sabato 24 aprile 2021

Quel "Capo" popolare di Piscinola... 'o Capo 'a Chianca...!

Una delle zone più popolari di quello che fu il “Villaggio di Piscinola” è stata sicuramente quella che ancora oggi si usa indicare, con il toponimo tutto piscinolese, di “o Capo 'a Chianca”. La zona comprendeva, prima della "ricostruzione del dopo terremoto degli anni ’80", oltre alla strada principale, chiamata Via del Plebiscito a Piscinola, anche una serie di stradine laterali, un tempo densamente abitate; tra cui: vico I e vico II Plebiscito, via Dietro la Vigna, via Cupa Acquarola e alcune traverse interpoderali che un tempo permettevano il collegamento del quartiere di Piscinola alla Scampia agricola, come quella della proprietà della famiglia Del Forno e, poi, la strada di campagna di collegamento con i comuni di Mugnano e di Melito, detta Cupa Perillo.
L'origine del toponimo non è certa, anche se il riferimento è riconducibile quasi sicuramente al termine di "Chianca", che in antichità indicava la bottega del macellaio, ovvero "la panca": un bancone di legno sul quale si esponevano i tagli di carne alla clientela, parola che
poi il dialetto napoletano ha tramutato in "Chianca" (per l'abitudine di coniugare il suffisso "pia" in "chia"; es. piano diventa chiano). Forse l'origine puo' attribuirsi anche alla realizzazione di un macello comunale nella zona, come auspicato dalle autorità comunali di inzio secolo '900, ma non sappiamo se poi esso sia stato realmente realizzato.
Sulla strada del Capo ‘a Chianca, fino alla fine degli anni ’70, c’erano tanti negozi e negozietti: la lavanderia di “Pasqualino”, una sartoria, un fioraio (Sica), un emporio, una salumeria (condotta dalla famiglia Biancardi), una macelleria e ben due negozi di barbiere (uno sulla strada e uno all'interno del palazzo Staviano). Poi c'era il negozio di fruttivendolo, "casa e puteca", di donna "Sisina 'a parulana", che è rimasto fino a pochi anni fa, di fronte al locale dell'Associazione del SS. Crocifisso e di San Vincenzo. Molto frequentata era la cantina, un tempo condotta dalla famiglia Di Guida (in particolare il fondatore, che fu Peppe, soprannominato 'o Canteniere). Questa cantina offriva vini locali e una cucina casareccia di degno rispetto. Aveva uno spazio all’aperto, interno, situato nella parte retrostante al palazzo. Durante i festeggiamenti patronali di Piscinola, sul marciapiede della strada, nel tratto prospiciente a questa trattoria, si allestivano tavolini e sedie, per consentire la degustazione di superbe “zuppe di cozze” e “zuppe di marruzze”, preparate dal "maestro cozzecaro", detto Peppe 'o Russo…! Costui era, diciamo, in rivalità con l'altro allestimento che si preparava davanti al largo della farmacia "Chiarolanza", condotto dal "maestro cozzecaro", soprannominato "Buccetiello".
Nel vico I Plebiscito c'era il palazzo detto “della Calavresella, un altro palazzo, quindi uno slargo e, poi, seguivano il palazzo della famiglia “dei Manduline”, il palazzo di “Teresa ‘a Cacaglia” e il palazzo della famiglia “Spicularaglio”, infine l'unico palazzo senza arco, proprio di fronte a quello della Calavresella. Questi nomi atipici dei palazzi erano tutti riferiti alle famiglie originarie di Piscinola che vi abitavano. Di quest’ultimo palazzo, della "Calavresella", si può desumere che l’attribuzione derivi da qualche famiglia o donna, che l’abbia abitato o avuto in proprietà, e che era originaria della Calabria. Sull'inizio di via Dietro la Vigna, c'era il complesso di due palazzi della famiglia Lanzuise, che restano ancor oggi in gran parte conservati, uno dei quali mostrando sulla sua facciata, da chi viene dalla Piazza Tafuri, una minuscola ma notabile cappellina, con una bella statuetta del SS. Salvatore.
Nella strada c'erano due bassi, dove abitavano due vecchiette, che vendevano caramelle per sbarcare il lunario, e si facevano  concorrenza spietata tra loro... Una stava in un minuscolo locale accanto alla lavanderia di Pasqualino, e si chiamava "Michela 'a caprarella", mentre l'altra vecchietta, che i ragazzi dell'epoca chiamavamo "Luciella d''e caramelle", era proprio di fronte alla cantina dei Di Guida.
In un cortile del vico I Plebiscito, in fondo a sinistra, dove c’era un cortile aperto, con caseggiato attorno, vi abitava la famiglia di  "Vicienzo ‘o Popolo”, di professione ciabattino ambulante. Di questo personaggio abbiamo già dedicato in passato un post in questo blog. In quel cortile, purtroppo, all’inizio del 1944, morirono, come ci è stato riferito da più parti, per lo scoppio di un ordigno bellico, oltre dieci di bambini, tra cui proprio il figlio del “’o Popolo”, di nome Costantino, l'unico suo figlio maschio, mentre ebbe ben nove figlie.
Nel vico I Plebiscito abitava anche don Cosimo, detto 'o tarallaro, e dove aveva la sua bottega. La "voce" di richiamo, che declamava per reclamizzare i suoi prodotti, era: "Cambiare dollaro, moneta italiana...". La moglie donna Cuncettina è ricordata per la sua generosità verso i fanciulli, perchè era solita donare dei tarallucci dolci ai ragazzi del caseggiato.
Il palazzo del “Padreterno”, ancora esistente, anche se ristrutturato, stava sul largo dove oggi c’è un albero centrale; il caro Pasqualino d’’a Lavanderia, ci tiene a precisare, ogni volta che capita di incontrarlo, che in quel cortile, molto popolare di Piscinola, prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale (1940), abitavano ben “101 bambini" e ognuno aveva un proprio nomignolo…!
Nella strada di via del Plebiscito esisteva anche la sede dell’Associazione Cattolica e Operaia del SS. Crocifisso e di San Vincenzo, che ogni anno organizzava la festa rionale, dedicata al Crocefisso. L’Associazione possedeva anche una bella statua di San Vincenzo, che negli ultimi anni fu deposta in una nicchia della cappella di Santa Maria della Pietà, del palazzo Fioretto e della quale poi se ne sono perse ogni traccia. C’è da dire che forse la devozione per San Vincenzo a Piscinola non è del tutto casuale, perché secondo alcune fonti, tra le associazioni di lavoratori che avevano eletto come loro protettore il “Monacone” della Sanità, ovvero San Vincenzo Ferrer (italianizzato Vincenzo Ferreri), c’erano proprio i “montesi”, ovvero i cavatori di pietre di tufo dalle cave presenti a Chiaiano e a Capodimonte (da noi chiamati “monti”); ovviamente il genere d’attività era molto florido e sviluppato negli anni ’50, periodo della ricostruzione postbellica e offriva molte occasioni d'impiego ai giovani del circondario, e tanti erano anche i “montesi”, devoti, che abitavano a Piscinola in quel periodo.
I componenti di questa Associazione organizzava, nella propria "contrada", i festeggiamenti patronali annuali in onore del SS. Crocefisso, che capitava nel mese di maggio. Per la festa si allestivano luminarie a partire dall'incrocio con via Cupa Acquarola, fino al termine della strada di Via del Plebiscito a Piscinola.
Nella parte antistante la piazza B. Tafuri, si realizzava una imponente "porta" di luminarie, tra la scuola T. Tasso e i palazzi di fronte, avente altezza fino ai tetti degli edifici. Per la festa si eseguiva la “Funzione del Crocifisso”. Si iniziava dal lato terminale della strada, (lato verso cupa Perillo), recitando la Passione di Gesù e seguendo il racconto del Vangelo, poi, lungo la strada si snodava la Via Crucis, con Gesù che portava la croce, fino all’inizio del muro della scuola Tasso, sul quale si rappresentava la scena della Crocifissione. Il personaggio di Gesù era interpretato sovente dal fioraio Mario Sica, il quale all'epoca aveva capelli lunghi e la barba rossa e, quindi, molto somigliante all’iconografia di Gesù.
Durante la scena della crocifissione, come dai Vangeli, un centurione porgeva a Gesù morente una spugna intrisa di aceto, all’estremità di una canna e diceva la frase (aggiunta nel copione): “Bevi, bevi carognone…!” Curioso il fatto che, proprio per questa frase, questo attore improvvisato, che si chiamava Pasquale, fu da allora soprannominato da tutti, come “Pasquale ‘o Carugnone…”!
Di questa genuina festa del Crocifisso abbiamo raccolto un aneddoto singolare e simpatico, veramente accaduto intorno agli anni ’50 del secolo scorso. Durante una di queste funzioni del Crocifisso (Chiamata: 'a funzione d''a Passione e Morte), il fioraio Mario Sica, che recitava stabilmente, come detto sopra, la parte di Gesù, forse quella volta non fu legato bene al simulacro di legno e iniziò a lamentare dei dolori alle braccia. Il "centurione", che secondo la parte, doveva simultare con la lancia la foratura del costato di Gesù, tardava a recitare e a completare il "quadro" e lui, Sica, attanagliato dal dolore, cercava in tutti i modi di far capire all'altro attore di accelerare la conclusione della scena, facendogli gesti e parole sussurrate, senza farsi accorgere dal pubblico, che intanto seguiva con animo sospeso lo svolgersi della scena… L'attore effettivamente non ne poteva più di stare in quella posizione…!! Ad un certo punto, avendo perso la pazienza e un po’ indispettito, iniziò a imprecare alcuni epiteti contro il "centurione", parole ovviamente non contenute nel copione e poco consoni al ruolo sacro che stava rappresentando in quel momento...! Malauguratamente tutti gli interventi degli attori erano diffusi nella zona, tramite un impianto di amplificazione allestito per la festa e tutti ascoltarono le frasi insolite, “recitate” fuori dal copione…! Il pubblico rimase inizialmente sbigottito e impietrito, mentre i due conclusero l’incidente, con una sonora e plateale risata…! E alla fine, quando capirono, risero divertiti un po' tutti... Quell’episodio è rimasto, a distanza di tanti anni, nell'inventario collettivo di Piscinola, come un simpatico aneddoto degli anni spensierati del dopoguerra e tutt’oggi è ricordato nostalgicamente, soprattutto dagli anziani del quartiere.
Il fioraio Mario Sica, oltre ad essere stato un valente professionista nell'arte floreale, è stato uno dei più celebri e ricordati organizzatori e anche presidente del “Comitato dei festeggiamenti del SS. Salvatore”, e ogni anno soleva anche allestire, a sua cura e spese, l’addobbo floreale per il “carro” sul quale si sistemava l’immagine del SS. Salvatore, durante la processione esterna.
L’Associazione del SS. Crocefisso e S. Vincenzo si componeva di molti adepti, e erano distinguibili durante le annuali processioni  del SS. Salvatore o del Corpus Domini, per l’ordine e l’eleganza con i quali partecipavano alla "sfilata", sia per l'uniformità dei vestiti, tutti rigorosamente in smoking nero, farfallina nera su camicia bianca, guanti bianchi e laccio con Crocefisso portato a collo, e sia per un insolito distintivo con lampadina luminosa, di colore rosso, portato da ciascuno fieramente al taschino della giacca (come si può osservare nella foto qui a lato).
Un personaggio di Piscinola che recitava il ruolo di comico e d’intrattenitore, anche durante questi festeggiamenti, era il comico piscinolese che si faceva chiamare “Sabbatino”. Non sappiamo se il suo era un nome d’arte oppure quello di anagrafe.
Ritornando alla via del Plebiscito, a metà strada si erge quello che viene indicato il “palazzo d’’a Scola”, ovvero il vecchio edificio scolastico comunale. Di questo edificio che conserva ancora le forme di un edificio pubblico, come
l'ampio portale, con le colonnine sull'ingresso,  il terrazzo con balaustra e la suddivisione ordinata delle finestre e dei balconi, sappiamo che ospitò per diversi anni la scuola elementare per le bambine, da quando il Comune di Piscinola decise di realizzare anche un luogo riservato alla loro educazione, mentre, fino a metà dell’800, a Piscinola c’erano solo i locali didattici riservati ai bambini, situati all’interno del Palazzo di Villa Vittoria (detto Grammatico). Dal 1930, con la costruzione dell’imponente edificio scolastico Torquato Tasso, l'insegnamento è stato aperto a tutti, anche se in classi separate e divisi (maschi e femmine) tra le due "scale", mentre i due mentovati edifici hanno perso le loro antiche funzioni e sono diventati abitazioni private.
Proseguendo, lungo la strada, troviamo anche l’antico e nobile “Palazzo Fioretto”, chiamato anche "Palazzo d''a Marescialla". Il complesso di edificio storico è appartenuto nei secoli ad alcune famiglie della nobiltà napoletana: dapprima alla famiglia De Luna d’Aragona e poi ai Duchi Giordano di Falangola, ai quali abbiamo già dedicato in passato appositi post.
Altro edificio degno di nota, ancora ben conservato, soprattutto dopo il restauro eseguito a metà degli anni '80 del secolo scorso, è il palazzo chiamato "Staviano". Questo edificio, posto verso piazza B. Tafuri, presenta una conformazione tipica diffusa nei casali di un tempo, chiamata "a Corte", con due corpi di fabbrica adiacenti, disposti a forma di "L", composti da una successione di locali al piano terra, con avamposti di archi e volte e, una serie di locali al secondo piano, comunicanti tra loro con pergolato, coperto con travi in legno e tegole. Al secondo piano si accede attraverso rampe di scale esterne.
Già in un altro post abbiamo ricordato la singolare iniziativa imprenditoriale condotta negli anni '50 dalla famiglia Ronga (Totonno (Antonio) detto 'o cassusaro), che riuscì ad allestire in un minuscolo locale, prospiciente alla via Cupa Acquarola, una mini impresa per la produzione artigianale di gassosa.
Discorso a parte merita la trattazione storica di via cupa Acquarola, per la sua valenza geomorfologica. Di essa tratteremo un dedicato post nel prossimo futuro, insieme alle altre emergenze idrogeologiche storiche del territorio.

Salvatore Fioretto

Per la realizzazione di questo post si ringrazia in particolare Pasquale di Fenzo. Ringraziamo ancora: Natale Mele e Pasquale di Vaio

4 commenti:

  1. Grazie per questi ricordi. Mio padre nacque a Piscinola nel 1931, si chiamava Caso Baldassarre suo padre Gaetano Caso era un famoso communista sua madre era Maria Avolio, mia madré e nata a Marianella nel 1933 di padre Giovanni Palladino e madre Michela du Vaio

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  2. L'esercizio del sig Pasqualino non era solo una lavanderia, ma anche, se non forse soprattutto, una merceria. Nel negozio si poteva trovare profumo (per donna principalmente),lingeria donna, materiale per cucire. Franco Vitale

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  3. Ho scoperto questo blog per puro caso ed è veramente importante tutto quello che fate! E' fondamentale mantenere una memoria storica affinchè tutto ciò non vada perduto nel corso del tempo. Da bambino abitavo al Palazzo Fioretto, poi a 9 anni, alla fine degli anni 90 sono andato via, ma i miei ricordi sono indelebili soprattutto ricordo la signora Ubaldina (non so il cognome) che era sempre gentile con tutti. Se non sbaglio era la sorella del maresciallo che era il proprietario della casa in cui abitavo. Avete qualche informazione in merito? Grazie per il bellissimo lavoro che fate.

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  4. Grazie caro lettore per l'apprezzamento e le belle parole di incoraggiamento. La memoria di una comunità è importante per non far spegnere l'attaccamento alle radici comunitarie ed è indispensabile per trasmettere alle giovani generazioni e quelle future i valori necessari per la propria cultura. In merito alla richiesta non sono in grado di risponderti. Buona serata e grazie.

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