sabato 26 marzo 2016

Ai Calori (Chiaiano) si perfezionò la parlata napolitana, utilizzata per le opere letterarie...


La "parlata napoletana" è stata assunta a carattere di lingua, ossia parlata universale, grazie e soprattutto al suo utilizzo in composizioni letterarie famose, già a partire dal XVI secolo; ma fu nel XVII secolo, grazie agli scrittori del calibro di Giambattista Basile e Giulio Cesare Cortese che si diffuse ancor di più tra il popolo colto, dentro e fuori del Viceregno di Napoli. La letteratura, e le opere, come: "Il Pentamerone - Lo Cunto de li Cunti" di Basile e "Micco Passaro nnammorato", "La Vaiasseide", "Lo Cerriglio ncantato" del Cortese, favorirono senza dubbio la diffusione, affinché la lingua napoletana fosse conosciuta in ogni angolo del mondo in quel tempo scoperto. 
Dopo il Basile e il Cortese altri scrittori emersero nel panorama letterario napoletano e quindi italiano, per l'utilizzo dell'idioma napoletano e tra questi il più importante fu certamente lo scrittore Nunziante Pagano, la cui vita è legata in maniera speciale al territorio dell'Area Nord di Napoli e in particolare al sobborgo dei Calori, appartenente all'antico Casale di Polvica, oggi quartiere di Chiaiano.
Della nascita e della gioventù di Pagano si hanno poche e contrastanti notizie, anche se molti storici convengono, decifrando le sue opere, che sia nato della cittadina di Cava dei Tirreni ("Cossì ddecette Marte; e Giove scuosso / Sajettaje co no truono spaventuso / Che nne tremmaje l’Olimpo, e pella e uosso, / E ‘nfi a la Cava a nnuje, Monte Pertuso"). Sicuramente egli trascorse gran parte della sua esistenza a Napoli, sia come studente e sia come forense e scrittore di opere letterarie. 
Nunziante Pagano nacque quindi a Cava dei Tirreni, intorno all'anno 1681, ma si trasferì giovanissimo nella Capitale, ove frequentò i corsi di "logica e di metafisica" nel monastero di San Tommaso di Napoli, allora sede della facoltà di Filosofia e Teologia: questa notizia si deduce dal suo scritto: "A Nnapole io porzì (anche) fuie studentiello / e la loica studiaie a San Tommaso".
Nell'apprestarsi alla maturità, cambiò genere di studio, e si dedicò al Diritto, per intraprendere la carriera forense, all'epoca professione molto più redditizia e ricca di successi, anche se nella professione forense il Pagano non eccelse in magnificenza, come attesta l'economista Ferdinando Galiani, che scrisse di lui: "... forense di poca fortuna e di poco grido".
La svolta nella sua vita si ebbe con la scomparsa della moglie, tale Lorenza de Marinis, allorché egli si ritirò in un luogo ameno, lontano dalla vita frenetica della città, nel vasto tenimento di sua proprietà che si trovava nel sobborgo dei Calori. Come la maggior parte dei "casini" nobiliari e aristocratici, questa proprietà si componeva della residenza di campagna del proprietario, di alcune masserie e di vasti appezzamenti di terreno coltivati da mezzadri. In questo luogo, negli ultimi anni della sua vita, a cavallo tra il 1746 e il 1749, compose le sue opere, interamente in napoletano, sicuramente ispirate dall'amenità dei luoghi e dagli abitanti del contado.
Con la pubblicazione delle prime opere la sua fama subito si diffuse nella società napoletana dell'epoca, tanto che, da semplice socio iscritto all'Accademia del Portico della Stadera, fu nominato prima "cavaliere" e poi "sindaco".
L'Accademia riuniva molti personaggi importanti del mondo della cultura partenopea, a iniziare dal celebre filosofo Giambattista Vico, gloria napoletana; nel suo massimo splendore e riuscì a contare fino a 454 iscritti. In questo celebre sodalizio culturale, Pagano ricevette lo pseudonimo di Abuzio Arzura: lo pseudonimo che utilizzerà per firmare le sue opere letterarie.
Ormai avanzato negli anni, Nunziante Pagano morì nella sua residenza ai Calori di Polvica, l'11 agosto del 1756.
Veniamo alla sua produzione letteraria.
La prima opera pubblicata fu "Le bbinte rotola de lo valanzone, azzoè commiento ‘ncopp’a le bbinte nnorme de la Chiazza de lo Campejione": è una parodia sarcastica alle regole de "i venti rotoli" (20 regole dell'aministrazione), situati nella "Piazza del Campione" della Dogana, dove c'era il bilancione, usato come stadera campione. 
Scritte in ottave, furono destinate a essere lette durante le periodiche riunioni dell'Accademia del Portico e della Stadera. L'opera rappresenta una panoramica divertente che descrive, in maniera sarcastica, l'ambizione della società civile napoletana, ma anche quella colta, nei primi anni della dinastia borbonica e coinvolge, ovviamente, anche la figura del magistrato della dogana preposto al controllo.
La seconda opera, scritta da Pagano, fu la versione napoletana della Batracomiomachia d'Omero ("Azzo è la vattaglia ntra le Rranonchie, e li Surece"), edita in tre tomi, nell'anno 1747. E' un'opera non estremamente fedele alla versione omerica, che si arricchisce però di spiccati accenti umoristici, cercati dall'autore nella traduzione napoletana, con soluzioni molto brillanti (come l'attribuzione di nomi in napoletano ai personaggi fantastici), che mira a mettere in evidenza le risorse peculiari del dialetto napoletano, proprio in rapporto e in concorrenza, con la lingua utilizzata nella grande tradizione letteraria. 
La traduzione del Batracomiomachia gli valse la nomina di "Sindaco" all'Accademia e addirittura l'elogio del celebre Ferdinando Galiani, lettore critico, molto avverso per natura...
Molto bella è la frase contenuta in un passo del prologo di quest'opera, che recita: «Napole cchiù d’ogn’aotra cetate (città) de lo munno, ha mantenuto e conservato li costumme, lo gusto e lo lenguaggio grieco», che conferma l'intendimento del Pagano, non di affermare la sua persona, ma di esaltare la dignità dell'idioma napoletano come strumento di comunicazione culturale...
Fanno seguito nella produzione letteraria di Nunziante Pagano il poemetto scritto nel 1748, dal titolo: Mortella d’Orzolone, Poemma Arrojeco (ossia poema eroico), e il dramma pastorale dal titolo "La Fenizia" (o "chélleta tragecommeca", ossia ‘favola tragicomica’), scritto nel 1749. La "Mortella d'Orzolone" e "La Fenizia sono due opere bucoliche sicuramente ambientate e ispirate nel contado di Polvica e Chiaiano, nel quale lo scrittore Pagano si ritirò;  opere rispondenti al genere letterario in voga nel secolo XVIII, dettato dal già maturo movimento dell'Arcadia
Nel poemetto "Mortella D'Orzolone" troviamo la strofa più volte menzionata in questo blog, che riporta le località di Piscinola, Polvica, Chiaiano, Marianella e Mugnano:


 […] A Ppasca, e ffuorze fuorze a Carnevale,
Chella respose, e nce vo fa no nvito
De quanta nce nne stanno a sto Casale,
Pe fa fa annore a mmene, ed a lo Zito:
E ppe nce fa na festa prencepale,
Nce vo chiammà li suone de Melito,
De Pescinola, Pollica, e Cchiajano,
e dde Marianella e dde Mugnano.
Mmperzò, Petrillo mio, conto le juorne
Pe nzi che non se fa sta parentezza;
Uh se navimmo d’allommare forne!
Uh se nce penzo moro d’alleggrezza! […]
 
Ma sono menzionate anche le contrade di Santa Croce, Orsolona, Toscanella, Cesine, Tirone, Arco, Foragnano.
Sempre nel poemetto "Mortella D'Orzolone" è contenuto un simpaticissimo autoritratto poetico dell'autore, che descrive indirettamente anche il suo legame con il sobborgo dei Calori: "Mmiezo a na mmora po’ de peccerille / Da li Calure venne Abbuzio Arzura / Che parea ascio ‘mmiezo a li frongille, / Chiatto, tregliuto, e tunno de centura" (Traduzione: "Poi tra un gruppo di ragazzini venne dai Calori, Abuzio Arsura, che sembrava un gufo in mezzo ai fringuelli, grasso, tarchiato e rotondo di cinta")...
Nunziante fu anche declamatore delle sue opere presso l'Accademia; si racconta che il suo particolare timbro di voce e la sua goffa figura suscitavano schiamazzi e divertimento tra i soci, come riporta anch'egli nel prologo de "Le bbinte rotola", con la frase: "e rresatelle a schiattariello" (le risatine a crepapelle del pubblico dell’Accademia del Portico della Stadera, a cui le "sfornacava"...).
Forse almeno tre opere scritte dal Pagano sono andate definitivamente perdute nel tempo, come i quattro opuscoli contenenti le egloghe in napoletano su fatti storici del biennio 1747-48, di cui dà notizia Pietro Martorana (1874); un poema sulle antichità di Cava e un altro poema scritto su Le memorie di Napoli, dalle origini al Settecento.
Particolare della mappa di Antonio G. Rizzi Zannoni (1794), con i casali di Chiaiano e Polvica, e il sobborgo dei Calori
Caro lettore, tante sono le eccellenze e le memorie conservate dall'Area Nord di Napoli, come questa storia del quartiere di Chiaiano che abbiamo qui sommariamente raccontata... e tante altre sono ancora da narrare... Terra feconda di personaggi illustri, di eventi storici e di cultura, di degno rispetto, per questo non è seconda a nessun altro posto della città di Napoli; quanto abbiamo scritto e scriviamo ne testimonia appieno la verità!
Bisogna solo scoprirla e amarla!
Buona Pasqua a tutti! 
Salvatore Fioretto
 
Veduta della città di Napoli "a volo d'uccello", con la collina dei Camaldoli e altri sobborghi (1699)

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venerdì 18 marzo 2016

Quando la Passione veniva recitata... (da una novella di Giovanna Altamura)

Piazza G. B. Tafuri, con il palmeto, foto di S. Fioretto, anno 2004
Riferendoci alle fonti storiche documentali rinvenute, a cui i misteriosi percorsi della ricerca storica ci conducono, ecco che abbiamo trovato delle testimonianze che risultano essere affascinanti, per essere per noi inedite,  che riguardano alcuni riti tradizionali, appartenuti in passato al quartiere di Piscinola e che purtroppo oggi sono completamente dimenticati.
Trovandoci nel periodo che antecede la Pasqua, con l'imminente inizio dei riti della Settimana Santa, ci è sembrato opportuno pubblicare questo post che si basa soprattutto sulle testimonianze narrate dalla scrittrice Giovanna Altamura, nel suo libro "La rivolta della umanità ed altre novelle" ed. Gastaldi e in particolare nella novella dal titolo "Dove passò lo straniero". 
Piazza Municipio (oggi piazza B. Tafuri), processione del Crocefisso al termine della Santa Missione Popolare, anno 1950
Ricordiamo, per chi non lo sapesse, che Giovanna Altamura, di cui abbiamo già descritto la sua figura di scrittrice nel post dedicato a Giuseppina Bianco, fu un'insegnante della scuola elementare Torquato Tasso, negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale.
Si tratta della descrizione del rito che si svolgeva il Venerdì Santo nella chiesa del SS. Salvatore di Piscinola. Ecco il testo...
"Le feste più belle son quelle della settimana santa, ed in modo particolare quella del venerdì santo, le "tre ore di agonia", per le quali vengono chiamati da Napoli i più bravi predicatori. 
Copertina del libro "La rivolta della umanità"
A questa festa anche chi non è nativo del luogo (Piscinola), almeno una volta "deve" assistere, quasi come una prova di amicizia ai buoni villici, i quali "ci tengono" a far provare ai visitatori ed agli ospiti l'attimo di emozione e di brivido che chiude la sacra funzione.
Quel giorno per la funzione viene esposto sull'altare maggiore il Cristo Crocefisso che di solito è all'ingresso della chiesa, e quel Crocefisso non è come gli altri.
Ha la testa snodata, movibile, e vien messo su, in alto, ove quella bella testa dolorosa e sanguinante, resta così, con lo sguardo in alto, per tutto il tempo della lunga predicazione, come per affidare al Padre celeste tutto il dolore del mondo.
C'è una gara tra i ragazzi più grandi del paese per essere meritevoli di tenere, saldamente, la cordicella che vien legata alla testa del Cristo.
Bisogna stare attenti a non sbagliare, perché proprio quando il Sacerdote, dopo aver pronunciata l'ultima parola di Gesù morente, s'inginocchia ed annuncia; "...e Gesù, chinato il capo sul petto, rese lo spirito a Dio...." proprio allora bisogna allentare con garbo la funicella, in modo che la testa coronata di spine cada sul petto, in un gesto naturale di abbandono e di morte.
Chiesa e Municipio. Foto di S. Fioretto, anno 2013
Tutti, naturalmente, sanno che ciò avverrà ad eccezione per i "forestieri", ma tutti vinti dalla commozione suscitata dalle parole dell'Officiante, provano ogni volta la stessa intensa emozione, e quel brivido sottile e profondo che poi fa uscire dalla chiesa con gli occhi lustri, e felici che tutto sia andato proprio bene." [...]
Tuttavia questo rito non era l'unico che si svolgeva durante la preparazione alla Pasqua, a cui partecipava il popolo dei fedeli, c'erano sempre i Sepolcri da allestire il Giovedì Santo... dopo la liturgia "In coena Domini", per i quali molte ragazze e anziane devote, che frequentavano  la Parrocchia, facevano a gara per preparare uno o più vasetti pieni di germogli di grano paglierino, i quali dovevano essere i più belli tra i tanti, per adornare il "Sepolcro" in chiesa. 
Ecco cosa riporta ancora a riguardo l'insegnante Giovanna Altamura...
[...] "Gente Semplice e buona quella che vive nel piccolo borgo (Piscinola) al quale la grande città non ha saputo o potuto dare conforto e decoro di vita cittadina.
Processione del Crocefisso in via del Plebiscito a Piscinola. Foto di Vincenzo Tomo
Gente che conserva le secolari abitudini della campagna nostrana: la benedizione degli animali domestici e da fatica per sant'Antonio Abate, la cura del grano tenero, cresciuto al buio perché diventi paglierino, che si offre al Sepolcro e si conserva poi con cura devota, per spargerlo al vento quando minaccia tempesta, l'offerta delle primizie alla chiesa, la benedizione delle spighe all'Ascensione." [...]
L'usanza di conservare in casa i germogli di grano secchi, raccolti al termine dei Sepolcri, era molto praticata tra gli anziani piscinolesi di un tempo, infatti, come scrive Altamura, questi venivano sparsi al vento durante il sopraggiungere di un temporale minaccioso, insieme a qualche fogliolina di ulivo (dette "palme"), recitando la nota giaculatoria...

"Tuone e lampe fatte a rassa

chesta è ‘a casa e santu Iasse

santu Iasse e santu Salvatore (o santu Simone) 

chesta è ‘a casa ‘e nostro Signore;

nostro Signore ieva pe' lli campi

Padre, Figliuolo e Spiritu Santu."
Ritornando al "Rito del Crocifisso", eseguito nella chiesa del Salvatore, bisogna dire che in effetti esso rappresentava uno di quegli eventi che erano chiamati dal popolo "Funzioni" e che oggi sono invece designati dagli studiosi di folclore con il termine di "Tragedie Sacre": eventi popolari sospesi tra il sacro e il profano, le cui origini si perdono nella notte dei tempi...
A Piscinola si rappresentavano diverse "funzioni" durante le varie festività dell'anno, tra queste una era dedicata proprio al Crocefisso, e veniva rappresentata nel corso della festività che cadeva nel mese di maggio di ogni anno. In tale circostanza  l'Associazione cattolica e operaia del Crocifisso e di San Vincenzo Ferrer, che aveva sede in via Plebiscito, organizzava, oltre alla festa con le luminarie, anche la rappresentazione della crocifissione di Gesù; questa tragedia veniva chiamata: "Morte e passione".
Della storia delle tragedie sacre e delle loro rappresentazioni nel nostro quartiere dedicheremo in futuro un apposito post.
Altare maggiore della Chiesa del SS. Salvatore, cartolina anni '40
Questo particolare Crocefisso conservato nell'ingresso della Chiesa un tempo era portato in processione al termine delle Sante Missioni popolari, come si può vedere nelle due foto qui inserite. E' un crocefisso particolare rispetto a quelli presenti nelle altre chiese, infatti, se si osserva con attenzione le sue braccia, si noterà che esse appaiono come distaccate e ricongiunte al corpo attraverso della cartapestaDeduciamo, ma ci occorreranno delle testimonianze di conferma a riguardo, che oltre alla funzione della "Testa snodata" nel Venerdì Santo, probabilmente in passato si eseguiva con questa statua anche il rito della Deposizione oppure la processione del Cristo morto.
La funzione della "Benedizione del grano", che descrive Altamura, era un altro rito religioso che si svolgeva a Piscinola dopo Pasqua, nella solennità dell'Ascensione quando, con grande giubileo di fedeli e di contadini, il parroco si recava in processione nella piana di Scampia, salmodiando delle litanie e eseguento dei canti liturgici. La processione attraversava via del Plebiscito, fino a spingersi oltre il ponte della Piedimonte. Giunto in aperta campagna, tra le sterminate piantagioni di  grano, il presule impartiva la solenne benedizione per auspicare un raccolto sano e abbondante. Questa notizia è stata confermata anche dalle testimonianze di alcuni anziani.
Salvatore Fioretto

Piazza Giovanni B. Tafuri e la chiesa del SS. Salvatore. Foto di S. Fioretto, anno 2014
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