venerdì 27 settembre 2024

Due colline corone della nobilissima Capitale: Capodimonte e Capodichino!

E' questa che pubblichiamo una bella descrizione paesaggistica di inizio Ottocento, riguardante le due colline che coronano a settentrione la nobilissima città di Napoli: Capodimonte e Capodichino. Il racconto è tratto dal libro: "Rapporto generale sulla situazione delle strade sulle bonificazioni e sugli edifizj pubblici dei reali dominj al di quà del faro diretto a S. E. il ministro delle Finanze dalla Direzione Generale di ponti e strade e delle acque e foreste e della caccia". Napoli 1827. Edito dalla Tipografia Zambraja (pag 16-18, 116-117).
Auguriamo ai cari lettori una buona lettura.

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"La deliziosa collina di Capodimonte sulla cui vetta grandeggia un magnifico Real Palazzo, è separata da quella di Mater Dei per una profonda valle, nella quale conveniva discendere per montare per vie difficili ed a stento rotabili sull'alto della collina.
Formatosi il progetto di congiugnere le due colline con una magnifica comunicazione, dall'edifizio dei Regj Studj fu aperta a traverso delle antiche abitazioni una larga strada che con discreti pendii si distende al ciglio superiore della valle.
Cavalcatasi quest' ultima con un elevato e grandioso ponte, in prolungamento del medesimo un ampio stradone conduce appiè della collina, ove s'incontra un giardino di delizie di figura ellittica, che la strada contorna dividendosi in due rami.
Oltrepassato il giardino, la strada si sviluppa a mezza costa su i fianchi della collina, e con pendenze sempre da trotto rade il cancello del Real Palazzo. Procedendo innanzi comincia a discendere e dispiegandosi per le falde della collina più dolcemente inclinate conduce ai Ponti Rossi, donde con breve tratto rettilineo va a congiugnersi nel sobborgo di Ottocalli con la strada vecchia di Capodichino.
Dai Ponti Rossi volgendosi a sinistra si va con breve cammino appiè della collina di S. Maria dei Monti, sulla quale si sale con alcune rampe. Dalla sommità con uno stradone si perviene al real bosco di Capodimonte. Poche centinaja di palmi prima di giugnere all'anzidetto cancello del Palazzo Reale si dirama a sinistra una traversa che conduce al real bosco, e passando innanzi, per Miano va a sboccare sulla strada di Capua in vicinanza di Secondigliano. Innanzi al cancello dell'anzidetto real bosco di Capodimonte si distacca a sinistra una traversa, che passando per l'abitato di Capodimonte presso del cancello del Duca di Gallo si divide in due rami, dei quali uno mena a Marano, a Calvizzano, a Mugnano, a Giugliano e ad altri luoghi circonvicini; l'altro per lo Scudillo conduce al Vomero.

Giacinto Gigante, veduta di Napoli dallo Scudillo
In tal guisa la catena delle colline che signoreggiano sulla città, e che da Capodimonte si distendono fino al Capo di Posilipo, è posta in comunicazione con traverse rotabili, che partono dalla strada di Capodimonte, da quella dell' Infrascata e dall' altra di Posilipo.
La vecchia strada di Capodichino in continuazione della strada di Forio passa innanzi il real Albergo de' poveri, prolungasi nel sobborgo di Ottocalli e quindi seguendo l'andamento di una valle con forti pendii conduce sull'alto della collina. In tutto questo tratto non offresi alcun'amena veduta, nè discopresi da alcun punto la città verso la quale si discende venendo da fuori.
Era perciò convenevole che l'accesso principale della capitale venendosi dall'Estero e dalle province di Terra di Lavoro, di Molise e dei tre Abruzzi si fosse renduto più magnifico e delizioso degli altri due dalla parte delle Puglie e delle Calabrie.
La nuova strada partendo dalla piazza che si è formata sulla vetta della collina di Capodichino, in mezzo alla quale si è eretto un elegante edifizio per la dogana, in una linea retta percorre il giogo della collina, e nel seguito cominciando a discendere ne contorna a mezza costa le falde. Nell' avvicinarsi poi all'abitato con un elevato riempimento si è agguagliata la valle dell'Arenaccio.
In tutto il tratto dalla sommità della collina fino all'abitato si attraversano ridenti campagne, e dacchè comincia la discesa a mezza costa si presentano di rincontro in anfiteatro la città di Napoli e le amene colline che la signoreggiano; alquanto sulla sinistra si discopre tutto il golfo, e più verso la sinistra si veggono il Vesuvio, le sue falde rivolte al mare e la valle tra la collina di Capodichino ed il monte di Somma.
Tutta questa strada è della più grande magnificenza per la sua larghezza e per la diligenza di costruzione.
Ove si sviluppa a mezza costa sulla sponda esterna ha una banchina di pietre d'intaglio guarnita di colonnette.
Collina di Capodichino vista dal cimitero di Poggioreale
Seguendosi quasi sempre uniformi dolcissime pendenze per questa strada si allunga il cammino soltanto di mezzo miglio.
Dall'anzidetta piazza di Capodichino si dirama anche la strada detta del Cassano che per Arzano e Grumo va ad incontrare la traversa del Gaudello che mette in comunicazione le strade di Puglia, di Benevento di Caserta e di Capua." [...]

[...] "Nel corso dell'anno si sono eseguiti ulteriori perfezionamenti nella strada di Capodimonte la cui magnificenza corrisponde al decoro della capitale ed alla bellezza del sito. Si è compiuto il lastricato di pietre squadrate di basalto dal quadrivio Materdei fino al ponte, e si sono rendute rotabili le comunicazioni col quartiere di Fonseca e coll'Imbrecciata della Sanità.

Si è migliorata la strada che menando al regio bosco di Capodimonte conduce a Miano. Si è del pari intrapreso il miglioramento della strada che per lo Scudillo va ad incontrare quella del Vomero. Si è perfezionata ed ingrandita quella che dal regio palazzo di Capodimonte si prolunga ai Ponti Rossi.
Si è inoltre ridotta a regolare costruzione quella che dai Ponti Rossi mena a S. Maria de' Monti, e se ne sono restaurate le rampe.
In tutte le anzidette strade si sono supplite le mancanti piantagioni di alberi, e di nuove piante si è abbellito il giardino ellittico appiè della collina di Capodimonte. La nuova strada di Capodichino che per la sua magnificenza e per l'esattezza di esecuzione è divenuta il più nobile accesso della capitale, ha ricevuto gli ultimi perfezionamenti ed è stata consegnata a regolare mantenimento. Anche in questa strada si sono rimpiazzate nuove piantagioni di alberi."

Salvatore Fioretto

mercoledì 18 settembre 2024

Ricordando Gaetano Di Vaio: Attore, produttore, regista e scrittore.

Desideriamo con questo post ricordare un personaggio piscinolese che è stato un esempio per volontà di riscatto sociale e per crescita artistico-professionale, riuscendo a scalare le vette del successo e dell'affermazione nel mondo dell'arte cinematografica italiana, parliamo di Gaetano di Vaio. Ecco una sintetica biografia che abbiamo scritto in dedica: 

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Gaetano di Vaio, nacque a Piscinola nel 1968, in una famiglia povera e numerosa. Dopo una infanzia difficile e dopo aver sperimentato la vita in collegio e anche la detenzione, riuscì a risollevarsi socialmente e culturalmente, iniziando a intraprendere un impegnativo percorso di studi, sia da autodidatta che impartito. Tra gli anni 2001 e 2003 partecipò con entusiasmo all’esperienza teatrale de “I ragazzi del Bronx Napoletano”: una compagnia organizzata e diretta dall’attore e scrittore piscinolese, Peppe Lanzetta.
Passò a cimentarsi nel mondo del cinema, inizialmente con comparse e ruoli marginali, specie nei cortometraggi. Tra le sue partecipazioni ricordiamo il film "Take Five" (2013) di Guido Lombardi, nel quale interpretò la parte di Gaetano. Ma il vero successo della sua vita fu intraprendere l’attività di produttore cinematografico.
Nel 200
3 fondò l'Associazione Culturale "Figli del Bronx", divenuta in seguito una società di produzione cinematografica: “Bronx Film”, dedicandosi anche a una serie di eventi culturali cittadini legati alle attività sociali, dove cercava di coinvolgere le realtà più dissestate della città. Da quel momento la sua produzione divenne significativa e coronata di riconoscimenti da parte della critica e non solo, ricevendo premi e successi. Ecco la presentazione della società:“La Bronx Film di Gaetano Di Vaio è diventata in pochi anni una delle realtà indipendenti più interessanti nel mondo della produzione cinematografica italiana. Ha realizzato cortometraggi, documentari e lungometraggi presentati nei più prestigiosi festival nazionali ed internazionali, ottenendo importanti riconoscimenti. Sempre attento al tema del sociale, delle ingiustizie e dalla parte dei più deboli, è un punto di riferimento per la cinematografia indipendente”.
Di alcune pellicole prodotte, Di Vaio fu anche scrittore, attore, sceneggiatore e regista. Tra i lavori che ha diretto e che ha partecipato anche come attore, ricordiamo: "Sotto la stessa luna" (2005) di Carlo Luglio, "Il loro Natale" (2010), "Napoli, Napoli, Napoli" (2010) di Abel Ferrara, "Radici" (2011) di Carlo Luglio, "Interdizione perpetua" (2012), "L'uomo con il megafono" (2012) di Michelangelo Severgnini ed "Veleno” con Luisa Ranieri, Massimiliano Gallo e Salvatore Esposito. Significativa fu anche la sua partecipazione come attore nel film4-4-2 - Il gioco più bello del mondo”, di Roan Johnson.
Ma l’opera che gli diede il maggior risalto mediatico e riconoscimenti, è stata sicuramente la produzione del cortometraggio  "Napoli, Napoli, Napoli", (prodotto insieme a "PFA Films" e a "Minerva Picture Production & Marketing"),
. diretto da Abel Ferrara (2007) e presentato alla "Selezione Ufficiale Fuori Concorso", della "66^ Mostra di Arte Cinematografica di Venezia".
Nel 2010 ha cooprodotto, con "Indigo Film", il corto
Vomero Travel (Giornata degli autori 67^ Mostra di Arte Cinematografica di Venezia). Altra pellicola prodotta è stata: "Take Five", opera seconda di Guido Lombardi, con il quale ha anche scritto il soggetto del film.
Ancora nel 2010, sempre a Venezia, presentò il documentario "
Il loro Natale
", nella sezione "Controcampo Italiano"; in questo progetto,
oltre che produttore, fu anche regista.
Nel 2013 si è cimentato anche come scrittore, con il romanzo autobiografico: "Non mi avrete mai", scritto insieme a Guido Lombardi (pubblicato da Einaudi Stile Libero, nel 2013), romanzo presentato in tanti talk show televisivi e interviste giornalistiche, nelle quali narrò con orgoglio la sua redenzione sociale e la carriera professionale intrapresa.

Nel 2011 produsse "Las Bas" di Guido Lombardi: un romanzo di formazione criminale nell'ambiente extra-comunitario di Castel Volturno.
Dal 2014 recitò anche nella prima serie di “Gomorra”, tratto dal romanzo di Roberto Saviano, nel quale interpretò il personaggio del “Baroncino”.
Si può dire che il 2015 fu l'anno più ricco di opere e riconoscimenti. Iniziò l'anno con la produzione della pellicola “Largo Barracche”, della quale fu produttore e regista. Seguì il film prodotto "Per amor vostro", diretto da Giuseppe Gaudino, che fu presentato a Venezia nello stesso anno 2015, dove vinse la "Coppa Volpi".
Sempre nell’anno 2015, Di Vaio fu incaricato dall’allora sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, a collaborare con il Comune, al fine di realizzare i progetti "lavori di strada", intesi come occasioni offerte alle persone a rischio di devianza, aiutandole al recupero sociale e a far scoprire le proprie passioni e attitudini artistiche.
Negli anni che seguirono, Gaetano di Vaio continuò il suo lavoro, partecipando a diversi progetti e produzioni cinematografiche.
Purtroppo la sua intensa vita si è spenta prematuramente il 22 maggio di quest’anno, all’età di 56 anni, in seguito a un brutto incidente stradale, avvenuto nei pressi di Giugliano e dopo il disperato ricovero ospedaliero in terapia intensiva. Ai suoi funerali, celebrati a Napoli, nella chiesa degli artisti di San Ferdinando, hanno partecipato tantissimi rappresentanti del mondo artistico e culturale cittadino, diversi provenienti anche da Roma e da altre città italiane, rendendogli l’ultimo saluto e un attestato di riconoscenza, per aver ammirato la sua energia, la sua voglia di riscatto e la sua generosità offerta per dare una possibilità anche agli altri.
Nel giorno seguente ai funerali, tutti i giornali italiani hanno dedicato un articolo in ricordo di Gaetano Di Vaio; tra essi "Il Messaggero", sul quale si leggeva un articolo intitolato: “Gaetano Di Vaio, folla ai funerali a Napoli. Martone in chiesa: Qui per inchinarmi all’artista”.

Salvatore Fioretto 

 


venerdì 13 settembre 2024

Un "Trapanese" di Piscinola... Ecco il poliedrico Sasà Trapanese!

L'antico Borgo di Piscinola non ha dato i natali solo a cantanti e musicisti, sportivi e professionisti, ma anche a personaggi del mondo del Teatro d'elite, dell'Avanspettacolo e del Cabaret, come l'artista che stiamo per descrivere, nato in via del Plebiscito a Piscinola, che calca da molti anni le tavole del palcoscenico, destreggiandosi tra i generi di Cabaret, Avanspettacolo, i classici del Teatro e il repertorio della Canzone classica napoletana: parliamo di Salvatore, in arte Sasà Trapanese.
Per descrivere il suo significativo percorso artistico abbiamo tratto in prestito, adattandola al blog, la biografia che si legge nel suo profilo social:

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Sasà Trapanese, nasce a Piscinola (nella popolare Capo 'a Chianca) e qui trascorre gli anni della sua giovinezza. "A 19 anni, senza aver frequentato mai scuole di recitazione, supera il provino per l'opera “Una casa di bambole” riduzione da Ibsen, per la regia di S. Condelli.
Gli anni ottanta lo vedono protagonista di un continuo e coerente percorso di ricerca prima negli allestimenti teatrali di S. Condelli – con cui realizza testi di Becket, Ibsen, Menandro – e poi con la cooperativa "Attori Insieme" realizzata da dieci giovani attori provenienti da diverse formazioni napoletane. Dopo “Lully abbandonata” di Metastasio, gioco d’improvvisazione teatrale su canovaccio settecentesco, con “Bassa Campania”, testo scritto da Salvatore Piscicelli con la collaborazione di Carla Apuzzo, la coop. "Attori

L'interpretazione nel film Caruso, si noti la somiglianza col tenore.

Insieme" si segnala all’attenzione di pubblico e critica per la messa in scena di un dramma meridionale molto diverso dai consueti clichè della tradizione.
Il quinquennio 1983 – 87 vede Sasà trapanese impegnato in numerose produzioni insieme a nomi storici della generazione di registi ed attori dell’era post – Eduardo de Filippo."
Continuando il suo percorso artistico, "Mario Santella, Enzo Moscato, Annibale Ruccello, Silvio Orlando, Geppy Glejeses, sono i compagni di avventura di spettacoli quali: ”La Fantesca” (1982), “Vorticose Passioni” (1983), “Pasta Reggina” (1984).
Nel 1988 lo straordinario incontro con Mario Carotenuto dà origine ad una nuova, importante collaborazione: Shakespeare - “Falstaff e le allegre comari”, Moliere - “L’avaro”, Goldoni - “La Locandiera” sono gli autori di riferimento per le produzioni degli anni 1988 – 90.

Il 1991 e il 1992 sono un biennio magico per Sasà Trapanese:
• viene scelto come protagonista del film “Enrico Caruso” prodotto da Rai Uno e da P.C.M. Australia
• inizia l’avventura di “Novecento Napoletano”
• interpreta al Sancarluccio di Napoli “Marammè”, monologo tragicomico pensato e scritto per lui da Rosario Salvati.
Televisione, canzone classica napoletana, teatro d’elite e d’autore: la versatilità espressiva di Sasà Trapanese si espande a trecentosessanta gradi raccogliendo ovunque successo di pubblico e critica. “Novecento Napoletano”, grandioso viaggio attraverso la canzone e la cultura partenopea per la regia di Bruno Garofalo, lo impegna dal 1992 al 1996, con repliche in tutto il mondo.
Dal 1988 Sasà Trapanese si dedica in maniera costante anche alla regia con la compagnia "Artisti all’asta".
Gli anni di “Novecento Napoletano” gli hanno aperto uno squarcio su una tradizione e una cultura che gli appare sempre di più come una fonte inesauribile d’ispirazione: Petito, Gill, Gambardella, Viviani, Bovio, Tagliaferri e tanti altri gli autori di riferimento per questo periodo in cui, peraltro, affianca sempre di più l’attività di conduttore a quella di attore.
E chi l’ha visto nei suoi recital sa che le due figure s’intersecano e si nutrono l’una dell’altra: è questa l’ennesima trasformazione di un artista che come pochi altri sulla scena è capace di trasformarsi, come giustamente sottolinea Francesca Nardi: ”in uno, due, mille attori”.

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Sasà Trapanese ha continuato in questi anni le sue performance artistiche, con la partecipazione in diversi lavori teatrali, così come negli spettacoli televisivi e pubblici, raccogliendo successo di pubblico e di critica. 

Salvatore Fioretto 



sabato 7 settembre 2024

Dal "Le Corricolo", di Alessandro Dumas: "San Gennaro martire della Chiesa"...


Per la prossima ricorrenza napoletana del 19 settembre, quando si commemora il Martirio di San Gennaro, patrono di Napoli, abbiamo scelto di pubblicare un passo del racconto tratto dal terzo volume del romanzo scritto da Alessandro Dumas, intitolato "Le Corricolo" (Paris 1845). L'opera dello scrittore francese è il resoconto del viaggio condotto nel Regno di Napoli, e principalmente a Napoli, nel quale si descrivono tutte le bellezze e le meraviglie visitate e conosciute. Dumas racconta anche la fantomatica storiella del "miracolo" estorto dai francesi, la conseguente rocanbolesca sostituzione del Patrono (con S. Antonio) condotta dai napoletani e la rapida sua reintregrazione al primo segno di eruzione del Vesuvio... Successivamente fu lo stesso Dumas a smentire la veridicità di questa parte del racconto, affermando di averlo inventato di sana pianta...

Ecco l'elogio a San Gennaro:

"San Gennaro risale, per la sua origine, ai primi secoli della Chiesa. Vescovo, ha predicato la parola di Cristo e ha convertito al vero culto migliaia di pagani; martire, ha sopportato tutte le torture inventate dalla crudeltà dei suoi carnefici e ha sparso il suo sangue per la fede; innalzato al cielo, prima di lasciare questo mondo dove tanto aveva sofferto, ha rivolta a Dio una preghiera suprema per far cessare la persecuzione degl'imperatori.
San Gennaro non è un santo di creazione moderna; non è un patrono banale e volgare, che accetti le offerte di tutti i devoti, accordi la sua protezione al primo venuto e s'incarichi degl'interessi di tutti; il suo corpo non è stato ricomposto nelle catacombe a spese di altri martiri piú o meno sconosciuti, come quello di santa Filomena; il suo sangue non è sgorgato da un'immagine di pietra, come quello della Madonna dell'Arco; insomma gli altri santi hanno, sì, qualche miracolo nella loro vita — miracoli trasmessi a noi dalla tradizione e dalla storia —, mentre il miracolo di san Gennaro si è perpetuato fino ai giorni nostri e si rinnova due volte all'anno, per la maggior gloria della città di Napoli e la maggior confusione degli atei.
Ma a ciò si limitano i suoi doveri di cristiano e la sua carità di cosmopolita.
Cittadino prima di tutto, san Gennaro non ama in realtà che la sua patria; la protegge contro ogni pericolo, la vendica di tutti i nemici: Civi, patrono, vindici, come dice una vecchia tradizione napoletana. Il mondo intero fosse minacciato da un secondo diluvio, e san Gennaro non alzerebbe neanche il mignolo per impedirlo; ma la minima goccia d'acqua possa nuocere ai raccolti della sua buona città, e san Gennaro muoverà cielo e terra per ricondurre il bel tempo.
San Gennaro non sarebbe esistito senza Napoli, né Napoli potrebbe esistere senza san Gennaro. É vero che non v'è città al mondo che piú volte di questa sia stata conquistata e dominata dallo straniero; ma, grazie all'intervento attivo e vigilante del suo protettore, i conquistatori sono spariti e Napoli è rimasta.
I Normanni hanno regnato su Napoli, ma san Gennaro li ha scacciati.
Gli Svevi hanno regnato su Napoli, ma san Gennaro li ha scacciati.
Gli Angioini hanno regnato su Napoli, ma san Gennaro li ha scacciati.
Gli Aragonesi hanno usurpato a loro volta il trono, ma san Gennaro li ha puniti.
Gli Spagnuoli hanno tiranneggiata Napoli, e san Gennaro li ha battuti.
Infine i Francesi hanno occupato Napoli, e san Gennaro li ha messi alla porta.
E chi sa che cosa farà san Gennaro per la sua patria!...
Quale che sia la dominazione, indigena o straniera, legittima o usurpatrice, equanime o dispotica, che grava su questo bel paese, v'è una credenza in fondo al cuore di ogni napoletano, credenza che li rende pazienti fino allo stoicismo: ed è che tutti i re e tutti i governi passeranno, e in sostanza non rimarranno se non il popolo e san Gennaro." (A. Dumas)

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In occasione della festività di San Gennaro, la redazione di Piscinolablog augura buon onomastico a tutti i lettori che si chiamano "Gennaro", e buona festa patronale alla città di Napoli e alla Regione Campania.
Auguri anche a tutti i napoletani che si trovano sparsi per il mondo, perchè il 19 settembre è la festa principale della napoletanità!
Buona festa di San Gennaro!

Salvatore Fioretto

venerdì 6 settembre 2024

Fatti di cronaca tra binari e treni della ferrovia Piedimonte d'Alife....

La gloriosa ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife" non è stata solo una ferrovia romantica e
paesaggistica, con ricordi di viaggi sereni e gaie scampagnate raccontati dai suoi viaggiatori, e con spaccati di storia vissuti, come quelli già pubblicati in questo blog, legati al ritorno della libertà dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, ma ha registrato anche degli episodi di "cronaca nera", come questi due casi che abbiamo scelto di raccontare, avvenuti nel primo ventennio di esercizio della ferrovia: praticamente un secolo fa...; questo perchè essa faceva parte integrante di una realtà vissuta da uomini di ogni estrazione e disciplina sociale. Ecco i racconti estratti dai quotidiani o periodici dell'epoca.


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Dal giornale: ”Il Mezzogiorno” , mercoledì 29 maggio 1923 Ultima edizione. Anno VI – num. 125. Cronaca di Napoli 20-30 maggio 1923

"Dopo lo scandalo alla Piedimonte d’Alife

L’Arresto del direttore ing. D. S.
I lettori ricorderanno gli avvenimenti della Ferrovia secondaria Piedimonte d’Alife alla fine di marzo ultimo.
A seguito di parecchie denunzie pervenute sul conto del direttore ing. Mattia D. S., il Ministero dei Lavori Pubblici ordinava una prima inchiesta e, poi, una seconda. Quest’ultima era affidata al comm. Senise il quale rilevava che la responsabilità di cui si faceva carico al direttore della tranvia non erano precisabili perché buona parte dei registri e documenti contabili come affermava il Direttore stesso trovavansi presso la sede centrale della Società a Parigi.

Contemporaneamente si acuiva il dissidio tra il D. S. e le organizzazioni del personale della Piedimonte e, nello stesso tempo che il S. eseguiva l’inchiesta una vivace campagna di stampa veniva fatta contro il Direttore dell’esercizio.
Ma ecco che, ai principi dell’aprile scorso, un improvviso colpo di scena provocava la sostituzione del D. S. dalla carica di direttore di Esercizio.
Gli iscritti al Fascio del personale della Piedimonte informavano la p.s. che i registri e i documenti di cui si parlava S. non si trovavano affatto alla sede centrale della Società a Parigi ma negli scantinati della Direzione napoletana al Palazzo Salsi in Piazza Reclusorio.
La p.s. coadiuvata dai fasci operava una sorpresa nella Direzione e rinveniva i famosi registri negli scantinati del Palazzo Salsi.
A seguito di questa sensazionale scoperta si riuniva di urgenza il consiglio di amministrazione e il D. S. veniva rimosso dall’ufficio, Contemporaneamente il D. S., temendo un eventuale mandato di cattura, scompariva dalla sua abitazione.
Registri e documentazione venivano, intanto inviati alla autorità giudiziaria, unitamente agli altri atti.
Dopo lungo esame essendo risultate fondate le accuse a carico del Direttore della Piedimonte d’Alife” per malversazioni e cattiva amministrazione, veniva nei giorni scorsi spiccato mandato di cattura contro il D. S.
Ieri mattina, verso le 7,30 l’ing. D. S. veniva tratto in arresto in via Museo dai commissari Capurso e Maiatico.
L’ing. De Sares era inviato direttamente a carcere di Poggioreale. Oggi il D. S. sarà interrogato dal giudice istruttore cav. Novelli.    Re"
 


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Da “L’eloquenza”

Antologia critica - cronaca

Anno VI - 15 agosto 1916 (pag. 198 - 200),  Roma – via Calamatta, 16

Piazza Carlo III, a dx la fiancata di convoglio del treno in partenza
Un feroce assassinio. – Il mattino del 31 dicembre 1914, sulla linea ferroviaria Napoli Piedimonte d’Alife, dal guidatore del primo treno in partenza da Napoli, fu scorta nei pressi di Capodichino una massa informe. Arrestato il treno, il macchinista e gli altri del treno rinvennero sul binario deposto in modo che il collo era poggiato sulla rotaia – il cadavere di uno sconosciuto che presentava numerose ferite, fra cui due gravissime di coltello alla gola, che quasi avevano staccata la testa dal busto.
Procedutosi dalle autorità alla ricognizione del cadavere, esso fu identificato per quello del giovane capraio Vincenzo R., scomparso da tre giorni, e di cui, nonostante le indagini più febbrili disposte dalla Questura di Napoli, non era stato possibile scoprire alcuna traccia.
Vincenzo R. – un giovane di 26 anni – era stato allevato in casa del capraio Francesco T. fin dalla tenera età.
Più volte, sia per il richiamo sotto le armi, sia per migliorare le sue condizioni, aveva abbandonato il T., ma sempre poi aveva fatto ritorno presso il suo antico padrone.
Il mattino del 28 dicembre come al solito s’era recato in campagna con tutti della famiglia T. per il pascolo delle capre. Col carretto, insieme col piccolo Vincenzo T., egli aveva preceduto a Capodichino Francesco T., che con i figli Salvatore, Giovanni e Luigi, l’aveva seguito con le capre. Da quel momento nessuna notizia si ebbe di lui.
La sera del 28 dicembre, tornarono dal pascolo Francesco T. e di figli senza il R.
Dissero – specie Salvatore ed il piccolo Vincenzo – che R. verso mezzogiorno s’era allontanato dal pascolo col pretesto di un bisogno e non aveva fatto più ritorno. Che essi, impensieriti di questa assenza, l’avevano atteso a lungo ed invano. Si recarono in casa dei fratelli e delle sorelle del R. per chiedere se avessero notizie di lui, dicendo tutte le loro apprensioni per quell’assenza prolungata. I fratelli di R., nonostante che fosse tardi, vollero recarsi in campagna – sul posto del pascolo – per vedere se vi fossero tracce del R., ed i Tufano li accompagnarono. Poiché tutte le ricerche furono vane, così, il giorno dopo si recarono in Questura ove denunciarono la scomparsa del fratello, ed in un esposto denunciarono i loro sospetti che il fratello fosse stato vittima di un delitto da parte dei T., famiglia di pericolosi delinquenti, di cui il padre aveva tutto un triste passato di delitti, ed i cui figliuoli seguivano le tristi orme paterne, specie il Luigi T., che negli ultimi tre mesi aveva riportate ben quattro imputazioni di mancato omicidio. Contemporaneamente Francesco T. denunciava al Commissariato di San Carlo all’Arena la scomparsa del suo garzone R.
Iniziatesi le indagini, gli agenti della Questura assodarono che il giorno 28 verso le 11 ½ uno dei figli di Francesco T. s’era recato dalla colona R. – i T. avevano fittati un tino con l’acqua dicendo che occorreva per far bere le capre. Questo fatto ingegnò il sospetto che l’acqua fosse servita per fare scomparire le tracce di sangue di cui gli aggressori del R. avevano dovuto macchiarsi.
Piazza Carlo III, parco binari della stazione terminale dall'alto
Procedendosi ancora nelle ricerche, il giorno dopo gli agenti trovarono nel fondo di un burrone un fazzoletto intriso di sangue, che dai parenti del R. fu riconosciuto per quello che il mattino del 28 lo sventurato giovane aveva legato al collo. Contemporaneamente giungeva notizia del rinvenimento del cadavere sulla Napoli – Piedimonte d’Alife.
Arrestai tutti quanti i T. essi si chiusero nel silenzio più assoluto, ma poi ma poi cominciarono ad accusarsi reciprocamente, finché Salvatore confessò di aver ucciso da solo, per gelosia di donne. Ma contro questa dichiarazione vi era l’esame necroscopico: sul cadavere erano state trovate cinque ferite prodotte da bastone, due gravissime ferite di coltello alla gola e tre escoriazioni prodotte da unghie. A ciò si aggiunga che il R. era molto più forte del T., donde si traeva la logica conseguenza che più persone avevano partecipato alla strage.
A ciò si aggiunse un’interpretazione del fatto, data dalla famiglia del morto, che rovesciava ogni tesi difensiva. Si assumeva infatti, che essendo sorti degli attriti tra il R. ed i giovani T., il padre di costoro, temendo che il garzone, per vendicarsi, potesse rilevare gesta criminose rimaste ignote alla Pubblica sicurezza ne decise la soppressione.
Il padre e tutti i figliuoli furono rinviati a giudizio per rispondere di omicidio premeditato.
Il dibattimento si svolse innanzi alla Corte ordinaria di assise, presieduta da quel valoroso magistrato che è il barone Carelli. Per la parte civile discusse Corso Bovio, il figliuolo del grande filosofo. Corso Bovio è un semplice ed arguto parlatore, che molte volte ha grandi efficacia. Egli è un avvocato che non fa subita alcuna deformazione professionale, ignora ogni mezzuccio, conosce unicamente l’espressione libera ed audace del suo pensiero.
Piazza Carlo III, convogli davanti alla stazione terminale
Frequentemente ha come degli atteggiamenti d’indifferenza alle finalità ultime della sua opera difensionale; par quasi come se dicesse ai giudici: “io ho compiuto il mio dovere e sto a posto con la mia coscienza, cercate ora di compiere il vostro, perché se non lo fate, peggio per voi, che commetterete una cattiva azione.
In una cattiva causa è perciò un pesce fuor d’acqua, perché egli non concepisce una dissonanza tra quello che dice e quello che pensa: è certo la singolare rettitudine del suo genitore che parla in lui.
Prese la parola il Procuratore generale Mastrovalerio: il processo aveva riflessi d’una tragicità impressionante: sgozzato miseramente lo sventurato R. era stato lasciato tre giorni in un campo, e mentre si disfaceva e i roditori lo distruggevano, i suoi uccisori avevano la baldanza di unirsi nelle ricerche ai parenti sconsolati, di denunciare il fatto all’autorità giudiziaria e tre giorni dopo cinicamente trasportavano il cadavere mezzo rosicchiato, in stato di avanzata putrefazione, sul binario della Piedimonte. Questi elementi seppe sfruttare in un forte esordio il Mastrovalerio per dipingere foscamente il delitto e venire poi a scagliare la catapulta formidabile delle sue argomentazioni principalmente, contro il padre ch’eccepiva un impressionante alibi. Ma egli ebbe un avversario degno di lui: Francesco T. fu difeso da quel dialettico potente ch’è l’on. Enrico De Nicola che seppe contrapporre argomento ad argomento, riuscendo, malgrado le ombre oscure che si proiettavano sul suo difeso, a strappare un verdetto negativo.
Salvatore, Giovanni e Luigi furono difesi da Umberto Ricciuti, Carlo Fiorante e Giovanni Porzio.
Umberto Ricciuti cercò con abilità, con la sua signorile eloquenza, di diminuire la impressione che l’atrocità del delitto suscitava, cercando di dimostrare ch’esso era frutto di un’esplosione di delinquenza minorile, i cui eccessi sono piuttosto espressione di incompleto sviluppo psichico che di perfidia.
Giovanni P. e Carlo F. lottarono strenuamente per sostenere la versione di Giovanni, e per dare al delitto il carattere d’omicidio improvviso, ma la fortuna non coronò i loro sforzi e i tre giovani furono riconosciuti responsabili di omicidio premeditato e, data la loro minore età, furono condannati a 20 anni di reclusione ciascuno.  E. A."

(Nota. Abbiamo omesso di riportare i cognomi dei personaggi coinvolti nei casi raccontati).

Salvatore Fioretto 

 

Piazza Carlo III, incrocio con corso Garibaldi. Nella nella parte a destra della foto, il convoglio della Piedimonte d'Alife in transito (anni '20 circa)