sabato 1 giugno 2024

"Vecchi ricordi di un marianellese", di padre Francesco Minervino

Proprio in questi giorni ci siamo imbattuti nella rilettura del bel libretto: "Marianella con la sua Chiesa nella storia", scritto e pubblicato nel maggio 1982 (seguito da altre due edizioni aggiornate negli anni), dai ragazzi dell'Azione Cattolica di Marianella, coordinati dall'allora Parroco, Don Salvatore Nappa, che abbiamo avuto il piacere di conoscere e frequentare quando era diventato parroco emerito di Marianella. Il libretto già lo conoscevamo, per aver curato la bella mostra allestita a Piscinola nel lontano 2004, sulla storia di Piscinola e di Marianella, perchè da esso attingemmo molti spunti di storia locale e riproducemmo le preziose foto d'epoca contenute. Ritornando a quanto sopra dicevamo, abbiamo riletto con maggior attenzione e con un pizzico di nostalgia la testimonianza scritta da don Francesco Minervino, che descrive uno spaccato di vita sociale dell'antico borgo di Marianella, così come si osservava nei primi decenni dello scorso secolo, e ci piace oggi pubblicarlo, per farlo leggere ai giovani e a quanti non hanno avuto ancora occasione di leggerlo.

-----------------------------------------  o  O  o  -----------------------------------------

"Quando ero ragazzo, Marianella era un villaggio, campestre. A Pizza Chiesa vi erano la Parrocchia, la Congrega e qualche casa semidiruta e nella Piazza Umberto I dominavano il palazzo Landi e il gruppo di case dei De Rosa: qualche altra casa, sempre fatiscente, esisteva nel "campo" e nel "campitello". A Via Case Marfella esisteva, infondo, un filare di vecchie case e da poco di fronte al palazzo Amitrano  era sorto un grosso edificio. Al Corso Napoli, caratterizzato da una grossa fila di Platani secolari non vi erano che il palazzo Morricone ed un paio di palazzi già vecchi, più però ve ne erano a Via Piscinola e a Via Indipendenza. Vi erano poi le masserie: "Renza 'e coppa, Renza 'e vasce", Vialletta, il Carduino e San Giovanni.
Quando nacque S. Alfonso, certamente non esisteva che la Parrocchia, il suo palazzo, e questi pochi palazzi circondati da campagne. Era proprio un luogo di villeggiatura.
Tra Marianella e Napoli non esisteva che la Via (era un viottolo) detta di S. Giovanni, attraverso la quale si giungeva  a San Rocco, e di quì si proseguiva per la Via di Sotto che attraversava Capodimonte. L'attuale via ('a via nova), tra il Garittone e Marano col grande ponte a San Rocco, fu resa agibile a tutti gli effetti verso il 1912.
Allora, si cominciò a scendere a Napoli con carretti dotati di sedili: poi vennero i trams. Ricordo che nel 1919 quando io e gli altri ragazzi, scendevamo a Napoli, per frequentare le classi ginnasiali, ci appendevamo dietro per non pagare il biglietto.



Vi era anche il gas; e per le strade e la piazza si allineavano i lampioni.
Anche nelle feste le illuminazioni stradali erano a gas. In quel tempo anche installate alcune fontanine di acqua del Serino in vari punti del Paese, ove la gente si portava per attingere acqua, mentre i ragazzi si divertivano spruzzandola sui passanti. I Padri (Redentoristi) avevano una cisterna che tenevano piena d'acqua piovana, nel timore che fossa mancata l'acqua del Serino e così essa sarebbe servita per essi e il popolo; durante l'ultima guerra fu preziosa.
Esistevano quattro "cupe": quella tra Chiaiano e Marianella; l'altra del Carduino; la terza fiancheggiava il muro di cinta del giardino dei Padri; e la quarta ov'è ora Via dell'Abbondanza. Erano luoghi di incontro di noi ragazzi che le frequentavamo per parare le tagliole e catturare gli uccelli, mentre i grandi vi stendevano le reti.
Marianella (come i paesi vicini) è sempre stato un paese di povera gente. Pochi uomini riuscivano a trovare lavoro a Napoli e il più delle volte scendevano a piedi per risparmiare il costo del tram.
Le donne erano in gran parte sartine, ma più specialmente lavandaie e guantaie. Le campagne erano ben coltivate: pesche, ciliege, pere, mele e noci vi prosperavano: poco grano e il granone (granoturco). Abbondava invece la canapa: in autunno, in tutti i cortili vi ergevano cataste di fasci di canapa essiccata che si maciullava con la gramola ('a macenela).
Le famiglie distinte erano poche: una sola ragazza per quanto mi ricordi fu educata in collegio e le mamme l'additavano ai figli come esempio. Le altre ragazze erano educate in casa e (come si diceva)  crescevano attaccate alle gonne delle madri. Si diceva: "Marianella è 'o paese rè figliuole belle" ed era così.
Il pranzo della gente povera consisteva in un solo alimento che si somministrava in una grossa zuppiera; ma alla domenica era festa, si facevano gli zitoni al ragù o gli strangulaprievete (gnocchi) con braciole e polpette. Nelle ferie abitualmente, pasta e fagioli, riso e patate, ciceri e tagliatelle, pasta e lenticchie e verdura in quantità. Per i ragazzi zuppa di pane e latte al mattino, cena per nessuno, perchè si pranzava al ritorno degli uomini da Napoli. Negli intervalli si sbocconcellava del pane, quando c'era, perchè allora non esistevano panetterie, che incominciarono solo verso il 1920. Ogni famiglia faceva il pane in casa e in ogni cortile vi era un forno. La confezione del pane impastato nelle grosse madie era come un rito: si avvicendavano le mamme e le figlie ed era come una festa di famiglia. Uno spettacolo ancora più interessante era la preparazione dei dolci nelle festività: non mancavano neppure per i poveri. A Natale mustacciuoli, struffoli, susamielli, raffaiuoli, taralli e pizze dolci.
Tutti i fanciulli frequentavano le scuole: l'asilo infantile si trovava nel palazzo della scuola media, attualmente abbattuto (anno 1982), adiacente al palazzo Merricone. La 1^ elementare si teneva nel palazzo Lampo; la 2  e la 3 nel palazzo a sinistra di via Chiesa; la 4 elementare si faceva a Piscinola, essendo pochi i ragazzi di Marianella. Alla uscita di scuola era quasi immancabile ingaggiare battaglia tra piscinolesi e marianellesi a colpi di pietra, nel tratto tra il "Principino" e Marianella ('a vainella). Dopo la scuola l'unico posto di incontro era la Chiesa.
Il catechismo si insegnava a classe, in Parrocchia e anche in Cappella, da brave signorine insegnanti. Per la prima comunione si interessava la Sig.na Benigni maestra d'asilo coadiuvata da una sua sorella che abitavano in via Ramaglia. Dalla loro casa si andava in corteo in Chiesa per ricevere la Comunione, che si faceva a sette anni. La preparazione immediata ad essa per noi ragazzi si faceva in una cappella antistante la casa dei Redentoristi che è stata abbattuta e come premio avevamo solo fichi secchi. Il mese di maggio era un avvenimento: era il mese delle signorine che gareggiavano nell'onorare la Madonna.
Si predicava da una cattedra eretta al lato destro della Chiesa. Ricordo ancora con nostalgia, l'eco del "al tuo piè Maria diletta". Nell'ultima sera mentre il predicatore tornava in sacrestia veniva ricoperto di fiori. Esisteva la "shola cantorum" diretta dai Saetta: quando le signorine cantavano in cappella questa si trasformava in paradiso.
La cappella poi era frequentatissima: alla domenica le donne invadevano perfino il presbiterio e gli uomini assiepavano la sacrestia. Anche la Parrocchia era frequentata: alla domenica per l'ultima Messa era così gremita che gli uomini l'ascoltavano dalla Piazza. Eterna emulazione tra le associazioni del Carmine e di San Vincenzo, solo più tardi ci fu quella di San Giovanni. Si faceva a turno la festa: luminarie a gas acetilene, banda musicale locale, imponente processione, con la partecipazione delle associazioni dei paesi vicini, sparo di mortaretti (maschi) al mattino e fuochi d'artificio alla sera con gara tra i fuochisti.
In una delle sere si riffava ciò che i contadini avevano dato in dono. Solo in queste feste si vendevano i gelati a crema, abitualmente però si gustava il sorbetto (la limonata). Anche perché allora non esistevano bar, ma vi erano molte cantine per cui non era difficile imbattersi con ubriaconi.
La moralità dei marianellesi era encomiabile anche perché ottimi e zelanti parroci si erano succeduti in Parrocchia. La presenza dei Padri Redentoristi garantiva poi una formazione rigidamente cristiana: non ricordi episodi riprovevoli in quel tempo.
Il fidanzamento era praticato secondo le leggi della morale: visite brevi e non frequenti, in genere alla domenica e sotto sorveglianza dei genitori. E del resto era impossibile permettersi alcuna leggerezza perché allora si abitava in una grande stanza e si era costantemente sotto lo sguardo dei genitori e dei fratelli: all'Altare si giungeva veramente vergini.
Il matrimonio era molto semplice, tra gente povera: si formava un corteo con a capo gli sposi, seguiti dai parenti e dalla casa della sposa si andava in Chiesa; si usava la sola distribuzione dei confetti, e solo pochi si permettevano di dare taralli con la sugna, vino, biscottini, ancinetti (tipo di dolce all'anice - n.d.r.) e vermouth.
Il giorno precedente si portava in mostra il corredo della sposa dalla casa della madre alla nuova abitazione e per la mobilia tutto si riduceva al letto, un tavolo, qualche armadio e poche sedie.
Non vi è stato mai a Marianella un luogo di svago o di ritrovo essendo un sobborgo di Napoli. Le strade anguste e senza marciapiede non permettevano una passeggiata, non vi era nè una Villa né una grande piazza meritevole di questo nome, non vi era una biblioteca (adesso però c'è presso i Padri Liguorini e chi vuole ne può usufruire).
Al ritorno dal lavoro gli uomini si raccoglievano nelle cantine per bere e per giocare, solo la domenica essi andavano nelle masserie, dove era facile farsi anche una partita a bocce: la più frequentata era la masseria di Peppina 'a Corta alla periferia di Chiaiano.
I giovani se avevano soldi se ne scendevano in città per assistere a qualche spettacolo o si portavano a casa della fidanzata se l'avevano, mentre i ragazzi facevano quello che sempre hanno fatto e cioè giocavano fra di loro: i giochi erano "'a campana, mazza e piuzo, le comete, gli strummoli, il maglio per lanciare lontano una pallina di legno, gli schioccarielli di sambuca, corsa a piede e coi cerchi, oltre alle buccelle e 'a nascunnarella".
Da non dimenticare: Marianella con Villaricca, aveva di singolare, l'allevamento di cani da presa o mastini napoletani, cani feroci, ai quali si tagliavano le orecchie e si castravano. Erano il terrore  delle masserie, e anche adesso sono ritenuti i migliori cani da guardia, richiesti in tutto il mondo.
Veniamo ora alle condizioni sanitarie. Le epidemie erano di casa a Marianella. Lo spettacolo dei "morticelli" (Il più funesto ricordo della mia infanzia) si ripeteva frequentemente, e noi ragazzi andavamo raccogliendo i confetti che si gettavano ai bambini morti. La "Spagnola" trovò il terreno adatto per svilupparsi in una borgata ove l'igiene era sconosciuta e dove di cessi ne esisteva uno solo per cortile, con continue risse perche si otturavano. Il Tifo Petecchiale non ha avuto però fortuna a Marianella! Di medici ve n'era uno solo: don Gaetano Landi; e qualche "vammana": il medico era come una persona di famiglia.
Per le esequie provvedeva la Congrega: i fratelli si vestivano col camice bianco con mantelletta celeste e con in testa un cappuccio con due fori per gli occhi: e questo costituiva  un vero e proprio spauracchio per noi ragazzi.
E' quanto la memoria mi ha dato modo di ricordare ai miei concittadini giovani e anziani per onorare con Marianella i marianellesi del passato: e sono grato, per questo, al Parroco amico Don Salvatore Nappa perché è riuscito attraverso i giovani di azione cattolica della Parrocchia a dare alla storia tutto quello che di buono, e non è poco, praticavano i nostri antenati."

Padre Minervino Francesco

Marianella dei nostri tempi (nuovi alloggi di ediliza popolare)


Nessun commento:

Posta un commento