Riprendiamo un argomento trattato nel nostro blog nell'anno 2015 in due puntate, con a centro della storia la fondazione a Miano della casa di cura per malati di mente, conosciuta come "Villa Russo".
Descrivemmo, nella prima parte, che nell'anno 1825 un medico dell’ospedale di
Aversa, di nome Giuseppe Santoro, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dal Ministero degli Interni, ebbe la brillante idea di prendere in fitto
un appartamento della famiglia Quattromani, sito ai margini dell'antico borgo di Miano e, complice il paesaggio goduto nel luogo e la
vicinanza con la Capitale, impiantò il primo stabilimento di cura privato per
matti, vale a dire il primo
manicomio privato del Regno di Napoli e, salvo smentite, forse
il primo in Italia…!
La struttura si sosteneva con le rette mensili pagate dai familiari dei pazienti. Questo medico, infatti, ebbe la lungimiranza della reale remuneratività dell’investimento e della potenzialità di guadagno derivanti dall’esercitare pratiche di cure offerte in forma privata. Conoscendo bene i problemi di affollamento e di promiscuità dei pazienti ospitati nell’ospedale di Aversa, sapeva quanto fosse sentita la necessità di riservatezza da parte delle classi agiate e dell’aristocrazia di quel tempo, che cercavano un trattamento di riguardo e soprattutto la riservatezza per i loro familiari malati, quindi erano disposti a pagare delle rette mensili non trascurabili...
La struttura si sosteneva con le rette mensili pagate dai familiari dei pazienti. Questo medico, infatti, ebbe la lungimiranza della reale remuneratività dell’investimento e della potenzialità di guadagno derivanti dall’esercitare pratiche di cure offerte in forma privata. Conoscendo bene i problemi di affollamento e di promiscuità dei pazienti ospitati nell’ospedale di Aversa, sapeva quanto fosse sentita la necessità di riservatezza da parte delle classi agiate e dell’aristocrazia di quel tempo, che cercavano un trattamento di riguardo e soprattutto la riservatezza per i loro familiari malati, quindi erano disposti a pagare delle rette mensili non trascurabili...
I risultati dell'investimento si dimostrarono subito brillanti, tanto che nell'anno 1839 il dottor Santoro riuscì a acquistare l'immobile di Miano, dal proprietario Cav. G. Quattromani, per la somma di 1300
ducati, con l'aggiunta di altri 121 ducati e 32 grani di interessi, da
pagarsi in quattro rate, entro l'anno 1839. Lo stabilimento aveva una
ricettività di circa 12 stanze, procurando al Santoro un reddito annuo di circa 1200 ducati.
Nel 1833 il dottor Santoro fu sicuramente l'artefice della fondazione di
un’altra casa di cura
privata, sorta poco distante dalla prima, in località Ponti Rossi.
Questa struttura era inizialmente un casino di villeggiatura che fu
rilevata dal profumiere Giuseppe Bayl che, dopo un infruttuoso tentativo d'investimento, cedette la proprietà a un certo Pietro Fleurent; anche se, a detta degli studiosi, fu un'operazione condotta per conto dello stesso Santoro...
Ma chi era questo dott. Santoro, dimostrato un eccellente imprenditore nella Sanità d'altri tempi?!
Ma chi era questo dott. Santoro, dimostrato un eccellente imprenditore nella Sanità d'altri tempi?!
Il dottor Giuseppe Santoro si laureò in
medicina nella antichissima Università di Salerno, il 25 Luglio 1808. Si
specializzò subito per curare le malattie cosiddette mentali. Fu assunto medico
assistente al Reale Manicomio di Aversa, già a partire dalla fondazione
avvenuta nel 1813.
Nel 1825 abbandonò, come già detto in premessa, l'ospedale per fondare il Manicomio di Miano, che istituito con approvazione reale, nell’Aprile di quell’anno.
Nel 1825 abbandonò, come già detto in premessa, l'ospedale per fondare il Manicomio di Miano, che istituito con approvazione reale, nell’Aprile di quell’anno.
Santoro si dedicò anche alla
ricerca scientifica. Infatti nel 1827 pubblicò un libro sulle malattie mentali, che
ebbe per titolo "Trattato sull’alienazione della mente umana",
dedicato a Sua Real Maestà Francesco I Re delle due Sicilie, il libro fu
pubblicato attraverso la tipografia Chianese di Napoli. In questo interessante
trattato, Santoro, effettuava una accurata diagnosi dello "spirito",
che era messo in rapporto con l’organismo metabolico dell’uomo. Ebbe modo di
dimostrare l'errore spesso commesso da quelli che programmano di trattare la
pazzia con i metodi brutali e al di fuori dalla logica umana.
Il trattato ebbe come seguito il libro "Appendice e Regolamento generale", nel quale si descriveva la gestione e la direzione di un manicomio; in questo lavoro è spiegato molto
accuratamente l'opera svolta dagli assistenti e dai "camerieri", il particolar
modo il modo di procedere alla disinfestazione delle stanze, i turni ai bagni,
la distribuzione delle medicine, il tempo e i percorsi da dedicare alle
passeggiate e alle attività ludiche e di distrazione. Altri insegnamenti
contenuti erano la scelta dei cibi e delle bevande da somministrare ai pazienti,
per ciascun giorno della settimana e nelle diverse stagioni dell’anno; Santoro era
dell'opinione che tutti questi parametri e aspetti della vita dei pazienti in
un ospedale psichico avrebbero avuto una grande influenza sullo spirito e sulla
natura umana del malato. Ad ogni modo, considerato il periodo della
pubblicazione di questa Appendice, possiamo concludere che il Santoro ebbe modo
di dimostrare con le sue ricerche le profonde e sagge cognizioni, igienico-tecniche,
che egli aveva maturato nella disciplina medica assistenziale dei malati di
mente.
Monumento dedicato al secondo proprietario della casa di cura di Miano, da cui prese il nome |
Il Santoro fu soprattutto un
appassionato cultore della sua scienza; di fronte ai discordi pareri ed ai
controversi sistemi scientifici sul trattamento dei pazzi, egli, con assillante
angoscia si diede all’investigazione, all'osservazione ed all'analisi di nuovi mezzi
per la cura degli alienati.
Condannò i crudeli sistemi del
ferro rovente applicato sulla nuca del collo, del letto di forza a reprimere il
furore, e del bagno freddo di sorpresa sbadatamente somministrato nei casi di
follia, per i quali l’infelice il più delle
volte soccombeva tra strazi impressionanti, per orientarsi verso nuovi criteri
più umani e scientifici.
Fu così che con la nuova scuola i
malati di mente furono trattati come uomini normali, attentamente vigilati ed
osservati; si diede loro la possibilità di discutere col direttore, con i medici
e gli assistenti, onde ricondurli il più
che possibile al ragionamento, di consumare i pasti l’uno vicino all’altro, e
di avere alcune necessarie libertà nell’ambito del sanatorio.
Santoro morì a Miano, nel
mese di giugno del 1866, lasciando il suo nome illustre legato alla antica casa di salute, da lui fondata, che volle con la forza di volontà farla diventare e considerare in quei tempi una delle prime d’Italia.
Per onorare la sua memoria, il Villaggio di Miano dedicò al suo nome una delle vie principali del borgo.
Giuseppe Santoro ebbe due fratelli: Tommaso,
che fu canonico nella Collegiata di Marcianise, uomo dotato di eletto ingegno e di squisito senso
di amore del prossimo; l'altro fu Domenico, che coprì la carica di segretario capo al Comune di Marcianise.
La narrazione della storia del dottor Giuseppe Santoro è un'altra dimostrazione di quanto sia importante questo territorio, che seppur periferico e posto al margine nord della grande città, ha una storia di degno rispetto, non seconda a nessun quartiere di Napoli, per opere, eventi, personaggi e cultura in generale...!
Salvatore Fioretto
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