sabato 7 settembre 2024

Dal "Le Corricolo", di Alessandro Dumas: "San Gennaro martire della Chiesa"...


Per la prossima ricorrenza napoletana del 19 settembre, quando si commemora il Martirio di San Gennaro, patrono di Napoli, abbiamo scelto di pubblicare un passo del racconto tratto dal terzo volume del romanzo scritto da Alessandro Dumas, intitolato "Le Corricolo" (Paris 1845). L'opera dello scrittore francese è il resoconto del viaggio condotto nel Regno di Napoli, e principalmente a Napoli, nel quale si descrivono tutte le bellezze e le meraviglie visitate e conosciute. Dumas racconta anche la fantomatica storiella del "miracolo" estorto dai francesi, la conseguente rocanbolesca sostituzione del Patrono (con S. Antonio) condotta dai napoletani e la rapida sua reintregrazione al primo segno di eruzione del Vesuvio... Successivamente fu lo stesso Dumas a smentire la veridicità di questa parte del racconto, affermando di averlo inventato di sana pianta...

Ecco l'elogio a San Gennaro:

"San Gennaro risale, per la sua origine, ai primi secoli della Chiesa. Vescovo, ha predicato la parola di Cristo e ha convertito al vero culto migliaia di pagani; martire, ha sopportato tutte le torture inventate dalla crudeltà dei suoi carnefici e ha sparso il suo sangue per la fede; innalzato al cielo, prima di lasciare questo mondo dove tanto aveva sofferto, ha rivolta a Dio una preghiera suprema per far cessare la persecuzione degl'imperatori.
San Gennaro non è un santo di creazione moderna; non è un patrono banale e volgare, che accetti le offerte di tutti i devoti, accordi la sua protezione al primo venuto e s'incarichi degl'interessi di tutti; il suo corpo non è stato ricomposto nelle catacombe a spese di altri martiri piú o meno sconosciuti, come quello di santa Filomena; il suo sangue non è sgorgato da un'immagine di pietra, come quello della Madonna dell'Arco; insomma gli altri santi hanno, sì, qualche miracolo nella loro vita — miracoli trasmessi a noi dalla tradizione e dalla storia —, mentre il miracolo di san Gennaro si è perpetuato fino ai giorni nostri e si rinnova due volte all'anno, per la maggior gloria della città di Napoli e la maggior confusione degli atei.
Ma a ciò si limitano i suoi doveri di cristiano e la sua carità di cosmopolita.
Cittadino prima di tutto, san Gennaro non ama in realtà che la sua patria; la protegge contro ogni pericolo, la vendica di tutti i nemici: Civi, patrono, vindici, come dice una vecchia tradizione napoletana. Il mondo intero fosse minacciato da un secondo diluvio, e san Gennaro non alzerebbe neanche il mignolo per impedirlo; ma la minima goccia d'acqua possa nuocere ai raccolti della sua buona città, e san Gennaro muoverà cielo e terra per ricondurre il bel tempo.
San Gennaro non sarebbe esistito senza Napoli, né Napoli potrebbe esistere senza san Gennaro. É vero che non v'è città al mondo che piú volte di questa sia stata conquistata e dominata dallo straniero; ma, grazie all'intervento attivo e vigilante del suo protettore, i conquistatori sono spariti e Napoli è rimasta.
I Normanni hanno regnato su Napoli, ma san Gennaro li ha scacciati.
Gli Svevi hanno regnato su Napoli, ma san Gennaro li ha scacciati.
Gli Angioini hanno regnato su Napoli, ma san Gennaro li ha scacciati.
Gli Aragonesi hanno usurpato a loro volta il trono, ma san Gennaro li ha puniti.
Gli Spagnuoli hanno tiranneggiata Napoli, e san Gennaro li ha battuti.
Infine i Francesi hanno occupato Napoli, e san Gennaro li ha messi alla porta.
E chi sa che cosa farà san Gennaro per la sua patria!...
Quale che sia la dominazione, indigena o straniera, legittima o usurpatrice, equanime o dispotica, che grava su questo bel paese, v'è una credenza in fondo al cuore di ogni napoletano, credenza che li rende pazienti fino allo stoicismo: ed è che tutti i re e tutti i governi passeranno, e in sostanza non rimarranno se non il popolo e san Gennaro." (A. Dumas)

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In occasione della festività di San Gennaro, la redazione di Piscinolablog augura buon onomastico a tutti i lettori che si chiamano "Gennaro", e buona festa patronale alla città di Napoli e alla Regione Campania.
Auguri anche a tutti i napoletani che si trovano sparsi per il mondo, perchè il 19 settembre è la festa principale della napoletanità!
Buona festa di San Gennaro!

Salvatore Fioretto

venerdì 6 settembre 2024

Fatti di cronaca tra binari e treni della ferrovia Piedimonte d'Alife....

La gloriosa ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife" non è stata solo una ferrovia romantica e
paesaggistica, con ricordi di viaggi sereni e gaie scampagnate raccontati dai suoi viaggiatori, e con spaccati di storia vissuti, come quelli già pubblicati in questo blog, legati al ritorno della libertà dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, ma ha registrato anche degli episodi di "cronaca nera", come questi due casi che abbiamo scelto di raccontare, avvenuti nel primo ventennio di esercizio della ferrovia: praticamente un secolo fa...; questo perchè essa faceva parte integrante di una realtà vissuta da uomini di ogni estrazione e disciplina sociale. Ecco i racconti estratti dai quotidiani o periodici dell'epoca.


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Dal giornale: ”Il Mezzogiorno” , mercoledì 29 maggio 1923 Ultima edizione. Anno VI – num. 125. Cronaca di Napoli 20-30 maggio 1923

"Dopo lo scandalo alla Piedimonte d’Alife

L’Arresto del direttore ing. D. S.
I lettori ricorderanno gli avvenimenti della Ferrovia secondaria Piedimonte d’Alife alla fine di marzo ultimo.
A seguito di parecchie denunzie pervenute sul conto del direttore ing. Mattia D. S., il Ministero dei Lavori Pubblici ordinava una prima inchiesta e, poi, una seconda. Quest’ultima era affidata al comm. Senise il quale rilevava che la responsabilità di cui si faceva carico al direttore della tranvia non erano precisabili perché buona parte dei registri e documenti contabili come affermava il Direttore stesso trovavansi presso la sede centrale della Società a Parigi.

Contemporaneamente si acuiva il dissidio tra il D. S. e le organizzazioni del personale della Piedimonte e, nello stesso tempo che il S. eseguiva l’inchiesta una vivace campagna di stampa veniva fatta contro il Direttore dell’esercizio.
Ma ecco che, ai principi dell’aprile scorso, un improvviso colpo di scena provocava la sostituzione del D. S. dalla carica di direttore di Esercizio.
Gli iscritti al Fascio del personale della Piedimonte informavano la p.s. che i registri e i documenti di cui si parlava S. non si trovavano affatto alla sede centrale della Società a Parigi ma negli scantinati della Direzione napoletana al Palazzo Salsi in Piazza Reclusorio.
La p.s. coadiuvata dai fasci operava una sorpresa nella Direzione e rinveniva i famosi registri negli scantinati del Palazzo Salsi.
A seguito di questa sensazionale scoperta si riuniva di urgenza il consiglio di amministrazione e il D. S. veniva rimosso dall’ufficio, Contemporaneamente il D. S., temendo un eventuale mandato di cattura, scompariva dalla sua abitazione.
Registri e documentazione venivano, intanto inviati alla autorità giudiziaria, unitamente agli altri atti.
Dopo lungo esame essendo risultate fondate le accuse a carico del Direttore della Piedimonte d’Alife” per malversazioni e cattiva amministrazione, veniva nei giorni scorsi spiccato mandato di cattura contro il D. S.
Ieri mattina, verso le 7,30 l’ing. D. S. veniva tratto in arresto in via Museo dai commissari Capurso e Maiatico.
L’ing. De Sares era inviato direttamente a carcere di Poggioreale. Oggi il D. S. sarà interrogato dal giudice istruttore cav. Novelli.    Re"
 


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Da “L’eloquenza”

Antologia critica - cronaca

Anno VI - 15 agosto 1916 (pag. 198 - 200),  Roma – via Calamatta, 16

Piazza Carlo III, a dx la fiancata di convoglio del treno in partenza
Un feroce assassinio. – Il mattino del 31 dicembre 1914, sulla linea ferroviaria Napoli Piedimonte d’Alife, dal guidatore del primo treno in partenza da Napoli, fu scorta nei pressi di Capodichino una massa informe. Arrestato il treno, il macchinista e gli altri del treno rinvennero sul binario deposto in modo che il collo era poggiato sulla rotaia – il cadavere di uno sconosciuto che presentava numerose ferite, fra cui due gravissime di coltello alla gola, che quasi avevano staccata la testa dal busto.
Procedutosi dalle autorità alla ricognizione del cadavere, esso fu identificato per quello del giovane capraio Vincenzo R., scomparso da tre giorni, e di cui, nonostante le indagini più febbrili disposte dalla Questura di Napoli, non era stato possibile scoprire alcuna traccia.
Vincenzo R. – un giovane di 26 anni – era stato allevato in casa del capraio Francesco T. fin dalla tenera età.
Più volte, sia per il richiamo sotto le armi, sia per migliorare le sue condizioni, aveva abbandonato il T., ma sempre poi aveva fatto ritorno presso il suo antico padrone.
Il mattino del 28 dicembre come al solito s’era recato in campagna con tutti della famiglia T. per il pascolo delle capre. Col carretto, insieme col piccolo Vincenzo T., egli aveva preceduto a Capodichino Francesco T., che con i figli Salvatore, Giovanni e Luigi, l’aveva seguito con le capre. Da quel momento nessuna notizia si ebbe di lui.
La sera del 28 dicembre, tornarono dal pascolo Francesco T. e di figli senza il R.
Dissero – specie Salvatore ed il piccolo Vincenzo – che R. verso mezzogiorno s’era allontanato dal pascolo col pretesto di un bisogno e non aveva fatto più ritorno. Che essi, impensieriti di questa assenza, l’avevano atteso a lungo ed invano. Si recarono in casa dei fratelli e delle sorelle del R. per chiedere se avessero notizie di lui, dicendo tutte le loro apprensioni per quell’assenza prolungata. I fratelli di R., nonostante che fosse tardi, vollero recarsi in campagna – sul posto del pascolo – per vedere se vi fossero tracce del R., ed i Tufano li accompagnarono. Poiché tutte le ricerche furono vane, così, il giorno dopo si recarono in Questura ove denunciarono la scomparsa del fratello, ed in un esposto denunciarono i loro sospetti che il fratello fosse stato vittima di un delitto da parte dei T., famiglia di pericolosi delinquenti, di cui il padre aveva tutto un triste passato di delitti, ed i cui figliuoli seguivano le tristi orme paterne, specie il Luigi T., che negli ultimi tre mesi aveva riportate ben quattro imputazioni di mancato omicidio. Contemporaneamente Francesco T. denunciava al Commissariato di San Carlo all’Arena la scomparsa del suo garzone R.
Iniziatesi le indagini, gli agenti della Questura assodarono che il giorno 28 verso le 11 ½ uno dei figli di Francesco T. s’era recato dalla colona R. – i T. avevano fittati un tino con l’acqua dicendo che occorreva per far bere le capre. Questo fatto ingegnò il sospetto che l’acqua fosse servita per fare scomparire le tracce di sangue di cui gli aggressori del R. avevano dovuto macchiarsi.
Piazza Carlo III, parco binari della stazione terminale dall'alto
Procedendosi ancora nelle ricerche, il giorno dopo gli agenti trovarono nel fondo di un burrone un fazzoletto intriso di sangue, che dai parenti del R. fu riconosciuto per quello che il mattino del 28 lo sventurato giovane aveva legato al collo. Contemporaneamente giungeva notizia del rinvenimento del cadavere sulla Napoli – Piedimonte d’Alife.
Arrestai tutti quanti i T. essi si chiusero nel silenzio più assoluto, ma poi ma poi cominciarono ad accusarsi reciprocamente, finché Salvatore confessò di aver ucciso da solo, per gelosia di donne. Ma contro questa dichiarazione vi era l’esame necroscopico: sul cadavere erano state trovate cinque ferite prodotte da bastone, due gravissime ferite di coltello alla gola e tre escoriazioni prodotte da unghie. A ciò si aggiunga che il R. era molto più forte del T., donde si traeva la logica conseguenza che più persone avevano partecipato alla strage.
A ciò si aggiunse un’interpretazione del fatto, data dalla famiglia del morto, che rovesciava ogni tesi difensiva. Si assumeva infatti, che essendo sorti degli attriti tra il R. ed i giovani T., il padre di costoro, temendo che il garzone, per vendicarsi, potesse rilevare gesta criminose rimaste ignote alla Pubblica sicurezza ne decise la soppressione.
Il padre e tutti i figliuoli furono rinviati a giudizio per rispondere di omicidio premeditato.
Il dibattimento si svolse innanzi alla Corte ordinaria di assise, presieduta da quel valoroso magistrato che è il barone Carelli. Per la parte civile discusse Corso Bovio, il figliuolo del grande filosofo. Corso Bovio è un semplice ed arguto parlatore, che molte volte ha grandi efficacia. Egli è un avvocato che non fa subita alcuna deformazione professionale, ignora ogni mezzuccio, conosce unicamente l’espressione libera ed audace del suo pensiero.
Piazza Carlo III, convogli davanti alla stazione terminale
Frequentemente ha come degli atteggiamenti d’indifferenza alle finalità ultime della sua opera difensionale; par quasi come se dicesse ai giudici: “io ho compiuto il mio dovere e sto a posto con la mia coscienza, cercate ora di compiere il vostro, perché se non lo fate, peggio per voi, che commetterete una cattiva azione.
In una cattiva causa è perciò un pesce fuor d’acqua, perché egli non concepisce una dissonanza tra quello che dice e quello che pensa: è certo la singolare rettitudine del suo genitore che parla in lui.
Prese la parola il Procuratore generale Mastrovalerio: il processo aveva riflessi d’una tragicità impressionante: sgozzato miseramente lo sventurato R. era stato lasciato tre giorni in un campo, e mentre si disfaceva e i roditori lo distruggevano, i suoi uccisori avevano la baldanza di unirsi nelle ricerche ai parenti sconsolati, di denunciare il fatto all’autorità giudiziaria e tre giorni dopo cinicamente trasportavano il cadavere mezzo rosicchiato, in stato di avanzata putrefazione, sul binario della Piedimonte. Questi elementi seppe sfruttare in un forte esordio il Mastrovalerio per dipingere foscamente il delitto e venire poi a scagliare la catapulta formidabile delle sue argomentazioni principalmente, contro il padre ch’eccepiva un impressionante alibi. Ma egli ebbe un avversario degno di lui: Francesco T. fu difeso da quel dialettico potente ch’è l’on. Enrico De Nicola che seppe contrapporre argomento ad argomento, riuscendo, malgrado le ombre oscure che si proiettavano sul suo difeso, a strappare un verdetto negativo.
Salvatore, Giovanni e Luigi furono difesi da Umberto Ricciuti, Carlo Fiorante e Giovanni Porzio.
Umberto Ricciuti cercò con abilità, con la sua signorile eloquenza, di diminuire la impressione che l’atrocità del delitto suscitava, cercando di dimostrare ch’esso era frutto di un’esplosione di delinquenza minorile, i cui eccessi sono piuttosto espressione di incompleto sviluppo psichico che di perfidia.
Giovanni P. e Carlo F. lottarono strenuamente per sostenere la versione di Giovanni, e per dare al delitto il carattere d’omicidio improvviso, ma la fortuna non coronò i loro sforzi e i tre giovani furono riconosciuti responsabili di omicidio premeditato e, data la loro minore età, furono condannati a 20 anni di reclusione ciascuno.  E. A."

(Nota. Abbiamo omesso di riportare i cognomi dei personaggi coinvolti nei casi raccontati).

Salvatore Fioretto 

 

Piazza Carlo III, incrocio con corso Garibaldi. Nella nella parte a destra della foto, il convoglio della Piedimonte d'Alife in transito (anni '20 circa)

 

venerdì 30 agosto 2024

Cronaca della visita del papa Pio IX a Capodimonte, passando per Miano e Secondigliano.... anno 1849

Per tre anni, durante i moti del 1848 e la costituzione della effimera Repubblica Romana, il Papa Pio IX fu ospitato dal Re Ferdinando IV, prima a Gaeta e poi a Napoli, nella villa reale di Portici. In questo periodo il pontefice ebbe modo di visitare più volte Napoli e il suo circondario, facendo anche uso della ferrovia Napoli Portici.
In questo post recconteremo i momenti dell'arrivo di Pio IX a Napoli e della visita condotta alle Catacombe di San Gennaro, alla Reggia e al Bosco di Capodimonte, e quindi al Camposanto di Poggioreale, attraversando le strade principali di Miano e Secondigliano. Preziosa per noi è la minuziosa cronaca del viaggio riportata nel testo: "Diario del soggiorno in Napoli di sua Santità Pio IX P. M.", scritto dal Cav. Stanislao D'Aloe, segretario del real Museo di Napoli, Roma 1850, dalla quale abbiamo estrapolato i paragrafi di nostro interesse. Ecco la cronaca:

"4 di settembre (1848) (La partenza da Gaeta e l'arrivo a Napoli)
"La mattina di questo giorno, alle ore 8 e mezzo, Sua Santità, accompagnata da Sua Maestà il Re e da Sua Altezza reale il Conte di Trapani, s'imbarcò soprauna regia lancia portante lo stemma papale. Gli eminentissimi Cardinali Fabio Maria Asquini, Giacomo Piccolomini, Sisto Riario - Sforza, arcivescovo di Napoli, Tommaso Riario - Sforza camerlengo di santa Chiesa, e Giacomo Antonelli Pro-segretario di Stato,e sua eccellenza monsignor Garibaldi Nunzio apostoli copresso il real Governo di S. M., i quali tutti formavano il corteggio del Papa, s'imbarcarono sopradue altre lance reali."

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"Non appena la flottiglia era entrata nel nostro golfo, il vascello il Principe reggente, sospesa all'albero di maestra la bandiera papale, salutò l'Augusto viaggiatore con una salva di ventun colpi di cannone. Nel tempo medesimo tutt'i legni da guerra napolitani e spagnuoli, che fin dal giorno precedente stavano ancorati davanti a Portici, fecero sventolar la bandiera pontificia salutandola similmente con una salva reale.
Il Tancredi, rallentata per metà la forza del movimento di compressione che fa la macchina, costeggiava molto dappresso questa parte del golfo per lasciar godere a Sua Santità, in tutta la bellezza sua, la veduta incantevole, che offre Napoli a chi viene dal mare. Sua Beatitudine, salita col Re sul ponte della nave, osservò maravigliato la città delle maraviglie, percorrendo replicate volte coll'occhio tutta quanta l'estension sua: spettacolo invero stupendo e singolare della natura!
Eran le ore due oltre il mezzodì, quando il Tancredi, costeggiando la città, era giunto davanti la Reggia: in quell'istante, innalzatesi le bandiere reali, tutti i luoghi forti della città tuonarono per gioia con venti ed un colpo di cannone. Le campane suonarono a festa ed il molto popolo accorso per mare e sul lido, in vedere in su il ponte del legno i due augusti Personaggi gittò strepitosissime grida di viva Sua Santità! viva il Re!
La gente che era in città esultò di pari gioia eccitata al suono de' sacri bronzi e al fragore del cannone; molti baciavan la terra; molti benedicevano il Signore d'aver conceduto a questo popolo la spezial grazia di poter venerare in persona il Suo Vicario: molti mostravansi commossi sino al pianto alla grandezza dell'avvenimento: il Papa è con noi ... tutti esclamavano pieni d'insolito stupore ! ....
Dalle soprastanti ville di Capodimonte si fecero svolazzare per l'aere moltissimi uccelletti , portante ognuno, appiccato ad un filo di seta, un polizzino con uno de' motti – Viva la Chiesa cattolica - Viva Pio IX - Viva il Re!"

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20 di Decembre (visita alla basilica di San Gennaro Extra Moenia, alle Catacombe, al Bosco e alla Reggia di Capodimonte)
"Alle ore 8 del mattino il Santo Padre disse la messa nel privato oratorio, ed udi la seconda messa detta da monsignor Cenni. Preso un ristoro indosso la mozzetta d'inverno, ch'è di velluto rosso orlata di pelle di armellino, e sedè in carrozza con S. E. R. monsignor de' Medici de' Principi di Ottajano, maestro di camera e monsignor Conte Borromeo, primo camerier segreto. In altra carrozza eranvi monsignor de Ligne, primo cerimoniere pontificio, monsignor Stella, camerier segreto e segretario particolare di S. S., monsignor Folicaldi, camerier segreto e S. E. il Principe di Ardore, addetto all'immediazione della S. S.; la terza carrozza era occupata da monsignor Cenni, cappellano segreto e caudatario, da monsignor Bertazzoli, cappellano segreto e crucifero e dal maggiore cav. de Jongh all'immediazione di S. S. (Sua Santità, n.d.r.)
A' lati della carrozza papale stavano l'esente delle reali guardie del Corpo in servizio ed il commendatore Olivieri cavallerizzo di campo. In cotal guisa ordinato il papale convoglio, preceduto da dodici reali guardie del Corpo a cavallo, s'avviò, sonando le ore 9 ed un quarto, verso Napoli.
Al cominciamento della strada dell'arenaccia il corteggio papale fu incontrato dal maresciallo di campo il barone Stockalper de la Tour, comandante la real piazza e la provincia di Napoli, il quale si unì ad esso, procedendo sempre a cavallo.
Traversate le strade di Foria e de' Vergini, il convoglio entrò nel grande ospizio di S. Gennaro de Poveri (l'attuale ospedale di San Gennaro n.d.r.), e percorse la corte di esso, ch'è di figura rettangolare assai oblonga, ed é fiancheggiata da portici con triplice ordine di archi, l'uno imposto all'altro; avanti la scalinata, che vedesi in fondo a questa corte, il Santo Padre discese di carrozza, e fu ricevuto con molta venerazione da S. E. il Marchese di Pescara e Vasto, cerimoniere di Corte e capo di Corte onorario e dal cav. Stanislao d'Aloe, ispettore de' monumenti della provincia di Napoli, il quale ebbe l'altissimo onore di andar indicando al sapientissimo Pio IX tutti i pregevoli e rari monumenti, che sono in questa famigerata valle degli Eumelidi, e narrarne brevemente la storia. Giunta Sua Beatitudine nel picciol vano coperto, ch'è in cima della scalinata anzidetta, si fermò un istante per ammirare le belle dipinture a fresco di Andrea da Salerno, appariscenti su le pareti di esso e dinotanti il martirio di S. Gennaro, e poi entrò nel breve chiostro, di costruttura bizantina, che ora fa parte dell'ospizio per le donne povere, ma che in origine apparteneva al monastero benedettino, eretto in questo luogo in sul declinare del IX secolo, per opera del nostro santo vescovo Atanasio I.

Approssimadosi poscia alla porta della chiesa detta di S. Gennaro fuori le mura, o de' Poveri, fu il Pontefice ricevuto dall'eminentissimo nostro Cardinale arcivescovo, il quale gli porse l'acqua benedetta, dal cav. Salvatore Murena, Direttore del Ministero dell'interno, dal cav. Carlo Cianciulli, Intendente della Provincia di Napoli, dal cav. Carafa Sindaco di Napoli e da' governatori dell'ospizio, i signori commendatore Passante e amministratore generale Maddaloni. Dentro la chiesa vennero incontro al Santo Padre gli eminentissimi Cardinali Mattei, Castracane, Ferretti, Asquini, Riario-Sforza camerlengo, Ugolini e Bofondi.
Il Papa s'inginocchio avanti l'altar maggiore, e dopo aver offerto l'incenso al SS. Sacramento, ne ricevette la benedizione, impartita da monsignor de Bisogni, vescovo di Ascalona. Nella sagrestia si tenne il bacio del sacro Piede, cui furono ammessi i governatori, il rettore ed il clero della chiesa, e gli uffiziali dell'ospizio. Ed e a notare che quando il segretario dell'amministrazione di questo pio luogo, il signor Vincenzo Mennon, si approssimò a baciare il sacro Piede, ebbe l'onore di offerire alla S. S. un opuscolo da lui pubblicato in questa fausta occasione, nel quale sono acconciamente narrate l'origine, le vicende, e lo stato attuale dell'ospizio di S. Gennaro de poveri.
Compiute le sacre cerimonie, il Pontefice ritornó in chiesa, per osservarne l'architettura, ch'è di stile romano-bizantino del cominciamento del X secolo, ed é elevata su la pianta della basilica bizantina di S. Clemente di Roma, con la nave di mezzo molto larga in proporzione delle due minori. L'eccelso Pio IX osservò con interesse la nostra basilica, e notò con prontezza nascente dal profondo sapere, la diversità che vi era nella struttura e nel collocamento dell'altare di essa e quello della Clementina, e la rarità di questi due monumenti di architettura cristiana: poi si avvio alle contigue catacombe, al cui ingresso stavano aspettando molti sacerdoti, vestiti di cotta, con torchi accesi, per accompagnare Sua Beatitudine in quelle oscure grotte. Il Pontefice entrò in prima in quella delle tre bocche, la quale s'ha l'aspetto di un rustica chiesuola, con l'altare in fondo ed un trono episcopale tagliato nel masso di tufo. Soffermatosi avanti questo altare, ascolto con molta benignità le seguenti parole, che il cav. d'Aloe umilissimamente diresse alla Santità Sua; 


E' questa, PADRE BEATISSIMO, la chiesa primitiva, che i credenti napolitani scavarono in questa solitaria valle in onore di Gesù Nazareno, non appena fu sparso tra noi il seme benedetto della cattolica Religione. In questo recondito asilo convenivano i primi nostri fedeli a comun preghiera, quando la cristianità, oltraggiata da' perseguitamenti, riparava nelle grotte le più latebrose ed ignote, e combatteva con l'umiltà della parola e con la santità dell'opera la prepotenza de' dominatori della terra.
Allora queste rozze pareti, nel silenzio più muto della notte, risuonavano giocondamente di laudi al Signore , uscite da petti accesi di purissima fede e di santa carità. Quivi i nostri santi vescovi de' tre primi secoli Aspreno, Agrippino, Eusebio, Severo, Orso e Giovanni, contrapponendo le verità luminose della cattolica fede agli errori inverecondi del paganesimo, raccolsero frutti immarescibili di vita eterna. E proprio da questo rustico trono essi volgevansi a que' primi seguaci di Gesù, eccitandoli alla vera credenza ed al propagamento di essa, confortandoli ne' patimenti, infiammandoli nell'imitazione dell'evangeliche virtù.
E dopo che il vessillo venerando della Croce di redenzione sventoló trionfatore su tutte le genti del mondo, questi sacri penetrali rimasero a testificar perennemente il trascorso tempo di dolore insieme e di trionfo pe' cristiani di quell'età beatissima. Ne deggio tacere che dentro questa primitiva chiesa, correndo l'ottavo secolo, il nostro santo vescovo Paolo II, per serbare ubbidienza al solo romano Pontefice, contro i parteggiatori dell'Iconoclasta e del patriarcato d'Oriente, stette confinato in durissimo esilio, fino a che i lamenti del clero e del popolo napolitano non giunsero ad impietosire il cuore di que' potentati della città; i quali qui vennero a pregare il santo vescovo, perche tornasse all' episcopio di S. Restituta, dove essi medesimi li ricondussero con pompa grande di popolo.
Ma il trionfo, o PADRE SANTO, col quale la SANTITA' VOSTRA sarà di breve ricondotta alla sede de' Papi, da cui, sono ormai 13 mesi è lontana, sarà mille volte più maestoso e più solenne. Il popolo di questo Reame, che VOSTRA SANTITA' si di sovente ha veduto prostrarsi a' santi Suoi Piedi, questo popolo istesso, seguendo l'esempio del suo pietosissimo Re FERDINANDO II, precederà trionfalmente e con esultanza singolarissima il felice ritorno della SANTITA VOSTRA al Trono degli Apostoli. E quando poi riapparirà dall'alto di quel Trono, siccome astro splendentissimo d'infallibile sapienza, allora i nemici eterni di Santa Chiesa, dovranno esclamare, lor malgrado, con rabbioso convincimento, PORTAE INFERI NO PRAEVALEBUNT!
Il Santo Padre accolse con rara clemenza queste mie rozze parole, per la grandezza dell'argomento cui accennavano. Poi con edificante modestia tocco della Sua lontananza da Roma, e senza punto ricordare le amarezze del magnanimo cuor Suo, disse che in tal congiuntura Ei non avea provato le durezze, ch'ebbe a sopportare il santo vescovo Paolo, per la causa medesima della libertà della Chiesa.
Indossato quindi il mantello rosso, e posto sul capo il purpureo cappello, volse primamente gli sguardi alla parte esteriore della chiesula testè descritta, ove in uno spazio ellittico apparisce il Salvatore sedente in trono di maestà, nell'atto d'indicare il libro della divina Legge, che sostiene aperto con la destra, mentre due angeli genuflessi a' lati divotamente l'adorano.
La qual dipintura, con le altre di sacro subbietto, che si ravvisano nel vano prossimo a questo, possonsi assegnare a quella età di transizione, in cui l'arte gentilesca, abbandonando le rappresentazioni e le forme già usate, andavasi conformando alle tradizioni della Religion novella. Osservate le quali cose ne' due menzionati vani, che formano per così dire il vestibolo delle catacombe, il Santo Padre percorse un lungo spazio degli ampi corridoi sotterranei, nell'inferiore e nel superior ordine di esse; i quali, insinuandosi tortuosamente nelle viscere della collina, s'incrociano e si diramano in mille guise, lasciando di tratto in tratto larghi ed informi vani, sorretti da archi e pilastri conformati nel masso del tufo. Alle pareti di questi corridoi scorgonsi tre o quattro, e sino a sei ordini di loculi, o sepolcri, tagliati in forma rettangolare ed in diverse dimensioni, e chiusi davanti con lastre di marmo o murati. Cotesti loculi furon fatti nella maggior parte in tempo della gentilità, quando queste arenarie formavano la necropoli napolitana. Venutivi i primi cristiani, allorchè l'uso del seppellimento in queste scritte era già intermesso, servironsi de' loculi scavati, per seppellirvi i cadaveri deʼ lor confratelli, e su que' loculi apponevano il segno della croce, o sculto, o pinto, o graffito: ciò che ora serve a distinguere i sepolcri cristiani da' gentili.
Si fecero notare a Sua Beatitudine le molte celle mortuarie, che di tanto in tanto s'incontravano, e che servivano per intere famiglie, e l'edicolette ornate delle immagini dipinte su l'intonaco secco, de' nostri primi santi vescovi, e precipuamente di S. Gennaro e de' suoi compagni martiri. I quali sacri monumenti destarono grandissimo interesse nel Santo Padre, che nell'osservarli gli andava dottamente diciferando; e vide con ispeciale interesse la prima immagine di S. Gennaro dipinta in una cappelletta, ed in un'altra quella votiva de' SS. Apostoli Pietro e Paolo, sotto cui si legge Volum solbimus (sic) nos cuius nomina Deus scit.
Quando il Papa arrivò nel gran vano del secondo ordine, che è illuminato debolmente da un breve spiracolo, si fermò in un angolo oscuro, per contemplare il maraviglioso effetto, che la luce del giorno, in contrasto con quella rossastra, che mandavan le fiaccole, produceva in que' misteriosi andirivieni.
Fu avvenimento veramente singolare e solenne la venuta del Vicario di Gesù Cristo nelle nostre romite catacombe, dove il cristianesimo, in questa parte d'Italia, ebbe la sua culla, e dove fu alimentato il primo germe santissimo della fede cattolica tra noi. Nel mirare sotto queste sacre volte l'aspetto venerando del clementissimo Pio IX, tutto reggiante di carità e di ogni altra virtù benedetta, pareva riconoscere in LUI, uno di que' santi Pastori, che nei beati tempi apostolici, qui venivano a spandervi illume celeste del Vangelo. Gli astanti eran compresi di sacro terrore contemplando un'apparizione di tanta maestà !
Alle ore 11 e mezzo Sua Beatitudine uscì dalle catacombe, e deposto il mantello, traversò il picciol chiostro del conservatorio delle donne povere, le quali caritatevolmente benedisse, e sedé di nuovo in carrozza, passando per la lunga corte dell'ospizio. Ivi erano in due ordini schierati tutti i Piaguoni, che qui dicono poveri di S. Gennaro, coperti del lor mantello turchino: cotesti poveri vecchi piegarono le deboli ginocchia davanti al Sommo Gerarca, e ne ricevettero la benedizione, che tanto bramavano.
Il convoglio papale si diresse al prossimo real palagio di Capodimonte, e si fermò avanti la porta della cappella pubblica di questo sontuoso edifizio, dove il Santo Padre fu ricevuto da S. E. il Principe di Bisignano, Maggiordomo maggiore e Sopraintendente generale della real Casa e da S. E. R. monsig. Naselli ed Alliata, Cappellan maggiore. Dentro la cappella vennero incontro alla S. S. gli eminentissimi Cardinali Orioli, Vizzardelli, Gazzoli ed Antonelli, i quali non erano intervenuti nella chiesa di S. Gennaro de' poveri. Sua Beatitudine orò avanti l'altare, e poi entrò nella sagrestia per riposarsi alquanto.
Si avviò poscia verso la porta che mena ai giardini ed al bosco, dove si presentò alla S. S. il cav. Giacomo Staiti amministrator generale della real Casa, il quale ebbe l'onore di far osservare al Santo Padre le delizie di questo regio sito. Il Papa sedè in una carrozza aperta, ed in tante altre gli eminentissimi Cardinali e le molte persone del seguito. Il corteo percorse lentamente i giardini ed il bosco, per goderne le variate delizie, ed arrivò sino all'eremo di frati cappuccini, ch'è in fondo al bosco.
Quivi Sua Beatitudine discese di carrozza, e ricevuto inginocchioni dal guardiano e da' frati, si degnò entrare nell'eremo; e adorato in prima il SS. Sacramento nella piccola chiesa, e recitate alcune preci avanti al corpo di S. Clemente martire, che riposa sotto l'altare, passò nel coro, dove ammise al bacio del Piede questa osservantissima comunità religiosa. Visitò poscia una per una le celle de' padri, che sono tutte a pianterreno ed in numero di sedici, e si fermò alquanto in quella, che fu abitata dal p. Serafino d'Atena già guardiano dell'eremo, morto
non ha guari in concetto di santa vita. Benedetti da ultimo i religiosi, uscì dall'eremo, e avanti di salire in carrozza, permise che le famiglie de' varì individui, che hanno ufficio nel luogo, baciassero il sacro Piede. Quindi per altre vie del bosco più selvagge ed ombrose, il convoglio tornò al real palagio di questo sito.
A' piedi della scalinata fu il Santo Padre ricevuto ossequiosamente, in nome di S. M. il Re, da S. E. il Principe di Bisignano, Maggiordomo maggiore e dal cav. Antonio Fava,
controloro della real Casa. Sua Beatitudine, salita appena agli appartamenti del palagio, incominciò avisitare le singole parti di esso, accompagnata sempre dal Principe di Bisignano e dal Marchese di Pescara e Vasto. Erano col Santo Padre tutti gli eminentissimi Cardinali menzionati avanti, la nobile Sua Corte, il Direttore del Ministero dell'Interno, l'Intendente ed il Sindaco di Napoli, ed il cav. d'Aloe: questi ultimi venuti per ispeciale invito.
Fu quindi narrata alla S. S. la storia della fondazione di questo regio edifizio, che avvenne a' 9 di settembre 1738, per comando di Carlo III Borbone, ed è la terza delle reggie fondate presso Napoli da questo illustre Monarca; il disegno fu del siciliano architetto Giovanni Medrano, Ma l'opera, rimasa incompiuta sotto il regno di Carlo, si vide condotta a fine per volontà del Suo augusto nipote Ferdinando II, dopo l'anno 1833. Son dovute al gusto squisitissimo del Re l'interna disposizione del palagio, gli adornamenti sontuosi, e la scelta delle pregevoli opere di arte, di ch'è ricca questa deliziosissima reggia.
Il Papa ammirando in queste opere la mente vasta del Monarca, osservò con particolare attenzione i belli dipinti di Carlo Maratti, di Angelica Kauffmann, del Camuccini, del Benvenuti, del Landi , dell'Hayez; e quelli de' nostri artisti Guerra, De Vivo, Marsigli, Carta, Morani, Mancinelli, Oliva, Sessa, Bonolis, Smargiassi, Fergola, Carelli e di tanti altri: poi si fermò a curiosare, nell'ultima corte del lato orientale, le due scale di costruttura affatto nuova e sorprendente, le quali salgono concentricamente a spira esagona sino all'ultimo piano, ed in guisa che mentre le persone, le quali per esse, ascendono, sembrano di tratto in tratto ravvicinarsi ed essere insieme, pure si trovano sempre disgiunte e condotte ad appartamenti diversi.
Alle ore una e mezzo pomeridiane Sua Beatitudine passò nella gran sala, dov'era preparata la mensa, e si assise in uno de' lati più corti di essa. Al lato destro del Papa sedettero gli eminentissimi Cardinali Castracane, Mattei, Orioli, Ferretti, Asquini, Riario-Sforza arcivescovo, Vizzardelli, Riario-Sforza camerlengo, Gazzoli, Ugolini, Bofondi ed Antonelli; il Nunzio apostolico, il Maestro di Camera, il Cappellano maggiore, il cerimoniere pontificio monsignor de Ligne, i camerieri segreti Borromeo, Stella, Folicaldi, ed i cappellani segreti Cenni e Bertazzoli. Sedette al lato sinistro del Papa, per speciale favore di S. S., il Principe di Bisignano, e dopo di lui il Marchese di Pescara e Vasto, il Principe di Ardore, il cav. Murena, il cav. Cianciulli, il cav. Carafa di Noja, il barone Stockal per l'Esente delle Guardie del Corpo in servizio, il commendatore Olivieri, il maggiore cav. de Jongh e poche altre riguardevoli persone del palazzo. Nalle stanze contigue erano imbandite due tavole di stato, alle quali furono invitati, ad una il signor abate Melia, segretario della nunziatura, i segretari degli eminentissimi Cardinali indicati sopra ed io che scrivo: all'altra le reali Guardie del Corpo, che accompagnarono il Santo Padre, e gli uffiziali della guardia reale in servizi.
Dopo il pranzo il Santo Padre ammise al bacio del sacro Piede molte persone del luogo; indi discese nelle stanze inferiori, e si degnò visitare l'oratorio del custode di questa reggia, il signor Salvatore Campo, ed arrichirlo di spirituali indulgenze.
Alle ore 4 il Papa, con tutti gli eminentissimi Cardinali ed i personaggi del seguito, partì alla volta del Camposanto napoletano, traversando le strade di Miano, di Secondigliano e del Campo di Marte. All'ingresso fu Sua Beatitudine ricevuta in ginocchioni dallo stesso cav. Murena, Direttore del Ministero dell'interno, dall'Intendente, dal sindaco di Napoli e dall'ispettore del luogo. I quali ebbero l'onore di far osservare alla S. S. le singole parti di questo maraviglioso cimitero".

Salvatore Fioretto