sabato 25 maggio 2024

Della serie i racconti della Piedimonte: "Paisanella ca tutt’ ‘e matine piglie ‘o treno d’ ‘e sette e diece"… Di Luigi Fiorentino

Per la serie "I racconti della Piedimonte", ecco un altro bel racconto scritto da Luigi Fiorentino e pubblicato nel sito dell'associazione Clamfer (www.clamfer.it) alcuni anni fa, s'intitola "Paisanella ca tutt’ ‘e matine piglie ‘o treno d’ ‘e sette e diece".
Il racconto è stato inserito anche nell'appendice del libro "C'era una volta la Piedimonte", ed. Athena, anno 2014, di S. Fioretto.

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"In una bellissima ed azzurra giornata di un marzo, reduce da uno sciopero scolastico, mi ritrovai a passeggiare fra negozietti e bancarelle di Porta Capuana, con Mara, graziosa e riservata studentessa del liceo Garibaldi di Napoli.
Il tempo passò veloce ed all’orario di partenza
l’accompagnai in Piazza Carlo III dove c’era lo scalo del treno che ogni giorno la portava in città dalla provincia di Caserta.
In un angolo di questo maestoso spazio cittadino, sorgeva un grazioso fabbricatino grigio e rosa che allocava il fabbricato viaggiatori della Ferrovia Napoli-Piedimonte d’Alife.
I suoi servizi essenziali: l’ufficio movimento e
capostazione, la biglietteria con sala d’aspetto ed il deposito bagagli, erano sistemati in fila nei locali che si aprivano sul marciapiede; l’ultimo vano era riservato ad un piccolo caffè ristoratore la cui macchina espresso inondava l’aria di vapore dal vago sapore di cappuccino.
Prospicienti gli uffici erano presenti due binari, dove
sostavano i treni viaggiatori. Le modeste carrozze dei convogli erano fornite all’interno di sedili di legno, di porte e finestrini che funzionavano solo manualmente. I vestiboli d’ingresso agli scompartimenti, posti su alti scalini, erano protetti solo da precari cancelletti di ferro.
Questo permetteva ai viaggiatori di salire e scendere in assoluta libertà. Ogni convoglio in partenza, attraversando la piazza a velocità ridotta per cautela, consentiva a numerosi ragazzi del vicino borgo di Sant’Antonio Abate di rincorrere i treni ed attaccarsi per divertimento alle carrozze, fra il timore e l’ilarità dei viaggiatori.
Sullo staffone della motrice di testa viaggiava un addetto
della stazione che, con gli squilli di una trombetta e lo sventolio frenetico di una banderuola rossa, fermava il traffico di carretti, pedoni ed auto, che in quel tratto interferivano con i binari ferroviari. Ciò doveva servire ad agevolare il procedere del convoglio e prevenire spiacevoli incidenti.
Accadeva poi che i treni in arrivo, attraversando con lentezza la lunga e spaziosa piazza prima di arrestare la loro corsa in stazione, consentivano a molti audaci e frettolosi passeggeri di saltare giù dai vagoni ancora in movimento, concludendo sovente le loro acrobazie con spettacolari e rovinose cadute. A queste mie personali osservazioni della ferrovia, Mara che se ne serviva ogni giorno per recarsi a scuola, aggiunse le sue lamentele per l’insufficienza di posti a sedere, per i ritardi smisurati e talvolta per la cancellazione improvvisa di qualche corsa. Pertanto non ci fu grande sorpresa quando, quel giorno, apprendemmo che la corsa pomeridiana era stata spostata presso lo scalo merci posto sulla salita di Via Don Bosco. Più tardi scoprimmo che lo spostamento era affatto occasionale, ma rappresentava una novità in pratica definitiva.
Questa nuova stazione di testa si apriva su un grande e squallido terrapieno che disponeva di un paio di capannoni in muratura, una fontanella il cui getto fuori misura creava chiazze di acqua e fango; una lunga pensilina in lamiera, appoggiata su tubi Innocenti tra i due binari, serviva con precarietà a proteggere i viaggiatori in attesa dalle intemperie. Un poco più in là, sostavano alcuni carri merce abbandonati. Tutt’intorno si apriva una bellissima campagna piena di verde e con una
vista totale e spettacolare sul golfo di Napoli.
Il treno non era ancora arrivato e nell’attesa scendemmo alcune balze di quella bella campagna. Per riposarci ci sedemmo su due pietre poste lì come due sediolini di una sala d’attesa. Dopo esserci divise una piccola colazione che aveva Mara ed una sigaretta nazionale che avevo io, la ragazza che non aveva mai perso quella sua aria seria ed infastidita, incominciò a parlarmi come ad un vecchio amico.
Mi raccontò della sua famiglia che viveva di agricoltura in una masseria posta tra San Tammaro e la frazione di Carditello; del suo grande desiderio di continuare gli studi dopo il liceo, di laurearsi e vivere in città.
Ai genitori, estremamente condizionati dalla mentalità mediocre del paese, non perdonava di averla chiamata Tammara in onore del Santo Patrono locale, di vietarle di
indossare i pantaloni e di fumare qualche sigaretta.
Presi coraggio e raccontai delle difficoltà nel frequentare
la mia scuola, dei difficili rapporti con i miei genitori e del mio grande desiderio di lavorare subito. Conclusi dicendole che anch’io avevo un nome, Pasquale, poco gradito. Mi era stato imposto per far piacere ad un noioso zio senza figli.
In poco tempo si instaurò fra di noi un bellissimo clima
cameratesco di appartenenza generazionale. Ci sentimmo eroi vicini e solidali che lottavano come tutti i giovani, contro le incomprensioni di una società vecchia ed arretrata.
Proprio quando in quel momento nasceva fra di noi
un’amicizia non sentimentale ma fatta di bei sentimenti condivisi, il silenzio della campagna fu rotto dal fischio del treno che si apprestava a partire verso Piedimonte.
Appena il tempo di un sincero arrivederci ed il lungo ed affollato convoglio si mosse; prima lentamente, poi avanzò deciso verso la piccola galleria scomparendo definitivamente.

Epilogo: La Ferrovia Alifana dopo vari arretramenti scomparve per sempre nel 1976.

Mara, la ragazza, si laureò nel 1963 in chimica. Fu presto assunta nel CNR vincendo nel 1975 un premio per la sua ricerca sulle plastiche industriali.

Pasquale, la voce narrante, restò un romantico, visse una vita di lavoro ed una volta in pensione si convinse ancora di più, che il lavoro sia il migliore dei passatempi."

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Ringraziamo ancora l'autore per questo bel racconto e tutti gli amici dell'Associazione "Clamfer" di Napoli.

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In appendice a questo racconto ci piace spiegare la fonte del titolo del post, che è rappresentata dalla prima strofa della canzone napoletana "'O treno d''a fantasia", scritta proprio nel periodo al quale risale il racconto e, ancora (per seconda curiosità), che questa canzone fu cantata nel corso delle scene di un film, di uguale titolo, nelle quali è ripresa proprio la nostra Piedimonte..., ma questo sarà l'argomento di un altro dei racconti della serie...!

Ecco la canzone e il testo:

'O treno d''a fantasia (link della canzone interpretata da Gloria Christian, cliccare con il mouse)

Musica di Luigi Ricciardi, versi di Augusto Cesareo, 1957; interpreti: Sergio Bruni, Gloria Christian, Aurelio Fierro.

IL TESTO:
Paisanella ca tutt' 'e matine
piglie 'o treno d' 'e sette e diece
,
cu' chist'uocchie culor curvine
mai te veco 'e me guardà.
Tu t'assiette vicino 'o spurtiello,
e smaniosa annascunne 'a cartella,
po' a' 'ntrasatte te pitte 'a vucchella,
guarde ll'ora e te miette a penzà...

Ritornello:
E ttuffe, e ttuffe e ttuf!
E 'o pensiero che corre e và
e p' 'e strade d' 'a fantasia
'a stu treno te faie purtà!
E ttuffe, e ttuffe e ttuf!
pe' te 'e rrose so' senza spine,
'e speranze so' tutt' 'e bene...
pure 'e llacreme so' canzone...
E ttuffe, e ttuffe e ttuf!
già te vide e' 'o velo 'e sposa,
ma ll'ammore ca pienze tu...
E ttuffe, e ttuffe e ttuf!
manco a Napule ce sta cchiù!...

Paisanella ca po' tutt' 'e sere
te ne tuorne c' 'o stesso treno,
a chi puorte dint' 'o penziere
io vulesse andivinà.
Ogni ghiuorno, ogni ghiourno è 'nu mese
pe' chi passa 'na vita 'o paese,
ma pe' mme - d' 'a durata 'e 'na rosa
è st'ammore che smania te dà! 


Ritornello:
E ttuffe, e ttuffe e ttuf!


Finalino:
Chisto è 'o treno d' 'a fantasia...

S. F.

2 commenti:

  1. Descrizione scorrevole e perfetta, piacevole da leggere e navigare nella nostalgia di un tempo che fu.
    Grazie

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