In occasione del quinto anniversario della prima stampa del libro sulla ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife", eseguita nel 2013, durante i festeggiamenti del Centenario della ferrovia, ho pensato di pubblicare uno stralcio rappresentativo del libro, ovvero il primo capitolo di "Ricordi d'infanzia", e quello finale di "Note conclusive".
Ricordi d'infanzia:
"Spesso sento riaffiorare nella mia mente i ricordi
della mia infanzia…
Come si fa a non ricordare la vecchia ferrovia Piedimonte…?!
Come si fa a non ricordare la vecchia ferrovia Piedimonte…?!
Non ricordo quando l'ho vista la prima volta. Si può dire che l'ho sentita e
vista da sempre come un oggetto familiare, di cui non temere, già ai tempi
della mia tenera età: essa, infatti, è sempre stata presente negli avvenimenti
della mia infanzia e della mia vita.
Sono di origini contadine e abito fin dalla nascita
nel quartiere di Piscinola, luogo che almeno fino a quaranta anni fa era ancora
un dolcissimo borgo dell'hinterland di Napoli, dove la natura e l'alternarsi
delle stagioni segnavano lo scandire del tempo ed era abitato da gente semplice
e genuina.
Piscinola allora si presentava ancora come un borgo,
di antichissime tradizioni agricole e non solo, con tanto di banda musicale,
festa patronale e amore per il buon vino e la cucina contadina, un po’ come
tutti gli altri centri vicini. Ebbene in questo luogo, dalle caratteristiche un
po’ bucoliche, la costruzione e l'esercizio della "Piedimonte"
rappresentò, nel primo decennio del ‘900, la testimonianza del diffondersi del
progresso: s'intende quello "buono" ed "intelligente", che ne
risvegliò con il suo "via vai" quotidiano il ritmo di sviluppo un po’
lento.
Stazione di Giugliano, anno 1974, foto di Rohrer |
Il nuovo mezzo di comunicazione contribuì ad appianare le differenze sociali, facendo sentire le popolazioni appartenenti ad un’unica grande metropoli, ricca di fascino, storia e cultura. Non per niente Piazza Carlo III, terminale primitivo della ferrovia di origini francese era un po’ il cuore del centro antico di Napoli, il baricentro del sogno europeo di Carlo III di Borbone, quando costruì il Reale Ospizio dei Poveri.
La mia campagna che fu acquistata da mio nonno Salvatore,
nel 1925, era stata divisa in due proprio dalla linea ferrata, al momento della
sua costruzione (Napoli - Capua) che, come è noto, fu inaugurata nel marzo
1913.
Le rotaie si adagiavano su regolari traversine di
rovere, sostenute da una massicciata in rilevato biancastra, che solcava,
spesso in rettilineo, il verde intenso e ricco della campagna napoletana,
composta da tanti alberi da frutta, rigogliosa e lussureggiante.
Ricordo i "pasteni” di mele Annurche di Mugnano, i "pasteni” di
cachi (le famose “legnasante” di Mugnano e Calvizzano), i ciliegeti di
Chiaiano, i “pasteni” di pesche e “percoche" di Scampia (un tempo Scampia
era la piana agricola di Piscinola) ma, soprattutto, ricordo i cachi maturi e
dorati, che rimanevano sugli alberi spogli di foglie, fino all’approssimarsi
del Natale, quando la campagna diveniva tutta brulla, in attesa dell'inverno.
Poi tutto ritornava uguale a prima, in un alternarsi periodico e costante. Così ogni anno...! E chissà da quanti secoli prima, fino ad allora...!
In primavera era uno spettacolo straordinario! La campagna si colorava di fiori variopinti (il rosa delle pesche, il giallo delle rape, il bianco dei ciliegi, delle prugne e delle pere. Poi, quando i petali cadevano a terra, spesso il vento li risolleva, generando un fantastico paesaggio con fiocchi di neve colorata, che si spostava qua e là, trascinata dal vento...
Veramente un sogno...!
Poi tutto ritornava uguale a prima, in un alternarsi periodico e costante. Così ogni anno...! E chissà da quanti secoli prima, fino ad allora...!
In primavera era uno spettacolo straordinario! La campagna si colorava di fiori variopinti (il rosa delle pesche, il giallo delle rape, il bianco dei ciliegi, delle prugne e delle pere. Poi, quando i petali cadevano a terra, spesso il vento li risolleva, generando un fantastico paesaggio con fiocchi di neve colorata, che si spostava qua e là, trascinata dal vento...
Veramente un sogno...!
Stazione di Scalo Merci (via D. Bosco), fotogramma tratto dal film "Napoli, sole mio" |
Non c'erano recinzioni tra la linea ferrata e la campagna circostante, era un tutt'uno: una simbiosi quasi perfetta, che non stonava, anzi, incantava a vederla, specialmente quando d'estate il sole picchiava a mezzogiorno, e faceva sembrare ancora più bianca e splendente la massicciata di brecce bianche.
Stazione di S. Maria Capua Vetere - S. Andrea |
Erano realizzati con del pietrischetto giallastro, cosparso e battuto a livello delle rotaie, per permettere l'attraversamento di carriole e biciclette. Ai margini dei passi erano sistemate quattro colonne di marmo bianco, di forma cilindrica, alte quasi un metro e poste a coppie: una coppia di fronte all'altra; ogni coppia di colonne erano collegate tra loro con doppie catena.
Dopo alcuni anni le catene
scomparvero, non si sa per mano di chi... Sicuramente queste erano di intralcio
all'attraversamento dei binari con mezzi rotabili.
Ai lati della linea ferrata c'erano poi due
camminamenti, sempre in terreno battuto, larghi circa mezzo metro ognuno, che
venivano chiamati dai contadini “'o
lemmate" (forse dal termine "limite") ed erano utilizzati
dai guardiani cantonieri della "Piedimonte", per eseguire l'ispezione
giornaliera dei binari, a bordo delle loro biciclette.
Ricordo ancora il guardiano del lotto, che sorvegliava la nostra zona; strinse una bella amicizia con mio padre. Si prestava volentieri a dare anche un'occhiata al nostro poderino e, frequentemente, papà gli regalava della frutta.
La "Piedimonte" scandiva con il suo passaggio il passare del tempo: veniva usata da molti concittadini come un orologio sonoro, in maniera simile alle campane della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, protettore di Piscinola. Infatti quando si era nei campi non portavano con essi orologi e, unitamente alla posizione del sole, costituiva un modo semplice per stabilire l’ora.
Ricordo ancora il guardiano del lotto, che sorvegliava la nostra zona; strinse una bella amicizia con mio padre. Si prestava volentieri a dare anche un'occhiata al nostro poderino e, frequentemente, papà gli regalava della frutta.
La "Piedimonte" scandiva con il suo passaggio il passare del tempo: veniva usata da molti concittadini come un orologio sonoro, in maniera simile alle campane della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, protettore di Piscinola. Infatti quando si era nei campi non portavano con essi orologi e, unitamente alla posizione del sole, costituiva un modo semplice per stabilire l’ora.
Foto ricordo a bordo della elettromotrice E2, 2009 |
Le prime corse avvenivano intorno alle sei del
mattino e le ultime verso le nove-dieci di sera. Ricordo che quando il treno
transitava la sera inoltrata, soprattutto in estate, si diffondevano fasci di
luce provenienti dai fanali in testa al locomotore. Essi illuminavano a tratti
la campagna ed il paesaggio notturno: disegnava, qua e là, ombre mobili un po’
fantastiche, in base ai cespugli ed ai fusti d'albero, che incrociava il fascio
di luce. D'inverno, invece, i fari si vedevano netti, a causa della scarsità
della vegetazione."
Salvatore Fioretto
Il contenuto di questo post è stato tratto dal libro "C'era una volta la Piedimonte", di S. Fioretto, stampato dalla casa tipografica "Athena", nella riedizione dell'anno 2014.
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