venerdì 1 novembre 2024

A Piscinola si festeggiava “Halloween”, ancor prima della guerra…ma a modo nostro...!

Ancor prima dell’ultimo conflitto mondiale, i ragazzini del nostro quartiere solevano festeggiare la ricorrenza dei defunti, con un’usanza dai connotati tipicamente locali, ma sicuramente di origini antichissime. Nel corso della mattinata, i bambini e i ragazzi più grandicelli si recavano di masseria in masseria, di cortile in cortile, bussando a ogni porta, per chiedere in nome dei morti, dolci e leccornie, monetine e anche noci, nocciole e castagne, un po’ come fanno oggi i ragazzi americani quando si festeggia la ricorrenza di Halloween. Alcuni, in gruppetti, si posizionavano anche davanti all'ingresso del cimitero di Miano. Preparavano delle cassettine di legno, che provvedevano a decorare apponendo sul lato a vista, dove era ricavato il foro per accogliere le monete, una piccola croce; questo particolare contenitore veniva chiamato "'a cascettella". Durante il girovagare per vicoli e per masserie piscinolesi, i bambini ogni tanto pronunciavano, a voce alta, un’espressione tipica, diventata poi l’emblema della tradizione, che era:

“‘E mmuorte e ‘o puveriello...! ’E mmuorte e ‘o puveriello!”,

ossia “per i morti e per i poveretti”. Questa curiosa usanza è stata praticata fino al decennio successivo alla fine dell’ultima guerra mondiale.
Altra usanza un tempo praticata nel giorno della commemorazione dei defunti era quella di recarsi al cimitero per onorare la memoria degli avi e delle persone care; al rituale partecipavano tutti i componenti della famiglia: dai nonni, ai genitori, ai figli, fino ai nipoti più piccoli. Tuttavia, specialmente per questi ultimi, era un’occasione ghiotta per gustare i prelibati frutti di stagione, che noi chiamavamo “'e ggranate”, vale a dire i melograni. Per tale usanza, fuori al cimitero di Miano, sostavano almeno un paio di bancarelle che esponevano in ceste questa particolare frutta di stagione, suscitando la golosità dei pargoli e non solo...! Il fatto curioso era quello che l'area circostante alla postazione dei venditori era praticamente ricoperta da una coltre formata da tantissimi pezzetti di paglia sminuzzati, che provenivano dai contenitori della frutta: erano diffusi, sia per il continuo prelievo dei melograni e sia per il vento che favoriva la disseminazione lungo il marciapiede e la strada.

Ripresa dell'usanza delle "cascettelle". Foto di F. Kaiser, 2023
Assieme ai melograni si poteva gustare un altro tipo di frutta tipico della stagione autunnale, rappresentato dai cachi (chiamati in gergo "Legnasante"); quelli venduti in questo periodo erano però particolari, perchè avevano dimensioni molto piccole, ma erano estremamente dolci; per tale motivo si dava ad essi l'appellativo di "'a vaniglia".
Almeno fino a cinquant'anni fa l'usanza di comprare e regalare torroni e torroncini in occasione della commemorazione dei defunti non era ancora arrivata dalle nostre parti (si vendeva solo quello bianco e solo durante le feste patronali), tuttavia qui da noi si usava preparare un altro tipo di torrone, diciamo un po’ più rustico e semplice, specialmente per la scelta degli ingredienti, perchè richiedeva solo dello zucchero, di canna o raffinato. Lo zucchero veniva posto sul fuoco in un pentolino, continuamente girato con una posata, fino a essere portato allo stato di fusione e reso caramellato.
Una volta raggiunto il giusto punto di preparazione, veniva versato su un piccolo marmo bianco di Carrara e disteso anche con l'aiuto di posate, per realizzare uno spessore piccolo ed uniforme. Successamente,  quando era ancora caldo, si tracciava con la punta di un coltello una maglia a forma quadrettata, che facilitava sia il distacco che la degustazione. Mangiarlo era tuttavia un'impresa non da poco, perchè questo dolce di presentava molto duro alla masticazione...!
Sappiamo che l'emblema che contraddistingue la ricorrenza di Halloween è la zucca, svuotata e adattata con le decorazioni e l'illuminazione interna, naturalmente nella nostra tradizione non troviamo niente di simile a questa, perchè essa è una usanza importata alcune decine di anni fa dai paesi d'oltralpe. Tuttavia c’è da aggiungere che, fino a poche decine di anni fa, le zucche erano coltivate in maniera intensiva nelle campagne di Piscinola, Scampia e  dintorni, ma il loro utilizzo era esclusivamente riservato all'uso alimentare, domestico o per l'allevamento del bestiame.
Si coltivavano  diverse varietà di zucca, sia per colori, per forme e per dimensioni, passando da quelle tondeggianti e schiacciate, a quelle oblunghe; anche i colori variavano: dal giallo paglierino, all’arancione acceso. Si coltivava, inoltre, una particolare varietà di zucca che era molto utilizzata per l'alimentazione del bestiame. Questo tipo di zucca, di grosse dimensioni e di forma pressocchè sferica, manteneva immutato il colore esterno di verde scuro, anche quando era matura e presentava il pregio di avere un notevole quantitativo di semi contenuti. Nel periodo di fine estate le zucche venivano raccolte nei campi e portate nelle masserie, con l'utilizzo di carri, quindi depositate all'aria aperta, in un angolo dell'aia. Successivamente, all'occorrenza, venivano tagliate, asportando i semi contenuti, mentre il guscio era dato in pasto alle mucche, oppure aggiunto nel cibo ("pastone") dato ai maiali, assieme ad avena, patate, granoturco e agli avanzi domestici.
I semi di zucca (qui detti “’e samienti”), venivano puliti, lavati e messi ad asciugare al sole. All’occorrenza venivano tostati nei forni, assieme a nocelle, a noci e alle mandorle, oppure degustati al naturale, al termine dei pranzi domenicali e, soprattutto, durante le festività natalizie. L’insieme della frutta secca assortita erano chiamate “'e ciociole”.

La prima parte di questo post è stata tratta dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore" di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010.

Per la scrittura di questo post di ricordi piscinolesi, ringraziamo l'amico Pasquale di Fenzo che, come è tradizione, collabora a Piscinolablog ogni volta che gli chiediamo aiuto, specialmente per rinverdire molti ricordi piscinolesi delle passate generazioni. Ringraziamo anche l'amico Ferdinando Kaiser per averci fornito la foto dell'evento rievocativo delle "cascettelle".

Salvatore Fioretto 

sabato 26 ottobre 2024

"Massi Erratici" nel real sito di Capodimonte... l'ultima scultura di Marisa Albanese

Passeggiando per i luminosi e verdeggianti viali del real Bosco di Capodimonte, nei pressi della cosiddetta "Porta Caccetta", si è attratti da un gruppo di vestigia marmoree adattate ad opera d'arte monumentale. Si tratta della scultura progettata dall'artista napoletana Marisa Albanese, intitolata "Massi Erratici", realizzata postuma, a ricordo dell'artista, due anni dopo la sua scomparsa, nell'anno 2023.

Ecco quanto riportato nella targa apposta ai piedi dell'opera a firma del passato direttore del real Sito di Capodimonte, Sylvain Bellenger, che descrive in maniera chiara e sintetica il significato della scultura:

"Marisa Albanese (Napoli 1947 – 2021)

Massi Erratici (2020-2023)
Elementi lapidei provenienti dai bombardamenti di Napoli del 1943-44 riportati alla luce dopo essere stati abbandonati nel Bosco di Capodimonte. Combattente seduta, marmo bianco di Carrara. Combattente in piedi, marmo bardiglio.
I massi erratici è una poesia di pietra che ci riporta, anche al di là della morte, che la storia non è scritta per sempre e che l’arte è una lotta che trasforma anche la distruzione in rinascita e speranza. Non rinuncerà mai a donare armonia al mondo. Sylvain Bellenger."

Per la scelta del titolo assegnato all’opera, Marisa Albanese scriveva: “Massi erratici o trovanti, grandi blocchi di roccia che sono stati trasportati dagli scioglimenti dei ghiacciai lontano dal loro luogo di origine. Mi piace pensare alle pietre ritrovate nel Bosco di Capodimonte, come pietre erranti che sono giunte a noi da luoghi lontani e poi utilizzate per costruire i grandi palazzi nel centro di Napoli. Architetture contenenti vuoti vissuti e attraversati da persone che hanno assistito nel loro quotidiano agli eventi straordinari e banali della vita”.

I disegni e i progetti artistici ideati dalla scultrice hanno vinto il "Bando PAC della Direzione Generale Creatività contemporanea", sono stati acquisiti e fanno parte delle collezioni del Gabinetto Disegni e Stampe del Museo. Essi rientrano in un progetto complessivo, pensato dall'artista, per realizzare in quella zona scelta del Bosco, in prossimità della "Porta Caccetta", un luogo simbolico della memoria.

Ecco un commento rilasciato a proposito dal passato direttore Bellenger:

Massi Erratici è una poesia di pietra che ci ricorda, anche al di là della morte, che la storia non è mai scritta per sempre e che l’arte è una lotta che trasforma anche la distruzione in rinascita e speranza. Non rinunciare mai a donare armonia al mondo. E per questo voglio ringraziare il marito Giuseppe Fonseca, i figli di Marisa: Fiamma ed Elio, Gianfranco D’Amato e Laura Trisorio e tutti suoi colleghi e amici che le hanno voluto tanto bene. Ecco perché ci farebbe piacere portare a compimento l’idea progettuale di Marisa, completarla secondo i suoi desiderata seguendo fedelmente i disegni preparatori che ci ha lasciato”.

Gli elementi architettonici che compongono l'opera provengono dalle macerie causate durante i bombardamenti cittadini della seconda Guerra Mondiale e furono ammassati nel Bosco di Capodimonte, in un'area prossima alla chiesetta di San Gennaro; essi sono stati poi adattati e ricomposti dalla scultrice Albanese, per realizzare il monumento secondo un disegno da lei ideato. Nel complesso monumentale lapideo sono state poi inserite due sue opere scultoree, intitolate “Le Combattenti”: una in marmo di Carrara e una in marmo bardiglio. Il progetto è stato realizzato anche grazie al coinvolgimento della Fonderia Nolana della famiglia Del Giudice e, oltre del direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Sylvain Bellenger, anche dell'ing. Giampiero Martuscielli e di amici dell'artista.

Ecco la breve biografia dell'artista:

Marisa Albanese, nacque a Napoli nel 1947, frequentò con passione l’Accademia di Belle Arti di Napoli; dopo il diploma, conseguì la laurea in Lettere Moderne all’Università Federico II. La sua vita si svolse praticamente tra Napoli e Milano. Nella sua sperimentazione artistica in arte moderna ha utilizzato diversi mezzi e materiali di espressione: scultura, video e installazioni statiche e dinamiche. Gli argomenti tematici trattati variano costantemente: dai temi sociali e politici, alla rigenerazione artistica e a quella visiva. La sua attenzione è rivolta soprattutto alla ripetizione ciclica delle forme, alla serialità, al doppio, nonchè al movimento dinamico dell’opera. Questi temi e queste profondità artistiche sono presenti nelle sue creazioni, con forme ed espressioni di tensione e di contrasto che evolvono; esse si ripetono costantemente fin dalle sue prime opere, e che si fanno via via più sublimi e figurative nel corso del tempo: ricordiamo l'opera "Le resistenze" (anno 2002), "Le combattenti" e tante altre creazioni. Nella sua produzione artistica, Marisa Albanese ha trattato anche i temi sociali, come la condizione abitativa, il nomadismo, il problema dell'immigrazione. Registrava tutte le sue esperienze visive nel suo caro taccuino di viaggio, tramutando i suoi viaggi reali in viaggi interiori e nell'inconscio, con disegni e schizzi: un dialogo interiore tra paesaggio e artista!
Marisa Albanese ha partecipato a numerose mostre d'arte, le sue opere sono custodite ed esposte in diversi musei e luoghi pubblici, tra i quali ricordiamo il museo "Madre" di Napoli e la stazione "Quattro Giornate" della metropolitana di Napoli.

Salvatore Fioretto


 


venerdì 18 ottobre 2024

"Tutti i colori possibili !"..., l'arte, la moda e il design dello stilista Livio De Simone

Lo stilista Livio De Simone nacque nel 1920, nella bella campagna napoletana, in una antica masseria di Chiaiano (In quel tempo Chiaiano era ancora un Comune autonomo e indipendente da Napoli, chiamato “Chiaiano e Riuniti”). Rivelatosi fin dai primi anni della giovinezza un ragazzo intraprendente e studioso, De Simone frequentò con profitto gli studi, si iscrisse all’Università di Napoli, dove si laureò in Giurisprudenza. Ma le sue ambizioni si rivelarono ben presto diverse dal titolo conseguito e, giovanissimo, abbandonò di lì a poco l’avviata carriera forense, per perseguire nel suo innato talento, che si rivelò essere quello della moda e della creazione stilistica.
Passò, quindi, a sperimentare e studiare nuove forme di tessuti e tipi di abbigliamento, che lo avrebbero portato a rivelare il suo grande e originale talento creativo, divenendo in poco tempo un promettente protagonista del prêt-à-porter italiano.
Già nel lontano 1956 fondò l’azienda e il marchio di moda che prese le iniziali del nome “LDS” (Livio De Simone), iniziando a farsi conoscere nei salotti cittadini e soprattutto al di fuori dei confini della città, fino a sfondare nel campo, partecipando, già nel 1957, alle celebri sfilate di moda organizzate nel tempio sacro della moda, nello storico Palazzo Pitti di Firenze. Tuttavia il baricentro del suo campo d’azione restò Napoli e il suo circondario, diventando un punto di riferimento indiscusso della borghesia cittadina dell'epoca e una icona celebre e apprezzata dai vip e dai frequentatori abituali delle isole di Capri e di Ischia, nella fine degli anni ’50 e per tutto il periodo del cosiddetto "Boom economico".
Partecipando alle sfilate di moda svolte a Capri, "Mare, Moda, Capri", fu tra i primi stilisti a introdurre l'uso del pantalone corto "alla marinara", che fu chiamato, appunto, "Pantalone Capri".
Oltre agli abiti, con i tessuti, le inconfondibili forme di disegno e i colori scelti, si dedicò con successo anche al design e all’arredamento, creando uno stile originale, unico e particolare, che contraddistinse i caratteri delle creazioni stilistiche prodotte dall’azienda che dopo la sua morte, avvenuta nell’anno 1995, è stata continuata dai suoi familiari.
La particolarità del suo stile è una tecnica di stampa eseguita a mano libera, con tratti a guisa di pennellate e forme geometriche libere e variegate, con colori ad acqua stesi sui tessuti mediante una tecnica di stampa artigianale, tecnica che rende i colori vivaci e brillanti,
mantenendo fede allo slogan coniato da Livio: “Tutti i colori possibili!” (oppure "Pennelli di gioia in ogni colore possibile!"), con una continua sperimentazione cromatica, sempre a cavallo tra tradizione e modernità.
Livio De Simone riuscì a coniugare con successo due realtà fino allora tenute separate e distinte: il tessile e il design, ossia abiti e abitazioni, con allestimenti degli interni delle lussuose dimore. La sua intuizione semplice e geniale portò ad avere una clientela scelta ed esigente, sia per gli abiti e sia per gli allestimenti degli interni delle loro abitazioni. Le sue creazioni furono realizzate per le eleganti e famose donne della società dell’epoca, che si rivolgevano a lui con fiducia, per scegliere gli abiti indossati: da Elsa Martinelli a Audrey Hepburn, passando per Jacqueline Onassis. Diverse dimore e ville di Capri e di Napoli furono arredate e abbellite con la sua inconfondibile arte e design.

Le prime creazioni stilistiche nella dimora di Chiaiano

Anche il settore dell'abbigliamento sportivo dell'epoca ebbe una significativa innovazione con l'introduzione del suo stile ai capi firmati. Con il tempo le creazioni furono estese anche nel campo della ceramica e della produzione di componenti ed oggettistica di ornamento e di decorazione.
Il baricentro della maison Livio De Simone restarono tuttavia i tessuti dipinti a mano, pennellate di tutti i colori che spaziano in un campo libero, realizzati secondo lo stile inconfondibile; ogni tessuto poteva realizzare e far rivivere un sogno…

Salvatore Fioretto

Le prime sperimentazioni giovanili tenute nel cortile della masseria di Chiaiano


venerdì 11 ottobre 2024

"C'era una volta la Piedimonte"... ricordo del decennale della presentazione del libro a Piscinola!

In questo mese ricorre il decennale della presentazione del libro sulla Piedimonte, tenutasi presso la Biblioteca "Domenico Severino" di Piscinola. Fu una bella serata di inizio autunno, a conclusione di una giornata calda e assolata, che registrò la partecipazione di tanti appassionati ed estimatori della ferrovia. Fui accompagnato da tanti amici, che mi aiutarono nella presentazione del testo, alternando momenti di lettura di brani, con videoclip fotografici e scorci di filmati storici. I presentatori e conduttori della serata furono i bravissimi amici: Giulia Biancardi e Maurizio de Gennaro. Oggi ricordo questo evento con particolare commozione, pubblicando la prefazione e l'introduzione del libro nella prima versione stampata, che ebbe il titolo di "Comm'era bella 'a Piedimonte", seguì poi, a breve distanza, la seconda stesura: "C'era una volta la Piedimonte". La prefazione della prima stesura è stata scritta dalla prof. Rosa Bianco, mentre l'introduzione dall'autore del libro.

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Prefazione:

Il liber "Comm'era bella 'a Piedimonte!" di Salvatore Fioretto vuol essere un viaggio della memoria, attraverso i colori della nostra terra a nord di Napoli e le tonalità di quella che fu la "Terra del Lavoro" della piana casertana, attraversata da questo trenino, con testi che raccontano un "ieri", rapportato all'oggi, della linea ferrata dismessa, che segnò l'inizio della trasformazione del nostro territorio, da prettamente rurale a area metropolitana.
"L'autore lo fa con una passione, senza precedenti, donando al lettore un testo di rara bellezza espositiva e con immagini che descrivono, "sentono" le peculiarità delle zone trattate. L'appendice, inserita nel libro, é una sorta di raccolta di racconti dal binario, di altri autori, che contribuisce a ricreare nella mente del lettore quella atmosfera, pregna di humanitas, che caratterizzava gli antichi viaggi con la Piedimonte e che regnava sovrana nella società contadina di allora, oggi scomparsa!
Il tutto con un unico obiettivo: il vivo augurio che ciò possa trasmettere memoria, orgoglio e motivazioni a Comunità e Paesaggi, che non vorremmo perdere del tutto. Buon viaggio!"

Introduzione:


"Gli anni passano, si cresce, si fanno esperienze e si matura… Quando si raggiungono gli anni della maturità e si perdono per la strada alcune persone care, la mente tende a ridare luce, come in un magico caleidoscopio, tutti gli episodi della fanciullezza: periodo spensierato, che ha regalato momenti magici, spesso indelebili nella memoria di ciascuno di noi.
Ho voluto rievocare in questi racconti i bei ricordi della mia fanciullezza, legati alla ferrovia “Napoli-Piedimonte d’Alife”, la cui presenza ha condizionato in maniera positiva la nostra vita e, credo, quello di interi quartieri: di Piscinola, di Secondigliano, di Miano e non solo...
Si osserverà, leggendo i capitoli del libro, che la “Piedimonte” è stata veramente parte integrante del territorio e, nel contempo, una testimonianza tangibile di un periodo non florido, con ristrettezze economiche, ma vissuto in modo dignitoso e sereno dai suoi abitanti. Con la semplicità dei suoi impianti, questo trenino rappresentava, in un certo senso, il mondo ereditato dai nostri avi, che senza troppe metamorfosi e sconvolgimenti, aveva superato l’ultimo conflitto mondiale e si era adeguato ai tempi della ricostruzione del
Dopoguerra e, poi, ancor oltre, fino al cosiddetto “boom economico” del paese.
Lo sconvolgimento urbanistico subito dalla Metropoli, a partire dagli inizi degli anni ’70, purtroppo, ha determinato, anche nel nostro territorio, la rottura con i modelli del passato, legati ai valori umani, alle tradizioni contadine, alla città a misura d’uomo, alla vita vissuta con ritmi pacati, determinando la perdita dell’identità antropologica e, con essa, una generale crisi dei valori; e così, gli espropri delle campagne, l’urbanizzazione selvaggia e senza regole, l’improvvisazione nella gestione delle varie emergenze (terremoti, carenze di alloggi ed epidemie varie) e la corsa al benessere, legato ai nuovi modelli economici
di sviluppo, hanno messo in crisi la società di allora e con essa, purtroppo, anche la fine dell’unico mezzo di trasporto su ferro, sopravvissuto fino a quel momento nell’area a nord di Napoli.
Tutto questo è avvenuto rapidamente e in maniera irrefrenabile, con la complicità della classe politica e dirigente dell’epoca, la quale ha esercitato il proprio ruolo con approssimazione e superficialità; pensando solo a fornire promesse politiche, più o meno convincenti, parlando di progresso, di sviluppo, ristrutturazioni, e… di nuove vie su ferro... naturalmente tutte parole, sparse al vento…!
La “Piedimonte” oggi è diventata come una bella favola per bambini, perché quando si racconta della sua storia, dei personaggi che la utilizzavano, della bellezza dei paesaggi attraversati, chi non l’ha conosciuta quasi crede che appartenga a un racconto per ragazzi, tante e tali sono state le metamorfosi avvenute…!
Questo libro viene pubblicato anche con l’intento di omaggiare la Ferrovia “Napoli-Piedimonte d’Alife”, che quest’anno festeggia il Centenario della sua inaugurazione, avvenuta il 30 marzo dell’anno 1913. Un tributo dovuto, perché gli abitanti di Piscinola e quelli degli altri quartieri attraversati dal treno, conservano ancora oggi dei ricordi bellissimi legati al suo servizio e, soprattutto, ricordano l’umanità e la gentilezza dei suoi dipendenti.
Spero che questi racconti siano letti con interesse e che destino nel lettore appassionato anche un pizzico di nostalgia...
Auspico che questi possano fare da “veicolo” ai giovani di oggi ed anche ai meno giovani, che non hanno conosciuto direttamente la “Piedimonte”, di riscoprire quei luoghi, per loro “muti” di storia e con essi tutte quelle tradizioni appartenenti al nostro territorio, ormai del tutto scomparse o dimenticate, con la speranza che queste possano essere da loro riprese e coltivate, per tramandarle alle prossime generazioni.
Spero, infine, che questi racconti contribuiscano in qualche modo a favorire la rinascita della coscienza civica ed il senso di appartenenza ad un territorio, così tanto devastato e martoriato."

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Con questo post commemorativo, scritto per ricordare il decennale della presentazione del libro a Piscinola, desidero ringraziare pubblicamente la cara amica prof.ssa Rosa Bianco, che mi ha esortato e aiutato durante i lavori preliminari di stesura del libro. Ringrazio tutti gli amici  che mi hanno accompagnato durante la presentazione presso la biblioteca comunale di Piscinola "D. Severino", in particolare: Giulia Biancardi, Anna Cascella, Loredana Basso, Maurizio Di Gennaro, Enzo Tomo, Giovanni Caracciolo e Biagio Palumbo.

Ringrazio ancora tutti gli amici dell'associazione "GAFA", che mi hanno aiutato nella raccolta del materiale fotografico e anche durante la preparazione del plastico della stazione di Piscinola e gli amici dell'associazione "Clamfer". Ringrazio infine il maestro Ciro Pernice, autore principale della stazione di Piscinola, opera che ha avuto tanto successo, anche durante le tante esposizioni successive alla presentazione, assieme ai coautori Marco Barone, Bruno Cotugno e Sabatino Palladino. 
Grazie a tutti voi, a maiora semper! 

Salvatore Fioretto