Conosciamo tutti dalle biografie scritte sulla vita di S. Alfonso Maria de Liguori di quanto fu all'epoca controverso il rapporto col proprio genitore, dal momento in cui Alfonso svelò il suo futuro progetto di vita, che non era più quello sperato da don Giuseppe de Liguori, in virtù della sua primogenitura, ovvero di diventare rampollo ricco e famoso avvocato, principe del Foro di Napoli e poi di essere un prolifico continuatore della nobilissima stirpe della famiglia, ma di abbracciare la vita ecclesiastica. Gli iniziali turbamenti interiori, che già attanagliavano l'animo di Alfonso, fin all'inizio della sua carriera forense, lo portavano a essere poco incline al lusso e alla pompa, stare sempre lontano dall'esibizionismo degli eventi dell'aristocrazia, presero il sopravvento e si acuirono rapidamente quando si verificò, come ben sappiamo, il grave episodio al tribunale di Napoli, quando per dispotismo di potere, ebbe a perdere la causa al processo, nel quale difendeva la nobile famiglia napoletana degli Orsini contro la famiglia dei Medici, granduchi della Toscana. Con la lettura della sentenza, a lui sfavorevole, vide crollare tutte le sue convinzioni sulla giustizia degli uomini, e iniziò a rafforzarsi il distacco dalle ambizioni umane, ben comprendendo la fugacità delle cose terrene. Questo episodio comporterà la scelta definitiva da parte di Alfonso di abbandonare la carriera forense e quella di nobile (il biografo sottolinea in un passo che Alfonso, uscendo dal tribunale, avrebbe esclamato: "Mondo ti ho conosciuto! Addio Tribunali!") e di attendere alla vita consacrata, sacerdotale, dedicandola interamente a Dio e al bene degli ultimi...
Nei primi tempi pensò di entrare nell'ordine dei padri Filippini, ma occorreva l'assenso del genitore... E' facile immaginare come tale richiesta mandasse su tutte le furie il povero padre, don Giuseppe! Dopo il livore e la rabbia iniziale, per quella che considerava una cocente sconfitta personale, Don Giuseppe non rassegnato, provò ogni modo e ogni stratagemma per far desistere il proprio figliolo dal suo progetto... Chiese aiuto perfino al celebre cognato, il vescovo di Troia, don Emilio Cavalcanti per convincere il figlio, ma invano... Pare che il Vescovo, trovandosi a Napoli per alcune sue commissioni, gli abbia risposto, con un accento di ilarità: "Oh bella! io ho rinunciato al mondo ed alla primogenitura, per salvarmi; e volete, che mi perdo l'anima, e vada all'infermo io, e mio nipote?".
Don Giuseppe dovette rassegnarsi suo malgrado alla decisione intrapresa da Alfonso di consacrarsi alla vita religiosa (lo conosceva bene per la sua testardaggine, tanto da dire sovente: "Fonzo è capo tuosto!"). Ottenne in cambio il rispetto di alcune condizioni da lui dettate, che scaturivano solo dalla sua rabbia e dal suo orgoglio, ma che cercavano anche di salvare almeno la faccia davanti all'intera aristocrazia napoletana. Evitò in ogni modo che Alfonso risiedesse nel seminario insieme ai figli dei popolani. In pratica acconsentiva alla decisione del figlio di farsi prete, a patto che questo frequentasse il seminario da esterno, rimanendo a vivere rinchiuso nella casa paterna e quindi a non entrare in nessun ordine religioso.
Questa decisione fu per molto tempo rispettata da Alfonso (sei anni), sempre con un grande spirito di sacrificio, fino a un determinato giorno, quando un avvenimento da lui inatteso cambiò definitivamente l'atteggiamento ostile del genitore, concedendo ad Alfonso il lasciapassare per poter svolgere il tanto sperato e bramato ministero sacerdotale. Per descrivere questo evento, che cambiò radicalmente il corso della vita di Alfonso, riportiamo per intero il racconto tratto dall'opera biografica: "Il santo del secolo dei lumi. Alfonso de Liguori (1696 - 1787), di Theodule Rey-Mermet (pp. 235-236).
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"A metà giugno 1729, alla vigilia dei trentatré anni, scoccò anche per Alfonso l’ora di lasciare definitivamente la casa paterna. “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò” (Gen. 12, 1): era la voce interiore udita fin dal giorno della sua “conversione”, ma il capitano di galera l’aveva costretto a differire sine die il suo esodo. Comprendendo il dramma rappresentato per il padre dal suo accesso agli ordini sacri, Alfonso aveva subito per sei anni la “ prigionia ”di casa sua, dove viveva nel pieno viavai del mondo, delle visite, delle presentazioni e delle inevitabili chiacchiere, esposto per di più alle indiscrezioni dei familiari per la sua preghiera, i suoi digiuni, il suo vestito di povero, la sua biancheria macchiata di sangue, che lo rendevano imbarazzante e imbarazzato. Quanto sentiva la mancanza di una piena vita comunitaria, con i due valori, apparentemente in contraddizione, della solitudine e della partecipazione, che pure gustava con i suoi amici nel corso del ritiro mensile! Frattanto tra il padre e il figlio s’era instaurato un clima di pace; L’ora del pieno accordo suonò durante la missione che ogni anno si dava per la festa di tutti i Santi, qualche volta in cattedrale e abitualmente allo Spirito Santo. Quella sera di fine ottobre 1728 Don Giuseppe, ritornando dal palazzo reale per via Toledo, giunto all’altezza dello Spirito Santo, sentì dalle porte aperte la voce del predicatore.
Era la voce del figlio. Sceso da carrozza, si aprì un varco tra il popolo soggiogato che riempiva l’immenso edificio, ascoltò, si commosse fino alle lagrime al pensiero di aver fatto tanto soffrire quel figlio, che Dio chiaramente chiamava al Vangelo.
Per la prima volta un grazie gli sgorgò dal cuore e, preso da questi pensieri, riguadagnò Via dei Tribunali. Quando a sua volta Alfonso rientrò, gli andò incontro, stringendolo a sé tra i singhiozzi: - Figlio mio, Io vi ho obbligazione: voi questa sera mi avete fatto conoscere Iddio: Figlio, vi benedico, e mille volte vi benedico per aver eletto uno stato così santo, e così caro a Dio!
Alfonso ormai sentiva che, per quanto potesse costargli, il padre non si sarebbe più opposto alla sua partenza. Era venuta l’ora dei grandi cambiamenti: i nonni se ne erano andati, Gaetano sarebbe stato diacono in dicembre, Ercole, ricco erede, sognava matrimoni... Alfonso partì, all’improvviso sembra.
Come Abramo - ma forse ne aveva coscienza - “partì senza sapere dove andava” (Ebr. 11, 8). Non entrò tra gli Oratoriani del suo cuore e del suo primitivo progetto, ma al Collegio dei Cinesi, perché aveva un’idea ben precisa nella testa o almeno un’altra ricerca...".
Le opere future, che copiose sgorgheranno dalle mani e dalla mente di Alfonso, nella sua lunga vita durata 91 anni, saranno tutte encomiabili ed esemplari e furono sicuramente accresciute di valore per aver Egli fatto voto di non perdere mai del tempo nella propria vita, per le cose che non fossero dedicate per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Di Alfonso abbiamo elogiato tutte le sue attitudini e qualità, quali di essere: bravo e prolifico scrittore, celebrato musicista e compositore, pittore raffinato, profondo asceta, Vescovo esemplare, virtuoso fondatore di un ordine religioso missionario, bravo conoscitore di elementi di architettura, riconosciuto moralista e teologo, ma più di ogni altra cosa Egli fu un chiarissimo e sopraffino predicatore! Alle sue prediche partecipavano sempre moltitudini di persone, spesso composte da tante persone che erano state per tanti anni lontane dalla Chiesa e dalla fede. Il linguaggio utilizzato da Alfonso durante le sue prediche risultava essere semplice e diretto, in grado di attirare grandi masse popolari; spesso faceva uso di esempi spiccioli e in vernacolo napoletano. Aveva capito che per essere degli utili missionari non necessariamente bisognava recarsi in terre lontane, ma c'era una vistosa necessità di rievangelizzazione in casa propria... Con i suoi discorsi, riusciva a raggiungere tutte le anime e a far commuovere anche i cuori più duri...!
Memorabili furono le prediche fatte durante le funzioni religiose chiamate "Le Quarantore", le "Cappelle Serotine" e le "Sante Missioni popolari", a cui partecipava fin dal momento della nomina a Diacono, e poi continuate dopo l'ordinazione sacerdotale e la fondazione della Congregazione del SS. Redentore. Don Alfonso predicatore era ricercato e conteso da tutte le chiese e dai conventi, non solo cittadini di Napoli, ma di tutte la provincie della Campania, fino alle terre lontane delle Puglie!
Salvatore Fioretto
In occasione della ricorrenza liturgica di Sant'Alfonso, porgiamo i nostri auguri a tutti i lettori che portano il nome di Alfonso, estendendo gli auguri a tutti i cittadini di Marianella e degli altri centri Alfonsiani della Campania. Sant'Alfonso è anche compatrono di Napoli.
Auguri a tutti, buon Sant'Alfonso!
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