Chissà quante volte ci è capitato di indicare, a qualche automobilista che lo chiedeva, la strada che conduce alla zona ospedaliera, oppure a qualche viaggiatore che era in cerca dell'itinerario per raggiungere l'Aeroporto di Capodichino, e non abbiamo esitato a dire, a costoro, di imboccare l'ampia strada rettilinea, che è intitolata a Vincenzo Janfolla; eppure, nonostante tanta nostra determinazione, non conosciamo affatto questo personaggio e soprattutto cosa avesse "a che spartire" con la città di Napoli, tanto da avergli intitolato una lunga e importante strada della sua periferia...
Figlio di sarto, Vincenzo Janfolla nacque a Potenza, nell’anno 1873. Era ancora giovinetto quando la sua famiglia decise di trasferirsi a Napoli. Nella capitale del Sud, Vincenzo frequentò, con profitto negli studi, il liceo Antonio Genovesi. Suo compagno di scuola fu quello che poi diventerà il celebre avvocato Enrico De Nicola, primo presidente della Repubblica Italiana.
Suo insegnante di Diritto Privato fu il celebre avvocato prof. Emanuele Gianturco. Nel 1895 conseguì il titolo accademico di dottore in gurisprudenza. Venne subito accolto presso lo studio legale civilista del prof. avv. Gaetano Cannada Bartoli (anch'egli suo docente all'università), che fu uno degli studi legali più prestigiosi della città di Napoli. Dall’anno 1901 cambiò studio, e iniziò a lavorare presso lo studio legale dell’avvocato Pasquale Grippo, lucano di nascita, e anch’egli suo professore all’Università, in Diritto Costituzionale.
Mosso dalla velleità di far carriera in ambito della magistratura, il 26 luglio del 1906, Janfolla partecipò e vinse il concorso di magistrato, risultando tra i primi in graduatoria. Gli venne affidato l’incarico di Pretore Aggiunto nell'ambito di una delle sezioni del Tribunale di Napoli. Ma dopo un solo anno di lavoro rinunciò clamorosamente al prestigioso incarico, perché egli consapevolmente capì che tale tipo di attività non corrispondeva alle sue aspirazioni professionali. Così, dopo la rinuncia al posto di Pretore, riprese a svolgere la professione di avvocato, aprendo uno studio legale, tutto suo a Napoli. Passarono pochi anni e la sua fama di avvocato si diffuse rapidamente in città, Janfolla fu considerato, dai tanti, uno dei migliori legali a cui affidarsi per far difendere le proprie cause. Nel triennio 1913-1915 fu eletto dagli avvocati napoletani, procuratore presso la Corte di Appello di Napoli.
Il celebre avvocato penalista Alfredo De Marsico così ricordava l'insigne collega Janfolla: “Aveva una parola semplice, fluida, incisiva, lievemente musicale, sintetica, espressione genuina e immediata di un pensiero limpidissimo, di conclusioni mentali già prese. Meridionale, non amava il gesto, rifuggiva dalla teatralità, ciò che conferiva alla sua oratoria un tono di grande aristocrazia".
Vincenzo Janfolla fu anche stimato insegnate di Diritto presso l'Università di Napoli, oltre da essere un poliedrico intellettuale, viene tutt'oggi ricordato come uno dei più celebri avvocati penalisti del Mezzogiorno, infatti, negli anni sessanta del secolo scorso, gli furono dedicati un busto nel salone di Castel Capuano di Napoli (maggio 1966) ed una strada, quella che tutti conosciamo, che collega il quartiere di Miano con la località del Frullone (quartiere di Piscinola).
Dalla rivista storica "La Basilicata nel mondo" (1924-1927), di Luigi Lordi: Vincenzo Ianfolla è veramente un privilegiato della
fortuna, poiché è uno dei pochi uomini, pei quali la vita non ha che sorrisi.
Ingegno squisitamente dialettico, pronto, chiaro, facile, penetrante,
semplificatore, egli è nato avvocato. Egli non ha mai avuto alcuna difficoltà
ad emergere e trionfare in Napoli, che pure è la città classica degli avvocati; la
sua mente singolarmente fervida ed operosa regge all’immenso sforzo di
convogliare, per la loro strada, l’enorme numero di questioni ch’egli deve ora
per ora vivisezionare. E tanto a quell’alacre spirito è naturale è facile la
disciplina del lavoro, che, in ogni momento, coll’immancabile sorriso sulle
labbra, egli può stornare l’attenzione dallo studio per ritornarvi
d’improvviso, ad un cenno. Egli può nella stessa giornata , dividendo
sapientemente le ore, discutere le cause più diverse; né mai dà prova di
stanchezza né alla sera è meno pronto e vivace e attento che al mattino. Non è che apparente tutta questa singolare facilità di
lavoro. Essa è la risultante di un enorme sforzo di volontà di quelle eroiche
giovinezze, che sono la gloria della povertà. Il giovane ricco di volontà e di
talento che, in una grande metropoli, vede intorno a sé chiusa ogni porta della
vita, è come una grande forza della natura che non può restare inutilizzata.
Fra le sue miserie morali e materiali, nella profonda tristezza delle sue
montagne, o calve, o alla cui cima sono appollaiati paesi che dovevano essere
inaccessibili ai briganti, nella profonda tristezza delle sue pianure desolate
dalla malaria, la nostra Basilicata che non ha industrie, non commerci, non
vere ricchezze naturali, è ricca solo di uomini tenaci, ossessionati da una
forte volontà di pervenire. E poiché l’ambiente dei nostri paesi ad un borghese
non offre altra possibilità di emergere che il lavoro intellettuale, gli uomini
come Vincenzo Ianfolla, nati da modeste origini, non possono che rinchiudersi
in sé stessi ed agguerrirsi collo studio, per riuscire, o per abbattersi nella
desolazione della sconfitta.
La giovinezza di Vincenzo Ianfolla ha singolari coincidenze
colla rapida gloria di quel vero genio che fu Emanuele Gianturco. Il grande
giurista aviglianese morì a 50 anni, dopo aver lasciato negli studi giuridici
un orma indelebile, e dopo essere stato uno fra i più illustri parlamentari e
fra i più illustri avvocati della sua generazione. Se Vincenzo Ianfolla è stato
quasi esclusivamente assorbito da una sola attività, quella professionale, il
successo è stato dei più rapidi e interessanti: più interessante, anzi, di ogni
altro, perché è stato unicamente successo professionale.
Da circa un decennio la fama di Vincenzo Ianfolla, illustre cassazionista, si è affermata incrollabile. È una reputazione fondata esclusivamente sull’intrinseco valore dell’uomo, sull’altezza dell’ingegno, sulla fermezza del carattere. È una di quelle reputazioni cui ogni circostanza estrinseca è del tutto indifferente. Ianfolla è oggi il Cardarelli della giurisprudenza. Come l’ammalato grave va dal grande clinico, così va da Ianfolla chi cerca, non l’avvocato politico, ma l’avvocato giurista, il sacerdote della giustizia, il principe della eloquenza.
Basta la più breve conversazione con questo affascinante
giurista, per capirne l’alto valore e per spiegarsi una fortuna professionale,
che non forse ha l’eguale. E sentirne una discussione è un vero godimento anche
per un profano. Non arzigogoli, non sottigliezze, non sfoggi di dottrina, non
cavilli; ma dirittura di ragionamento, semplicità, precisione, brevità
sono le armi di cui questo eccellente stratega della discussione si serve.
Egli
elimina ogni inutile divagazione, rinunzia a tutto ciò che non è essenziale,
semplifica, chiarifica, riduce alla più scheletrica espressione ogni più arduo
groviglio giudiziario, e con poche battute arriva alla conclusione.
E se l’avversario in un minuto di disattenzione non scopre un vizio del ragionamento, una conseguenza non rigorosamente dedotta dalle premesse, rischia di restar travolto dall’abile perorazione di una tesi che forse non doveva trionfare.
Vincenzo Ianfolla non ha nemici. Come tutti i vincitori, è un generoso, è un amico sincero e buono, forse anche un ingenuo. Egli è largo a tutti di consiglio e di aiuto. Nella sua fiorente famiglia questo glorioso atleta dei pubblici dibattimenti trova il solo ristoro all’improba fatica quotidiana.
Non poteva non attrarlo la politica, questa grande maga, che ha sempre attratto a sé gl’intelletti migliori. Spirito insofferente di ogni sopruso, legato da sincera amicizia a Francesco Nitti, non poteva Vincenzo Ianfolla abbandonare nell’ora della persecuzione il grande statista. Ma, pur non essendosi ripresentato nelle ultime elezioni, Vincenzo Ianfolla fa ora parte della Commissione per la riforma dei codici e lascerà l’impronta della sua grande esperienza e di profondo sapere nell’imminente codificazione. Fu componente del Consiglio di disciplina, fu consigliere del Comune di Napoli, fu consigliere Provinciale di Basilicata, ed ovunque lasciò vive simpatie. Perché — oltre che imporsi subito coi suo talento magnifico — Vincenzo Ianfolla, ha anche il segreto, di conquidere tutti — moltitudini di popolo e oligarchie di assemblee — con quella sua signorile simpatia, alla quale neppure gli avversari sanno resistere.
Da qualche anno in qua, non vi è grande causa che non abbia il suo patrocinio: e particolarmente appassionata è la sua difesa, molto spesso disinteressata, di pubbliche amministrazioni.
Ancor giovane egli ha innanzi a sé tutto un luminoso
avvenire: molta luce d’ingegno dovrà ancora gettare sul suo cammino: e la sua
vita, la sua rettitudine devono essere a tutti un esempio di probità, di lavoro
e di fede nella giustizia.
Questo giurista profondo e tenace, che sembra chiuso fra le
pandette e le regole del dritto, è un artista innamorato di ogni più alta
manifestazione del bello. Una statuetta di Gemito, una poesia nel dialetto
della nostra Basilicata lo commuovono come se non vivesse che di arte. E quella
stessa sua fanciullesca, intima comunicativa, quel suo perenne sorriso di
bontà, che non conosce livori, non conosce odi, sono l’espressione di un’anima
di artista. Non può non essere un artista chi ama la campagna come Vincenzo
Ianfolla. Viva pur dieci mesi dell’anno tra i supremi magistrati, tra i
principi dell’eloquenza, fra i clienti più cospicui per censo e per posizione
sociale, egli deve starsene gli altri due mesi in una villa vicina alla sua
Potenza, tra il sorriso e il verde della campagna, fra le tenere cure della
famiglia, fra i conterranei che l’aspettano.
Fra i potentini egli riparla spesso il dialetto di Potenza: rivive la piccola vita provinciale, e come ritempra il corpo nel verde della campagna, la mente affaticata ritempra nel nostalgico rivivere la quotidiana semplice vita degli uomini oscuri.
Questo squisito sentimento della natura, quest’intimo senso di austera e disdegnosa semplicità, questo costante ritorno alle origini, sono indici sicuri dell’animo schietto e leale di Vincenzo Ianfolla.
È questa sua squisita sensibilità il miglior alleato d’una quadratura mentale poderosamente logica e geometrica.
Il ragionatore riesce specialmente gradito ed accetto perché una forma mirabile di arte riveste le più complicate disquisizioni giuridiche. Felice connubio, veramente e squisitamente italiano, di virtù d’ingegno e di animo, mirabile fusione di padronanza del vero e di sentimento del bello, connubio e fusione che sono un dono rarissimo degli esseri veramente privilegiati.
Salvatore Fioretto
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