sabato 23 aprile 2016

Curiosità, aneddoti, storielle divertenti, per un popolo che amava ridere...!


L'uscita dal periodo nero della Guerra, che segnò tanti lutti e sciagure, non solo nel nostro territorio, ma in tutta l'Italia e nell'Europa intera, destò una sorta di ventata di ottimismo e di entusiasmo tra la popolazione per la libertà riconquistata, anche se si doveva pur sempre affrontare il pesante fardello della ricostruzione materiale e morale del Paese.
La gente aveva trovata la serenità e il piacere di vivere, senza avere più il terrore di ricoverarsi nel corso dei bombardamenti anglo-americani o nascondersi durante i rastrellamento dei Tedeschi. Tanti uomini ritornavano dai "campi di concentramento" dove erano stati deportati, riabbracciando dopo anni le proprie famiglie. La vita ritornava a scorrere semplice e tranquilla come un tempo...
Foto panoramica su Piscinola durante la nevicata del 1973, foto di Giuseppe Iovine
In questo clima di riappacificazione sociale la gente riprese il gusto di divertirsi e di ritornare a ridere. Ed erano soprattutto le storielle divertenti, le curiosità e gli episodi singolari a destare l'ilarità collettiva, fatto però senza cattiveria e malizia.
Alcuni di questi aneddoti li abbiamo raccolti in questo post utilizzando dei nomi di fantasia o poche indicazioni, per proteggere la privacy delle persone coinvolte.
L'episodio più curioso, che avvenne nell'immediato dopoguerra, fu quello capitato a un giovane curato del territorio. Come consuetudine dell'epoca, in occasione di un funerale, il curato doveva recarsi a rendere la benedizione funebre presso la casa del defunto, prima di organizzare il corteo verso la chiesa.  In una di queste circostanze l'abitazione del defunto era posta nel centro storico del paese. Singolare a raccontarsi, proprio al momento della benedizione, si verificò il crollo istantaneo del solaio, fatto di vecchi travi e assi di legno (detti 'e chiancarelle) e così tutte le persone presenti in quel momento della stanza, compreso il mobilio e il povero defunto, finirono per precipitare rovinosamente nella sottostante stalla...!
Tra la nube di polvere e la concitazione scaturita ognuno si ritrovò in una posizione malconcia e diversa, chi sopra una botte, chi seduto dentro un tinello e chi appeso a una trave, ma la cosa che fece ridere a molti fu quella che il povero curato si ritrovò in groppa a un povero somarello, che si trovava in quell'istante legato alla sua mangiatoia, ignaro della imminente catastrofe...
L'episodio fece molto scalpore nel circondario e sicuramente aiutò a far crescere le entrate del "Bancolotto".... La cosa importante fu quella che non ci furono, per fortuna, feriti gravi tra le persone coinvolte, ma solo qualche graffio o contusione. Non sappiamo come se ne uscì il povero asinello.... e se dopo questo incidente si ebbe la forza di continuare lo svolgersi del funerale, oppure si decise di rimandare il rito di qualche ora.
Si racconta che una signora, abitante in via Vittorio Emanuele (‘O cape ‘e coppa), un giorno si mostrò infastidita dal passaggio della processione, forse a causa del suono della banda e del frastuono delle voci emesse dalle persone e dagli scugnizzi che seguivano il corteo. Invece di esporre al balcone la solita coperta colorata e lanciare petali di fiori, la signora chiuse stizzita i battenti del balcone e si ritirò in casa. L'aneddoto popolare, forse un po' leggendario, vuole che, dopo tale fatto, alla donna crebbe una vera e propria coda...!! Molte persone, dichiaratisi testimoni dell’avvenimento, erano pronte a giurare di aver veramente visto questa “appendice” anatomica, non comune per un essere umano…!! L'episodio divenne presto elemento di ilarità nella memoria collettiva e viene ricordato come: “‘A signora cu’ ’a coda"!
C'era un personaggio a Piscinola che è stato amato per la sua semplicità, ma viene ricordato anche per alcuni episodi molto divertenti: tutti lo chiamavano con il nomignolo bonario di “‘o Barone”. Non si conosce precisamente il vero motivo, forse a causa del suo portamento un po’ bizzarro e trascurato, forse parafrasando il suo stato di povertà con il titolo previsto per una persona ricca e blasonata. Una volta, nell’immediato dopoguerra, fu preso in giro anche dai soldati americani, che marcando la sua nomea di nobile, lo scortarono fino a casa, con tanto moschetto e di picchetto...!
Dal fisico apparentemente normale, anche se non proprio bello nell’aspetto e forse anche un po’ sciatto nel vestire, il "Barone" è entrato a far parte nell’immaginario collettivo della nostra gente per un’altra caratteristica che lo distingueva: vale a dire l’eccezionale forza posseduta. Egli sembrava un uomo dal fisico normale, ma era dotato di una forza straordinaria. Secondo le testimonianze raccolte, riusciva a sollevare e trasportare sulle sue spalle, mobili o sacchi pesanti, anche oltre il quintale, senza l’aiuto di nessuno. Ironia della sorte, spesso si riduceva anche in stato di ubriachezza e si vedeva brancolare nei pressi di qualche “vineria” di Piscinola.
Il "Barone" prese moglie in tarda età. Per molti anni abitò in un “basso” di Piscinola, non ebbe mai un lavoro fisso e visse soprattutto grazie al sostegno e alla generosità della gente di Piscinola. Quando morì, furono in molti a compiangerlo, perché in fondo si era fatto volere bene da tutti, per la sua semplicità e umanità. (*)
Altri aneddoti divertenti sono i tanti ricordi che accompagnano la storia della banda musicale di Piscinola.
Il maestro della banda, che si chiamava Gaetano, era un personaggio alquanto severo e affrontava con serietà e metodo il suo ruolo di direttore musicale della banda; pretendeva dai suoi allievi musicisti la massima dedizione nello studio della musica, oltre la costante loro presenza alle prove settimanali. Certe volte, quando perdeva la pazienza, commentava con delle battute sarcastiche le modeste esibizioni di alcuni suoi allievi...
Un giorno, un suo allievo si mostrò alquanto incerto e altalenante nella esibizione musicale, si chiamava Pietro ed era anche un po' balbuziente...; il maestro dopo varie prove e controprove, ormai spazientito, esclamò tra il serio e il faceto: "Pietro, tu come parli così suoni...!!". E tutti giù a ridere a crepapelle...
Ad un altro musicista di nome Pasquale, che si era dimostrato anche lui alquanto insufficiente nell'esibizione, gli disse: "Pasquale, quando suoni il trombone sembri che dai i calci nel portone!". Altre risate!
Ma anche tra i componenti della storica banda musicale si ebbero alcuni episodi esilaranti, spesso raccontati da mio padre. 
Vincenzo, che suonava il tamburo, era soprannominato Sarchiapone per il suo ruolo nella Cantata dei Pastori; un anno, durante la processione della festa di Miano, litigò con un altro musicista, forse per una questione di rivalità artistica. Sarchiapone sfogò la sua ira in una forma che oggi diremo autolesionista! Nel corso della concitata discussione che ne scaturì, assalito dall'ira, buttò il suo tamburo a terra e lo sfondò irrimediabilmente con i piedi. Poi abbandonò di punto  la banda in quella esibizione, senza giustificarsi!
Un altro componente della banda musicale, soprannominato Pallino, un giorno si posizionò alla finestra di casa sua, intento a pulire lo strumento che suonava; tra una lucidata e una strofinata di cera, gli scivolò lo strumento dalle mani e rovinò sulle dure pietre di basalto della strada ('e vasule); ovviamente il curioso episodio destò le risate dei vicini e dei viandanti... perché, purtroppo lo strumento riportò vistose ammaccature... Fu portato a riparare presso un negozio specializzato che si trovava all'epoca in via San Sebastiano: ci misero una pezza, ma lo strumento rimase seriamente compromesso, sia nella forma che nel suono...
Spesso gli aneddoti e i racconti costituivano il repertorio di curiosi personaggi popolari, che si divertivano a raccontarli ad amici e soprattutto ai bambini, durante lo svolgersi dei loro mestieri ambulanti: uno di questi personaggi caratteristici di un tempo è stato “Don Vicienzo”, detto “‘O popolo”, di professione ciabattino, il quale con un suo “repertorio” di centinaia di storielle e aneddoti ha incantato diverse generazioni di piscinolesi.
"Don Vincenzo" si posizionava con il suo banchetto di “solachianiello” nel cortile antistante alla sua abitazione in vico Plebiscito, sempre circondato da bambini e ragazzi incantati ad ascoltare i suoi affascinanti racconti e a osservare le sue espressioni colorite. Specie in estate, iniziava di buon mattino e finiva all’imbrunire, raccontando, come in una recita senza sosta, i suoi numerosi “fattarelli”. Si esprimeva sempre in italiano, con una prosopopea da letterato e per tale motivo la gente gli coniò il nomignolo di “‘o popolo”. Si racconta che egli ricordava tutta la Divina Commedia a memoria. Era un concentrato di filosofia di vita e di simpatia! (*)
Anche nell'epoca recente abbiamo conosciuto personaggi che hanno contribuito con la loro simpatia e il loro spirito divertente, a donare un sorriso, una risata, anche nei momenti seri della vita...
Un noto professionista del territorio, tra una pratica e l'altra, intratteneva spesso i suoi clienti con aneddoti e "fattarielli" divertenti; incominciava un nuovo racconto sempre con lo stesso preambolo: "Voi non ci crederete, ma...".
Nel suo studio, tra i vari titoli, ritratti e onorificenze ricevute, aveva in bella nostra due piccoli quadri alquanto singolari, che la dicevano lunga sul suo spirito ironico.
In uno dei quadri era riportata una foto a colori di un gruppo di 6-7 maiali ripresi in un porcile e a margine della foto, in una didascalia era riportata la scritta "Amici miei"!
Raccontava, a chi glielo domandava, che quella foto aveva fatto vincere una scommessa che una sua cliente aveva fissata con un incredulo amico americano. Un giorno i due si presentarono allo studio in questione e l'americano ebbe la dimostrazione che effettivamente il noto professionista napoletano mostrava una foto del genere, con la curiosa scritta a margine...  La scommessa comportò per pegno una cena in un famoso ristorante di Napoli, a cui fu ovviamente invitato anche il nostro concittadino.
Nell'altro quadro era riportato un componimento scolastico di un fanciullo frequentante la scuola elementare, che rispondeva al tema dato in classe: "Parlate di un giorno vissuto con vostro padre". Il componimento, scritto in un linguaggio incerto e approssimato, misto tra l'italiano e il napoletano, raccontava di un viaggio effettuato al mercato assieme al padre, utilizzando il proprio carro (carretta) trainato dall'asino. In poche parole il racconto descriveva che il povero asino, durante la strada di ritorno, si impuntò e non voleva proseguire il cammino, il padre, arrabbiato, colpì il povero animale con una pertica di legno (straccariello), con molta veemenza, fino a quasi tramortirlo e a fargli cambiare "idea"... Il racconto riportava in maniera colorita anche gli epiteti e le bestemmie pronunciate dal genitore alla presenza del ragazzo ... !
Salvatore Fioretto 

Alcuni racconti sono stati tratti dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni" di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010. I racconti con la nota (*) sono stati forniti da Pasquale Di Fenzo.

Foto panoramica su Piscinola, dalla biblioteca comunale "D. Severino", foto di Giuseppe DiVaio

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N.B.: Le foto riportate in questo post sono state tratte liberamente dai siti web dove erano state pubblicate, il loro utilizzo in questo post è stato fatto senza scopo di lucro o altri fini, ma solo per la libera divulgazione della cultura.

venerdì 15 aprile 2016

Agatino...Un muratore a Melbourne: Piscinola entra nei cerchi olimpici...!

Melbourne Australia -1956- XVI Olimpiade. 
L’evento per motivi climatici non può essere celebrato nel tradizionale periodo estivo, che ha sempre caratterizzato questa importante manifestazione. Il periodo scelto per la disputa di tutte le altre gare è dal ventidue novembre all’otto dicembre. L'Ungheria per protesta contro l’invasione dei carri armati sovietici, sembra intenzionata a rinunciare all'Olimpiade, poi vi prende parte con una ridotta rappresentativa e ciononostante conquisterà 26 medaglie. L’Ungheria sfila durante la cerimonia di apertura dei giochi accolta da un lunghissimo applauso. L’Unione Sovietica viene accolta dal silenzio totale e surreale di tutto lo stadio Cricket Ground. 
Centotremila gli spettatori stimati, settantadue nazioni partecipanti. Tremila trecento quarantadue atleti in totale, duemila novecento cinquantotto uomini, trecento ottanta quattro donne, venti sport, cento cinquantuno competizioni. Le due Germanie sono in campo sotto la stessa bandiera. Mancano l’Olanda, la Spagna e la Svizzera, che boicottano i Giochi in segno di protesta per l’invasione sovietica. 
Cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi in Australia, 1956
Qualche giorno per smaltire le fatiche del viaggio. Gli allenamenti riprendono intensi sul ring. Vengono annunciati gli esiti dei sorteggi per gli incontri. Al primo turno, Agatino incontrerà il temutissimo russo Safronov. Agatino il caposquadra per disciplina. Ragazzo schietto, generoso, pronto al sacrificio per un compagno, per un amico. Amato da tutta la sua squadra per queste doti. Agatino ragazzo di campagna, che faceva il muratore nella sua città. 
Il primo pugile a rappresentare la sua regione alle Olimpiadi. Agatino quell’anno, il ventuno di dicembre mille novecento cinquantasei, compie ventisei anni. Agatino si batterà con il favorito della sua categoria, al primo turno degli incontri. Il roccioso, irsuto, rude, ‘o mangiacristiani, il russo Safronov, è lo sfidante agli ottavi di finale. Al suono del primo gong, le gambe di Agatino tremano per l’emozione. Ma è subito pronto. 
Foto della squadra italiana di pugilato in partenza per l'Australia, Agostino Cossia è il terzo da sinistra, anno 1956
Allunga la destra in avanti, che incontra quella dell’avversario, per una stretta di mano appena accennata. I due avanzano rapidamente verso il centro. Il russo si scaglia in avanti selvaggiamente, sinistro – destro.  
Agatino scatta all’indietro saltellando leggero. Il russo rotola come un macigno, veloce verso di lui, su di lui, intorno a lui. Il combattimento è cominciato. Picchia come un dannato il russo, non solo picchia forte, ha anche una buona scuola il russo. Un guantone contro l’altro, un guantone contro una spalla, un guantone contro la figura, si ode il tonfo dei colpi. Agatino tiene duramente. I due si uniscono in una stretta, “corpo a corpo” - “break!”. 
Si riprende.
Agatino poggia la punta del guantone sulla bocca del russo, spinge indietro la testa di lui, balza via. Muscoli del corpo tesi, testa incassata tra le spalle, mani in posizione pronte ad attaccare o difendere ginocchia leggermente flesse, Agatino tiene duramente. Il russo è su di lui, i colpi piovono, le urla del pubblico lasciano intendere che Agatino si sta comportando molto bene. 
Picchia come un dannato il russo, non solo picchia forte, ha anche una buona scuola il russo. Nella prima ripresa, due destri, forti, di rimessa centrano Agatino. GONG! 
Il round termina in difficoltà. 
La testa ferma in avanti a guardare fisso l’avversario. Il torace si espande a recuperare il fiato, le braccia larghe appoggiate sulle corde. In faccia, sulle spalle, sul petto, l’acqua spremuta da una spugna lo rinfresca. 
Nelle orecchie i consigli dei secondi, un minuto di seduta sullo sgabello. 
Seconda ripresa. Al centro del ring, Agatino rinfrancato risponde per le rime agli attacchi. Balza in avanti, destro - sinistro, un pugno del russo gli manca per un pelo la nuca, un sinistro potente sta per abbattersi ancora, Agatino con velocità incalcolabile schiva, un destro sferrato in avanti saetta nell’aria, Agatino si lancia in una stretta, tregua, Break!
Si riprende. 
Agatino approfitta di un’ottima occasione, un sinistro potente si abbatte sulla bocca del russo, la testa di lui si piega all’indietro, il pubblico esulta, Agatino dà fondo a tutte le sue energie, lo eguaglia in velocità ed efficacia, un pugno del russo manca per il margine di un capello il mento di Agatino! GONG. 
Una foto del match olimpico
Un minuto, terza ripresa. Agatino sfrutta tutte le risorse a disposizione. Riesce a controllare gli attacchi di Safronov. Colpi veloci come fulmini piovono da una parte e dall’altra, uno, due, tre, quattro, uno/due, uno/due, uno/due, il pubblico con un grugnito segnala la sua apprensiva presenza. 
Un diretto, un gancio, schivate, pugni che passano nel vuoto, che atterrano sul collo, che si assestano nei fianchi. Agatino gli dà filo da torcere, cerca di coglierlo di sorpresa, riesce a controllare gli attacchi del macigno sovietico, inarrestabile, ribatte tutti i colpi, lo attacca, si difende. Ribatte tutti i colpi, lo attacca, si difende. Ribatte tutti i colpi, lo attacca, si difende, si difende, si difende. Si difende, si difende, ribatte tutti i colpi, si difende, si difende, si difende…. 
Suona il gong! 
Fine dell’incontro. 

Il russo Safronov “wins no easily on strong italian Agatino”. 
Alla premiazione di campione italiano di "Pesi Piuma"
Agatino perde ai punti, con scarto minimo. 
Safronov, il russo Vladimir Safronov, vola verso la medaglia d’oro. Vince per knoch out tutti gli incontri successivi. 
Dopo la trionfale vittoria, in una intervista, Safronov affermò che un solo incontro lo aveva infastidito, preoccupato. Un solo sfidante non finì al tappeto. Un solo, ostinato, generoso combattente terminò l’incontro non cadendo. Uno solo quando suonò l’ultima e definitiva campana, aveva la fronte alta nei confronti del vincitore. Uno solo era pronto a combattere ancora. 
Ventisei anni, cinquantasette chili di peso. Peso piuma, combattente indomabile, ragazzo di campagna, che faceva il muratore nella sua città. 
Il primo pugile della Storia a rappresentare la sua regione alle Olimpiadi.  
Agatino, non deluse. 
Agatino, aveva mantenuto la promessa. 
Agatino, mio padre. Aveva mantenuto la promessa.

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Villa M. Musella - Piscinola - Antonello Cossia recita "A fronte alta", durante la kermesse di "O_Maggio a Piscinola 2014"

"Ho scritto questo testo procedendo per accumulo di suggestioni, ricordi personali, resoconti di persone a me care. In un secondo momento si è delineata una forma più definita, si è chiarito dentro di me il senso di tale tensione e l’obiettivo che intendevo raggiungere. 
Ho cominciato una ricerca che man mano si espandeva e di cui rischiavo di perdere il controllo, sembrava ad un dato momento che tutto fosse accaduto in un solo anno dalla fine della II guerra mondiale in poi, il mille novecento cinquantasei.
Era periodo di blocchi mondiali contrapposti, di braccianti che affrontavano dure lotte per la propria autodeterminazione, di uomini che per guadagnarsi da vivere scendevano nel ventre delle montagne a metri e metri di profondità, di uomini che ricostruivano case distrutte dalla guerra, di uomini che sfidavano altri uomini con le mani coperte da guantoni per cercare di trasformare la propria condizione. Non si rifugiavano nei sogni, li inseguivano, se ne appropriavano, li rendevano spesso realtà.
"A fronte alta", opera rappresentata in teatro
E’ grazie a ciò che il paese si è trasformato, uscendo, almeno in apparenza dal disastro della seconda guerra. Uomini che probabilmente in maniera inconsapevole, davano corpo ad un’idea di utopia come qualcosa che non si è ancora realizzata, piuttosto che come qualcosa che non si realizzerà mai. 
Una cosa di cui fortemente si sente la mancanza. In questi tempi di Età della Grande Paura, una passione, un sogno, un ideale sono concetti pressappoco inesistenti, se non inquadrati nell’ottica e nel riconoscimento di un successo o una popolarità televisiva che dà diritto all’esistenza in questa nostra società. [...]”

Antonello Cossia


Il pugile piscinolese Agostino Cossia è stato campione d’Italia nella categoria dei ”Pesi Piuma”, per ben due volte, negli anni 1955 e 1956.
Ringrazio l'attore e mio caro amico, Antonello Cossia, per questa bellissimo post di ricordi e passioni che ha voluto dedicare su questa pagina di "Piscinolablog" al suo caro papà, Agostino Cossia.
Il racconto è contenuto nel libro "A fronte Alta", scritto da Antonello, da cui è stato anche tratto un lavoro teatrale, con debutto in scena nell'anno 2007.
Antonello mi ha poi spiegato che il nome di Agatino derivò da una errata interpretazione dei cronisti australiani, deformando il nome "Agostino", in "Agatino", senza mai correggerlo durante il torneo olimpico.


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Antonello e Agostino Cossia, foto di famiglia
Agostino Cossia premia sul ring il pugile piscinolese Pasquale De Stasio

sabato 9 aprile 2016

A Capodimonte, tra chimica e matematica, una storia di eccellenza napoletana! Parte seconda: Renato Caccioppoli

(Segue dalla prima parte)

La seconda figlia di Michail Aleksandrovic Bakunin, nata dal matrimonio con Antonia, si chiamava Giulia Sofia e, come gli altri fratelli, intraprese gli studi universitari, riuscendo a conseguire la laurea in Medicina e Chirurgia all'Università di Napoli.
Giulia conobbe il noto chirurgo napoletano, Giuseppe Caccioppoli, con il quale convolò a nozze, nell'anno 1903. La coppia che aveva una differenza di età consistente (lei 34 anni e lui 51 anni), si stabilì in una villa situata a Capodimonte, che tutt'oggi si chiama Villa Caccioppoli.
Dalla loro felice unione nacquero, tra il 1904 e il 1910, ben cinque figli, ma solo due sopravvissero: Renato e Ugo. Renato era il primogenito, nacque a Capodimonte, il 20 gennaio 1904.
Nella villa di Capodimonte, Renato e Ugo trascorsero tutta la loro infanzia e giovinezza, frequentando ambienti raffinati dell'epoca e diversi circoli culturali cittadini.
Da studente Renato Caccioppoli s'iscrisse all'istituto per geometri, seguendo la volontà paterna, ma poi conseguì la licenza liceale, sostenendo gli esami da privatista. Si iscrisse all'Università di Napoli, dapprima al corso di Ingegneria, sempre a causa dell'influenza dell'intransigente genitore, tuttavia, successivamente, riuscì a cambiare facoltà, iscrivendosi al corso di Matematica. Si dice che la nuova scelta accademica fosse stata consigliata e sostenuta dall'amico di famiglia, il celebre filosofo Benedetto Croce. 
Si laureò finalmente in matematica, nell'anno 1925 e fu uno dei primi allievi del professore Mauro Picone, del quale divenne poi stimato assistente. Fu il prof. Picone a spronarlo nell'intraprendere la ricerca scientifica.
Nel 1928 conseguì la libera docenza in matematica e nel 1931 vinse la cattedra di Analisi Algebrica presso l'università di Padova. Nel 1934 tornò a Napoli, dopo aver rinunciato alla cattedra presso l'università di Roma.
A Napoli coprì la cattedra di Teoria dei gruppi; in seguito passò alla cattedra di Analisi superiore e, dal 1943, a quella di Analisi matematica.
Gli anni trascorrevano e lo spirito anticonformista e ribelle prendeva il sopravvento nel suo carattere, spesso era trascurato anche nel vestire, Renato non badava ai formalismi e alle regole consolidate nella "Napoli bene", alla quale egli apparteneva.
La sua produzione scientifica segnò importanti traguardi in quel periodo, e ben presto giunsero i primi risultati importanti: come nel 1932, quando la storica Accademia Nazionale dei Lincei gli conferì il premio nazionale per le scienze fisiche.
Grande mente scientifica, Caccioppoli è stato anche un valente musicista, suonava abilmente il pianoforte, tanto da esibirsi con successo in diversi concerti pubblici. Parlava correntemente quattro lingue oltre l'italiano, l'inglese, il francese, il tedesco e il russo.
A Napoli, grazie a un amico di famiglia, l'avvocato Mario Palermo, con cui instaurerà una profonda amicizia, incominciò a frequentare e a conoscere esponenti antifascisti; spesso partecipava a incontri segreti con adepti del nascente partito comunista.
Nel 1935 incontrò la bella sedicenne Maria Mancuso, Renato aveva 36 anni e, dopo averla frequentata, la sposò nel 1939.
Nel 1938, il giorno prima della visita di Hitler a Napoli, i due all'epoca fidanzati, entrarono in una locanda affollata, e rispondendo a una provocazione di alcuni militari tedeschi, che cantavano un noto inno di regime, intonarono la Marsigliese: Renato la suonava al piano e Maria la cantava in francese. La coppia fu arrestata e Renato Caccioppoli fu trattenuto per essere giudicato dal Tribunale Speciale. 
Grazie all'intercessione di alcuni amici influenti, la zia Maria Bakunin riuscì a salvare l'amato nipote dalla condanna al confino, facendolo credere pazzo. Si aprirono per Renato Caccioppoli le porte del manicomio giudiziario...
Presto però passò in una casa di cura privata, potendo ricevere anche la visita di amici e suonare il pianoforte. Dopo poco tempo riuscì a ritornare libero, anche se ogni volta che in città veniva programmato un comizio fascista, doveva scontare un periodo di internamento forzato nel manicomio; la stessa sorte che veniva riservata a molti dissidenti del regime.
Caccioppoli fu molto attivo in politica, anche se non ebbe mai nessuna tessera di partito; si fece parte attiva nell’organizzazione unitaria che si batteva per il disarmo, dal nome “Partigiani per la Pace”.
All'Università di Napoli, foto di gruppo con l'assistente, don Savino Coronato e i suoi allievi studenti di corso
E' ricordato dai tanti che lo conobbero in vita, soprattutto da quelli che furono i suoi studenti, per la particolare severità nei giudizi espressi agli esami, ma anche per saper encomiare quelle "matricole" che dimostravano, nel ragionamento matematico, dei particolati slanci di fantasia e autonomia di analisi. Aveva un fisico sempre asciutto, volto scarno, occhi arguti e sguardo profondo, con un ricorrente sorriso, pronto ad accompagnare delle battute di spirito... Si può affermare che Caccioppoli sia stato uno dei più prestigiosi matematici del novecento, conosciuto non solo tra i confini italiani, ma a livello europeo; egli ha contribuito a tenere alto il vessillo della nostra ricerca scientifica, quando l'Italia pagava un duro isolamento culturale e morale.
Per comprendere il suo carattere anticonformista, riportiamo due aneddoti: il primo, riguarda un episodio avvenuto durante la dittatura fascista: il regime aveva emesso un dispositivo che vietava agli uomini di portare a guinzaglio cani di piccola taglia, questo per conservare la "virilità italica", ed egli, quasi per sfida, si fece notare per strada, mentre passeggiava con una gallina al guinzaglio...
Il secondo aneddoto è l'episodio del comizio tenuto a un teatro di Bari, nel quale Caccioppoli fu invitato a parlare. Sul palcoscenico di quel teatro c'era casualmente un pianoforte e così, fuori da ogni schema e programma, egli si sedette al piano ed eseguì, davanti alla sala gremita di persone, diversi brani di opere classiche: Debussy, Strauss e Beethoven. Suonò in maniera impeccabile, come sapeva fare e, ovviamente, ricevette l'ovazione del pubblico... In risposta agli applausi ebbe a dire che per esprimere il significato della pace non c’era mezzo migliore della musica...
Le sue pubblicazioni scientifiche continuarono negli anni del dopoguerra, e altri riconoscimenti arrivarono dall'Accademia Nazionale dei Lincei, come negli anni 1952 e 1953, sempre per le scienze fisiche e matematiche. Fu socio e corrispondente di diverse accademie, tra le quali: l'Accademia Nazionale dei Lincei, l'Accademia Pontaniana, l'Accademia Patavina di scienza, lettere e arte...
Notevole anche il suo contributo alle pubblicazioni editoriali: tra gli anni 1947 e 1951 diresse, con Carlo Miranda, la rivista Giornale di Matematiche. Nel 1948 entrò come membro nel comitato di redazione degli Annali di Matematica. Dal 1952 fu membro del comitato di redazione di Ricerche di Matematica.
Foto di gruppo di docenti universitari
Gli ultimi anni della vita di Renato Caccioppoli furono a dir poco drammatici, deluso dalla politica e con il fallimento della sua relazione coniugale, finì per togliersi la vita, nel suo appartamento nel Palazzo Cellamare, in via Chiaia. Era l'8 maggio del 1959. 
Ci ha lasciato una ottantina di lavori di grande importanza, in gran parte sparsi, ma grazie al prof. Mauro Picone, sono stati raccolti in due volumi e pubblicati nel 1963, dall’Unione Matematica Italiana. Essi concernono l'Analisi funzionale, la quadratura delle superfici, il calcolo delle variazioni, la moderna teoria dell'integrazione, il calcolo differenziale, ecc.
Il prof. Renato Caccioppoli negli ultimi anni della sua vita
Nel 1931 estese il teorema del punto fisso di Brouwer.
Sulla vita di Renato Caccioppoli è stato prodotto anche un film, nel 1992, intitolato: Morte di un matematico napoletano, con la regia di Mario Martone.
A Renato Caccioppoli è stato dedicato il nuovo Dipartimento di Matematica e Applicazioni dell’Università Federico II di Napoli. Mentre il "Premio Caccioppoli" è assegnato dall'Unione Matematica Italiana.
Due grandi matematici  hanno così scritto sul suo conto:
- "Non amava il lavoro di lima e di rifinitura, ma preferiva affrontare costantemente problemi nuovi e con l’intuito geniale di cui era dotato sapeva spesso precorrere i tempi aprendo nuove vie al progresso della scienza” (Carlo Miranda);
Villa  Caccioppoli in una cartolina d'epoca
- "Sapeva muoversi in… spazi a dimensione infinita con estrema sicurezza intuitiva, comprendendo a prima vista dove l’analogia col finito funziona e dove l’analogia con gli spazi di dimensione finita cessa di funzionare” (Ennio De Giorgi).
Il fratello di Renato, Ugo Caccioppoli, che era nato nel 1905, divenne giudice del tribunale di Napoli e morì nella clinica Hermitage di Piscinola, il 18 agosto del 1992.
Salvatore Fioretto

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