martedì 26 aprile 2022

Il Calendimaggio a Napoli... La processione di San Gennaro... (di Matilde Serao)

La scrittrice Matilde Serao, autrice del racconto

Sabato prossimo, 30 aprile, ossia "Sabato che antecede la prima domenica di maggio", la chiesa e la tradizione di Napoli commemorano la seconda festività dell'anno dedicata a San Gennaro, ricordando, in un'unica data, le varie traslazioni che hanno subito i resti del Santo Patrono, nel corso dei secoli. Questa solennità viene celebrata ininterrottamente almeno da 15 secoli...! Un tempo avveniva tra lo sfarzo della nobiltà e anche con la massiccia partecipazione popolare.
La ricorrenza viene quindi celebrata ordinariamente con una solenne processione che, dalla Cattedrale si snoda per le strade di Spaccanapoli, fino alla basilica di Santa Chiara, a cui partecipano diverse statue argentee dei santi cosiddetti "compatroni" (sono in tutto ben 53!), oltre ovviamente le reliquie del capo e del sangue del Patrono San Gennaro.
Come da tradizione, ormai consolidata, "Piscinolablog" dedica annualmente un "post" particolare a questa ricorrenza cittadina, di grande importanza, comunitaria e religiosa; quindi anche quest'anno ripete la dedica, pubblicando un racconto scritto dalla famosa giornalista e scrittrice, Matilde Serao.
Considerato la lunghezza del testo, abbiamo pensato di dividerlo in due parti, e riportando un estratto più significativo del racconto tratto dal libro "Il paese di cuccagna".
 

Buona Lettura.

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[...] "Calendimaggio è bello, in Napoli, per il soffio carezzoso dell'aria, per le vivide strisce di cielo azzurro, che finiscono per dar gaiezza alle strade più tetre e più cupe: è bello calendimaggio, per le rose che germogliano da tutte le parti, che pare sgorghino finanche dalle mani delle donne e dei fanciulli, per tutti i semplici fiori dei giardini e degli orti: è in calendimaggio, che le reliquie di San Gennaro sono portate dal Duomo, dove sono preziosamente deposte nei sotterranei che portano il nome di Succorpo e Tesoro di San Gennaro, alla chiesa di Santa Chiara, perché il Santo si degni, pregato dalla popolazione, di fare il miracolo della ebollizione del Sangue. La testa del vescovo di Pozzuoli (di Benevento n.d.r.), tagliata dalla scure  del  carnefice, è messa in una maschera di oro, tutta ricca di gemme preziosissime, scintillante di mille fuochi. L'altra reliquia, è il sangue coagulato, contenuto in un'ampollina di cristallo finissimo: nel sangue coagulato vi è ferma,  di traverso, una pagliuzza visibilissima nel grumo nerastro e freddo,  raccolto dalla pia gente che assistette al martirio del vescovo e conservato pietosamente; è nel giorno quattro di maggio (riferito a quell'anno n.d.r.), nel calendimaggio fiorito e odoroso, che queste reliquie vanno portate in trionfale processione, dalla Cattedrale alla Chiesa di Santa Chiara.

Ora, quest'anno 188..., pareva che più rigoglioso fosse nato nel cuore del popolo il fiore della fede, che più vivida sgorgasse la devozione per il patrono della città: poiché dalle due pomeridiane la folla accorreva, accorreva alla vecchia Napoli, assiepandone le vie strette, assiepandone le viuzze e i vicoletti, e gli angiporti. [...]
Più rigoglioso, in quell'anno, sorgeva l'affetto del popolo per San Gennaro, come se un novello impeto di fede avesse ingagliardito le buone anime napoletane: a una certa ora, la circolazione delle carrozze fu impedita, per Forcella e per i Tribunali, e tutti coloro che in quel giorno partivano da Napoli o vi arrivavano, per andare dalla stazione alla città o dalla città alla stazione, dovevano fare un lungo giro, per la via Medina, o per la via di Foria. Al passeggero distratto che domandava la ragione dell'interminabile cammino, il cocchiere  rispondeva: San Gennaro, e si toccava il cappello con la frusta, per salutare il patrono. E cercava di affrettare il passo del suo cavallo, non per zelo, ma per andarsene anche lui, il cocchiere, dopo aver messa la carrozzella in un portone, o dopo essersi fermato con essa, in un cantone di via, a veder passare il glorioso Sangue di San Gennaro.
E se tutte le vie piccole erano fitte di gente, se tutti i balconi sontuosi e i balconcini poverelli delle grandi case patrizie e delle misere case che sorgevano loro accanto, erano gremiti di persone, nell'ampia via del Duomo lo spettacolo della folla era imponente. La grande strada che unisce la collina al mare, con una discesa troppo ripida, da via Foria alla Marina, è che è stato  il primo taglio chirurgico attraverso la vecchia Napoli, taglio energico mal fatto, un po' brutale, un po' ridicolo come architettura, ma certamente salutare, la gran via del Duomo che è la Toledo dell'antica Napoli, aveva la maestà delle grandi giornate napoletane, in cui una fiumana di popolo fa paura anche ai fieri misuratori della folla. Vi era gente sino ai Gerolomini e sino al Pendino, in sotto e in sopra, e nei portici che sono a destra e a sinistra del Duomo, e sull'ampia scalinata, e sui lampioni del gas, e infine  sulla impalcatura che da anni  ed anni copre la facciata della Cattedrale, per le rifazioni, vi era gente, stretta, pigiata, soffocando all'aria aperta, gente attaccata a un fusto di ferro, a una trave, reggendosi in bilico, miracolosamente, sopra una tavola di legno malferma.
Ogni tanto una madre, tra la folla, levava in aria un bimbo per farlo respirare più liberamente, e il bimbo agitava le gambine e le braccia, giocondamente, per quello slancio, nell'aria dolce di calendimaggio. Invano gli scaccini del Duomo tentavano di far largo, perchè la processione già era formata nella chiesa: la folla, un momento respinta, tornava alla carica, con una spinta così forte, che andava a sbattere contro la facciata  della chiesa. A un tratto da sotto l'arco nero della porta spalancata, dove qualche cero, in fondo brillava, si udì un salmodiare grave grave, e la testa della processione apparve, fra il gran silenzio e la immobilità della folla. Lentissimamente, con un moto quasi impercettibile, procedevano in avanti gli ordini religiosi napoletani. Monaci bianchi, e neri, e marrone, monaci scalzi o con gli zoccoli, con cappuccio o con lo zucchetto, che cantavano le laudi del Divo Gennaro, con gli occhi vaganti, coi cerei  inclinati, la cui tenue fiammella non si vedeva, divorata dalla grande luce pomeridiana e che un monelletto scortava, per raccogliere in una carta le grosse gocce di cera che cadevano dai cerei: domenicani, benedettini, francescani, verginisti, missionarii, gesuiti, monaci e preti, in due file, trascorrenti, portati tra la folla, non guardandola, fissando un punto lontano dell'orizzonte, fissando la terra: e tutte le bocche erano schiuse al canto, alla salmodia latina, schiuse con una linea severa, grave, come il canto che ne usciva e ondeggiava, con severa intonazione, sulla testa della folla: e involontariamente, mentre gli ordini religiosi scendevano con un moto impercettibile verso Forcella, nella folla, i devoti che conoscevano le preghiere latine dedicate al Divo Januario, si univano al canto grave delle corporazioni religiose, e un'altra larga parte della folla, eccitata dall'aria, dalla luce, dal canto altrui, schiudeva la bocca a intonare anch'essa una salmodia senza parole, in preda a un principio di mistica tenerezza, e dal basso di via del Duomo, la processione e la folla, che si avanzavano insieme, erano un seguito di bocche aperte, mille bocche, duemila bocche che cantavano gravemente e il cui gran rumore si perdeva nell'ampio cielo.
Ma quelli che procedevano verso Forcella, non lasciavano via Duomo libera poiché il loro posto era preso da nuovi accorrenti, che spingevano avanti gli altri, e a un tratto, passata la sfilata  dei parroci della città, passati i canonici dell'antica chiesa di San Giovanni Maggiore, vi fu un lieto tumulto fra il popolo, un movimento immenso di attenzione e di soddisfazione. Era..."

(segue nella seconda parte del post)

 


Matilde Serao, fotografata nel suo studio

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