sabato 26 aprile 2025

Le antiche strade del territorio dell'Area Nord, di origine Osco-Romana...

Le strade antiche del territorio sono state tutte originate dall'erosione geologico-idraulica avvenute nei millenni per il defluire delle acque meteoriche dalle pendici dei Camaldoli alla pianura, sia verso la piana aversana, dove si raccoglievano nel fiume Clanius (Clanio), e sia verso il pianoro della odierna città di Napoli, attraverso il torrente del "Bellaria", nel Vallone di San Rocco. Questo fenomeno ha scavato solchi medio-profondi negli strati superficiali del terreno, generando le caratteristiche "cupe", le quali altro non sono che dei veri e propri "canyon", con le sponde del terreno in rilevato, a mo' di argini, con altezze che sfiorano i cinque metri. Queste fratture nel terreno sono poi state antropizzate dai primitivi abitati del territorio, utilizzandole come strade, pedonali prima e carrabili poi, per poter accedere ai diversi luoghi del vasto territorio, sia per lo spostamento delle persone, sia per lo svolgimento delle primitive forme di commercio (prevalentemente attraverso scambi di derrate agricole e di animali) e sia per la transumanza delle mandrie di animali. I popoli antichi che popolarono la Campania furono gli Ausoni e gli Opici.
Sicuramente fu il primitivo popolo degli Osci (derivante direttamente dagli Opici), a utilizzare queste primitive strade, che divennero nel tempo sempre più conosciute e frequentate. Con l'arrivo dei Greci, gli Osci si concentrarono nel territorio interno, in quello che poi sarà chiamato nei secoli seguenti la "Liburia". 
Questi, poi, si unirono ai Sanniti, che si spostarono dall'entroterra appenninico verso la valle del Volturno. Successivamente i Romani, dopo le famose Guerre Sannitiche, conquistarono l'Ager Neapolitanum e dopo aver stipulato il patto di pace con i napoletani, attraverso il "Foedus Neapolitanum"
, provvidero ad ampliare e a lastricare queste arterie di collegamento, per permettere lo svolgimento del traffico di merci e di persone, che divennero sempre più sostenuti.
Tra le tante strade preesistenti nell'Area Nord di Napoli, quelle che sicuramente meritano una maggiore attenzione per la loro importanza sono due, vale a dire le arterie che da valle consentivano di valicare le colline di Capodimonte e di Capodichino, per congiungere il centro edificato di Palepoli (città vecchia) ed il suo porto, fino a raggiungere le città osche di Atella, Capua e Cuma. Rapportandole alla situazione odierna, la prima è quella che ancora oggi prende il nome di "Salita "Scudillo", mentre la seconda è la strada che attraversa Miano, Piscinola, Mugnano... e proseguendo oltre, verso la mitica città osca di Atella.
Questa seconda arteria stradale, sicuramente antichissima, dopo un breve tratto in piano, si inerpicava per la collina di Capodichino, salendo e costeggiando il torrente "Bellaria", nel Vallone di San Rocco, corrispondente all'attuale via Masoni e ai Ponti Rossi. Giunti in territorio di Miano, l'antico percorso si sviluppava lungo via Cupa della Cesarea e la via Vicinale Piscinola. Procedendo verso Piscinola, la strada poi coincideva con l'odierna via Vecchia Miano (chiamata in gergo locale "Abbascio 'a cupa 'e Miano").
La strada proseguiva per Mugnano, attraversando via Cupa della Filanda e via Antica Chiaiano, attraversando la località del Torricelli, per poi percorrere i territori di Mugnano, di Calvizzano e oltre. La presenza in questo punto dell'arteria del mausoleo cinerario romano, risalente al I secolo d.C., è una testimonianza che la strada fu utilizzata dai romani, che secondo la loro consuetudine, abbellivano le arterie stradali, edificando ai margini dei mausolei tombali, per dare onore e conservare le urne delle ceneri dei loro veterani.
Considerando la viabilità antica del territorio di Piscinola, possiamo desumere che anche via Cupa Acquarola possa essere stata un ramo stradale che fosse derivata da questa storica direttrice stradale, anche se non ne abbiamo la certezza assoluta, per la mancanza di fonti attendibili...
La viabilità tracciata dagli Osci, fu quindi adottata e integrata dai romani e dagli altri conquistatori che si succedettero nei secoli seguenti. Su tale percorso furono costruite tombe monumentali (Ciaurri) e anche le sepolture camera o interrate, come dimostrano i tanti rinvenimenti avvenuti spesso casualmente nei decenni scorsi, come ci è stato raccontato dagli anziani del territorio, anche se tutto è stato celato agli studiosi e ai ricercatori...
Questa composizione della viabilità in epoca osco-romana è stata acclarata da eminenti studiosi di cose antiche, a iniziare dallo storico chiaianese Domenico De Luca e anche dagli altri studiosi di storia antica.
Nel periodo medioevale, l'attuale via Vecchia Miano divenne la strada principale della nascente "Villa di Piscinola" che, come è noto, nel 536 d.C. già esisteva ed era abbastanza popolata, tanto da essere indicata dal generale longobardo Belisario a trasferire dei suoi nuclei familiari in città, per ripopolare Napoli dopo che essa era stata rasa a suolo durante l'assedio di conquista
(dalla "Storia Miscella" scritta da Paolo Diacono). La strada permetteva di raggiungere la città di Napoli, oltrepassando la collina di Capodichino, attraverso Miano e Secondigliano.
Mentre l'altra strada che permetteva l'accesso alla città era l'odierna via Napoli, attraverso la "Salita dello Scudillo". Questa strada che in origine era tortuosa e poco praticabile, a causa dell'orografia del Vallone, fu poi resa più agevole al transito con i mezzi di trasporto, con la costruzione del "Ponte vecchio di San Rocco". Non conosciamo il periodo di costruzione del ponte, ma sicuramente esso risulterebbe anteriore al XVII secolo.

Salvatore Fioretto

sabato 19 aprile 2025

I pulcini e le uova simboli della Pasqua e della grande tradizione contadina del territorio (Seconda parte)

(Segue dalla prima parte)

La primavera, come è noto, inizia con il risveglio della natura, ed è proprio questa stagione dell'anno che è contraddistinta con la produzione delle uova da parte delle galline e di altre specie di volatili. Ed ecco che nella storia dell'umanità le uova sono state assunte a rappresentare questo passaggio di stagione, come simbolo di rinascita sociale e umana. Già in epoche remote, nelle antiche civiltà della storia, come in quelle egiziana, persiana e cinese, le uova assumevano un significato beneaugurante, di prosperità e di fecondità ed erano offerte in dono tra familiari, amici e conoscenti. In epoca romana i contadini usavano seppellire nei campi delle uova colorate di rosso, per auspicare un abbondante raccolto...
I cinesi, i greci e altri popoli antichi usavano credere che un uovo gigante fosse l'origine dell'universo e del suo rinnovarsi (Cosmogonia), mentre, in epoca romana, gli abitanti di Neapolis  usavano credere che Virgilio, insigne poeta latino, a cui si attribuivano anche dei poteri magici, avesse nascosto un immaginario uovo dentro la fortezza della città (castello che prende oggi il nome  di "Castel dell'ovo"), attribuendogli il potere di proteggere e conservare indenne l'abitato. La sua scoperta avrebbe comportata l'inevitabile distruzione dell'intera città! 
Con l'avvento del Cristianesimo, tutte le tradizioni precedenti furono adattate alla nuova religione e anche le uova furono assunte per simboleggiare il Cristo che risorge. Infatti il passaggio del pulcino dalla fase embrionale alla vita, attraverso la rottura del guscio duro, veniva a simboleggiare la Resurrezione del Cristo, con la rottura del legame della morte che segna la vita degli uomini e del creato.
Secondo la leggenda, poi, l'uovo ha caratterizzato anche uno dei primi miracoli avvenuti subito dopo la Resurrezione: si narra che quando Maria Maddalena si recò dagli apostoli per annunciare di aver incontrato, nei pressi del Sepolcro, Gesù resuscitato, San Pietro non le credette inizialmente ed ebbe a dire che era impossibile, allo stesso modo delle normali uova si colorassero di rosso da sole..., disse: "ti crederò solo se le uova che porti nel cestello si coloreranno di rosso"... Si racconta che le uova effettivamente cambiarono di colore in rosso purpureo, con il sommo stupore dell'Apostolo...!
I primi cristiani usavano regalare uova colorate di rosso ad amici e conoscenti, al termine dei riti religiosi, proprio per testimoniare la Resurrezione.
Nel Medioevo i cristiani usavano portare le uova in chiesa per essere benedette e che poi facevano bollire e le mangiavano nel pranzo pasquale, donandole anche ai servitori. Le uova venivano colorate di rosso anche per simboleggiare il sangue versato da Gesù durante la crocifissione. Ecco quindi l'usanza, ancora in auge oggi, di mangiarle nel periodo pasquale, assieme ad affettati, ricotte e formaggi.
Per arrivare alla tradizione di donare le uova di cioccolata durante la Pasqua, dobbiamo arrivare al secolo XVIII, molti secoli dopo la scoperta dell'America e l'introduzione in Europa del cacao estratto dalla pianta originaria del Messico. Secondo alcuni fu in Francia, quando regnava Luigi XIV ("Re Sole"), a far realizzare a corte le prime uova di cioccolato, anche se non pochi sostengono che le uova di cioccolato erano già in uso presso le popolazioni messicane.
Questa tradizione si è perpetuata nei secoli in tutte le altre nazioni, fino ad arrivare alla Russia degli Zar. Fu lo zar Alessandro III,  infatti, ad affidare nel 1883 l'incarico all'orafo francese Peter Carl Fabergè per la realizzazione di un uovo prezioso da regalare alla moglie Maria. L'uovo conteneva al suo interno altre uova più piccole, per finire con un tuorlo d'uovo tutto d'oro, con ancora all'interno una gallinella d'oro smaltata e rivestita di pietre preziose.
Da quell'anno Fabergé divenne l'orafo di corte, realizzando ogni anno uova di forme diverse, anche in occasioni straordinarie, come i matrimoni, le nascite di rampolli di corte e l'inaugurazione di ferrovie e strade. Ancora oggi esiste il marchio Fabergé che crea gioielli artistici e preziosissimi.
Le prime uova di cioccolato furono prodotte in Europa nella prima metà dell''800 (si racconta che i primi esemplari erano interamente piene di cioccolato).  Ma per vedere la produzione industriale di uova di cioccolato in serie, come quelle attuali, dobbiamo attendere l'anno 1875, quando John Cadbury realizzò il suo primo stabilimento di produzione.
Questo breve excursus storico sull'uso dell'uovo nelle civiltà antiche fa comprendere come esso sia stato considerato un elemento di vitale importanza nella storia dell'umanità. 
Anche nell'arte culinaria troviamo che l'uovo rappresenta un elemento importantissimo, non solo per l'alimentazione giornaliera, ma anche quale simbolo di una tradizione ultramillenaria.
Ricordiamo come in passato ai bimbi veniva al mattino offerto un uovo fresco da "zucare" (succhiare). Molte mamme e massaie usavano ricorrere al contadino di fiducia per assicurarsi l'approvvigionamento di uova freschissime di giornata, oppure acquistarle dalla venditrice ambulante, che immancabilmente girava per le strade del quartiere, con un grande cesto di vimini ripieno di uova, portato sulla testa, dando la caratteristica voce di richiamo: "ova fresca... ova fresca...!".
Per estrarre facilmente il contenuto dell'uovo (da noi chiamato anche "cococco"), si eseguivano due forellini contrapposti al guscio (uno nella parte sommitale e l'altro alla base), in modo da consentire l'entrata dell'aria. Ma per i bambini gracili e i malati debilitati si usava dare al mattino un "uovo sbattutto" col caffè, che veniva preparato unendo in un bicchiere, un uovo con dello zucchero e del caffè. Il tutto veniva amalgamato energicamente, attraverso l'utilizzo di un cucchiaino da dessert.
Ma era nel periodo Pasquale che le uova avevano, ed hanno ancora oggi, un ruolo centrale e importante nella maggiore festività cristiana dell'anno.
Le uova, oltre ad essere tra gli ingredienti occorrenti per la preparazione, fanno da corona ai superbi "Casatielli", mentre riempiono con abbondanza le gustose "Pizze Chiene". Nella pastiere, poi, le uova sposano magnificamente la ricotta di vaccino, lo zucchero e i canditi e la fanno diventare uno dei dolci pasquali più apprezzati e conosciuti dell'arte dolciaria italiana!
Discorso a parte sono le frittate che in passato avevano un posto più centrale nella nostra tradizione a tavola. Da ricordare quelle gustose preparate con funghi di pioppo (chiuppetielli - chiuvetielli) e quelle con le cipolle o gli spaghetti (frittata di maccheroni). Le uova sode erano utilizzate anche per comporre le classiche "fellate" pasquali, ovvero gli abbondanti vassoi coperti da fette di salame, salsicce stagionate, ricotta salata, capicollo, pancetta e altro ben di dio, accompagnato con fave fresche, pane integrale cafone ('o ppane 'e rane) e un buon vino rosso...!
Tutti questi elementi erano gustati durante le spensierate gite collettive di pasquetta  (gite dell'Archetiello, svolte nel Lunedì in Albis), che i nuclei familiari e le persone di un tempo usavano effettuare recandosi nei luoghi ameni del territorio, non necessariamente lontani come avviene oggi, ma a stretto giro, come presso l'Alveo di Mugnano-Calvizzano, il Bosco di Capodimonte, la Reggia di Caserta, oppure a Montevergine.

A termine di questo post dedicato alla Pasqua, porgiamo a tutti i lettori e ai simpatizzanti di "Piscinolablog", una Buona e Serena Pasqua!

Salvatore Fioretto 



giovedì 17 aprile 2025

I pulcini e le uova simboli della Pasqua e della grande tradizione contadina del territorio (Prima parte)

Con l'approssimarsi della Pasqua di Resurrezione, abbiamo pensato di ricordare la tradizione contadina legata all'allevamento dei polli e al significato storico antropologico attribuito alle uova in rapporto alla ricorrenza cristiana. Buona Lettura!

--------------------------------   o  O  o  --------------------------------

In ogni masseria e in ogni cortile del centro storico era presente un recinto destinato all’allevamento delle galline, detto “‘o vallenaro”. In questo a volte si allevavano anche altri volatili, quali anatre, oche e tacchini.
Il “vallenaro”era un grosso pollaio realizzato alla buona, spesso dai ragazzi, utilizzando una rete zincata e degli steccati di legno di castagno o più semplicemente di abete o di pioppo.
Dentro il “vallenaro” c’erano diverse zone atte ad accogliere le bestiole durante l’allevamento.
Nella zona bassa, c’era la parte frequentata dai polli durante le ore diurne, che corrispondeva praticamente a tutta l’area di calpestio del pollaio. In esso erano anche presente uno o più abbeveratoi, realizzati riutilizzando qualche vecchia pentola di alluminio e una mangiatoia costruita alla buona con tavolette di legno.
I polli erano nutriti sempre con granoturco prodotto nelle campagne; tuttavia ai polli si davano in pasto anche gli avanzi dei pasti domestici, come pane bagnato, patate, insalata, e altri ortaggi.
Nella zona superiore del “vallenaro” c’erano delle asticelle, sopra le quali le galline e i galli si appollaiavano durante la notte. Negli angoli c’erano pure delle vecchie ceste piene di paglia, dove le galline erano solite deporre le uova e dove effettuavano anche la cova.
Non tutte le uova erano però lasciate nel pollaio, ma solamente quelle che erano state fecondate dal gallo e destinate alla riproduzione (ova ‘ngallate). Ovviamente bisognava verificare prima se la gallina mostrava la volontà di covare le uova: questo era facilmente intuibile dalle massaie, in base al comportamento e dai versi che emetteva nella circostanza il volatile.
Diverse erano le specie di volatili che erano allevate nel nostro territorio, c'erano le varietà dette "livornesi", le "padovane" e quella molto produttiva di uova, che era chiamata "ovajola". Non trascurabile era la presenza costante della varietà nana di volatili, chiamata in gergo: "galline coccodè" e "galli chicchirichì", che poi appartengono alla razza detta: "Bantman". Questi polli erano allevati a scopo prevalentemente ornamentale, per la bellezza del piumaggio dei galletti, per il timbro acuto dei loro canti mattutini e anche perchè le gallinelle avevano una produzione intensiva di uova, che si ripeteva più volte nel corso dell'anno. Altra particolarità di questa razza era quella che le galline effettuavano costantemente la cova delle uova ed era possibile utilizzarle per riprodurre i pulcini delle altre varietà grandi, meno avezze alla cova, eseguendo la semplice sostituzione delle uova nella fase iniziale.
La cova delle uova durava circa ventuno giorni e terminava con la schiusa dei pulcini.
La nascita dei pulcini non era simultanea, ma dipendeva sopratutto dalla posizione assunta dalle uova durante la cova. Infatti quelle più coperte e quindi più riscaldate dalla chioccia, schiudevano sempre per prima.
I pulcini che nascevano per primi, erano prelevati e protetti in un luogo caldo della casa, spesso vicino al camino. Per farli “rinforzare”, si dava da mangiare loro delle molliche di pane inzuppate con vino rosso.
Una volta nati tutti i pulcini, la chioccia abbandonava la cova, emettendo un verso caratteristico; si gonfiava con le piume e cercava di raccogliere tutti i pulcini sotto le sue ali. Poi, insieme ai pulcini, si recava a razzolare in giro per la masseria.
Era bello osservare le chiocce mentre cercavano vermiciattoli e piccoli semi nel terreno e invitavano con dei richiami caratteristici i pulcini a cibarsi. Quando la chioccia si spostava, i pulcini la seguivano come tanti soldatini. Ad ogni rumore sospetto, la chioccia (‘a vroccola) emetteva un verso caratteristico, a mo’ di richiamo ed i pulcini, tutti insiemi, accorrevano obbedienti a rifugiarsi sotto le sue ali protettrici.
Man mano che crescevano, alcuni pulcini più robusti venivano selezionati per essere ingrassati come capponi per il Santo Natale o per Pasqua (‘e capune). Ad essi si tagliava con una lama la cresta e i padiglioni, asportando le gonadi.
I capponi venivano ingrassati alimentandoli con il granone, avena e pane bagnato (‘a vrenna).          
          
               (Segue nella seconda parte)

Salvatore Fioretto

Gran parte del racconto di questo post è stato tratto dal libro storico atropologico: "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni" ed. The Boopen  2010, di S. Fioretto. 




domenica 30 marzo 2025

Un "Museo del ricordo per Piscinola e Marianella"... la storia della kermesse di "Aspettando Maggio dei Monumenti 2004"!


Quella che sto per raccontare è stato un evento culturale svolto a Piscinola, a cui ho partecipato assieme a un nutrito e motivato gruppo di amici e di concittadini, tra la fine dell'anno 2003 e i primi mesi del 2004.
Tutto ebbe inizio nell'autunno del 2003. Un pomeriggio incontrai per caso
la mia amica e insegnante Rosa Bianco. Tra le cose che ci dicemmo, gli mostrai la mia disponibilità a partecipare agli eventi culturali che organizzava l'associazione di cui lei era vicepresidente, che si chiamava "Scenari Nascosti, per un'arte clandestina". L'associazione era stata fondata dall'attore Lucio Michetti, originario di Giugliano.
Pochi mesi dopo fu da lei invitato a partecipare a un concorso di nuove poesie, che l'associazione aveva indetto, dedicato ai poeti emergenti del territorio. Partecipai senza esitazione, componendo per l'occasione la mia prima poesia, che s'intitolava: "'A via d''o Salvatore". L'evento si svolse nei locali dell'Associazione "Il Cenacolo", in via Vittorio Veneto. La poesia che fu da me letta in pubblico ebbe un bel riscontro di pubblico. Successivamente, sempre Rosa Bianco, mi riferì che il presidente dell'Associazione, Lucio Michetti, aveva ideato un bel progetto, che comprendeva tra l'altro degli incontri periodici con gli anziani, la raccolta di foto e di cimeli, il tutto finalizzato ad ideare una sorta di "Museo del ricordo", che riguardasse i due antichi quartieri di Marianella e Piscinola.
L'idea mi piacque molto, anche perché ricalcava un po' l'innata mia passione per il folclore e per la storia locale dei borghi e dei casali. Nel mese di gennaio successivo, iniziammo a organizzare gli incontri con gli anziani.
Ricordo che parteciparono tanti personaggi notabili e di spessore dei due quartieri, tra gli altri: don Salvatore Nappa, originario di Piscinola e parroco di Marianella, il diacono e storico Franco Biagio Sica, il professore Franco Quinterno, il superiore dell'arciconfraternita del SS. Sacramento di Piscinola, Francesco della Corte, l'imprenditore  Francesco Bianco e l'insegnante Natale Mele. Furono realizzati tre incontri, in orario serale. Ricordo che le testimonianze che raccogliemmo in questi incontri accesero un'ondata di entusiasmo tra i soci dell'associazione, che comprendeva, oltre a Michetti e a Rosa Bianco, anche Antonio Culiers, il pittore Luigi Russo e la signora Rosiello, moglie di Michetti; a questi poi si aggiunsero: lo scrittore e musicista Salvatore Nappa e lo scrittore Carmine Montesano.
Intanto iniziarono ad arrivare le prime foto e i cimeli messi a disposizione da vari donatori del territorio. Carmine Montesano, che era anche dirigente della Virtus Piscinola, mise a disposizione l'archivio fotografico della storica società di basket piscinolese. Francesco Della Corte portò alcune rare foto della storica banda di Piscinola (superlativa fu la foto del 1920 con la banda Piscinola del maestro Piccolo che posava davanti alla stazione della Piedimonte di Piscinola), e ancora diverse foto storiche dell'Arciconfraternita del SS. Sacramento. Man mano che trascorrevano le settimane questo materiale fotografico e storico iniziò a pervenire sempre con maggior frequenza. Ci fu un concorso generale di partecipazione tra i piscinolesi e i marianellesi e il materiale raccolto fu veramente consistente!
Ricordo anche il contributo di padre Francesco Bianco, che mise a disposizione alcune foto storiche della Chiesa del SS. Salvatore e del dott. Franco Biagio Sica, che condivise dei bozzetti, degli scorci di Piscinola antichi e diverse foto in bianco e nero, che erano state eseguite per realizzare il suo libro "Storia della mia terra". Padre Nappa donò diverse copie del libro Marianella con la sua chiesa nella storia, scritto dai giovani dell'Azione Cattolica di Marianella.
Raccogliemmo foto anche da comuni cittadini, che le conservavano negli album di famiglia. Ricordo il contributo di Sabatino Palladino, della signora Palladino, della famiglia di Rosa Bianco, del sig. Mario Cascella, di Giovanni Salzano e anche quelle della mia famiglia.
Il progetto di Lucio Michetti era ambizioso e prevedeva la realizzazione di una mostra estemporanea riguardante i due quartieri di Piscinola e Marianella, che facesse un po' da volano, con la sua forza divulgativa, per la creazione di un museo stabile del ricordo, il tutto finalizzato a rinsaldare la memoria storica e civica dei territori e rialimentare una coesione comunitaria antica. Il "Museo" doveva essere un contenitore di testimonianze, scritte e orali, di arte visiva e fotografica, di cimeli e di altre testimonianze raccolte, affinché la memoria civica fosse rinsaldata e coltivata con costanza e competenza.
Gli scrittori Salvatore Nappa e Luigi Sica consentirono la stampa della fiaba da loro scritta, intitolata "Il mago nel pozzo", che poi divenne una sorta la brochure della mostra.
Io mi proposi quindi di curare la parte grafica della mostra. Iniziai a scannerizzare tutto il materiale fotografico raccolto, cercando di restaurarlo con il programma "Photoshop", e successivamente stamparlo su supporti cartacei attraverso il plotter. Insieme all'insegnante Rosa Bianco iniziammo a ideare il percorso espositivo della mostra. L'intenzione era quella di realizzare un percorso che accompagnasse i visitatori secondo un ordine cronologico e a tema, curando l'esposizione degli argomenti, con scritti e foto. Provvedemmo quindi a scrivere i testi delle didascalie, a trascrivere le testimonianze precedentemente raccolte dagli incontri con gli anziani, a eseguire le ricerche storiche e gli approfondimenti tematici, attraverso la consultazione dei testi e delle fonti storiche e di altro ancora.
Intanto Lucio Michetti rimase affascinato dalla leggenda della Madonna delle Grazie, che avevo appreso da mio padre e raccontai nelle riunioni dell'associazione. Fu tanto colpito che decise di scrivere un testo da declamare come un cantastorie, durante la cerimonia di inaugurazione della mostra, con la realizzazione di un tabellone con i quadri raffigurativi della leggenda, proprio come facevano gli antichi cantastorie popolari!
Fu inoltre deciso di invitare alla prima serata inaugurale una compagnia folk di Giugliano che si chiamava Damadakà.  Questo gruppo era composto da giovani musicisti che da pochi anni avevano iniziato un percorso artistico di recupero della tradizione musicale folk dell'agro aversano-giuglianese, con la riscoperta di villanelle, cantate, nenie antiche e canti 'a ffigliola, in gran parte sconosciuti alle giovani generazioni.
Alcuni giorni prima dell'evento, Michetti insieme a Russo e Culiers disegnarono e fecero realizzare i pannelli espositivi della mostra in legno, pensati come dei libri aperti a metà, che cosi disposti consentivano di avere un ampio spazio per esporre le foto, in tutti i quattro lati che si creavano. Furono realizzati quattro di questi pannelli, che erano alti due metri e larghi tre. Michetti riuscì anche a farsi prestare altri tabelloni  espostivi di legno, mentre la Circoscrizione di Piscinola-Marianella mise a disposizione alcuni tavoli pieghevoli e delle sedie.
Le tavole con le foto furono stampate a colori su fogli di carta formato A1; ogni tavola conteneva una, due o più foto, alquanto ingrandite. Realizzammo anche una sezione espositiva con gli attrezzi agricoli e gli utensili domestici antichi di uso comune; molti furono messi a disposizione dalla mia famiglia, ma anche dalla famiglia Bianco e da un contadino di via Madonna delle Grazie, che non ricordo il nome. Per ogni oggetto antico esposto, provvidi a stampare una didascalia con sopra riportato, sia il nome in italiano che quello in vernacolo locale.
Preparammo anche una sezione di poesie scritte in vernacolo, dedicate a Piscinola e a Marianella.
Ricevemmo intanto l'autorizzazione da parte della società Metronapoli per poter occupare l'atrio libero d'ingresso della stazione della metropolitana di Piscinola.
Ricordo la fatica intrapresa da tutti i soci e collaboratori per l'allestimento della mostra. Donato Culiers e Luigi Russo si diedero un gran da fare a montare i tabelloni e per incollare le tavole che avevo preparato e fatto stampare precedentemente. Rosa provvide a incollare le didascalie e le guide narrative, che introducevano i vari argomenti. Queste schede furono inserite sul margine sinistro di questi tabelloni, come se fossero stati dei segnalibri di un fantasioso libro dei ricordi... L'obiettivo era quello di accompagnare passo passo i visitatori nelle varie sezioni narrative sviluppate, come se si stesse sfogliando le pagine di un libro...
Alla fine dell'allestimento il colpo d'occhio che si creò fu davvero bello e affascinante! Coprimmo ogni spazio disponibile dell'atrio della stazione, sia del pavimento che delle pareti.
Il percorso espositivo era cosi costituito:
- fonti storiche con i testi che raccontavano la storia dei due quartieri.
- monumenti, casa natale di Sant'Alfonso e le due chiese di Piscinola e Marianella;
- foto di vita nelle campagne e di contadini;
- foto di vita nei cortili e nelle strade;
- vedute e cartoline antiche;
- feste popolari e tempo libero;
- sport (il calcio, la Virtus Piscinola, il pugile Cossia e le gare di ciclismo organizzate da De Lise;
-musica e spettacoli, con
la Banda Musicale di Piscinola, i complessi degli Showmen e dei Wanted Group. 
L'ultimo pannello era dedicato alle foto dei due Quartieri, così come si presentavano in quell'anno 2004.
Una giovane pittrice, che era stata allieva del maestro di Luigi Russo, realizzò un tavolato polittico, con la raffigurazione delle scene della leggenda della Madonna delle Grazie di Piscinola, da utilizzarsi per la rappresentazione del cantastorie, a cura di Michetti.
Giunse il giorno dell'inaugurazione. Ricordo i vari discorsi introduttivi: quelli di Lucio Michetti, di Padre Nappa, di Franco Biagio Sica e dei rappresentanti della Circoscrizione. Furono poi offerte delle pizze rustiche al pomodoro, cotte in un forno di Piscinola. Per il brindisi inaugurale offrii il mio vino, declamando la mia poesia "'O vino 'e Piscinola"!
Ricordo l'interesse che mostrarono i visitatori della mostra, cosi come la commozione degli anziani e la curiosità dei tanti giovani, che osservavano le foto e leggevano i commenti e le didascalie.
Nel pomeriggio del giorno inaugurale il gruppo folk Damadakà iniziò l'esibizione all'esterno per le strade di Piscinola, a partire da via Napoli, proseguendo per via del Salvatore, entrando nei vari cortili che si aprono alla strada; sostò poi davanti alla Chiesa del SS. Salvatore e proseguì attraversando la piazza di Piscinola, fino alla stazione della metropolitana di Piscinola, dove era allestita la mostra. Giunti nella mostra intonarono il canto antico della Madonna delle Grazie. Al termine del canto, Lucio Michetti declamò il suo componimento poetico, scritto per ricordare il miracolo  attribuito dalla tradizione
popolare alla Madonna. Molte furono le persone che assistettero a questa esibizione, applaudendo al suo termine.
Per omaggiare la tradizione vinicola piscinolese, realizzai un piccolo stand con alcuni oggetti antichi, tra i quali delle curiose damigiane e dei boccali di vetro. Nello stand era prevista la degustazione gratuita del vino Perepalummo offerto ai visitatori: il vino  era quello da me prodotto nella campagna di Piscinola nel 2003. Sul banchetto compariva la stampa della mia poesia: "'O vino 'e Piscinola".
L'esposizione si protrasse fino alla domenica successiva. Poi, verso le ore 13:00 di quella domenica iniziammo lo smontaggio e il recupero di tutto il materiale. Eravamo tutti felici!
E' stata questa la prima esperienza che ho intrapreso nel mio precorso culturale ventennale, dedicato alla valorizzazione della storia del quartiere e alla sua promozione verso le giovani generazioni. Dopo questa prima esperienza, ha avuto seguito la pubblicazione del libro "Piscinola, la terra del Salvatore". Infatti, fu proprio il materiale fotografico e le testimonianze raccolte per l'allestimento della mostra del 2004, a spronarmi verso la scrittura del saggio.

Quest'esperienza del "Museo del Ricordo" mi ha consentito di conoscere tante belle persone e instaurare diverse amicizie, mi ha aiutato a crescere culturalmente e mi ha consentito di scoprire il campo della ricerca storica: campo che considero appagante per quelli, come me, che nutrono il grande desiderio di conoscenza e di scoperta, nonchè fonte di arricchimento e motivo di crescita personale e comunitaria.
Purtroppo devo aggiungere che in questi ultimi anni alcuni ideatori di quella esperienza piscinolese del 2004 non sono più tra noi, come Lucio Michetti e Donato Culiers, la loro scomparsa è stata una grave perdita per la cultura locale.
Questo post è dedicato alla loro memoria, in ringraziamento per tutto quello che hanno fatto per la storia dei quartieri di Piscinola e di Marianella.

Salvatore Fioretto