero che nella sua abitazione, sempre affollata di giovani studenti, non erano pochi coloro che prendevano lezione di sassofono e di tromba...
La sua storia di compositore autodidatta ricorda molto quella di alcuni musicisti e poeti, nati e vissuti a Napoli nel "periodo d'oro" della canzone napoletana, come Salvatore Gambardella, per la musica, e Vincenzino Russo, per i versi delle canzoni.
Paroliere e musicista di diverse canzoni napoletane, Montesano partecipò, con le sue composizioni, a vari "concorsi di audizioni" per la Piedigrotta in vari anni, come quello organizzato nel 1926 dalla casa editrice “Luigi Mascolo”. Tra le canzoni per pianoforte, da lui scritte e musicate, abbiamo trovato: “Vase annascuse” e “S’io mo vasasse a tte!”. Insieme a G. F. Miccio compose la canzone “Pecchè sì ‘nfama?”, mentre con A. Ventriglia ne compose un’altra, dal titolo:”‘Nu cunziglio!".
Con il paroliere Eugenio di Febbraro scrisse la musica della canzone: "'A festa Addulurata", forse composta per essere cantata in occasione della festa patronale dedicata alla Madonna Addolorata, che un tempo si svolgeva a Piscinola.
Nel 1934 rese omaggio alla nascita della principessina Maria Pia di Savoia, componendo la marcetta, per piano e canto: “A principessina d’ ‘a Casa Riale ‘e Napule!”. Il titolo per esteso recitava così: "Omaggio per il lieto evento della nascita della Principessa Maria Pia di Savoia a Napoli il 24 settembre 1934, Canzone Marcia", versi e musica di Beniamino Montesano, domiciliato a Piscinola...".
Altre canzoni che scrisse Montesano furono: "'O surdatiello", "Primi passi", "Pazzie 'e na femmena traduta". 
Nell'"Archivio storico della canzone napoletana della RAI" sono presenti diversi riferimenti, tra gli autori di versi o musica, che ricordano il nostro compositore piscinolese. 
Purtroppo abbiamo recuperato solo alcune delle composizioni scritte dal maestro Montesano, ma gran parte del materiale musicale che lo riguarda è andato perduto o disperso negli anni che seguirono la sua scomparsa.
Un aneddoto raccontatoci dal maestro Nicola Mormone riguarda la marcetta di: 'O surdatiello. Essa fu cantata per la prima volta a Piscinola, durante una serata musicale di "voci nuove", organizzata nei primi anni '60, presso la sala chiamata "Arena Azzurra", situata in via Vittorio Veneto. L'Arena Azzurra era una sala all'aperto, utilizzata prevalentemente in estate, come sala di proiezioni cinematografiche (Una volta coperta, diventerà il cinema teatro "Selis"). La marcetta fu interpretata davanti a una affollata platea di piscinolesi da un giovanissimo Dino (Bernardo) Silvestri. La canzone fu molto applaudita. Dino è il figlio di Alessandro detto ‘o barbiere (del quale parleremo dopo) e di Maria, detta ‘a Ricciulella, nonché fratello maggiore del maestro Gennaro Silvestri.
Per conoscere altri particolari della vita di Don Beniamino, abbiamo chiesto notizie proprio al maestro Gennaro Silvestri, che lo frequentò e lo apprezzò fin dalla sua tenera età. Gennaro ci racconta che la sua famiglia abitò in subaffitto presso l’abitazione del maestro, fin dall’anno 1945. In questa abitazione vi trascorse tre anni della sua vita; essendo nato nel 1950, rimase a stretto contatto con don Beniamino, fino all’anno 1953 e poi dal 1954 al 1967, come studente, nonché amico. Sicuramente la presenza del maestro e il quotidiano diffondersi delle note musicali tra le stanze di casa, hanno contribuito non poco a far nascere, nei primissimi suoi anni di vita, la passione per la musica. Grazie all'incoraggiamento e al convincimento da parte di don Beniamino, verso il papà di Gennaro, don Alessandro Silvestri, fu donato al fanciullo, che aveva appena tre anni, una piccola batteria, che fu adattata quasi artigianalmente alle sue dimensioni. I tre improvvisarono un curioso terzetto: il papà, Alessandro, s’improvvisò a suonare la chitarra, il maestro Beniamino suonava il mandolino e Gennaro la piccola batteria. Ebbene, chi ascoltava il complessino restò meravigliato, soprattutto dalla perspicacia del piccolo Gennaro: infatti, anche se piccolissimo, dimostrò di avere già ben sviluppato l'"orecchio musicale" e sapeva alternare, "a tempo", pause e battute alle percussioni, senza leggere spartiti musicali. Ma alla fine erano stati soprattutto l'intuito e la lungimiranza del maestro don Beniamino Montesano, a realizzare questa bella scoperta! 
Il maestro Silvestri ci mostra anche una cartolina spedita da don Beniamino quando, a sedici anni, iniziò la sua carriera musicale girando l'Italia con diversi complessi. Nella cartolina si leggono parole del maestro che mostrano una particolare sensibilità d'animo e l'incoraggiamento a continuare, dimostrando che alla fine non si era sbagliato nel pronosticargli il successo artistico. Ecco il testo:
"Carissimo Gennarino non trovo parole adatte a ringraziare d’esserti ricordato di me. Mi fa piacere che hai trovato lavoro favorevole alla tua innata passione musicale. Ricordo sovente le suonate a tempo di musica che facevamo insieme, io che imparavo te, che eri bambino e, gioivo sentendoti suonare a tempo di record, quasi da piccolo maestro in erba. Bei tempi d’allora. Auguri di grande progresso e sempre meglio, appunto per farti suonare qualche mia composizione, se te ne ricordi qualcuna, sarebbe una bella sorpresa per me, sperando sempre con grande piacere di rivederti, allorché vai a trovare la tua famiglia e vorrei vederti da vicino. Abbi milioni di baci a non finire, con augurio di benessere e felice avvenire, dal tuo carissimo Beniamino Montesano. Piscinola, giugno 1967".
Un'altra testimonianza raccolta ci perviene dal dott. Orazio Salzano, stimato medico di Piscinola, che frequentò fin da ragazzo l'abitazione del maestro don Beniamino, insieme a tanta gioventù piscinolese dell'epoca. Salzano così ricorda Don Beniamino: "Il maestro Montesano era rappresentante di buona levatura morale ed appassionato della musica. La sua abitazione era un ricettacolo per giovani, che la frequentavano assiduamente per svolgere attività ludiche (prevalentemente canto e suono di strumenti a percussione). Il maestro Montesano amava ancor di più la musica perché, per appartenenza alla banda musicale dell'esercito, riuscì a salvarsi e a non andare in Africa per la guerra, dove quasi tutti i soldati morirono.
Non era titolato per gli studi, ma aveva capacità autodidattiche di composizione, di versi e musica, talvolta orientate verso sceneggiate teatrali.
Io, l'avvocato Sica e Aruta Antonio eravamo tra i giovani preferiti di Don Beniamino, il quale per avviarci al pianoforte componeva delle musichette didascaliche personalizzate. Il maestro Don Beniamino si era sposato due volte, ma non ebbe figli.
In occasione di festività si organizzavano nella sua abitazione feste e balletti, che per noi giovani rappresentavano un toccasana."
Incallito fumatore di sigaro, il maestro Beniamino Montesano non disdegnava a partecipare ad eventi musicali e culturali che si organizzavano sovente in quegli anni nel quartiere di Piscinola, soprattutto nell'oratorio della Parrocchia. 
Negli ultimi anni di vita, la malattia che colpì la sua vista, peggiorò di molto e il maestro finì per diventare praticamente cieco.
Don Beniamino Montesano morì a Piscinola, nella sua abitazione in Via Vittorio Emanuele 98, all'età di 93 anni, il 23 novembre 1968.
Considerando le numerose testimonianze raccolte nel territorio, provenienti da ogni strato sociale: dai professionisti, agli artisti, fino agli anziani e alle persone semplici, possiamo affermare che il maestro Montesano fu una persona molto stimata da quanti lo conobbero nella sua lunga vita; fu apprezzato soprattutto come musicista e compositore di canzoni. Egli rappresenta oggi un'importante e indelebile icona della storia musicale del quartiere di Piscinola dei tempi moderni.
Salvatore Fioretto 


Ringraziamo per la collaborazione alla ricostruzione della storia e alla composizione del testo, i maestri: Nicola Mormone e Gennaro Silvestri, il dott. Orazio Salzano, il prof. Natale Mele, Pasquale Di Fenzo ed i fratelli Di Febbraro di Piscinola. Grazie a tutti.