domenica 3 agosto 2014

Dalla letteratura e da Internet...Un ricordo della festa del Salvatore...


...6 agosto..., su tutti i calendari si legge: "Trasfigurazione di N. S.", ma per noi è ancora la "festa"..., la festa di Piscinola...! La festa del SS. Salvatore!
Altare della chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore (2009)
Tanto è antico questo legame che un tempo Piscinola era anche denominata "La terra del Salvatore"; forse furono i continui contatti avuti nel medioevo con i monaci del monastero del SS. Salvatore di Napoli a far nascere negli abitanti questa antichissima devozione, direi molto particolare, verso il Gesù Trasfigurato, culto importato dalla Grecia, dove il Salvatore era venerato (ma è più corretto dire "adorato") con l'appellativo di "Divina Sapienza".
Quanti piscinolesi si chiamavano un tempo Salvatore? Tantissimi! Si può dire che in ogni famiglia si contava almeno un rampollo con tale nome! Una tradizione nata per suggellare una specie di patto tra il Patrono, il territorio e la sua comunità: un autentico legame storico-antropologico verso la figura del Salvatore, che ha caratterizzato sicuramente la storia e le vicende di questo luogo. 
Un tempo nel borgo di Piscinola si organizzavano solenni festeggiamenti in onore del SS. Salvatore, che richiamavano curiosi e appassionati sia dal centro cittadino che dalla sua Provincia; oggi, a malapena, si eseguono brevi fuochi pirotecnici, verso la sera del giorno della ricorrenza... 
Come avvenuto per la "festa", così l'usanza di porre il nome "Salvatore" ai fanciulli sta lentamente scomparendo negli ultimi tempi, notiamo, sperando vivamente di essere smentiti, che nelle famiglie di oggi sono sempre meno i genitori che affidano il nome del Patrono ai loro figli. 
Affresco del SS. Salvatore (XVII sec.), part. foto del m.tro G. Vitagliano
Tutta una tradizione, purtroppo, che va inesorabilmente annullandosi nel dimenticatoio della cosiddetta modernità dei nostri tempi...!
Degli antichi festeggiamenti popolari di Piscinola ne hanno parlato diversi scrittori nelle loro opere letterarie, qui riportiamo la breve citazione che la grande scrittrice e giornalista Matilde Serao fece sulla testata de "Il Giorno", il 15 luglio 1904. Il testo fu successivamente raccolto, insieme ad altri racconti, in un'opera completa, pubblicata con il titolo "I Mosconi".

Intanto, già da qualche anno, nel sito internet intitolato "SantissimoSalvatore", curato da alcuni cittadini del Comune di Militello Val di Catania, è stata inserita anche Piscinola, nell'elenco delle cittadine italiane che hanno affidato il patronato al SS. Salvatore. Li ringraziamo ancora in questa pagina del blog!

Sito di Militello Val di Catania (Catania) che elenca i luoghi italiani dove il SS. Salvatore è il Patrono, tra essi Piscinola (Foto n.18).
 http://www.santissimosalvatore.com/SEZ-festa-patronale/festa-patronale-content.php?id=altreFeste

Auguri a Piscinola, la "Terra del Salvatore", auguri a tutti i miei concittadini e, in particolare, a quelli che portano come me il Suo nome. 

Salvatore Fioretto


Invitiamo i lettori a vedere il documfest: "Piscinola e il Suo Salvatore", pubblicato l'anno scorso, regia di Dario De Simone (ecco il link): https://www.youtube.com/watch?v=eqv3fnBOpl8


Le festicciole
(dai "I Mosconi" di  Matilde Serao; racconto pubblicato sul giornale “Il Giorno”, del 15 luglio 1904) 
"Ecco che, con l’estate grave ed asfissiante, con le prime spiche che si arrosolano agli angoli delle vie, sui fornelletti portatili, fumicano nei caldaioni trascinati sulle rotelle, con i primi cocomeri che rosseggiano sulle bancarelle, alla novissima luce dell’acetilene, tutti i vicoli di Napoli, tutte le strade dei sobborghi, tutte le piazza dei paesi suburbani diventano il regno il trionfo, l’apoteosi della festicciola.
Festeggiamenti in provincia di Napoli, anni '30
Oh, la classica, la tipica festicciola, fantasmagoria luminosa della nostra infanzia lontana, gioia degli scugnizzi, delizia delle sartine, felicità ineffabile di tutti gli inquilini delle case circostanti, che il profumo dell’olio gocciante delle lampadine policrome e i vibranti colpi di grancassa delle musiche campagnuole, mantengono in uno stato di eccitamento piacevolissimo fino a tarda ora di notte!
Quale istituzione più paesana, più indigena di questa? E quale manifestazione più caratteristica dei sentimenti di fede e di arte di un popolo amante dei colori, delle musiche,  degli spari, che improvvisa una festa con quattro stracci rossi e azzurri, una frangia dorata e quattordici bicchierini di vetro colorato?
E, dal giugno all’ottobre, è tutto una sfilata di santi, tutta una fioritura di festicciole, tutta un’orgia di lampadine, di ferze, di fuochi pirotecnici e di bande. Ogni strada di Napoli, dalla fastosa Pignasecca al modesto vico Scassacocchi, ha, in questi cinque mesi, il suo santo e la sua festa; e ad ogni otto passi v’imbattete in una fuga di archi luminosi, in una Kermesse di castagnari, nocellari e torronari, e ad ogni cantonata vi arriva all’orecchio la gaia voce del venditore di gelati a un soldo o uno squarcio del Trovatore o della Cavalleria Rusticana, massacrato da una banda che non è di malfattori, ma che si direbbe tale… E Miano, Piscinola, Marianella, sfoggiano anch’essi i loro lumi colorati e le loro bandiere, e San Giovanni a Teduccio, Portici e Resina, diventano tutto un caleidoscopio luminoso e disseminano le notti di punti d’oro, di rubini e d’ametista, schiudentisi nel cielo come strani fiori di luce…
Matilde Serao
Tutto questo fa sorridere, forse, lo scettico; fa strizzire, forse, l’uomo nervoso, a cui gli spari e i tromboni danno l’emicrania; ma il sognatore, ma colui che rievoca le ricordanze lontane, ma colui che vede in ciascuna di queste festicciole un poco dell’anima napoletana, anima vibrante ed entusiastica, è lieto in fondo, di questi lumi, di queste musiche, di questa piccola straccioneria clamorosa e simpatica, e si commuove, anche, un poco, alla gaiezza dei monelli seminudi che fanno le capriole innanzi ai palchi delle musiche, e alle tenerezze delle coppie d’innamorati che passeggiano sotto gli archi scintillanti, in abito di festa, con un sorriso sul labbro e un raggio di contentezza negli occhi…
E pensa, il sognatore, che il nostro popolo si contenta di tanto poco, che vale, veramente la pena di benedire a ciò che gli dà un quarto d’ora di felicità, anche che sia meschino o banale, anche che i tromboni stonino e le lampadine sentano di moccolaia!"


domenica 20 luglio 2014

Alfonso....Un santo che insegnava l'aritmetica e la grammatica...!

Per la ricorrenza della festività di Sant'Alfonso Maria de Liguori, che cade il 1 agosto (S. Alfonso è nato a Marianella, nell'anno 1696, è stato fondatore, vescovo, santo e dottore della Chiesa), ci piace ricordare un aspetto poco noto della vita di questo grande personaggio, vissuto nella Napoli "dei Lumi", nel secolo decimoottavo...
Alfonso, oltre a scrivere molte opere di dogmatica, morale, ascetica e di pratiche religiose (oltre 110 libri!), ha scritto diversi compendi, oggi diremmo saggi, rivolti soprattutto ai novelli sacerdoti, ma anche ai confessori, ai vescovi, nonché agli aspiranti redentoristi e ai fedeli in genere.
Tra queste opere, il compendio più curioso, ma eccezionale, considerata l'epoca nella quale fu scritto (siamo nel XVIII secolo, quando l'istruzione era solo appannaggio di pochi nobili e facoltosi), è il libro "Alcuni avvertimenti per la lingua Toscana". Esso fu pubblicato nel 1750, in formato opuscolo, composto di 47 pagine e diviso in due parti. La prima parte, composta da 24 pagine, il Santo spiega in nove piccoli capitoli le regole della grammatica italiana. Mentre in un decimo capitolo espone gli "Avvertimenti particolari per lo scrivere in latino"
La seconda parte, che s'intitola, "Le quattro regole principali dell'aritmetica", si compone di 23 pagine e riporta, appunto, le regole fondamentali dell’aritmetica. Quest'opera, in particolare, è indirizzata da Sant'Alfonso ai fratelli laici della Sua Congregazione.
Il libro ebbe una prima ristampa, nel 1830, dall'editore Marietti di Torino ed è poi stato inserito nel Tomo XV, della raccolta "Opere complete".
In mancanza di una scuola pubblica, l'intenzione di Alfonso era quella di divulgare il sapere e la conoscenza agli ultimi e ai poveri della società del suo tempo, e lo fece attraverso i Redentoristi, che potevano diffonderle alle masse, quando peregrinavano nel Regno, durante le "Sante Missioni" oppure quando radunavano lavoratori e garzoni nelle "Cappelle Serotine". 
Nel breve compendio, per quanto riguarda l'aritmetica, oltre a spiegare le regole del Sommare, del Sottrarre, del Moltiplicare e del Partire (divisione, con i metodi per Iscala e per Danda), sono esposte: "La regola del tre" e la "La regola del cinque".
Alfonso, quindi, è stato anche un divulgatore sociale e culturale del suo tempo e la sua opera darà copiosi frutti anche nei secoli a seguire, perchè le case dei Redentoristi diffusero i suoi insegnamenti in tutti i cinque continenti del pianeta.  
Riportiamo, qui nel seguito, la parte del libro dedicata alla "Addizione" e alla "Sottrazione" e le regole sui verbi; si noti la semplicità della scrittura adoperata da Alfonso e, soprattutto, la volontà di farsi capire senza eccedere nella manifesta erudizione. 
Salvatore Fioretto 


"DELLA I REGOLA: DI SOMMARE
Si noti per 1. che 'l primo numero fa numero semplice, il secondo fa decina, il terzo fa centinajo, il quarto migliajo, il quindo fa decina di migliaia, il sesto fa centinaio di migliaja, il settimo fa milione. Per esempio 25 venticinque * 125 cento venticinque * 1125 mille cento venticinque * 11125 undici mila cento venticinque * 111125 cento ed undici mila cento venticinque * 1111125 un milione cento undici mila e cento venticique.
Si noti per 2. che il sommare è facilissimo, sempreché si situano le unità, le decine, le centinaja e le migliaja l'una sotto dell'altra. Sommando, si summano i numeri della prima linea (notisi che nell'abaco la prima linea s'intende l'ultima) e si pone sotto il numero che avanza fuori delle decine, ed il numero delle decine si trasporta alla seconda linea e così alla terza; per es. in questa figura:
                                     3456
                                       789 
                                       579
                                       868
                                    -------
                                     5692
la prima linea somma 32, si mette sotto 2 e si porta 3. La seconda linea somma 26, a cui aggiunti li 3 portati, fanno 29; si aggiunge sotto 9 e si portano 2. La terza linea somma 24, a cui aggiunti li 2, fanno 26, si aggiunge sotto 6 e si porta 2. Nella quarta linea non v'è altro che 3, a cui aggiunti li 2, fanno 5 e si nota; sicché fanno 5692.
Si noti per 3. che quando vi sono rotti, v. gr. ducati, carlini e grana, allora è più facile il sommarli in ridurli tutti ad un numero, poiché i ducati, con aggiungervi un numero, diventano carlini ed i carlini, con un altro numero, diventano grani, e così possono tutt'i ducati ridursi a grana o almeno a carlini, e così poi sommarsi tutt'insieme.

DELLA II REGOLA: DEL SOTTRARRE
Il sottraere ancora è facilissimo: si mette il numero maggiore di sovra al minore, e po' si sottrae il minore dal maggiore e si vede quello che resta, per esempio:
numero maggiore …….947     
numero minore    ....….543          
                                   --------
resta….....                    404  

Si spiega: da 7 leva 3, restano 4 e si mette sotto il 4; da 4 leva 4, resta niente, onde si mette sotto zero; da 9 leva 5, resta 4 e si pone sotto il 4, e nell'ultima partita si vede quello che resta.
Un poco più difficile è il sottrarre quando si trova che la figura inferiore è maggiore della superiore, per esempio:
numero maggiore……  754
numero minore....….... 367          
                                   --------
resta.......                     387


Da 4 leva 7, non si può, onde allora che si fa? Si prende il numero che vi è tra la figura di sotto fino a dieci e si unisce alla figura di sopra; e poi si nota di sotto; indi si aggiunge un'unità alla figura seguente di sotto e così si prosiegue. Sicché torniamo a dire da 4 leva 7, non si può; da 7 fino a diece vi sono 3, che col 4 di sovra fanno 7, si nota il 7 di sotto e si porta uno al numero di sotto seguente, cioè 6, sicché il 6 seguente si calcola per 7 e, seguitando il numero di sopra ad esser minore dell'inferiore, si seguita l'istessa regola. Sicché da 5 leva 7, non si può; da 7 fino a dieci sono 3, e 3 co' 5 di sopra fanno 8, e si nota di sotto 8. In fine aggiungendosi l'unità all'ultima figura 3, fanno 4 e da 7 leva 4, restano 3; onde quel che resta è 387.
La prova poi del sottrarre è facilissima, perché si somma l'ultima partita del restato 387 colla seconda del numero minore, o sia dell'esito, e si vede se la somma di queste due partite corrisponde alla prima del numero maggiore, o sia introito, 754, cioè:
restato.......                    387
esito..........                    367 
                                   --------
introito……                   754      ".
       

CAPITOLO III - Circa i Verbi: "Nel tempo presente indicativo dicesi io debbo e deggio, non deo; devo è poco usato; fo, e non faccio; ho, non aggio; ha, non ave, e notisi qui che si dice ha ed hanno colla h, e non tanto per levar l'equivoco che forse potrebbe esserci coll'articolo o vicecaso a e col niome anno, che significa tempo, quanto perché, nel dire ha ed hanno, la lettera h ben si esprime, Decesi ancora può e puote, non puole; possiamo, non potiamo; amiamo, non amano; facciamo, non facemo; leggiamo, non leggemo; udiamo, non udimo; siamo, non semo; siete, non sete; possono, non ponno. Nell'imperfetto presente dicesi io leggeva e leggea, aveva ed avea, non già leggevo, avevo; ciò solo si tollera nelle pistole familiari. Nella persona terza dicesi ancora leggea, come dicono Facciolati, Majello e Muratori; se non però siegue vocale, allora senza meno dee dirsi io leggeva un libro, quegli aveva insegnato, ecc. Nel perfetto dicesi tacque ed ha taciuto, non tacetti; dissi, non dicei; lessi, non leggei. Può dirsi ho veduto Roma, ho fatto amicizia, ma meglio dicesi ho veduta Roma, ho fatta amicizia. Nel plurale si dice amammo, leggemmo, udimmo, non amassimo, leggessimo, udissimo, i quali sono mosi dell'imperfetto soggiuntivo. Amarono, non amorono; comprarono, non comprorono e simili. Si dice apparii, comparii, non apparvi, comparvi. Ho veduto, non visto; vivuto, non vissuto; potuto, non possuto; voluto, non volsuto. Tu fosti, non fusti; voi foste, non fuste.
Nell'indicativo futuro è d'avvertisi che tutti i verbi, che nell'infinito terminano in are, nel futuro mutano l'a in e, come da amare si fa amerò, imiterò, non imitarò. Se n'eccettuano i tre verbi stare, dare, fare ne' quali si dice starò, darò, farò. 
Nell'ottativo presente dicesi amerei, non amarei. Si dice stessi, dessi e desse, non dassi e dasse. Si dice fosse e foste, non fusse e fuste."
Salvatore Fioretto

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

PS. I NOSTRI AUGURI A MARIANELLA E A TUTTI QUELLI CHE SI CHIAMANO ALFONSO!
 
Piazza Marianella e, sullo sfondo a lato, dove emerge il campanile, la casa natale di Sant'Alfonso Maria dei Liguori
NB: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

venerdì 18 luglio 2014

Una terra di Santi, ...poeti, giuristi e navigatori... e di patrioti! (II^ Parte)


I patrioti della Rivoluzione del 1799 dell'Area Nord di Napoli

In questa trattazione descriveremo i patrioti del '99 che sono legati, per la loro vita, al territorio dell'Area Nord di Napoli.

Don Maria Nicola Pacifico (*)
I martiri del 1799, in una stampa
Il sacerdote Maria Nicola Pacifico fu un insigne scienziato vissuto nel secolo dei lumi, ricordato soprattutto come grande botanico e bravo matematico. Divenne uno stimato ricercatore e un appassionato insegnante. Coltivò anche la passione per l’archeologia e la numismatica. Il Genovese lo definì: “Gloria di tutta la botanica”. Fu amico del celebre matematico Nicola Fergola e di altri illustri personaggi della sua epoca. 
Don Nicola Pacifico possedeva una masseria ubicata nei pressi del Vallone di San Rocco. Questa masseria è riportata nella mappa disegnata dall’Ing. Camerale G. Porpora nel 1793.
Le cronache “rivelano” che nelle adiacenze della sua casa realizzò un prezioso e raro orto botanico.
Piantumazione dell'"Albero della libertà"
Fu designato accademico, al momento della fondazione della "Real Accademia delle Scienze e delle belle arti", con sede a Napoli, alla cui inaugurazione parteciparono il re e la regina. 
Fu membro della commissione di ricerca istituita dalla Real Accademia, dopo il tragico terremoto che interessò la Calabria, nel 1783 e l'eruzione del Vesuvio, nell'anno seguente. Insieme ad altri scienziati, disegnatori e ricercatori, anch'essi designati dall'Accademia, sbarcò a Scalea e proseguì fino a Messina e dintorni, eseguendo rilievi e sperimentazioni sull'ecosistema calabro e sullo Stretto. Dopo questa indagine pubblicò due dissertazioni sul terremoto e partecipò alla stesura di quello che divenne un famoso Atlante geografico.
Fu incarcerato per diversi anni, con l’accusa di cospirazione contro lo Stato. Quando uscì di galera, aderì con fervore alla causa giacobina. Fondò la “Loggia della Vittoria”, a cui aderirono diversi patrioti, tra i quali, il medico Cirillo e l’ammiraglio Caracciolo. Pur avanti negli anni, essendo nato nel 1727, si unì ai combattenti durante le note battaglie rivoluzionarie del 1799, guidando una compagnia della “Truppa Civica”, contro i Sanfedisti, alla veneranda età di 72 anni!
Il giornale il "Monitore Napoletano"
Ecco quanto annota Carlo De Nicola, nel suo diario: "Diario napoletano dic. 1798- dic. 1800" Giordano ed. Milano 1963: "4 aprile (1799). ...Non ricordo se ho notato che nella truppa civica abbiamo due capitani sacerdoti, l'uno è Nicola Pacifico, l'altro Ignazio Falconieri, uomo anco di età matura, e già cattedratico in Belle Lettere".
Nel corso della battaglia disputata a Napoli, sul Ponte della Maddalena, fu fatto prigioniero dall’esercito borbonico e condotto nelle carceri dei Granili.
Quasi paralitico, fu condannato al patibolo; la sentenza, per impiccagione, fu eseguita in Piazza Mercato, il 20 agosto 1799. A nulla valsero le intercessioni operate in suo favore, in particolare quelle del Cardinale Ruffo, che fu suo discepolo. Morì come tutti gli altri patrioti martiri del 1799, senza rinnegare se stesso e i propri sentimenti di libertà. Si narra che poco prima di salire sul patibolo, fu istigato da alcuni facinorosi a gridare: "Viva il re!", egli rispose, impavido, inneggiando: "Viva la libertà!".


Don Carlo Mauri, marchese di Polvica 
Il marchese Carlo Mauri nacque a Napoli, nel 1772.
Oltre al feudo di Polvica (Napoli) e di Baronissi (SA), era proprietario delle taverne: "l'Arco", "il Portone" e "la Piazza", che si trovavano tutte ubicate in questo antico tenimento del casale di Polvica.
Durante la Repubblica Mauri fu comandante del primo Battaglione della Guardia Nazionale e fu anche membro della Municipalità e della Commissione per la Toponomastica.
Raro ritratto del marchesino Mauri
Era già stato imprigionato qualche anno prima della rivoluzione, con l'accusa di cospirazione.  
Secondo alcune testimonianze egli, con un manipolo di giovani combattenti, piantò all'Arco di Polvica "l'Albero della libertà" e, poi, condusse tutti a festeggiare l'evento, nella vicina taverna "il Portone".
Durante le fasi finali della brevissima Repubblica Napoletana, con un gruppo di patrioti, si asserragliò nella fortezza di Baja, dalla quale riusciva a difendere, per la posizione strategica, il sottostante porto di Baja. Fu però fatto prigioniero dagli inglesi di Nelson, i quali in cambio della pacifica capitolazione delle forze rivoluzionarie, avevano invano promesso loro un salvacondotto. Furono quindi tutti arrestati e il Mauri, dopo un processo sommario, fu condannato alla pena capitale per impiccagione. La pena gli fu tramutata poco dopo in decapitazione, pare per espressa richiesta fatta all'ammiraglio Nelson.
L'Albero della libertà
Gli ultimi momenti della vita di questo patriota sono riportati da Carlo De Nicola, nel suo già citato diario. Ecco uno stralcio del testo: "Giovedì 5 (dicembre). Si è intesa quest'oggi la condanna del P. Granada ex provinciale dei Carmelitani, di don Nicola Fiorentino, già giudice regio e del marchese Mauri". Alcuni giorni dopo: "Martedì 10 (dic.). Sono passati in cappella il marchesino Mauri, d. Nicola Fiorentino, il Granada. Ma al Mauri il 12 risultava sospesa l'esecuzione, chi dice perché abbia detti di aver cose da scovrire in utile allo stato, chi che sia stato per le parti fatte dai parenti, giovandosi di una capitolazione particolare da lui fatta col comandante ingelese" (Nelson). Tuttavia, i fatti presero piega ben diversa, infatti il De Nicola, qualche giorno dopo continua il suo scritto: "Sabato 14. Mauri è stato seguito quest'oggi, come vada ciò è un arcano almeno per me".
Sulla vita del marchesino Mauri ha scritto un piccolo saggio anche lo storico di Chiaiano, dott. Domenico De Luca, dal titolo "Marchese Carlo Mauri feudatario di Polvica giustiziato nel 1799" ed, Elisa Velardi, anno 1993. Il celebre Giustino Fortunato menziona lo sfortunato giovane patriota nel suo libro: "I napoletani del 1799".
La residenza dei marchesi Mauri a Chiaiano
Negli scritti di M. D'Ayala e di G. Fortunato risulta: "Carlo Mauri (Napoli 1772, marchese di Polvica). Il Marchese Mauri, che lasciò ogni incombenza civile quando fu minacciatala libertà, e con quattrocento giovani valorosi corse a comandare e sostenere la difesa del forte di Baja, fu decollato per favore anzicchè appiccato. Il marchesino Mauri doveva essere decollato alcuni giorni prima. Ma cadde ammalato, né si potè eseguire la sentenza. Essendosi alquanto ristabilito, e poiché il lunedì 16 incominciava la novena del Santo Natale, sabato 14, all’improvviso la sentenza si eseguì alle ore 22" (**).
Con la Restaurazione borbonica i beni della famiglia Mauri furono tutti confiscati dallo stato, come avvenne per gli altri rei della rivoluzione. 


Don Giovan Battista Mosella
La legge giacobina che aboliva lo stato feudale
Altro personaggio che troviamo coinvolto nella corrente rivoluzionaria fu il parroco di Piscinola, che fu denunciato dal Comune di Piscinola per aver realizzato, all’interno della sacrestia della chiesa, un ospedale nel quale furono curate soprattutto le donne. 
Non troviamo espressamente menzionato il nome del curato e se le accuse ebbero per lui delle conseguenze serie. Sappiamo però che in quel periodo, dal 1780 fino al 1800, fu parroco di Piscinola don Giovan Battista Mosella, dopo il quale subentrò, poi, don Ambrogio Tagliamonte.



......  *  ......

 
La ricerca storica su questo argomento è ancora in corso, perchè molti patrioti napoletani, anche se originari del nostro circondario, sono indicati nei testi come nativi di Napoli ed è alquanto difficile accertare la loro esatta collocazione geografica.
Destino purtroppo volle che di quella strage del '99 non rimanessero molte tracce storiche, perché il sovrano borbonico, ritornato nella capitale del Regno, ordinò la distruzione di tutti i documenti e gli atti dei processi eseguiti.  
Salvatore Fioretto

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
 


(*) Articolo tratto dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore" di S. Fioretto, ed. Boopen, anno 2010.
(**) Si ringrazia la dott.ssa Antonella Orefice, storico, scrittrice e direttrice del giornale "Il Nuovo Monitore Napoletano", per la consulenza gentilmente fornitaci sulla vita del Marchese Carlo Mauri.