venerdì 11 aprile 2014

Garrittone, Frullone e Piscinola: l'etimologia storica di Domenico Chianese...

Stemma della città di Napoli in una stampa antica
Tra i primi ricercatori di storia patria napoletana, oltre al Chiarito e all'illustre prof. Bartolommeo Capasso (*), che per primo trasse la storia dei nobili e antichi Casali di Napoli a partire dal periodo ducale, ricordiamo anche lo storico Domenico Chianese, originario della cittadina di Giugliano, che nel 1938 pubblicò un piccolissimo compendio, dal titolo "I Casali antichi di Napoli", nel quale si tracciavano le origini e soprattutto l'etimologia di alcuni toponimi del nostro territorio. Leggendolo oggi si resta colpiti dalla semplicità dello scritto e soprattutto dalla passione che traspare dalla narrazione di fatti e curiosità.
Singolare è la ricostruzione del toponimo del Garrittone. Riportiamo la breve spiegazione del Chianese: "Anche recente è il nome di Garrittone. Si sa che abolita la cinta daziaria di Napoli che andava per Miano e passava per il Vallicello sul quale vi fu un posto dove gabellavano le merci. Di tratto in tratto, lungo la cinta daziaria, vi erano le garette dove si riparavano i gabellieri, il volgo le dice galette. Si deve ritenere che quel posto che oggi chiamano Garittone vi fosse una garetta più grande delle altre per la vigilanza, onde da galittone ne dovette derivare Garrittone".
Veduta di Napoli da Capodimonte
Curiosa è invece la ricostruzione del toponimo di Frullone, per altro già da me accennata qualche mese fa in questo blog.
"In tempi non lontani chi da Napoli andava a Marano, vedeva là dove oggi si dice Frullone, in una bottega di farina un frullone, cioè un cassone che faceva da buratto. Senza dubbio quel cassone, che per anni richiamò l'attenzione dei passanti, dovette suggerire il nome dato al gruppo di case intorno alla bottega e la denominazione è rimasta anche oggi che il frullone non si vede più essendovi altri mezzi per abburratare la farina. Se il fatto non fosse recente ma risalisse a un passato lontano, lo studioso, nel rintracciare la detta etimologia, avrebbe i suoi dubbi nell'affermare che la denominazione abbia avuto origine da qualche bottega di farina o da qualche frullone in uso".
Concludiamo con l'etimologia riservata dal Chianese a Piscinola.
"Un po' verso occidente è Piscinola, detta anche Piscinule, la quale dovette pigliare questo nome da piccole piscine, che nei regesti significavano cisterne, e anche oggi hanno tale significato nell'uso dialettale. Potettero essere cisterne di fabbricati e cisterne di campi, perchè pure nei campi si ritrovano piscinule che raccolgono le acque piovane. Vi è un podere nell'agro di Giugliano detto Piscina o Della Piscina. Non diversamente il nome Pozzuoli e di Puezana o Puezano o Puzzano dovette derivare dai pozzi, come il nome di S. Maria del Pozzo in Napoli e della via Pozzillo a Giugliano."
I "regesti" citati da Domenico Chianese sono i registri antichi che raccolgono gli atti notarili di proprietà, i capitoli e altre "carte celebrate".
A Capodimonte (Porta Grande?)

Purtroppo delle tracce storiche che hanno determinato l'origine di questi tre toponimi oggi non è rimasto niente, perchè qui da noi non esiste la sensibilità della conservazione dei cimeli di "storia patria"; chissà quali giudizi riserveranno di questa epoca superficiale le future generazione che ci seguiranno nel tempo...!
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


  (*) Il prof. Bartolommeo Capasso è autore del motto di questo blog " Se vuoi essere universale parla della tua terra".

NB: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

sabato 5 aprile 2014

Aniello Migliaccio: un farmacista rivoluzionario....


Di personaggi curiosi e particolari che hanno animato la storia di Piscinola, ne ho trovati tanti, quello a mio parere singolare è Aniello Migliaccio, che fu farmacista e aveva la sua bottega nel Casale di Piscinola.
Targa ricordo al palazzo Marigliano del Monte, in via S. Biagio dei Librai
Nel corso dell'anno 1701 si ebbe nella città di Napoli una breve, ma sanguinosa, rivolta anti spagnola e chiaramente di ispirazione filo-asburgica, ordita dai nobili napoletani contro il re Filippo V di Borbone. Tale rivolta è passata alla storia come la “Congiura del Principe di Macchia”, dal nome del nobile Gaetano Gambacorta principe di Macchia, che pur non essendo stato il diretto ideatore, ospitò nella sua residenza le riunioni dei cospiratori e degli insurrezionisti.
Tra i rivoltosi popolani che parteciparono durante i tre giorni di tumulti, culminati con l’occupazione dei campanili di San Lorenzo Maggiore e di Santa Chiara, si contraddistinse appunto il nostro farmacista di Piscinola.
Nativo del Casale di Mugnano, il Migliaccio fu uno dei primi rivoltosi a partecipare ai tumulti del 10 giugno del 1701, istigando il popolo a sollevarsi contro la tirannia straniera.
Sappiamo, addirittura, che questo patriota vendette il suo speziario sito a Mugnano per finanziare la rivolta.
Quando la rivolta fallì, riuscì a sfuggire in un primo momento alla cattura, riparando a Benevento. Dopo un breve periodo di latitanza, fu però sorpreso in una chiesa di Mugnano e quindi arrestato.
Il suo caso a quell’epoca fece molto discutere e determinò la nascita di un vero e proprio incidente diplomatico tra le autorità ecclesiastiche e la corte vicereale spagnola.
La “cosa” che irritò la Chiesa fu la violazione da parte degli Spagnoli della secolare immunità e inviolabilità goduta dagli edifici ecclesiastici. Sul caso intervenne addirittura l'Arcivescovo di Napoli, Cantelmo, che avocando a sé il diritto di giudicare il colpevole, impartì la scomunica agli esecutori dell’arresto, secondo le disposizioni contenute nella bolla di papa Gregorio XIV.
Intanto, dopo un regolare processo, il tribunale spagnolo condannò il farmacista alla pena di morte. Fu imprigionato in Castelnuovo (Maschio Angioino), dove gli furono somministrati i sacramenti per l’imminente esecuzione della condanna. Tuttavia, in un secondo momento, gli Spagnoli, avendo constatato le numerose torture subite dal Migliaccio per la protratta prigionia e temendo la reazione popolare, commutarono la condanna di morte in carcere a vita. Con l’arrivo delle truppe imperiali austriache, il farmacista piscinolese fu definitivamente scagionato e reso libero.
Il Regno di Napoli passava intanto sotto il Vicereame Austriaco (1707-1734). 
Il Migliaccio ebbe dagli austriaci una lauta ricompensa per i sacrifici e le persecuzioni patite per la nobile causa e con tali risorse mise su, nel territorio di Cosenza prima e Salerno dopo, una moderna stamperia, divenuta una famosa tipografia per tutto il XVIII secolo per le opere letterarie stampate e pubblicate. La tipografia, oggi diremmo casa editrice, sopravvisse fino alla fine dell'Ottocento, fu chiusa infatti nel 1883.
Purtroppo constatiamo che nel quartiere di Piscinola nemmeno un vicoletto è stato dedicato a questo illustre personaggio del secolo dei Lumi.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Tratto dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore", ed. Boopen 2010

sabato 22 marzo 2014

Quel ramo del Bosco che guarda a settentrione....!

Parco di Capodimonte - Eremo dei Cappuccini
Esiste un lato del parco di Capodimonte, che guarda a Miano, che risulta per molti concittadini ancora tutto da scoprire, perché impervio e di difficile accesso. Parliamo di quella zona del "Bosco", nel suo confine settentrionale, che si affaccia sul Vallone di San Rocco e sull'antico casale di Miano. Infatti proprio qui, dove il bosco si fa selvaggio e fitto di vegetazione, si può scoprire, in fondo a un sentiero, il complesso denominato Eremo dei Cappuccini, detto anche Ritiro di San Clemente. 
Parco di Capodimonte - Eremo dei Cappuccini
L’Eremo fu chiuso nel 1865, in seguito al decreto di soppressione degli ordini religiosi, quando i pochi frati furono definitivamente allontanati dal sito (erano rimasti solo in otto). L'edificio si presenta ben fortificato, mostrando una bella linea architettonica, in stile neogotico fiorito. Attualmente è occupato dalla “Opera per la salute del fanciullo”, che svolge l'assistenza agli alunni. Il complesso comprende anche una chiesa, dedicata alla Vergine Assunta e a S. Clemente e l'ex camposanto dei frati. 
Parco di Capodimonte, Ponte dell'Eremo
Percorrendo un sentiero si raggiunge il ponte in tufo, chiamato "Ponte dell'Eremo" (o ponte della Fagianeria), che scavalca il vallone denominato Vallone di San Gennaro. Dal ponte si riesce ancora oggi a godere di un paesaggio superbo e impareggiabile, che guarda sull'ameno Vallone di San Rocco e sullo storico abitato di Miano. Purtroppo anche qui la mano dell'uomo sta causando episodi di degrado e di abbandono...
Parco di Capodimonte -Statua romana, detta "del Gigante"
Non molto distante da questo sito, in fondo al vialone progettato dall'eclettico architetto Sanfelice, si erge, su un alto basamento, la maestosa statua romana detta "del gigante": La statua, che rappresenta forse una sfinge (secondo alcuni Ercole), apparteneva alla collezione Farnense, fu collocata in questo punto del parco alcuni decenni fa. Di essa, solo alcuni pezzi risultano essere di epoca romana, mentre la restante parte è frutto di un sapiente restauro di ricostruzione, eseguito durante la dinastia borbonica. 
Poco distante da questo territorio esiste un anfratto percorso dall'alveo di San Rocco, e più a est, si erge un caseggiato, abitato da secoli, che rappresenta quello che fu l'antico Casale di Mianella.
Chiesa della Madonna degli Angeli al Cavone. Foto anni '70
In prossimità del centro abitato in parola si erge la piccola e bellissima chiesetta dedicata alla Madonna del Cavone. Alla chiesa si accede imboccando una stradina che parte dal "cuore" di Miano vecchia, percorrendo una serie di irte e tortuose rampe. 
L'immagine della "Madonna del Cavone" era un tempo molto venerata dalla popolazione locale ed era celebrata da tutta la comunità circostante, fino a Piscinola e Marianella e ancora oltre. 
Medaglione con l'immagine della Madonna
Il titolo esatto della chiesa è però di Santa Maria degli Angeli al Cavone. Si racconta, secondo una antica leggenda popolare, tramandata, che la madonna apparve in quel luogo a un pastorello mentre era intento a far pascolare le sue pecore; a seguito dell'evento alcuni fedeli decisero di autotassarsi e di costruire in quel luogo una cappella,  che consentisse di venerare il quel luogo impervio un'immagine della Madonna. Una prassi un po' consueta, come è avvenuto per altre immagine sacre, sparse per l'Italia. 
La chiesetta conserva nel suo interno, appesa a una parete, un'elica di una aereo militare inglese. 
Dipinto del XVIII sec, con veduta di Capodimonte, dei Casali 
e della pianura fino al Matese
Secondo alcune testimonianze attendibili, durante la seconda guerra mondiale l'aereo precipitò in zona, perché colpito dalla contraerea nemica, ma il pilota ebbe salva la vita, perché riuscì a lanciarsi in tempo con il suo paracadute. Per alcuni fedeli fu l'intervento prodigioso della Madonna a rendere salva la vita del milite e a conservare integro il tempietto a Lei dedicato...
La facciata della chiesa si presentava fino a pochi anni fa molto ricca e decorata con stucchi e lesene, opera sicuramente realizzata dalle sapienti mani dei bravi maestri stuccatori di Miano, celebri in tutto il sud d'Italia e anche oltre, per la loro pregevole arte di decorazione a stucco. Per tale bravura erano infatti chiamati semplicemente: "mastri capetielli", ossia maestri specializzati per la realizzazione di capitelli di colonne. Tali maestranze furono impiegate per la decorazione di molte fabbriche barocche cittadine.
Bosco di Capodimonte, in una mappa dell'800
Ai lati del piazzale della chiesa scorre ancora oggi l'alveo canale di San Rocco, ormai diventato una cloaca puzzolente a cielo aperto, anche se ci risulta in questi ultimi anni finalmente in gran parte tombato.
Un tempo, nel mese di luglio di ogni anno, in questo luogo si celebravano i solenni festeggiamenti in onore della Madonna del Cavone, con la realizzazione di artistiche e festose luminarie; festa che richiamava molte persone da tutte le zone circonvicine, sia per la dovizia della sagra popolare e sia  per le tante attrattive di folclore, come gli spettacoli musicali e quelli pirotecnici
Alle pendici della collina che delimita il bosco di Capodimonte esiste ancora oggi il vecchio muraglione della cinta daziaria di Napoli, progettato dall'architetto Stefano Gasse e realizzato tra il 1826 e il 1830 (alla fine la cortina misurava poco più di 20 km). 
Storie e leggende di Miano-Opera degli alunni della scuola "Salvo d'Acquisto"
Questo tratto di muro si sviluppa partendo dal presidio di Capodichino, fino a raggiungere, costeggiando il parco di Capodimonte, il presidio daziario del Bellaria. Un breve tratto di questo muro si vede ancora su via Miano, in corrispondenza della curva, laddove esiste l'accesso alla pedamentina che consente di raggiungere il vallone San Rocco. Sempre su via Miano, in prossimità della "porta di Miano" del Bosco, esiste ancora oggi quello che fu il presidio del dazio. L'edificio, che oggi è sede di abitazioni private, è stato rivalorizzato nell'ultimo restauro, realizzando delle merlature di decorazione, proprio per dare un carattere architettonico che ne ricordasse l'antica funzione.
Poco avanti, nel lato che mena a Miano, si trova la bella villa Ferretti, in stile Liberty, con il suo curato giardino.
 Opera degli alunni della scuola "Salvo d'Acquisto" di Miano
Mentre, ancora più a nord, troviamo il ponte del Bellaria, che fu bombardato dai Tedeschi in ritirata, nel settembre del 1943. Da questo punto è possibile ammirare da lontano la lussureggiante vegetazione del Bosco e del Vallone di San Rocco, con il Vesuvio che fa da sfondo scenografico. Sul lato sinistro del ciglio stradale si trova una cappella realizzata in acciaio e vetro colorato, con all'interno una grande croce in legno, contornata dai simboli della passione di Gesù. La cappella forse è stata edificata in ricordo di un fatto luttuoso che si è verificato in questo posto nei primi decenni del secolo scorso. Un carro (forse quello per funerali, che un tempo era chiamato "tiro a otto"), di notte, durante un forte temporale, percorrendo a gran velocità le curve che compongono la strada di Miano, perse l'aderenza al manto stradale, sbandò, precipitando nel vallone. Ovviamente morirono tutti i cavalli assieme al povero cocchiere conducente... Su questo episodio è nata una leggenda, secondo la quale, durante i temporali notturni, si odono ancora lo stridore delle ruote del carro e lo scalpitio dei cavalli. Sul ponte del Bellaria esiste anche un'altra leggenda chiamata "del velo di sposa" e narra di una giovane donna lanciatasi dal ponte del Bellaria appena dopo il matrimonio, il cui velo rimase impigliato nei cespugli a perenne ricordo.
Da questo punto della strada di Miano si può ammirare il grande complesso della Villa Russo, purtroppo, in stato di abbandono, al quale dedicheremo un prossimo post.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
"Il Casale di Miano"  - Formelle di ceramica realizzate dagli alunni della scuola media "Salvo d'Acquisto" di Miano
(Opere sistemate sulla parete esterna della chiesa "S. Alfonso e S. Gerardo", in Via Janfolla a Miano)



NB: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

martedì 4 marzo 2014

'A cantina 'e don Vincenzo Di Guida.... Da Piscinola a Posillipo... (Un racconto di Luigi Sica):


Per l’amorevole insistenza dell’amico Salvatore Fioretto e per la dedizione con la quale cura i ricordi e la storia di Piscinola, descrivo nel seguito la cantina condotta da Vincenzo di Guida, esistente un tempo al Cap' 'a Chianca; tratto da un racconto scritto per la prima bozza del mio libro "Il borgo perduto" ed. Marotta e Cafiero, 2013. 
Anche questa cantina, condotta da don Vincenzo, era strutturata a modo di trattoria, aveva una sola entrata prospettante Via Plebiscito, che adduceva direttamente in un ampio locale illuminato da una grande finestra.
Piscinola dall'alto, anno 2013 -  Foto di Ciro Pernice
Di fronte all’ingresso c’era un bancone di mescita dei vini, con tanti ‘pizzipaperi’ di creta smaltata, recanti il prezzo al litro e la denominazione del vino. A lato c’era una vaschetta con acqua corrente, dove don Vincenzo sciacquava le bottiglie o le giare da riempire, con una serie di campioni di misura in vetro: litro, mezzolitro e quarto di litro e anche piccole giare in vetro, da un quarto e mezzo quarto di litro (quest'ultime, riempite di vino, erano destinate ai giocatori, che usavano giocarsele a carte...).
Dietro al bancone di mescita s’intravvedeva una cucina in muratura sormontata da una superba batteria di pentole e paioli in rame, i cui pezzi, splendidamente stagnati, martellati e lucidati da Zicchibaki, facevano bella mostra di se.
Adagiati sul lato sinistro del locale, c'erano una serie di botti da mille litri, delle botticelle da trecento litri, alcuni ‘varricchi’ (tipo di botti da 225 litri, il cui termine  proviene dal francese barrique) e, poi, damigiane, fiasconi e fiaschi, da 5 e 2 litri.
Sulle pareti del locale c'erano mensole di marmo zancate al muro recanti "vini imbottigliati", fiaschi di Chianti, bottiglie di Vermouth, di Marsala all’uovo, di liquore Strega e il VOV (un liquore allo Zabajone) e tra esse c'erano appesi quadri con nature morte, di cacciagione e pesci, inframmezzati da altri quadri raffiguranti scene di corti, di cavalieri e dame impomatate ed imparruccate e alcune foto di gruppo di avventori reduci da spedizioni di caccia e pesca, che avevano immortalato l'evento con l'immancabile mangiata finale in questa trattoria, a coronamento della piacevole scampagnata.
Piazza B. Tafuri anno 2010, foto S. Fioretto
Nel locale c’erano tanti tavoli grandi da sei posti, con tovaglie a quadroni banchi e marroni e con robuste sedie impagliate, che all’occasione erano disposti "a ferro di cavallo", di modo che i conviviali, mentre mangiavano, potessero guardarsi e parlare. 
La sala, tramite una porta, adduceva ad un cortile interno, dove in estate si poteva desinare all’aperto, mentre sul lato destro di detto cortile si trovava una bella pista per il gioco delle bocce.
Le mura perimetrali del cortile erano addobbate con piante di gelsomino ed edera rampicante che donavano un senso di frescura.
Al pari delle altre, la cantina di don Vincenzo era una trattoria rinomata nel borgo e famosa anche fuori Piscinola, perchè offriva varietà di piatti di pesce, eccellenti per qualità di derrate e cottura, come i fritti di Anguille e di Mazzoni pescati sulla riviera domizia quando ancora era incontaminata, ma don Vincenzo sapeva trattare e cucinare anche la cacciagione: anatre e beccacce erano delle sue specialità..., ricordo una volta che, con mio padre e i suoi numerosi cugini, tutti appassionati di caccia, mangiai una pietanza insolita, ma divinamente succulenta: una ricetta di stinco di maiale con i fagioli...
Spesso, di domenica mattina, dal treno della ferrovia "Piedimonte" e dalle linee autobus "110" e "22" sortivano gruppi e famiglie d’avventori che chiedevano l’indicazione della trattoria "Di Guida" e noi subito indicavamo loro la breve strada da seguire.
I discendenti di don Vincenzo hanno conservato nel tempo questa antica tradizione, ancora oggi i Di Guida, grazie alla loro consolidata esperienza enogastronomica, conducono un prestigioso locale a Posillipo: ‘La Baia dei Due Frati’, dove ebbe luogo il banchetto delle mie nozze. L’amabile anfitrione paesano, dopo una messe d’antipasti, due primi, un secondo di carne ed uno di pasce, sautè di frutti di mare, contorno, frutta, dolce, se ne venne per offrirci un pentolone di pasta e fagioli con le cozze che mandò in visibilio tutti gli invitati...!
Anche don Vincenzo preparava le sue specialità: zuppa di anguille e cicoria, pappardelle mari e monti con vongole e funghi pioppini e la variante di spaghetti con sugo di noci e tocchetti di pescatrice; mio padre raccontava che ai suoi tempi don Vincenzo preparava anche un zuppa di rane, che venivano catturare in primavera nei piccoli pantani delle terme di Agnano.
Non le ho mai mangiate, ma presumibilmente mi sono perso davvero una leccornia!
Luigi Sica
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

giovedì 20 febbraio 2014

L'acquedotto personale di don Vicienzo 'o Pazzariello...!

Del leggendario personaggio piscinolese, soprannominato 'o Pazzariello, abbiamo raccontato in questo blog diversi aneddoti, molti associati alle feste e alla vita comunitaria del quartiere di Piscinola; scorci di una umanità purtroppo appartenente a un tempo lontano, ormai del tutto scomparsa, dalla quale il Pazzariello era apprezzato soprattutto per la sua verve e la sua innata simpatia.
Qualche settimana fa il carissimo amico, che si chiama Salvatore di Febbraro, mi ha raccontato un altro aneddoto molto simpatico, con la richiesta di trascriverlo in questo blog ed è quello che mi accingo a fare ora... Il racconto s'intitola "L'acquedotto personale di don Vicienzo 'o pazzariello"...

Spesso il Pazzariello era insofferente per le perdite di tempo che gli causava la sua consorte durante la giornata, vuoi per fare la spesa e vuoi per compiere altre commissioni, in particolare quando doveva recarsi ad attingere l'acqua dalla fontanina pubblica, che un tempo era posta in un angolo del famoso Cape 'e coppe (oggi via Vittorio Emanuele). Sovente la donna s'intratteneva a discorrere per molto tempo con le amiche e le conoscenti... e questo comportava una certa insofferenza da parte del nostro Pazzariello... L'uomo chiamava ripetutamente la moglie dal balcone, mentre ella continuava a conversare, parlando del più e del meno, senza dar molto peso ai richiami del marito. Era chiaro che la pazienza del Pazzariello incominciava ad avere le ore contate...!
Un giorno, dopo l'ennesimo intrattenimento della moglie a conversare davanti alla fontana, don Vincenzo non ne poté più, e pensò di mettere in atto una delle sue immancabili trovate...!
Si recò presso la famosa puteca (bottega di salumeria) di Caterina detta 'e Carmusina, per comprare diversi pacchi di pasta del tipo detti Ziti. Gli Ziti erano un particolare tipo di pasta, dal formato grande, tipo cannule, prodotta dai celebri pastai di Torre del Greco o di Gragnano (venduti in una confezione di carta azzurra); erano molto apprezzati e utilizzati nel periodo del Dopoguerra, specie per preparare il ragù domenicale.  L'insolito acquisto da parte del Pazziariello, considerato per natura poco avezzo a fare la spesa, destò una certa curiosità da parte delle persone che si trovavano nel negozio in quel momento e dalla stessa commerciante, ma il Pazzariello imperturbabile alle domande dei curiosi, continuava a ripetere "...mo vedite a cosa servono...!"
Mentre la moglie s'intratteneva a conversare, in maniera indisturbata, come se niente stesse accadendo, il Pazzariello mise all'opera lo stratagemma e, dopo aver  aperto le confezioni di pasta, incominciò a sistemare i bastoncini degli Ziti sui blocchi di basalto che lastricavano un tempo la strada,  sistemandoli ad uno a uno, in fila indiana, a partire dalla fontana, fino a raggiungere l'uscio di casa propria. Ripeteva l'operazione con un atteggiamento tra il serio e il faceto, attirando ovviamente l'attenzione di molti viandanti e vicini di casa.... Ad un certo punto la moglie, distolta dalla conversazione per gli schiamazzi e le risate delle persone, che nel frattempo facevano capannello attorno all'uomo, chiese stupita al marito, urlando da lontano: Viciè ma che stai facenne? E il Pazzariello, sempre con il suo solito atteggiamento sarcastico, rispose: Nannì, viste che 'nce pierde 'e ghiurnate sane per gghì 'a piglià l'acqua 'a sta funtana, t'aggio fatto n'acquedotto ca te porta l'acqua direttamente fin''a casa, accussì aggio furnute 'e ghittà 'o sango....!!
E tutto terminò tra le risate dei tanti presenti...! 

Gli abitati del Cape 'e Coppe erano ormai convinti che a don Vincenzo il nomignolo di Pazzariello gli era stato giustamente attribuito,  perchè, a memoria vivente, nessuno più di lui aveva mai avuto questi lampi di genialità e di simpatia fuori dal comune.

Tratto da un racconto di Salvatore di Febbraro. 
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