| Testa di cavallo in bronzo, conservato nel museo archeologico di Napoli
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Il rapporto tra l'uomo ed il cavallo si perde nella notte dei tempi....!
Sicuramente nell'antichità il cavallo fu elemento importante e determinante
per lo sviluppo della civiltà dei popoli, come avvenne per tante comunità antiche: i
Fenici, i Sumeri, gli Egiziani, i Greci. E per quanto ci riguarda, in
occidente: gli Opici, i
Volsci, gli Osci, i Sanniti, ecc.,... fino a giungere ai coloni greci, che raggiunsero
nel VIII-VII secolo a.C. le coste dell'Italia meridionale, portando al seguito le loro razze equine. Questo popolo ellenico eseguì una paziente e costante
selezione di razze, giungendo a tipologie di cavalli molto docili e
facilmente addomesticabili per tutti i loro utilizzi, sia in guerra che in pace,
nelle città e nei campi, per i mezzi di trasporto e per le
attività lavorative. Gli Etruschi e i Romani continuarono questa tradizione,
migliorando la selezione di razze equine, soprattutto quelle utili al servizio delle loro
armate, durante le varie guerre ed espansioni nel mondo allora conosciuto.
Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e con l'invasione dei popoli
nordici, ci fu una commistione tra le razze equine: conseguenza fu che i cavalli ebbero connotati
dell'uno e dell'altro "ceppo"... I vari invasori (mongoli, germanici, vandali, goti, saraceni, ecc.), "sovrapponendo"
i loro cavalli a quelli romani, non fecero altro che protrarre nel tempo,
inconsapevolmente e disordinatamente, quanto i Latini
e loro discendenti avevano consciamente e razionalmente saputo selezionare.
Durante la conquista bizantina in Italia e con l'istaurazione di amministrazioni locali dipendenti dall'impero di Bisanzio, come il Ducato a Napoli, l'incrocio con le razze di cavalli provenienti dall'Oriente,
apportarono nuove caratteristiche genetiche ai cavalli nostrani. Dopo l’anno
1000, le armate cristiane reduci dalle Crociate in Palestina, furono artefici di
altre commistioni di razze, soprattutto a seguito dei contatti avvenuti con i vari popoli, durante le attraversate verso la Terra Santa. Nell'Alto Medioevo, con l'avvento nell'italia meridionale della dominazione Sveva (XII-XIII secolo), fu preferito selezionare una razza
di cavallo agile e veloce, adatta al tipo di caccia, molto in auge all'epoca,
chiamata "Falconeria". Di questa pratica di caccia, un esempio luminoso fu il
grande sovrano Federico II di Svevia, detto Stupor Mundi. Successivamente (XIV-XVsecolo), con la venuta degli Angioini
prima e degli Aragonesi dopo, si riuscì a selezionare nuova
razze di cavalli, sempre più corrispondenti alle esigenze dei tempi, che
andavano mutando con diversi stili di vita, verso l'Era Moderna. Fu, poi, con l'occupazione spagnola, nel XVI secolo, e l'istaurazione del Vicereame di
Napoli, che si provvide a incrociare le varie razze prevalenti, anche con quelle provenienti dal modo arabo, giungendo a selezionare un'eccellente razza di cavallo, che divenne subito un esempio di
perfezione equina, tanto che fu richiesta ed esportata in tutta Europa, e anche
oltre, per realizzare altri incroci locali. La nuova magnifica razza fu chiamata del
"Corsiero Napolitano". Tanto fu importante per gli spagnoli e l'aristocrazia locale l'importanza del cavallo, che a Napoli intorno al 1534, nacque per opera di Giovan Battista Ferraro e Federico Grisone, la
prima Accademia equestre d’Europa, mentre nelle scuderie imperiali spagnole
andavano aumentando il numero ed il prestigio dei Corsieri Napolitani. Lo
stesso imperatore Carlo V d’Asburgo, "… hauendo ottima conoscenza, e
prattica di tutte le specie di caualli, e di tutte l’arti Caualleresche,
sempre elesse per seruigio di persona i caualli Napolitani, come idonei ad
ogni essercitio, e fattione." (Pasquale Caracciolo, La gloria del
cavallo, Venezia, 1589). L'appellativo di Corsiero (o corsiere)
fu dato alla nuova razza per esaltarne le proprie attitudini naturali, che
erano corrispondenti a un tipo di cavallo adatto al combattimento, data la proprio
andatura che risultava essere più veloce (il corso, cioè il galoppo) delle altre razze di cavallo e lo differenziava
dal "portante", ossia dal cavallo usato prevalentemente per
lunghi e comodi trasferimenti in sella. Il termine napolitano,
poi, ne caratterizzava prettamente la sua origine geografica, che però non si limitata
esclusivamente alla città di Napoli e dintorni, ma si intendeva estesa
all'intero Regno di Napoli. Il periodo nel quale la razza del Corsiero Napolitano assurse il
suo massimo splendore, anche in tutta Europa, fu quello compreso tra il XVI ed
il XVIII secolo. Non vi fu monarca o principe che non ambisse ad
ospitare, nelle proprie scuderie, corsieri napolitani. Durante
tutto il XVIII secolo e nel primo quarto del successivo, anche la monarchia
asburgica ottenne numerosi cavalli Corsieri Napolitani. Celebri sono i dipinti del pittore inglese George Hamilton, che nell'anno
1725 immortalò sulle tele di alcune sue opere di scene e paesaggi, i cavalli napolitani. Prendendo ancora spunto dal celebre trattato equestre "La gloria
del cavallo (1589), ecco la descrizione di altri pregi di questo celebre cavallo: "Ma se di tutti i cavalli
rarissimi sono quelli, che di tutte le conditioni necessarie adornati, e à
tutti gli essercitij siano idonei; di tal lode i Napolitani soli veramente al
più generale si trovan degni; perché al caminare, al passeggiare, al
trottare, al galoppare, all’armeggiare, al volteggiare, e al cacciare hanno
eccellenza, e sono di buona taglia, di molta bellezza, di gran lena, di molta
forza, di mirabile leggierezza, di pronto ingegno, e di alto animo; fermi di
testa, e piaceuoli di bocca, con ubbidienza incredibile della briglia; e
finalmente così docili, e così destri, che maneggiati da un buon Cavaliere,
si muovuono à misura, e quasi ballano…" . Nella Relazione delle persone, governo e Stati di Carlo V e di Filippo
II, letta nel Senato della Repubblica di Venezia, nel 1557,
dall’ambasciatore Federico Badoero, i cavalli napolitani furono definiti non
vaghi come li giannetti, ma più belli che li frisoni, forti e coraggiosi… La cavalleria del Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone godeva, nella
seconda metà del XVIII secolo, buona fama per numero e qualità di razza. La casa borbonica dedicò molte attenzioni all'allevamento dei cavalli e del Corsiero in particolare. Tanti erano i siti nel Regno di Napoli dove esistevano delle importanti strutture e scuderie dedite all'allevamento e alla sua selezione, almeno fin dal 1750: a Carditello (in Terra di Lavoro - CE), a Persano (in Principato Citra - SA), a Ficuzza, in
Sicilia (dal 1799) ed a Tressanti, (in Capitanata - LE, almeno fin dal 1815). è noto che i cavalli del Real sito di
Persano transumavano a primavera sui vicini monti Alburni, dove potevano godere,
sino all’inizio dell’autunno, di un clima più fresco e più salubre e di
pascoli d’alta quota abbondanti di essenze preziose per l’armonico sviluppo
dei puledri nati nell’anno che venivano chiamati "carusi". Dopo il 1860, con l'Unità d'Italia, l'allevamento del cavallo Corsiero Napolitano subì un durissimo
contraccolpo e fu quindi condannato ad un rapido ridimensionamento di capi, fino alla sua estinzione completa in Italia. Causa determinante di ciò fu
l'effetto delle scelte di politica economica, poco favorevoli al mantenimento e allo sviluppo del settore ippotecnico e di questa razza in particolare. Veniamo ora alla storia della tradizione ippica in Città, nell'era moderna. Con il trascorrere dei decenni del XIX e del XX secolo, i nobili, gli aristocratici e i borghesi di Napoli e provincia, tenevano a cuore di riservare stalle e spiazzi nei loro tenimenti e ville, per l'allevamento dei cavalli. Nel lungomare di via Caracciolo, fin dalla realizzazione delle opere di "colmata a mare", nei pressi dell'attuale piazza Vittoria, era presente un piccolo galoppatoio transennato, dove i napoletani solevano far galoppare i loro cavalli, specie durante le giornate festive e nei loro tempi di svago. Ma anche nel campo sportivo, nelle gare che vedevano il cavallo come protagonista, ossia nell'Ippica, la città di Napoli e i napoletani non furono da meno rispetto al resto d'Italia, anzi...! Il Campo di Marte, a Capodichino, oltre alle parate militare, fu utilizzato per eseguire esibizioni equestri durante gli ultimi anni del periodo borbonico e anche in quello sabaudo. In altri punti della città erano presenti campi e piccoli ippodromi locali condotti da privati, come ad Agnano, nella proprietà Ruggiero, dove si eseguivano allenamenti e pratiche sportive, seppur in forma dilettantistica. Negli anni '30 del secolo trascorso, fu Raffaele Ruggiero, a dare un'impronta decisiva all'ippica nella città di Napoli. Infatti Egli provvide a donare al Municipio di Napoli, l'intera area di sua proprietà, sulla quale nei secoli pregressi esisteva un vasto lago, di origine termale, chiamato il lago d'Agnano. La donazione avvenne a un preciso patto: che il Comune di Napoli costruisse e amministrasse con proprie risorse e spese un nuovo e bellissimo ippodromo, che fosse vanto e lustro per la nobile Città, oltre che in Italia, in tutta Europa e nel mondo; richiamando in città per le gare e i tornei decine di giocatori e di appassionati di questo antico sport.
| Monumento a R. Ruggiero, Ipp. di Agnano
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L'ippodromo di Agnano fu quindi realizzato su un'area complessiva di 48
ettari, a spese del Comune di Napoli, tra la tenuta degli Astroni e le Terme di Agnano e fu subito adibito a disputare le gare di corse di
trotto e di galoppo. Le piste furono inaugurate nell'anno 1935. Nel corso della sua esistenza, ultraottantennale, l'impianto di Agnano ha ospitato, nelle varie gare organizzate, i cavalli e i fantini più famosi del mondo. Tradizione, storia ed uno scenario
di incomparabile bellezza, conferiscono ad Agnano il titolo di uno degli
ippodromi più rappresentativi della storia dell’ippica italiana! Le gare ebbero subito un forte richiamo cittadino, sia di sportivi e sia di amanti delle scommesse sportive. Gli spalti dell'Ippodromo di Agnano furono invasi da migliaia di napoletani, tra sportivi e curiosi, e tanti provenienti da ogni angolo d'Italia e dell'Europa, spesso per seguire i propri beniamini o per semplice turismo sportivo. Furono instituite delle lotterie, celebre era la cosiddetta Lotteria D'Agnano, che veniva organizzata annualmente, abbinata alla corsa di cavalli che era chiamata Gran Premio Città di Napoli. Ma nei primi anni di esercizio dell'ippodromo tante erano le gare a premio, molte erano intitolate in omaggio ai luoghi del circondario di Napoli, che sicuramente avranno avuto una valenza significativa nella storia dell'Ippica e nell'allevamento dei cavalli di razza. Abbiamo rinvenuto, nel corso delle nostre ricerche storiche, un'importante testimonianza risalente all'anno 1937. Dalle pagine dell'"Annuario Ufficiale delle corse al Trotto" (edito nell'anno 1938), risulta che venivano organizzate a Napoli delle gare di Trotto, con premi per i quattro primi classificati, intitolati (come per dedica), a diversi luoghi della Città e della sua Area Nord, tra questi: Piscinola, Miano, Capodimonte e Mugnano. Con molta probabilità, le gare si disputarono nell'Ippodromo di Agnano, dato che l'impianto fu inaugurato, come si è detto, nell'anno 1935. La scelta dei titoli dei premi riferiti a Piscinola, Miano, Capodimonte e Mugnano, lascia pensare che fu una desiderio chiesto e ottenuto dal benefattore dell'Ippodromo, ossia dal Ruggiero, il quale come è noto possedeva a Piscinola un vasto tenimento, e frequentava con assiduità il territorio dell'Area Nord di Napoli; ma al momento non abbiamo la certezza di questo. A Piscinola, come è noto, Ruggiero realizzò, dal nulla, una fondazione, tuttora esistente che porta il suo nome (Fondazione "Raffaele Ruggiero"), dedicata alla cura e all'assistenza delle fanciulle con problematiche neuropsichiatriche. Nel seguito
riportiamo le varie tabelle dei risultati finali delle singole corse al trotto
disputate nell'anno 1937, pubblicate sulle pagine dell’”Annuario Ufficiale delle Corse al Trotto", edito dall’Ente Nazionale delle Corse al
Trotto,
e della Unione Nazionale Dilettanti, 1937/1938, Volume I, Roma,
aprile 1938. |
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