Il grano… simbolo di abbondanza!
Il paesaggio agricolo, che un tempo circondava Piscinola, ha conosciuto per
secoli il caratteristico colore giallo-oro del grano.
Questo frumento è stato,
infatti, coltivato in maniera intensiva fino agli anni ‘40-’50 del secolo
scorso, spesso nelle zone agricole sottostanti i vitigni e le piantagioni di
alberi da frutta.
La semina e la mietitura del grano erano effettuate esclusivamente a mano.
La prima utilizzando piccoli aratri manuali (ferrillo), mentre la
seconda con l’aiuto di piccole falci (sarrecchie).
Appena eseguita la semina del grano, i campi dovevano essere sorvegliati
costantemente per non farli depredare dagli uccelli. Per tal motivo, a bambini
e ragazzi veniva affidato il compito di allontanare gli uccelli dai luoghi
della semina. Essi si munivano di bastoni e di contenitori metallici (buatte),
con i quali si recavano nei campi producendo rumori fastidiosi per i volatili e
cantando ad alta voce questa cantilena:
Sciò sciò l’auciello,
‘a dint’ ’o ggrano d’ ‘e zzio Aniello,
Sciò sciò auciello…!
Sciò, sciò…!
Il grano, dopo la mietitura, era raccolto in piccoli fasci, legati tra loro
utilizzando alcuni steli della stessa pianta.
I fasci erano, quindi, disposti
in covoni, per proteggerli dall’umidità notturna o da eventuali piogge.
Successivamente grandi quantità di grano erano trasportati nel centro di
Piscinola, per essere trebbiato.
Nei pressi di via Napoli Piedimonte d’Alife (‘o canciello) si
disponeva di una grande trebbiatrice, che di volta in volta eseguiva la
trebbiatura del grano raccolto da ogni singolo contadino.
Questa operazione era
considerata una ritualità nel mondo contadino di allora, proprio come un
avvenimento di festa, tanto che ogni anno accorrevano per l’evento molti
ragazzi e bambini, ma anche donne, uomini e anziani. Tutti erano intenti ad
ammirare il concludersi di un ciclo della natura, ma anche ad osservare la
gioia che si leggeva sui volti dei contadini, per il buon raccolto portato a
termine.
Se la quantità di grano prodotta era invece modesta, la separazione dei
chicchi di grano dalle spighe era fatta, come già si è detto, a mano, nelle aie
delle masserie. Tuttavia la lavorazione del grano non finiva con la trebbiatura
e la pulizia. I semi di grano, infatti, erano riposti in sacchi di canapa,
adagiati sui pianali dei carri e portati al mulino, per essere trasformati in
farina.
I mulini si trovavano nelle zone di Secondigliano, di Mugnano e di Calvizzano.
Scavi di Pompei, macina del grano e forno |
Quando il pane era finalmente cotto, si procedeva a sfornarlo ed a pulirlo accuratamente dalla cenere, mediante teli di canapa. Dopo un breve raffreddamento, i pezzi di pane venivano posti in cesti di castagno (sporte) e trasportati in casa, spesso sostenuti abilmente sopra testa.
Le noci
La raccolta e la lavorazione delle noci rappresentavano un altro dei
momenti d’aggregazione più importanti della civiltà contadina delle nostre zone
e dimostrano quanto fosse forte il legame di solidarietà storico che si era
instaurato tra le famiglie piscinolesi.
Le foto aeree del territorio di Piscinola eseguite nel 1929, ma anche
quelle eseguite negli anni ‘40 e ‘50, mostrano un territorio pieno di alberi di
noci, distribuiti nella piana di Scampia: costeggianti le strade principali, le
stradine interpoderali, le cupe e la linea della ferrovia Napoli-Piedimonte.
L’albero di noci ha trovato dalle nostre parti un’ambientazione favorevole per
la sua coltivazione, sia per la buona posizione geografica e morfologica,
perché predilige un terreno asciutto, particolarmente ricco d’elementi minerali
favorevoli al suo sviluppo, sia perché il clima ventilato scongiura il manifestarsi
di pericolose malattie vegetali, a cui il tipo d’albero è sempre stato
soggetto.
La lavorazione delle noci ha trovato sempre un mercato favorevole e,
dopotutto, gli alberi erano anche un ottimo investimento a lungo termine,
perché il legno era ed è, tutt’oggi, considerato pregiato nell’industria dei
mobili e di altre applicazioni del settore, come parquet, strumenti musicali,
ecc.
Gli alberi non richiedevano di particolari cure.
Solo quando erano nella fase di crescita dovevano essere tutelati da una
specie di grosso verme, che scavava nel fusto enormi e dannose gallerie.
Raramente necessitavano di potature, se non quelle utili per guidare le
giovani piante e quelle occorrenti per la pulizia dai rami secchi. Non
occorrevano neanche trattamenti o concimazioni.
L’attività principale era la raccolta delle noci.
Essa aveva luogo a settembre, quasi sempre dopo la festività del “Nome di
Maria”, dipendeva comunque dal clima. Infatti l’evento decisivo per la raccolta
era la caduta delle prime pioggerelle settembrine, associate al clima ancora
caldo.
Questa condizione meteorologica favoriva l’apertura del mallo e il distacco
delle noci dai rami. La raccolta delle noci (scugnare ‘e noci), avveniva
mediante la bacchiatura, ossia con l’aiuto di grossi assi o pertiche di legno
di castagno (fruvoni), lunghi fino a 5 metri.
La raccolta delle noci (disegno) |
"Smallatura" delle noci, foto di gruppo in cortile di via V. Emanuele a Piscinola, anni '60 |
Il movimento di rotazione era conferito da un motore a scoppio carrellato e da una grossa cinghia di trasmissione in cuoio.
Le noci pulite erano estratte dalla macchina attraverso una porticina laterale ed erano successivamente riposte su un grosso tavolato, per essere selezionate. Dopo la selezione, le noci venivano messe ad essiccare, distribuite sui solai delle abitazioni (lastreco).
L’operazione di essiccatura durava circa una settimana.
Ogni sera, eccetto la prima, le noci dovevano essere raccolte in cumuli, mediante attrezzi di legno a forma di rastrelli. I cumuli andavano coperti con sacchi e tende, per proteggere le noci dalla brina notturna o dalle eventuali piogge. Il contatto con l’acqua o l’umidità notturna avrebbe, infatti, favorito l’insorgenza di muffe e l’apertura dei gusci.
La distribuzione delle noci sul solaio doveva essere molto accurata, perché lo strato di noci doveva risultare uniforme per avere un’essiccazione omogenea. Terminata l’essiccazione, le noci venivano raccolte in sacchi e riposte nei depositi fino al momento della loro vendita.
Il commercio delle noci poteva avvenire in due modi: “per conta” o “per peso”. Il metodo “per conta”, ossia per numero di noci contate, era adottato quando le noci erano venute “verdi”, ancora con il mallo; mentre quello “per peso” era utilizzato quando le noci erano vendute “secche”.
Per avere un numero di noci equivalenti a un chilo di noci secche si dovevano contare almeno “cento noci” verdi con mallo e si doveva poi aggiungere a queste una certa percentuale di noci, per sopperire alle parti difettose e agli scarti. Spesso per la vendita ci si affidava ai sensali della zona (‘o sanzaro).
Quando le quantità di noci raccolte erano modeste ed erano destinate al solo uso familiare, la pulizia ed il lavaggio delle noci erano eseguiti a mano (scurzare ‘e nnoce). Anche in questa circostanza un nutrito numero di parenti e amici si raccoglieva nei cortili e procedeva a “scurzare” le noci. L’evento, che si ripeteva annualmente, si trasformava spesso in una piccola sagra, con tanto di canti, schiamazzi, racconti, risate, degustazione di buon vino e dell’immancabile caffè. Alla fine dell’attività tutti i partecipanti si trovavano con le dita delle mani colorate di “nero pece”…!!
Rievocare oggi, quando siamo nel cosiddetto terzo millennio, questi aspetti storico-antropologici del nostro territorio, ci porta a percepire una delicata sensazione di bellezza e di purezza e, soprattutto, la vita di un popolo che scorreva legata alla coltivazione della terra, che si rinnovava col cadenzare delle stagioni e con i suoi raccolti genuini e abbondanti. Era quello un rinnovarsi della vita, perché il raccolto era visto come una garanzia per il sostentamento della famiglia, assicurato per un intero anno. Altri tempi diremo oggi; purtroppo il cosiddetto benessere, di cui ci fregiamo di godere, ci ha privato invece di poter apprezzare queste semplicità della vita e la bellezza della natura incontaminata e, con esse, di avere un più sentito senso di appartenenza al territorio.
Salvatore Fioretto
Ricordo come in sogno le acrobatiche manovre degli “scugnatori” sugli alberi che mi capitava di vedere da piccolo nel finire degli anni ottanta. Noi bambini in autunno andavamo a cercare le ultime noci cadute raccogliendole in una cassettina di legno che tiravamo con uno spago divertendoci un mondo. I noci rendevano fresche e meno polverose le strade, si sfuggiva alla calura e si riposava e mangiava alla loro ombra, nonostante la di ritenga insalubre(noci-va). Ricordo pure in particolare un noce enorme al confine del nostro frutteto che nostro padre per spaventarci chiamava “ il noce di Benevento”. Fu poi tagliato come tanti altri, le colture cambiano come le mode, forse un giorno si scriverà con nostalgia delle waschingtonia o di filari di cycas scomparsi...spero di no.
RispondiEliminaGrazie per il post
Grazie caro lettore Drengot, dal tuo scritto si percepisce la sensibilità e la bellezza dell'animo contadino, che rimagono incancellabili, a vita.
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