sabato 15 giugno 2024

Una regia strada per Capodimonte e Miano... Prima parte


Apprezzata fin dai tempi antichi, dai nostri progenitori Osci, fino ai Romani, per passare ai vari conquistatori d’oltralpe, che dal periodo medioevale si sono avvicendati alla guida del Regno di Napoli, la collina di Capodimonte fu popolata e vissuta fin dalla fondazione della città, sfruttando la sua stupenda posizione dominante su Napoli, ma soprattutto per il suo clima, l’aria salubre e la feracità dei suoi giardini e delle sue campagne, non trascurando le ambite cave di tufo giallo che possedeva. Per tale peculiarità, il territorio fu dotato fin dai tempi antichi di alcune vie di comunicazioni (all'epoca sufficienti per il traffico) che permettevano di raggiungere il sito, con la presenza di tante ville rustiche disseminate nel suo ampio territorio. Il sistema viario permettevano di raggiungere anche i tanti villaggi sparsi nella piana che un tempo costituiva l’Agro napoletano (Ager Neapolitanus) e ancor più lontano le terre della Liburia: di quella che sarà la terra decantata con l'appellativo di Campagna Felice (Campania Felix). Basti pensare alle prime strade osco-romane, ovvero a quelle vie che oggi chiamiamo Salita Scudillo e Via Santa Maria ai Monti (la prima attraversante il borgo della Sanità e la seconda, Capodichino e i Ponti Rossi) che sono entrambe giunte fino a noi e sono ancora in parte (solo la seconda) considerate importanti vie di comunicazioni. Purtuttavia con l’era moderna, la difficile orografia del territorio, con la presenza di cave e costoni, non permisero subito di avere una viabilità degna di questo nome. La collina si mostrava quasi inabitata nella parte alta, a causa delle impervietà geografiche sopra descritte, ma aveva comunque registrato nei secoli, nella parte bassa di essa (quella a contatto con la città), una sostenuta urbanizzazione, di espansione dei vicini borghi della Sanità, dei Vergini e di S. Eframo Vecchio.

Salita dello Scudillo, in una foto del 1890







La sua urbanizzazione era proseguita lentamente fino al XVIII secolo, fino a raggiungere la mezza collina,  nonostante i reiterati divieti emanati dalle autorità, soprattutto durante il Viceregno spagnolo (e anche dopo), di non estendere le aree edificate al di fuori delle mura aragonesi. Il contesto urbano, che era caratterizzato da una edificazione alquanto disordinata e con modesti edifici, aveva sviluppato alcune stradine che si presentano tutte acclive e in parte gradonate; le più importanti delle quali erano le attuali Salita Capodimonte e Salita Moiariello, che si inerpicavano nella parte del versante orientale.
Dobbiamo ora fare un volo pindarico di quasi un secolo e mezzo, per arrivare al periodo di massimo splendore e di diffuso apprezzamento del sito di Capodimonte da parte della nobiltà, principalmente da parte della casa regnante, con l’avvento della dinastia Borbonica, allorquando salì al trono di Napoli un sovrano illuminato, Carlo di Borbone.
Ebbene, nell’anno 1734, Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, granduchessa  di Parma e Piacenza, conquista Napoli e i suoi domini, allora Viceregno austriaco e le ridà lo status di Capitale di un Regno autonomo, indipendente dalle potenze straniere. Fin dal suo primo insediamento in città, il re Carlo, oltre ai suoi impegni politici e istituzionali, ebbe modo di coltivare la sua passione principale che era la caccia della selvaggina, apprezzando moltissimo la macchia verdeggiante situata ai margini della città e a contorno del sobborgo di Capodimonte: all’epoca in parte boschiva e in parte disseminata di tenimenti agricoli coltivati. Il luogo si prestava molto bene allo scopo, perché oltre ad essere vicino alla residenza reale della Capitale, si trovava in una posizione dominante sulla città e sul golfo ed era ricco di selvaggina. Quindi, fin dall’anno 1735, Egli soleva organizzare periodiche battute di caccia, assieme a tutta la sua corte di nobili, principalmente nella parte nord orientale del falsopiano di Capodimonte.

Per tale passione, ebbe modo di coltivare l’amicizia di alcune famiglie aristocratiche e di notabili napoletani, che all'epoca possedevano ville, tenimenti e masserie nel territorio sopra la collina di Capodimonte, anche verso Miano, Marianella e Piscinola, in particolare con i Carmignano, marchesi d’Acquaviva, che qui possedevano un casino e una vasta tenuta con masseria, che si estendeva tra Capodimonte e Piscinola, per un centinaio di moggi (le proprietà dei Carmignano furono successivamente espropriate e inglobate nel perimetro della nuova reggia, e la villa con la stalla prenderà il nome di “Casino dei Principi”).
Questo attaccamento del Re per il sito di Capodimonte non si arrestò negli anni, ma divenne sempre più forte, anzi portò all'emanazione di diverse Prammatiche (Disposti di legge) che disciplinavano e delimitavano il territorio, considerato di interesse reale per la caccia. Successivamente Egli affidò all’ingegnere regio di origini siciliane, Giovanni Antonio Medrano, la realizzazione di una riserva boschiva destinata per sè e la sua corte allo svolgimento della caccia:

Il re e la sua corte a cavallo. nel piazzale davanti alla Reggia
«...per il divertimento della caccia de’ Beccafichi, e per farvi de’ Boschetto, per tenervi degli animali quadrupedi, come cervi, caprj, e cose simili, per real divertimento vicino alla capitale…».

Nel 1737 già erano stati perfezionati gli atti di acquisizione delle proprietà da asservire al progetto. Oltre a una parte della proprietà della famiglia Carmignano, furono espropriati i tenimenti agricoli appartenenti alla Deputazione del Tesoro di San Gennaro, al monastero di San Potito, al monastero di Monte Vergine e quelle dei notabili: Di Luzio, Favilla e Ammendola.
Il sito di Capodimonte fu la seconda riserva di caccia realizzata dai Borbone, la prima fu quella di Procida. Inizialmente, per la sosta e il ristoro dei partecipanti alle battute di caccia, furono utilizzati gli ambienti delle masserie dei fondi acquisiti, oppure fu sfruttata l’ospitalità delle ville nobiliari confinanti al sito.
Il nucleo primitivo di quello che sarà chiamato il Real Bosco di Capodimonte, fu delimitato da un muro lungo sei miglia, costruito tra febbraio e aprile dell'anno 1736,
anch'esso  progettato dall’ingegnere Medrano. L’accesso al sito avveniva dalla cosiddetta “Porta di Mezzo”, dopo la quale si apriva uno slargo alberato a forma ovale, che immetteva nella riserva, attraverso i primi viali distribuiti a forma di ventaglio.
La reggia in fase di costruzione, da notare la viabilità esistente
Come è logico immaginare, la frequenza degli eventi organizzati dal re, con la partecipazione della corte, favorirono l’apprezzamento e la notorietà del sito di Capodimonte, tanto da spingere diversi aristocratici all’acquisto delle proprietà di fondi, di masserie e di tenimenti posti ai margini del territorio, facendo a gara tra loro a prevalere per estensione e posizione... Restava tuttavia l'atavica carenza del sistema viario, che penalizzava non poco le comunicazioni con la città.

Se come si dice “l’appetito vien mangiando”, ed ecco che dopo aver completato la prima parte del “Bosco di Capodimonte”, si passò subito al suo ampliamento, con acquisto di altri terreni e con allargamento del perimetro delle mura di recinzione. Ma ben presto il Sovrano maturò il desiderio di far realizzare un incantevole “giardino delle delizie” e ancor di più... una nuova reggia…
Nacque l’idea della Reggia di Capodimonte!
Per la realizzazione di tale opera venne scelta un’area esterna al "Bosco", aperta verso il fronte panoramico della collina di Capodimonte, affidando le fasi iniziali della progettazione sempre all’ing. Medrano, che successivamente fu affiancato dall’architetto Antonio Canevari. La Reggia nell’idea iniziale doveva erigersi priva di recinzione e aperta al caseggiato preesistente.
La strada deputata per raggiungere la Reggia, restava la via antica chiamata "Salita di Capodimonte", passando per la chiesa di S. Antonio a Capodimonte, strada che all’epoca, come oggi, si snodava lungo il versante orientale della collina, partendo dal borgo dei Vergini e salendo fino all’ingresso della Reggia. 
Questa strada fu per oltre mezzo secolo la principale via di comunicazione al sito reale.
Si noti nella mappa l'assenza del ponte di Bellaria
Con tale strada si poteva accedere al largo antistante alla nuova residenza e si poteva inoltrare nella parte settentrionale della tenuta, raggiungendo la "Porta di mezzo del "Bosco", poi costeggiando la sua recinzione, fino alla strada che lambiva il cavone di Miano. Da questo punto si poteva altresì raggiungere il casale di Miano, anche se attraverso irte discese e salite sui versanti del Vallone di San Rocco. E’ inutile dire che la
strada era particolarmente angusta e acclive per percorrerla con carri di trasporto!
I lavori di costruzione della Reggia di Capodimonte procedettero a rilento fino ai primi anni dell’'800; nella direzione dei lavori si alternarono
nomi importanti dell'epoca: Medrano, Canevari, Sanfelice, Astarita e Fuga. Tuttavia fu necessario che trascorresse quasi un secolo per considerarla completata in tutte le sue parti ed apparati!
Intanto si iniziò anche a pensare alla costruzione di una degna strada che permettesse di raggiungere agevolmente la Reggia e il "Bosco" di Capodimonte, partendo da lato del "Regio Museo", oltrepassando il Cavone della Sanità...
La svolta si ebbe con l’avvento del Decennio Francese e la salita al trono di Napoli di Giuseppe Bonaparte, prima, e di Gioacchino Murat, dopo. Furono proprio i francesi a portare avanti il progetto di unire la Reggia con il "Bosco" e di realizzare una nuova viabilità di accesso del sito dalla città. Per il primo progetto si procedette a spianare lo spazio interposto tra le due opere, con l’abbattimento di molti cespiti ed opere edili appartenuti alla famiglia Carmignano, marchesi d’Acquaviva. F
urono demoliti anche la chiesa di Sant'Antonio e il monastero ad essa adiacente. I lavori del ricongiungimento del "Bosco" alla Reggia seguirono di pari passo quelli stradali di collegamento alla città, affidati all’ingegnere di fiducia di corte, Charles-François Mallet.
Intanto partivano anche i lavori di miglioramento e di adeguamento delle attuali via dei Ponti Rossi e di via Santa Maria ai Monti, sempre diretti dal Mallet.
Muro di delimitazione del Bosco, con la Porta di Mezzo
 Anche queste strade, come per la strada Napoleone, furono tracciate con andamento sinuoso,
immerse nel verde, tra le varie proprietà private. Nella sistemazione definitiva, il sito reale si inserirà perfettamente sul colle verdeggiante di Capodimonte, collegandosi, senza soluzione di continuità, ai campi e ai giardini che all'epoca esistevano sulla collina. Il completamento di queste nuove opere, assieme al definitivo accorpamento del "Bosco" alla Reggia, segnerà la nascita del Real Sito di Capodimonte. Successivamente, al termine delle modifiche subentrate negli anni a seguire, il perimetro di delimitazione dell'area attorno alla Reggia sarà anch'esso fortificato con una cortina di mura, con due porte di accesso, mentre il primitivo "Bosco" sarà trasformato in parco, con l'inserimento di giardini, con statue e vasche, conservando la primitiva recinzione e la presenza della cosiddetta "Porta di mezzo".
Ma il piano di ammodernamento iniziato da Giuseppe Bonaparte non poteva trascurare il miglioramento della rete stradale di collegamento del centro cittadino ai suoi borghi e ai suoi casali settentrionali. Ad ogni modo il collegamento con i casali avrebbe avuto sicuramente delle ripercussioni positive dalle opere programmate per l'accessibilità del sito di Capodimonte. Inutile sottolineare che questa necessità di collegamento si protraeva fin dalla fine del secolo precedente!
Un primo progetto di collegamento con il palazzo reale fu redatto dal regio ingegnere Ignazio di Nardo. Anche Vincenzo Ruffo nel Saggio sull’Abbellimento di cui è capace la città di Napoli, definiva tra le improrogabili opere di cui si doveva dotare la città era una strada che collegasse il Regio Museo con il nuovo palazzo reale di Capodimonte.
Egli proponeva: « ...e se si aprisse un magnifico stradone, dritto, largo, lungo e ben decorato di comunicazione colla reggia di Capodimonte; i Francesi potrebbero vantare i loro superbi e pubblici passeggi?».
L’idea venne riproposta anche da Gaetano Barba dieci anni dopo.
Situazione precedente alla costruzione del nuovo sistema viario per il collegamento della Reggia
Il 14 agosto del 1806, alla presenza del re Giuseppe Bonaparte, fu posta la prima pietra per la costruzione della strada, che il sovrano decideva di chiamare “Corso Napoleone”: il primo tratto dal Regio Museo (oggi Museo Nazionale) al Cavone della Sanità, poi “piazza Napoleone”: lo slargo all’altezza del Cavone e, infine, “Strada Napoleone”: l’ultimo tratto che costeggiava il lato sud ovest del palazzo reale.

La nuova strada, che presentava una forte pendenza, perimetrava anche il confine sud-est del parco, cioè le attuali via Ponti Rossi e via Santa Maria ai Monti. Il progetto esecutivo fu elaborato da Gaetano Schioppa e revisionato dal direttore Mallet. I lavori iniziarono nel mese di aprile 1807 e furono diretti dall’ingegnere Raffaele Pannain coadiuvato dallo stesso Mallet. Fu messo mano successivamente al riordinamento e al riassetto del territorio circostante alla reggia e al suo parco, acquisendo ampie estensioni di territorio da mani private, con il successivo affidamento a famiglie nobili referenziate, gradite al Sovrano: “….affinché sia abitato da persone di mia casa, e che le passeggiate siano intrattenute a norma dello stabilimento già fatto, è mia mente, che voi mettiate in possesso de differenti Casini le persone qui sotto descritte col trasferimento loro la proprietà, come pure il possesso, e domini de territorj da voi acquistati; facendone la divisione in sei parti, coll’obbligo, 1 d’intrattenerne la porzione di passeggiata che passa ne loro territorio, 2 di non potersi vendere la loro vita durante, 3 di non poter fabbricare mura di chiusura”.
Nella mappa risulta che la Nuova strada per la Reggia è in fase di costruzione
Al Sig. Cardinal Firrao Grande Elemosiniere il Casino detto Di Gallo, al Sig. Duca di Cassano Gran Cacciatore il Casino Morra, al Sig. Principe Gerace Primo Ciambellano il Casino de Simone, al Sig. Principe di Stigliano Gran Ciambellano il Casino Amendola, al Sig. Duca di S. Teodoro Gran Maestro di Cerimonie il Casino Accadia, al Sig. Cav. Macedonio Intendente di Real Casa il Casino de Angelis.” Risultava ottenuta, così facendo, una fascia di rispetto contornate il sito reale…
Con la Restaurazione e il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli, si continuò l’opera di completamento della Reggia e con gli interventi di implementazione ed abbellimento dell’impianto stradale che conduceva a Capodimonte, senza modificare la parte realizzata dai francesi. Fu infatti completato il progetto, precedentemente redatto da Nicola Leandro, approvato ed eseguito a partire dal 1807, che prevedeva due slarghi: uno di forma semiellittica (prima del ponte della Sanità), e l’altro di forma circolare (l’attuale "Tondo di Capodimonte”) e poi, ancora, il tratto di congiunzione tra il “corso Napoleone” (via Nuova Capodimonte) e la “strada Napoleone” (Via Miano).
Disegno redatto da A. Niccolini, con evidenzia della cave di tufo presenti, 1824
Su progetto di Antonio Niccolini, fu riqualificato il costone di roccia di tufo presente nella parte sommitale del Corso Napoleone, che con il ritorno dei Borbone, fu rinominata “Strada nuova di Capodimonte”. Veniva realizzato un bel giardino romantico, con elementi di gusto neoclassico e neoegizio, che aveva anche la funzione di suddividere il traffico carrabile da quello pedonale, tramite la creazione di una ripida scalinata che attraversava il piccolo ma interessante parco urbano (Scala e giardini Principessa Jolanda).
Veniva successivamente richiesto a Antonio Niccolini, con l’aiuto del Giordano, un progetto che prevedesse la sistemazione dell’ansa della curva che dal Tondo menava alla Reggia e della nuova situazione altimetrica che si sarebbe configurata in seguito al taglio della collina, da cui si doveva estrarre ancora altro materiale necessario per terminare il palazzo reale di Capodimonte.
L’idea era quella di realizzare un "giardino delle delizie" che risaltasse la bellezza del luogo e il panorama mozzafiato: “...Quel promontorio difeso come è dai venti del nord con propizia esposizione a mezzo giorno, porge occasione di abbellirlo in ogni rara specie di piante arboree, di forma, colore e grandezze diverse, le quali, sorgendo fra gli aranci in gruppi vagamente disposti, di Eucalipti, di Lauri, di magnolie, di pepe, di palmiere, farebbero bella mostra colla loro perpetua verdura, frutti, fiori e fragranza della fecondità e piacevolezza del nostro felicissimo clima.
Le strade denominate "Strada di Secondigliano" e "Strada dei Ponti Rossi"
Un tale gradevole boschetto, si facile ad ottenersi, e non ancora procurato in Napoli, diverrebbe la delizia di quella passeggiata, e la meraviglia degli esteri che non cessano di ammirare i prodotti di questo suolo”.
Dopo contrasti e alterne vicende tra il Niccolini e i membri della “Direzione di Ponti e Strade” (organo che sovrintendeva le nuove opere stradali nel Regno), il cui principale obiettivo era quello di condizionare l'approvazione dei progetti alla loro economicità, ma anche di favorire una possibile speculazione edilizia del sito, si dovette ricorrere all'aiuto dei privati per ricevere un finanziamento dell'opera, in particolare dai Meuricoffre (famiglia di banchieri svizzeri impiantati a Napoli e proprietari di due ville in zona) e, successivamente, dallo stesso Niccolini. Alla fine l'idea di sistemazione del Niccolini vinse la contesa! Il suo progetto prevedeva la realizzazione di due terrazzi, raggiungibili da una scala a doppia rampa e avrebbe ospitato un giardino all’inglese.
Restava in campo il completamento della grandiosa scalinata, già incominciata dai francesi, che avrebbe dato risalto alla prospettiva del Tondo, a corollario della regia strada di Capodimonte. Il monumentale scalone (dedicato poi alla principessa Jolanda) fu realizzato in pietrarsa, con sette rampe di scalinate, divise in altrettanti ballatoi di riposo, ciascuno provvisto di sedili, della stesso tipo di pietra.
Manca ancora il tratto di strada per Miano con il ponte di Bellaria
Le rampe venivano altresì fiancheggiate da muri di contenimento in tufo, incorniciati con blocchi di pietrarsa, dalle quali si aprivano accessi pedonali ai diversi livelli del giardino/parco. Nella parte bassa della monumentale scalinata furono collocati due pilastri, anch’essi di pietrarsa, abbelliti da rosoni in marmo bianco e sormontanti da caratteristiche anfore stilizzate, anch’esse in marmo bianco, con figure muliebri egizie. Nel "Tondo" veniva altresì installata una fontana con vasca di travertino bianco, che fungesse da ristoro per i viandanti e anche da abbeveramento per gli animali da tiro.
Mentre nella parte sommitale dello scalone fu realizzato un emiciclo gradonato a forma di teatro, anch’esso in pietrarsa, destinato ad accogliere nel fuoco un obelisco, poi sostituito con un platano, che è sopravvissuto fino ai nostri giorni. 
Il Niccolini imprenditore realizzò gli edifici posti a contorno del Tondo di Capodimonte e per finanziare l'opera fu costretto a vendere una sua pregiata collezione. Questi lavori di completamento si protrassero fino all’anno 1845. La parte a verde del nuovo giardino fu sistemata dai regi giardinieri Giacomo Crip e Raffaele Fioretti, con l’impianto di pregiate varietà di essenze botaniche.
Il Corso Napoleone, rinominato dai Borbone “Strada nuova di Capodimonte”, fu terminato su progetto dell’ingegnere Bartolomeo Grasso, responsabile anche del disegno del largo semiellittico prima del ponte della Sanità (lato Museo, oggi denominato "Emiciclo Capodimonte").
La strada per Miano risulta completata con il ponte

Il collegamento del nuovo asse viario con l’Area Nord di Napoli, (Miano, Piscinola e Secondigliano ecc.), fu completato con la realizzazione della strada che sormontava il Vallone San Rocco, attraverso il ponte, chiamato ponte di Bellaria, la cui costruzione dovette risalire a un momento conclusivo dell'opera, dato che in diverse mappe non risulta essere ancora presente nel primitivo tracciato inaugurato.
Dal libro "Napoli e i luoghi celebri per le sue vicinanze", vol. 2, apprendiamo che l'opera del ponte fu fortemente voluta dal re
Ferdinando II; eccone la traccia:“Oltre la grande entrata del bosco possono annoverarsene ben quattro altre, delle quali una sulla stessa spianata della collina , una verso il cammino de’ Ponti Rossi, e due altre verso quello di Miano. Uscendo da questo lato puoi trovarti sulla magnifica strada di Miano, della quale diremo brevemente che venne compiuta dal 1834 al 37, che la sua lunghezza fino alla consolare di Roma è di presso a due miglia, che la sua larghezza è di palmo sessanta, e ne’ due lati abbellita da file di platani , ornamento il quale aggiunto alla perfetta costruzione di questa via la rendono delle più belle che fanno corona alla città.
Uno smisurato torrente il quale, correndo per la vallata di Miano prendeva in seguito il nome dai ponti-rossi, attraversava pochi anni indietro la consolare di Roma e riusciva sovente funesto a’ viandanti. Non ostante i disastri avvenuti, non vi era volto il pensiero a costringere quelle acque, per la difficoltà dell’impresa. Ma il re Ferdinando II volle che, superato ogni ostacolo, venisse compiuta quell’opera, e fu gettato su quel vallone un ponte di perfetta costruzione lungo oltre ai palmi duecento, nel punto dove la strada si volge a quella detta dell’arenaccia. Ed all’altra de’ ponti rossi
."
Dalla storia del Santuario della Madonna dell’Arco a Miano, sappiamo come l’edificazione del ponte di Bellaria avesse arrecato grandi benefici ai pellegrini che si recavano ogni anno al Santuario, rialimentando il culto verso l’antica effige della Madonna dell’Arco e aumentando il numero dei fedeli che si registravano durante lo svolgimento delle feste liturgiche.
Lungo il nuovo tracciato stradale e immediatamente a ridosso di esso, sorsero diversi casini e ville nobili, tra le quali le ville: Ruffo, Petrilli, Meuricoffre, Lieti, Ferretti, Rodinò, De Gas, e altre.
La strada chiamata dai francesi “Via Napoleone”, fu rinominata dai Borbone “Strada Nuova di Miano” o “Strada di Miano”, per divenire oggi “Via Miano”. Solo in alcune mappe ottocentesche è riportata una generica “Strada Nuova di Secondigliano”, per distinguerla dall’altra, “Strada Nuova dei Ponti Rossi”.
Il parco fu dotato di altre due porte di accesso, oltre quelle denominate “Grande” e “Di Mezzo”, una proprio sulla strada per Miano, dalla quale prenderà il nome (Porta di Miano).
Seguiranno, nel corso del tempo, altre innovazioni che saranno apportate a questa importante via di comunicazione, come l’innesto della strada provinciale di Santa Maria a Cubito, l’edificazione del convento dei Frati Bigi da parte di Padre S. Ludovico da Casoria, con annessa chiesa, il “Muro Finanziere”, con i posti di Dogana, la rete delle tramvie di Capodimonte, con il
deposito del Garrittone, la Basilica del Buon Consiglio e la residenza arcivescovile, per finire con il nuovo svincolo della Tangenziale, la facoltà di Teologia dell’Italia Meridionale, l’accesso alle Catacombe di San Gennaro e il nuovo ponte di Bellaria, ma questi saranno argomenti della seconda parte... 

Salvatore Fioretto 



Le fonti utilizzate per la scrittura del presente post sono state le diverse mappe consultate e alcuni testi, in particolare i saggi: "Il sito reale di Capodimonte - Il primo bosco, parco e palazzo dei Borbone di Napoli" di Francesca Capano, ed. fedOA press.
, e "Napoli e i luoghi celebri per le sue vicinanze", vol. 2 Napoli, 1845. Stab.to di G. Nobilie.

Le  immagini riportate nel post sono state tratte da collezioni personali o da alcuni siti web nelle quali erano pubblicate; il loro utilizzo è finalizzato solo ed esclusivamente a dar maggior chiarimento al racconto, affinchè si possa dar seguito alla libera diffusione della cultura verso tutti, senza nessun fine di lucro o personale. Qualora esse apparteressero a collezioni private riservate, provvederemo a eliminarle dal post, dopo aver ricevuto preventiva segnalazione.

G.F. Heilmann de Rondchatel - Panorama a volo d'uccello, con la Reggia di Capodimonte

venerdì 7 giugno 2024

Un marianellese con S. Alfonso nel Cuore... Padre Francesco Minervino

"Il P. Francesco Minervino è passato da questo mondo al Cielo il giorno 15 ottobre 1988 nella nostra casa di Pagani. Il confratello dalla seconda metà del mese di agosto era stato ricoverato prima al Vecchio e poi al Nuovo Pellegrini di Napoli per una grave anemia perniciosa che gradualmente e per successive complicazioni lo ha condotto alla fine della sua vita.
Il P. Minervino Francesco era nato a Marianella di Napoli il giorno 11 giugno 1909. Entrò nel nostro Educandato di Ciorani il 27 settembre 1920, ha professato nella nostra Congregazione il 3 ottobre 1925 a Pagani, ha fatto i suoi studi ginnasiali e filosofici a Cortona e quelli teologici a S. Angelo a Cupolo ed è stato ordinato Sacerdote il 1 novembre 1932 a S. Angelo a Cupolo.
Nelle note bibliografiche ci ha lasciato un resoconto completo della sua vita e delle sue attività. Così scrive: “La mia vocazione si deve al fatto che facevo il chierichetto nella cappella di Marianella. Con l’aiuto del P. Schiavone e di don Camillo De Risio entrai nell’Educandato di Ciorani”.
Il P. Minervino ha realizzato la sua vocazione vivendo nelle nostre co­munità di Morcone, S. Angelo a Cupolo, S. Andrea Jonio, Tropea, Tea­no, Curato, Marianella, Napoli, Pompei, Pagani.
Egli stesso ci attesta che è sempre stato missionario e predicatore. Ci ha lasciato un elenco di numerosissime Missioni popolari alle quali ha partecipato e di alcune predicazioni soprattutto sulla Madonna e su argomenti vari. Tra i suoi appunti si legge: “Conto gli anni del mio sacerdozio dai mesi di maggio che ho predicato. L’anno scorso (1980) furono più i giorni che sono stato in predicazione che quelli a riposo
“.
 
Per 15 anni è stato penitenziere a Pompei. Per un solo anno (1933) il P. Minervino è stato lettore nello studentato a S. Angelo a Cupolo.
Il confratello inoltre ha ricevuto come incarichi speciali nella nostra Provincia quelli di Procuratore Provinciale, Consultore Provinciale, Superiore della casa di Napoli, Maestro di secondo Noviziato, ed Archivista Provinciale.
Durante il periodo della sua permanenza a Napoli è stato Assistente di Azione Cattolica femminile del quartiere di Montesanto e nella comunità parrocchiale di S. Domenico Soriano.
Il P. Minervino ha anche scritto alcuni libri di utilità comune: “Le nostre Missioni” (3 vol.); lunghi schemi sulle istruzioni e prediche; un Catalogo dei primi membri della Congregazione e della Provincia Napoletana (2 vol.); un Inventario dei documenti custoditi in archivio; un opuscolo “Per vivere con Dio quale regolamento di vita cristiana“, e molti articoli per le riviste e i giornali.
Negli ultimi due anni della vita ha curato la pubblicazione della Rivista S. Alfonso.
Credo che il ricordo del P. Francesco Minervino resterà vivo nell’animo di molti confratelli e di molta gente che lo hanno incontrato ed hanno potuto ammirare il suo zelo apostolico e la sua comprensione e benevolenza nel sacramento della Riconciliazione.
Spesso ripeteva: “A me interessa lavorare per Dio e per le anime“.
Il suo spiccato senso di appartenenza alla Congregazione e alla Provincia, il suo amore a sant’Alfonso e alla sua opera, il suo instancabile lavoro missionario ci spronano a non risparmiare le nostre energie perché ciò che costituisce l’eredità alfonsiana più autentica possa oggi incrementarsi e migliorare per mezzo della nostra collaborazione e la nostra partecipazione.
L’interesse che il P. Minervino ha dimostrato nel riordinamento dell’archivio è stato in questi anni ammirato ed incoraggiato a più livelli e a più riprese.
Questa sua opera susciti interesse alla documentazione e allo studio della nostra storia soprattutto in qualche confratello che possa continuare a lavorare nello stesso settore con pari amore e generosità.
Colgo l’occasione per ringraziare sentitamente i confratelli e i laici che si sono offerti per assicurargli una assistenza continua e notturna in ospedale ed esorto tutti a voler pregare perché il caro confratello possa ottenere un copioso premio per le sue buone opere."