venerdì 12 settembre 2014

Capodimonte, le catacombe di San Gennaro... e quando Sicone rubò il suo "trofeo"...!



Foto di Capodimonte, primi anni del 1900
Tra le varie colline che coronano la sempre incantevole e quasi tre volte millenaria città di Napoli (Capodichino, Vomero, Posillipo, Capodimonte e Camaldoli), Capodimonte è forse la più ricca di storia e di monumenti antichi. La dolce collina di Capodimonte, con le sue rilevanze storiche, monumentali e paesaggistiche, ha poi sempre condizionato positivamente, nel corso dei secoli, la storia e gli eventi di tutto il contado ad esso circostante, fino ai borghi (oggi quartieri) posti a settentrione di Napoli.
Basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio
Basterebbe citare solo il fatto che, per accedere in città, si era costretti a percorrere le sue strade, un tempo strette e alquanto irte e scomode (gli anziani di un tempo usavano dire infatti: "Simme arrivate a Capemonte e nun scennimmo a Napule...!?).
Tra le rilevanze monumentali ricordiamo la splendida Reggia e il Parco annesso (che è da tutti indicato impropriamente come "Bosco"), fatti costruire dal sovrano "illuminato" che fu Carlo di Borbone, primo re della dinastia borbonica napoletana. La Reggia fu poi destinata ad accogliere la collezione Farnese (con le celebri opere di Tiziano, Correggio, Michelangelo, Raffaello, El Greco, ecc.) ereditata dallo stesso Carlo da sua madre: Elisabetta Farnese, duchessa di Parma e Piacenza.
Veduta di Capodimonte e la villa Ruffo (S. Fergola, 1826)
Ricordiamo l'antica chiesa di Santa Maria delle Grazie a Capodimonte che è stata un'importante Arcipretura, a cui era affidata la sovrintendenza di tutte le chiese parrocchiali esistenti nella zona settentrionale della Diocesi di Napoli, dopo il passaggio di consegne avvenuta dall'altra antica Arcipretura, che era la parrocchia di S. Giacomo di Calvizzano.
Degna di menzione è la monumentale basilica pontificia dell' Incoronata Madre Del Buon Consiglio che domina, con la sua bella cupola verderame, il cielo di Napoli, con un superbo effetto luminoso notturno; le sue forme architettoniche rappresentano una riproduzione in scala ridotta della basilica vaticana di S. Pietro in Roma (scala 3:1), infatti è anche chiamata "la Piccola S. Pietro".
La basilica napoletana, che è stata completata nella seconda metà del secolo scorso, per opera dell'Arch. Vincenzo Vecci (inaugurata nel 1960), fu commissionata da una pia donna, al secolo: Maria Landi.
Panorama sulla città, con la Basilica in primo piano
La chiesa molto bella e rifinita, conserva al suo interno numerose opere d'arte, tra sculture e dipinti, provenienti da molte antiche chiese cittadine, che furono chiuse o abbandonate a causa della guerra o per le conseguenze del terremoto del 1980. Belli anche il Seminario Diocesano, di costruzione ottocentesca, con la panoramicissima terrazza sulla città e la moderna struttura della Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (anni '70).
L'osservatorio astronomico di Capodimonte, in una stampa ottocentesca.
L'Osservatorio Astronomico di Capodimonte, fu il primo edificio del genere costruito in Italia; oggi nelle sue ampie sale, oltre alle due specole di osservazione, conserva un bel museo di astronomia e di strumenti astronomici.
Numerose sono poi le ville sparse per il suo territorio, costruite da nobili e facoltosi uomini d'affari, tra il XVII e il XIX secolo, come le ville Ruffo, Petrilli, Degas, Rodinò, Meuricoffre, ecc. 
Pianta delle catacombe di San Gennaro, nel livello inferiore
Ma la collina di Capodimonte, al di là di quanto di bello fin qui descritto, è famosa soprattutto per la preziosa testimonianza archeologica-sacra che conserva e che abbiamo ereditato fino ai nostri giorni, direi con vanto cittadino..., parliamo delle famose Catacombe di San Gennaro, le quali, con la vicina basilica paleocristriana di San Gennaro Extra Moenia (V secolo), rappresentano un importantissimo complesso monumentale di epoca tarda antica, forse il più importante di tutto il meridione d'Italia.
Interno delle Catacombe
Interno delle Catacombe
Le Catacombe in principio erano costituite da diversi sepolcreti gentilizi, appartenenti a famiglie notabili del posto (ecco perché bisogna sempre coniugare la parola al plurale, vale a dire "le Catacombe"). 
Alla fine de IV secolo, dopo la proclamazione dell'Editto di Tessalonica (anno 380), da parte dell'imperatore Teodosio, non solo non erano più perseguibili coloro che si professavano cristiani (la Tolleranza avvenne con l'Editto di Milano, emanato da Costantino il Grande, anno 313), ma la religione cristiana era dichiarata addirittura la religione ufficiale dell'Impero.
Basilica di S. Gennaro ad Antignano. Bassorilevo marmoreo riproducente la scena del primo miracolo di San Gennaro avvenuto ad Antignano
In questo contesto storico di tolleranza e di libertà per professare la propria fede, il clero della chiesa napoletana decise, quindi, di traslare le reliquie del martire e vescovo Gennaro (morto nel 305), da Marcianum: primitivo luogo segreto della sepoltura (forse sito nei pressi di Fuorigrotta), alle catacombe cittadine, ubicate nel cuore della collina di Capodimonte.
I napoletani ricevettero i Suoi resti perché, con ogni probabilità, il Santo era riconosciuto come loro concittadino, (la tradizione vuole che sia nato a Napoli), pur essendo stato nella vita vescovo di Benevento. Tuttavia anche Benevento reclamava di avere il corpo del suo amato Vescovo..., e così si accese una disputa tra i beneventani ed i napoletani, che non si placherà per diversi secoli a seguire!
Questo luogo di Capodimonte prederà poi il nome del Santo e, ancora oggi, esso è indicato con il toponimo di "Catacombe di San Gennaro"
Particolare con i chierici che portano il corpo di San Gennaro a Capodimonte
Secondo le cronache (Passio), la solenne cerimonia della Traslazione del corpo di S. Gennaro avvenne in primavera, nel giorno 13 aprile, di un anno compreso tra il 413 e il 431.
Particolare del bassorilievo di sopra, con la donna che mostra il sangue sciolto
Il corteo dei numerosi chierici, che sfilavano cantando e dedicando canti e salmi a San Gennaro, era capeggiato dal vescovo di Napoli dell'epoca, che si chiamava Giovanni I e si snodò per la strada collinare, detta "per colles", ossia per quella strada che si sviluppava sopra le colline napoletane, attraversava il sobborgo di Antignano e penetrando poi nella città di Napoli, si collegava anche con la collina di Capodimonte. Fu evitata la malsicura e polverosa Crypta Neapolitana, ossia il tunnel romano attraversante la collina di Posillipo, tra le attuali Piedigrotta e Fuorigrotta.
Secondo una leggenda, quando il corteo che trasportava il sacro corpo del martire si trovò nei pressi del villaggio di Antignano, si accostò una pia donna, che mostrando due ampolline con il sangue in quel momento liquefatto, riferì al vescovo Giovanni I che si trattava del Sangue di San Gennaro, che un secolo prima era stato raccolto da terra, per pietà cristiana, al momento dell'avvenuta decapitazione del Vescovo, nei pressi della Solfatara di Pozzuoli. La reliquia del sangue fu quindi donata alla chiesa napoletana ed è quella che oggi è conservata nella Cattedrale di Napoli. In vicinanza di quel luogo, nei secoli seguenti, furono edificate ben due basiliche dedicate a San Gennaro. Le ossa del martire (tranne il capo), trovarono invece sistemazione in un ipogeo all'interno dei cubicoli delle Catacombe di Capodimonte, vicino a quelle di altri santi e vescovi, già venerati in quel luogo dalla Chiesa napoletana.
Catacombe di San G., affresco con l'immagine più antica di Gennaro, in tunica e pallio (V secolo)
Il culto di San Gennaro iniziò a diffondersi rapidamente negli anni a seguire, raggiungendo anche le coste africane, la Grecia, l'Inghilterra, l'Oriente e altri luoghi allora conosciuti, anche per opera di mercanti e viaggiatori. Molti erano coloro che venivano a pregare ai piedi della tomba e molti erano coloro che desideravano essere sepolti accanto al Martire, dopo morti. Si resero necessari notevoli ampliamenti nei secoli seguenti, tanto che le nostre Catacombe divennero un unico corpo di fabbrica e che poi furono anche ampliate, realizzando un altro livello superiore, grande almeno quanto quello inferiore.
Interno della basilica paleocristiana di San Gennaro extra moenia (fuori le mura) del V secolo
Come detto in precedenza, le reliquie del capo di San Gennaro e quelle del suo sangue non furono mai conservate nelle catacombe di Capodimonte, assieme al resto delle ossa, ma trasportate fin dal dall'avvenuta traslazione in città, nella cattedrale chiamata Ecclesia Stefanìa (dal nome del vescovo Stefano che la fece costruire nel V sec., che era attigua alla più antica e conosciuta basilica costantiniana  del IV sec., detta Ecclesia SS. Salvatoris (nome tramutato nell'VIII secolo in S. Restituta). In queste due basiliche (episcopi), della Stefania e di Santa Restitutail clero officiava la Liturgia in  maniera distinta, ossia: in una, in rito greco e, nell'altra, in rito latino. Il patrono di Napoli in quel tempo era Sant'Agrippino, un santo oggi poco conosciuto. Le due basiliche furono nel XIII secolo in parte inglobate nella costruzione dell'attuale Duomo angioino.
Catacombe S. Gennaro. Affresco con a lato l'immagine di san Paolo, di recente scoperta
Secondo alcune fonti storiche, nel VI secolo (forse nell'anno 512), in occasione di una tremenda eruzione del Vesuvio, molti Napoletani si rifugiarono nelle Catacombe di Capodimonte, e affidatisi a San Gennaro, si sentirono protetti dalla cenere del Vesuvio e dai terremoti e decisero da quel momento di affiancare la figura del Martire a quella di Sant'Agrippino, loro primo patrono. Quindi i Patroni della città diventarono due... 
Nei secoli successivi la figura di Sant'Agrippino andò via via affievolendosi, fino a quando, intorno al XIV-XV secolo, Agrippino fu inserito in un gruppo di sette "santi compatroni", che costituivano una specie di corte di protettori della città, posti "a latere" di San Gennaro, che rimaneva il solo Patrono principale di Napoli e della intera Archidiocesi di Napoli.
Abbazia di Montevergine, dietro l'altare maggiore fu conservato per 3 secoli il corpo di S. Gennaro
Quindi un culto molto sentito quello per San Gennaro, fin dal periodo medioevale, tanto che le sue Catacombe divennero per diversi secoli un luogo molto frequentato da pellegrini. Tutto questo splendore raggiunse il suo apice nel IX secolo (anno 831), quando l'esercito dei Longobardi, con a capo il principe Sicone, non riuscendo ad espugnare la città di Napoli, allora governata da un Duca (Ducato Autonomo), penetrò nelle catacombe di Capodimonte che, essendo suburbane, non erano difese da nessuna cortina di mura. I soldati longobardi razziando quanto trovavano, riuscirono a rinvenire e, quindi a trafugare, le reliquie del Santo Patrono di Napoli, portandole trionfalmente a Benevento, come un trofeo di guerra. Questo "trofeo" fu poi collocato nella cattedrale di Benevento, dove rimase conservato fino intorno all'anno 1156.
Cattedrale di Napoli, Cappella del Succorpo, corpo di S. Gennaro trovato a Montevergine
I napoletani ebbero per questo furto un'offesa molto dura da digerire e ne portarono i dolorosi segni, nelle memorie storiche cittadine, per molti secoli... Fu l'imperatore normanno Guglielmo il Malo, poi, per proteggerle dalle incursione dei Vandali, a far riparare le sacre reliquie sul monte Partenio, nel santuario mariano di Montevergine, dove furono sistemate dietro l'altare maggiore della chiesa dedicata alla Mamma Schiavona, tanto cara ai napoletani e lì rimasero dimenticate, fino al 1497, per poi ritornare finalmente a Napoli, per interessamento del card. Alessandro Carafa. I napoletani riuscirono finalmente a risanare quella ferita storica, durata ben 7 secoli...!
Ingresso Ospedale di San Gennaro dei Poveri alla Sanità
Dopo la sottrazione delle reliquie di San Gennaro, Capodimonte perse ogni attrattiva per i pellegrini e per il culto religioso e le stesse Catacombe registrarono un periodo di decadenza e di abbandono. Gli altri santi e vescovi, che erano sepolti nella cosiddetta "Cripta dei Vescovi", furono trasportati in città.
Fu allora deciso di costruire, ai lati delle antiche catacombe un monastero dedicato a San Gennaro e a Sant'Agrippino (IX secolo).
Il complesso monumentale delle Catacombe di San Gennaro, dopo un lungo periodo di abbandono e di spoliazioni (furono in particolare sottratte quasi tutte le lastre in marmo che un tempo coprivano le nicchie parietali dei cubicoli), fu al centro degli studi e dell'interesse degli studiosi per la sua importanza storica e architettonica e già a partire dal XVIII secolo divenne una tappa obbligata dei visitatori del Grand Tour, allora tanto in voga.  
Il monastero di San Gennaro e S. Agrippino, invece, fu prima trasformato in lazzaretto per curare gli appestati (XV secolo) e, poi, nel XVIII secolo adattato in ospizio per assistere i vecchi mendicanti e i poveri ('e pezziente 'e San Gennaro).  Nel XIX secolo è diventato l'ospedale di San Gennaro dei Poveri. Nel complesso dell'ex monastero fu allestito anche un centro di accoglienza e di cura dei malati di mente.
Panorama di Capodimonte con le sue eccellenze architettoniche...
Negli anni 1970-73, per interessamento della Pontificia Commissione di Archeologia e del card. Corrado Ursi, le Catacombe furono oggetto di indagini approfondite e di scavi archeologici estesi, coordinati dall'archeologo Umberto Fasola, portando alla luce alcuni interessanti affreschi, diversi ambienti e altri cubicoli e, quindi, consentendo il ritrovamento della stessa tomba di San Gennaro, che fino a quel momento non era stata ancora ben identificata. Ma già nel 1969 fu realizzato un nuovo e più agevole accesso alle Catacombe, dal piazzale superiore della basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio, attraverso i viali e le scale che costeggiano i giardini della chiesa. In passato alle Catacombe si accedeva dall'ospedale di San Gennaro, attraversando, per intero, il popoloso e caotico rione Sanità
E' di questi mesi la notizia del ritrovamento nelle Catacombe di S. Gennaro di un altro bell'affresco, ossia un'immagine di san Paolo, a lato di un arcosolio (foto in alto).
Basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio, lato piazzale
Venerdì prossimo il calendario commemora San Gennaro, vescovo e martire, Patrono di Napoli e della Regione Campania. Un santo che ha segnato la sua presenza storica anche nel nostro territorio, con la sua antica e importante tomba a Capodimonte. Nel 1762, il nostro concittadino Sant'Alfonso Maria de Liguori ricordava San Gennaro, indicandolo come: "...Un segno della presenza di Dio in mezzo a noi"; mentre suo fratello, Gaetano de Liguori, fu per molti anni cappellano della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro e quindi un devoto del Santo. 
Un tempo San Gennaro, oltre a essere patrono della città di Napoli, era anche patrono di tutto il Regno delle Due Sicilie e per un certo periodo gli furono affidate dagli spagnoli anche le terre da essi colonizzate nell'America Latina. 
Nel 1980, il papa S. Giovanni Paolo II ha proclamato San Gennaro patrono della Regione Conciliare Campania.
Auguri a Napoli, e a tutti coloro che portano il nome di Gennaro.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Museo del Tesoro di San Gennaro. "San Gennaro", olio su tela di Francesco Solimena, 1702


Ancora foto di affreschi delle Catacombe di San Gennaro

Arcosolio con immagini di una intera famiglia defunta
Affresco con San Gennaro con altro santo
Mosaico raffigurante un Vescovo della chiesa di Napoli




Affresco, con raffigurati San Gennaro e San Pietro

NB: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

domenica 7 settembre 2014

Un "bipiano" per San Rocco...!

Autobus della linea "133" fotografato in piazza del Plebiscito
Abbiamo visto nei precedenti post pubblicati su questo blog come i trasporti pubblici nell'Area Nord di Napoli abbiano avuto uno sviluppo importante, già a partire dalla fine dell''800, con la costruzione delle "Tramvie di Capodimonte", delle "Tramvie Provinciali" e della ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife",  per interessamento soprattutto di compagnie di trasporto straniere. Questi progetti erano anche incoraggiati e sostenuti economicamente dalle autorità dell'epoca, per garantire un servizio di trasporto collettivo efficiente ad un territorio che si apprestava ad essere urbanizzato, passando dallo stato di "contado" della civiltà contadina, a "suburbio" della metropoli industrializzata e dedita al terziario. I tanti progetti attuati erano ovviamente anche delle occasione da sfruttare economicamente per lo sviluppo e per il profitto delle società investitrici, molte come detto di origini straniere.
Autobus della linea "133" proveniente da S. Rocco, ripreso al museo
Anche nel campo dei mezzi di trasporto "su gomma" gli investimenti non furono meno importanti, infatti con la soppressione dei "Tram di Capodimonte", già divenuti comunali, (dell'azienda "ATAN"), della Ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife" e delle "Tramvie Provinciali" (passate entrambe alla società "TPN"), una rete di autolinee sostitutive furono messe in campo da queste due società (ATAN e TPN) per garantire il trasporto cittadino ed extraurbano. Siamo nel periodo di transizione importante della storia dei trasporti campani, quando tutte le compagnie e società di trasporti, per una politica allora tanto in voga, concentravano i loro investimenti prevalentemente sui mezzi di trasporto "su gomma", ritenuti più flessibili e affidabili di quelli "su ferro" (sic!).
In sostituzione delle linee tranviarie dirette nei paesi dell'Hinterland napoletano, parliamo delle linee "60" e "61"  (dirette a Giugliano, Marano, Calvizzano e Mugnano), furono istituite le linee di autobus "160", "161" (Sia di color nero, che rosso e alcune anche crociate e barrate), che avevano il loro "capolinea" cittadino nella centrale piazza Dante, ormai liberata dall'anello dei binari. Il terminal per queste linee è stato per tantissimi anni l'angolo destro della piazza, delimitata dalla chiesetta barocca-roccocò di San Michele Arcangelo. Per un breve periodo furono istituite anche le linee "162" e "163" per gli ospedali.
Autobus della linea "133" in Via Verdi
Non tutti però sanno che una di queste linee, che fu denominata "133", istituita dall'ATAN con servizio "Piazza Vittoria-San Rocco", rappresentò addirittura una grande novità per i trasporti napoletani dell'epoca, per il tipo di autobus impiegato: novità sia dal punto di vista tecnico-progettuale dell'autobus e sia anche per il suo aspetto esteriore, in particolare per l'avveneristica sagoma a "bipiano", .... e stiamo parlando dei primissimi anni '60!!
Autobus della linea "133", alla fermata del Museo
Il tipo di autobus in parola, denominato "Metropol", era costruito dalla società "AERFER" interamente in lega di alluminio. La prima linea sperimentale di questo autobus singolare fu la tratta "Mergellina-Posillipo" (identificata con il numero "1 rosso"). Negli anni a seguire, la società ATAN ne acquistò ben 20 esemplari, che furono messi in circolazione sulle linee "106" e "140" (dirette a Mergellina e al Capo di Posillipo") e, appunto, sulla linea "133" diretta nella vicina San Rocco. Non sappiamo, purtroppo, il posto preciso di San Rocco dove questi autobus facevano stazionamento e nemmeno il luogo dove invertivano la loro direzione di marcia per ritornare al centro. 
Alcune testimonianze ci portano a pensare all'area dell'attuale Parco Soleado, allora ancora libero dalle palazzine. All'epoca il deposito del Garrittone era in fase di ricostruzione per la dismissione di quello tranviario. Purtroppo questi particolari autobus non ebbero vita lunga e intorno al 1970-73 furono tutti ceduti ad alcune società private, perché giudicati dai vertici dell'ATAN tecnicamente poco adatti alla conformazione della pavimentazione stradale (strade lastricate con pietre di basalto e porfido) e dell'orografia cittadina, con strade strette e in forte pendenza. Ironia della sorte vuole che le società acquirenti rivendettero a loro volta questi autobus ad alcune società di trasporti pubblici e privati di alcune città l'Italia, dove questi mezzi svolsero egregiamente il loro servizio, ininterrottamente, per moltissimi anni ancora, contraddicendo le previsione catastrofiche dei tecnici napoletani. 
Autobus della linea "106"
C'è anche da dire che questi autobus non risultavano "simpatici" ai conducenti, a causa della ristrettezza dell'abitacolo di guida e, soprattutto, per il senso d'oppressione trasmesso dalla presenza di un livello sovrastante, che era appunto una novità dell'epoca e mai più adottato in città per i trasporti pubblici cittadini ed extraurbani!
Un ricordo indelebile che conservo della mia infanzia e dei miei primi viaggi in centro, è appunto la visione di uno di questi strani autobus, che intravidi ad una fermata degli autobus, al Corso Umberto; credo che allora avessi 6-7 anni.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


Fonte delle notizie e di molte delle foto: "Storia dei trasporti urbani di Napoli" vol.2, di Cozzolino, Bevere, Chiaro. Ed. Calosci.

ps1: Ringraziamo per la preziosa consulenza l'amico Augusto Cracco, "moderatore" del sito "Mondotram".

ps2: Se qualche lettore possiede foto o anche vuole raccontare un ricordo legato a questo autobus, lo potrà fare, ci farà piacere pubblicarlo. Potrà scrivere un commento a questo post.

Foto dell'autobus utilizzato per la prima linea sperimentale "1 Rossa", tratta "Mergellina Posillipo"










lunedì 1 settembre 2014

C'era una volta... la Piedimonte! Annuncio dell'avvenuta pubblicazione del mio libro...

Copertina che riprende il dipinto di un pittore spagnolo
Ho il piacere di annunciare a tutti i lettori di questo blog che in questi giorni è stato pubblicato il mio secondo libro: è un libro di racconti sulla cara Piedimonte, che s'intitola "Cera una volta... la Piedimonte" e ha per sottotitolo: "La ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife attraverso racconti, foto, poesie e aneddoti". 
Il libro "Cera una volta... la Piedimonte" è interamente a colori e, oltre ai racconti, alla ricostruzione di alcuni eventi e alla descrizione di alcuni personaggi legati alla ferrovia, è arricchito da ben 120 riproduzioni di foto e di cartoline d'epoca di quasi tutte le località attraversate dal treno, in gran parte seppiate e diverse anche in "quadricromia". Per gli appassionati segnalo che esso contiene anche molti inediti mai pubblicati, tra i quali due rare foto della ricercatissima stazione di Piscinola!!! 
Tuttavia il testo non è un saggio, ma appartiene a pieno titolo al genere di romanzo, per i tanti racconti contenuti.
La presentazione di questo volume è stata curata da un celebre scrittore e storico dei trasporti dell'area napoletana, il col. Antonio Gamboni, il quale è autore di molte pubblicazioni specialistiche, scritte anche in lingua inglese, nonchè presidente dell'Associazione Ferromodellistica "CLAMFER" di Torre del Greco.
Il libro è stato dedicato al caro mons. Salvatore Nappa, parroco emerito di Marianella e Cappellano Decano della Cattedrale di Napoli.

Ecco la recensione, che si legge sull'aletta di sinistra:
"Questo libro, scritto sulla
ferrovia Napoli-Piedimonte
d’Alife, ha l’intento di
omaggiare la storica linea
ferroviaria, in occasione del
centenario della sua
inaugurazione, dando risalto ai
paesi attraversati, ai paesaggi e,
quindi, ai viaggiatori che sono
stati a contatto con la ferrovia.
Un fantastico viaggio nel
tempo, che mostra al lettore i
particolari di un’epoca lontana
e, con essa, un’umanità ormai
del tutto scomparsa.
L’opera comprende diversi
racconti, con foto, poesie e
aneddoti che, oltre a suscitare
un pizzico di nostalgia, possono
favorire la riscoperta e quindi la
consapevolezza di quei valori
creduti del tutto perduti negli
ultimi tempi ed essere anche
un’occasione di conoscenza e di
arricchimento per i giovani di
oggi e di domani."

 

Lo scritto sull'aletta di destra:
Retrocopertina, composizione grafica di B. Palumbo
Salvatore Fioretto è nato a
Napoli, ha già pubblicato il
saggio “Piscinola, la terra del
Salvatore” ed. The Boopen. Ha
partecipato a diversi concorsi
letterari ed a eventi culturali. E’
un ricercatore di storia locale ed
è appassionato di tradizioni e di
folclore di Napoli e del suo

Hinterland."











La presentazione del libro avverrà nelle prossime settimane.
Salvatore Fioretto



 La copertina completa del libro



mercoledì 27 agosto 2014

Una scuola modello..! La scuola media "Salvo D'Acquisto" di Miano

A distanza di oltre due anni dalla chiusura, ritengo che sia meritorio, oltre che doveroso, ricordare quella che è stata per tante generazioni, anche per la mia, una scuola modello; secondo me una delle poche di tale spessore esistenti in Campania e forse nell'intera nostra Nazione: parliamo della scuola media statale "Salvo d'Acquisto" di Miano. 
Realizzata verso la fine degli anni '60, con strutture ultra modernissime, che furono progettate per una didattica all'avanguardia, il complesso scolastico ha svolto proficuamente negli anni la formazione giovanile, attraverso un corpo docenti dotato di elevata professionalità e lungimiranza, tali da essere oggi d'esempio per come andrebbe organizzata la didattica in una scuola moderna di Primo Grado. 
Piazzale di ingresso della scuola  "Salvo d'Acquisto", foto inizi anni '80
La scuola media "Salvo D'Acquisto" ha ben operato negli anni, considerato anche che ha dovuto far fronte alle ulteriori difficoltà, soprattutto sociali, scaturenti dalla preesistenza e vicinanza di un quartiere periferico abbastanza degradato e con molti problemi. Tutto questo l'ha resa ancora più apprezzabile oggi, dopo che moltissimi studenti, che si sono succeduti tra i suoi banchi, in oltre quarant'anni, possono testimoniare la formazione e la grande carica umana ricevuta, per far fronte alle difficoltà della vita, ma anche per la cultura assimilata e per l'umanità trasmessa dal suo corpo docenti. Molti di essi oggi svolgono professioni di rilievo della società.
Il vicebrigadiere Salvo D'Acquisto, med. d'oro
La scuola ha dato anche dimostrazione di saper operare con una didattica sperimentale avveneristica per i tempi, di alto profilo tecnico-pedagogico, come ad esempio la formazione di laboratori di ceramica e di pittura, attraverso i quali sono stati formati tanti ragazzi. Diverse opere artistiche, infatti, sono state realizzate negli anni, alcune delle quali oggi sono esposte fuori alla stazione della metropolitana di "Frullone San Rocco" e fuori alla chiesa di "Sant'Alfonso e San Gerardo" di via V. Janfolla a Miano.
Molto belle e accoglienti erano un tempo le numerose aule (alcune con vetrate panoramiche e con parquet di legno) e, poi, l'atrio d'ingresso con il corridoio pensile, il salottino di ricevimento dei genitori, il laboratorio di scienze...; bella soprattutto la palestra, attrezzatissima e dotata di un campo di basket e uno di pallavolo regolametari. La scuola era contornata da diversi giardini ed aiuole, un tempo molto curate, con piante e fiori.
Foto ricordo di una scolaresca, primi anni '70
Purtroppo due anni fa fu decretata la sua chiusura, per l'elevato rischio di crolli, come fu stabilito dalle competenti autorità. Da allora, purtroppo, le scolaresche sono state trasferite presso l'Istituto Comprensivo "Rosa Taddei", sito in via Lazio, sempre a Miano, ma distante oltre un chilometro dal precedente complesso, con notevoli problemi causati sia alle famiglie degli alunni che ai docenti. 
Nell'arco di questo biennio niente è cambiato e l'edifico versa ancora in uno stato di profondo abbandono e di incuria, mentre i lavori di manutenzione non sono stati ancora avviati, come appare.
Opera in ceramica, con la storia di Miano, realizzata dagli alunni della scuola

Da ex studente di questa scuola, esprimo qui il mio più sentito e accorato appello affinché si possa rapidamente ristrutturare questo storico complesso scolastico di Miano e restituirlo alla collettività, e che possa continuare ad essere "un faro" nella formazione dei giovani di oggi, in un ambiente considerato ad alto rischio di devianza minorile.
Colgo l'occasione per salutare e ringraziare i miei insegnanti (corso "L" - anni '76-'78) e tutti quelli che si sono succeduti nel tempo nell'insegnamento. Saluto anche i miei compagni di classe, molti dei quali sicuramente leggeranno questo "post".

Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


Opera completa sulla facciata esterna della parrocchia di S. Alfonso e S. Gerardo, a Miano.

NB: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

martedì 19 agosto 2014

Scampia e Secondigliano, tra tram a vapore, tram elettrici e filobus...!



La rete tramviaria a nord di Napoli, in tratteggio le Tramvie Provinciali
Era l’ultimo ventennio del 1800, precisamente il giorno 11 giugno 1881 quando gli industriali belgi: Alfonso ed Eduardo Otlet fondarono la Societé Anonyme des Tramways à Vapeur de Naples. La società assumeva l'onere, in virtù della concessione rilasciata dalla Provincia di Napoli, di costruire e esercire una prima linea tramviaria a vapore, che poi costituirà il primo ramo di quelle che furono denominate: “Tramvie Provinciali di Napoli”. 
La linea, attraverso Capodichino, poteva raggiungere la cittadina di Caivano, interessando i già popolosi centri di Casoria ed Afragola. A Capodichino aveva sede la rimessa principale e l’officina dei tram. La linea “Napoli Capodichino Caivano” fu inaugurata nel 1881, anche se per un primo limitato tronco. Al compleamento, i tram percorrevano, con un solo binario, un tracciato relegato in una “sede propria”; salendo dapprima la "Doganella", fino a raggiungere piazza Capodichino e di qui, voltando a destra e proseguendo per l’attuale via De Pinedo, si raggiungevano in progressione: S. Pietro a Patierno, Casoria, Afragola e, infine, Caivano. I curiosi tram furono subito soprannominati dai napoletani col termine scherzoso di "'E papuncielli"...
Convoglio di un tram a vapore
Qualche anno dopo si passò alla realizzazione della linea, che riguardava più da vicino il nostro territorio, parliamo della “Capodichino, Giugliano, Aversa”, che percorreva in rettilineo la strada provinciale per Roma (Oggi via Roma Verso Scampia), toccando, in progressione, Secondigliano, Scampia (allora piana agricola di Piscinola e Secondigliano), Melito e la località “Colonne di Giugliano” (dove fu realizzata anche una bretella per raggiungere il centro di Giugliano). Alle “Colonne di Giugliano” la linea deviava sulla destra, attraversando il Comune di Sant’Antimo, per ricongiungersi, poi, di nuovo alla strada provinciale per Roma, fino a raggiungere il capolinea di Aversa, situato in piazza Magenta. 
Corso Secondigliano, in prossimità di piazza Capoodichino, con vista di un tram
Al terminale aversano fu costruito anche l’edifico della stazione. Al centro di Napoli, le tramvie ebbe la loro stazione terminale nei pressi di "Porta Capuana", oggi Piazza G. Leone, nel largo prospiciente l’edificio della Pretura (il palazzo della Pretura in antichità era il “carcere di San Francesco”). La stazione terminale napoletana fu inaugurata nel 1886. Intanto, già nel 1884, gli Otlet avevano ceduto il pacchetto azionario alla neocostituita società belga “Societé Anonyme de Tramways Provinciaux” (denominata con la sigla S.A.T.P.). 
Piazza Capodichinio e l'edificio daziario.
Nei primi anni del ‘900 le linee delle tramvie S.A.T.P. furono progressivamente tutte elettrificate, per prima toccò alla “Napoli-Aversa”, inaugurata il 5 maggio 1901, per le altre avvenne qualche anno dopo. Nel frattempo, la S.A.T.P. realizzò, oltre la linea già elettrificata “Napoli Frattamaggiore” (1904), un’ulteriore diramazione da Grumo a Casandrino (1910); e, per ultimo, nel 1912, il prolungamento “Aversa-Frignano-Albanova”. 
Con la Prima Guerra Mondiale non si ebbero danni significativi alle strutture. Fu invece il secondo conflitto mondiale a causare notevoli distruzioni e danni all’armamento delle linee ed ai convogli dei tram; in particolar modo da parte dei soldati teutonici in ritirata, a fine settembre del 1943. Dopo la guerra la società  S.A.T.P. si trovò a dover ripristinare una situazione disastrosa, soprattutto per aver perso oltre la metà del parco vetture. Intanto, nell’anno 1956, alla Società belga S.A.T.P. subentrò la T.P.N. (Tranvie Provinciali di Napoli), avente per azionisti il Comune e la Provincia di Napoli. 
Convoglio su Calata Capodichino
La nuova Società iniziò progressivamente a dismettere le linee tramviarie, sostituendole con autolinee di autobus noleggiati.  
L’ultima linea tranviaria ad essere dismessa fu la “Napoli Frattamaggiore”, nel 23 aprile 1961.  
Nell’anno 1964, lungo l'ex percorso tramviario “Napoli Giugliano Aversa”, fu realizzata una filolinea (filobus) che da Secondigliano raggiungeva Aversa, fino a prolungarsi al Comune di Teverola. Nel 1970 la linea filoviaria fu prolungata fino al centro di Napoli. 
Nel periodo di massima espansione della trazione a vapore, le Tramvie S.A.T.P. ebbero in dotazione in tutto 17 locomotive, tutte di costruzione “Krauss”, e circa 48 vetture rimorchiate, in buona parte costruite dalla società “Grondona”. Nella successiva fase, con la trazione elettrica, la dotazione complessiva delle elettromotrici della S.A.T.P. fu di 56 vetture. 
Salita Doganella (oggi via D. D'Ambra), angolo Salesiani
L’esercizio nel tempo di queste linee ha segnato, purtroppo, anche eventi infausti, in particolare nei primi anni del secolo scorso, quando un convoglio tranviario diretto al capoluogo deragliò nei tornanti di via Nuova del Campo (Doganella), causando non pochi morti e feriti, mentre nel 4 aprile del 1943, a S. Pietro a Patierno, un convoglio fu preso di mira  da alcuni aerei angloamericani, le cosiddette “Fortezze Volanti”, nel corso dei raid di bombardamento della zona aeroportuale, causando, tra i viaggiatori, 13 morti e moltissimi feriti. Oggi la strada, dove si verificò l'eccidio, si chiama "Viale IV Aprile".
Proprio per evitare l’eccesso di traffico nella tortuosa linea della Doganella, fu costruito dalla S.A.T.P. il nuovo ramo lungo la strada Calata Capodichino, realizzando una sorta di anello di accesso cittadino.
Oggi la società che gestisce il servizio di trasporto publico provinciale su gomma, compreso la linea filoviaria "Napoli Aversa Teverola", è la "Compagnia Trasporti Pubblici di Napoli" (C.T.P.)
Già da alcuni anni un nuovo collegamento del filobus (a servizio "bimodale"), diretto a Teverola, è stato realizzato fino alla stazione di Piscinola, della metropolitana cittadina "Linea1", in via Zuccarini.
Salvatore Fioretto
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Stazionamento terminale presso Porta Capuana, anni '50

Stazionamento dei filobus a Napoli, nei pressi di Porta Capuana, anno 1983 (foto collezione E. Bevere)
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