Ecco un altro bel racconto con episodi realmente accaduti al cospetto della ferrovia Piedimonte, tratto dal libro “Fogli nel cassetto”, di Francesco Tamma. Ed. Aletti Editore, 1955.
"Tanti e tanti anni
addietro, precisamente dopo la liberazione d’Italia, nel dopo la seconda guerra
mondiale, io, in uno sgangherato scompartimento di una vettura mezza
sgangherata, tirata da una locomotiva sbuffante, m'allontanavo dalla mia città
per portarmi nella Capitale. Il treno sferragliava lentamente. Dopo avere
attraversato la verde campagna ricca d’alberi della mia terra, il nudo
tavoliere della Puglia, la montuosa campagna Campana e la campagna Laziale,
ammirando il paesaggio vario, a tratti pianeggiante, a gobbe e ricco di alberi;
giunsi nella citta degli antichi Cesari, con la visione ancora davanti agli
occhi delle ferite provocate dalla guerra alle città che il convoglio lasciò
indietro, anche se la bellezza di nostra madre natura cercò di fugare le
cattive visioni.
L’avventura che sto
per descrivere non avvenne in Roma, che fu da me visitata con entusiasmo, di
quell’entusiasmo dei giovani che è di loro la caratteristica, specialmente se è
la prima volta che si visita una grande città come Roma; al ritorno, per
affari, dovevo recarmi, con due colleghi compagni di viaggio, a Caserta.
Dopo tre giorni di
permanenza nella Capitale, al mattino del quarto giorno, nelle prime ore del
dì, andai a prendere il posto che doveva essere mio durante il viaggio, in uno
dei vagoni merci che allora funzionavano da vetture per passeggeri.
Naturalmente con ritardo quel benedetto treno partì, destinazione Napoli, ma,
con i due colleghi, dovevo prendere la coincidenza per Caserta da Aversa.
Il viaggio fu
caratterizzato da una lunga serie di fermate forzate per guasti ai fili
elettrici in varie località per cui si accumulò ritardo su ritardo fino a farci
arrivare nel tardo pomeriggio ad Aversa con la perdita della coincidenza per
cui non ci rimase che prendere una soluzione, quella di prendere il trenino
della linea secondaria, la Piedimonte che ci portò alla stazione di Santa Maria
Capua Vetere distante diversi chilometri da Caserta.
Sulla piattaforma di
una delle tre vetture del trenino affollato pensai alla comodità di casa mia
con nostalgia. Ero stanco e preso dalla tristezza che, ben presto, svanì in
quanto, mentre si attraversava la ricca campagna, in cui predominava la vite,
mi veniva in mente le visioni delle scene pittoresche avvenute durante il primo
tragitto: ragazzi e ragazze si affaccendavano a vendere ai passeggeri, durante
le fermate, aranci e mele, non erano pagati da alcuni scalmanati che si
dilettavano a comprare quando il treno si metteva in movimento, con la pronta
reazione dei venditori da strapazzo i quali con grida e invettive, lanciavano
sassi verso le vetture che si allontanavano.
Finalmente arrivammo
a S. Maria di Capua Vetere quando il sole era già tramontato ed alcune nuvole
avevano coperto il cielo. Dopo aver fatto un contratto con un vetturino, ci
accomodammo sulla carrozza aperta, tipica napoletana a due posti, per cui per
mancanza di spazio mi accomodai a fianco del vetturino che incitava il cavallo
a trainare, ma il cavallo tutto voleva fare tranne che camminare. Intanto il crepuscolo
ad ampie volute scendeva sulla natura che si accingeva a ricevere la notte che
porta riposo a villani e lavoratori stanchi. Per ammazzare il tempo guardavo a
dritta e a manca ammirando ciò che mi circondava. Il vetturino frustava il
pigro cavallo che a un certo momento, preso dalla furia di un demone burlone,
si mise a correre da sembrare di voler vincere una gara ippica.
Il vetturino si
mise a inveire contro il cavallo con grida e suoni gutturali per farlo fermare
ma quello correva all'impazzata, mentre i robusti e alti platani che
affiancavano la strada ci passavano dai lati velocemente e i fossati ai limiti
della strada ci corteggiavano per farci cadere in uno di loro. Io, con i miei
colleghi ammutoliti e impauriti, tacito, vissi quell'avventura che aveva in sé
molte incognite circa la fine a cui andavo incontro. Ad un certo punto io non
pensai che a salvare la pelle ch'era scampata alle bombe della guerra, con un
salto acrobatico, non che io sia un acrobata, direi il contrario, fui a terra
dove perdendo l'equilibrio caddi, per fortuna, tranne alcune escoriazioni alle
mani, non mi feci male. In quell’istante, il quadrupede, spezzando i legami che
lo legavano alla vettura, continuò da solo la sua corsa sfrenata nel mentre la
carrozza continuava a correre per forza d'inerzia senza guida da sembrare che
da un momento all'altro andasse a finire in un fossato, ma la resistenza vinse
la forza d’inerzia, quel mezzo di trasporto si fermò.
Il vetturino piagnucolava
guardando il suo cavallo che si allontanava, ma la bestia nel suo percorso
trovò altri cocchieri, che avendo assistito da lontano la scena, con colpi di
frusta alle zampe lo fecero fermare con una scivolata per slittata dei ferri
degli zoccoli. Il vetturino quando gli fu portato il cavallo, piagnucolando, si fece
pagare tutto il tragitto da noi che, per aver felicemente scampato al peggio,
continuammo a piedi commentando l’incidente ed infine scoppiammo a ridere, per
le maschere di paura impresse sui nostri volti nel momento dell’incidente, non
più pensando a nulla e neanche al peso dei nostri bagagli che ci faceva sudare.
Nel frattempo le nuvole s’erano abbassate e, come se tutto ciò non
bastasse, per una decina di minuti, ci inviarono le loro goccioline che fecero
il loro dovere di bagnarci, mentre il crepuscolo tutto avvolse nel suo manto
scuro, quando, infine, arrivammo a destinazione.
Questa avventura curiosa, drammatica per lo scampato pericolo, giace archiviata
nel mio subcosciente per essere rispolverata quando la devo raccontare o
descriverla, come ho fatto ora."
A margine di questo bel racconto sulla Piedimonte, invitiamo, come facciamo sempre, il caro lettore interessato a leggere il romanzo menzionato, scritto da Francesco Tamma.
Salvatore Fioretto
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