Piazza B. Tafuri, Congrega e edificio T. Tasso. Creazione grafica di S. Fioretto |
"Nel 1943 morirono a Piscinola 12 bambini per
un bombardamento in vico Primo Plebiscito, mentre due bambini morirono in via Vecchia Miano, a causa dello scoppio di mine che i bambini avevano accidentalmente trovato e fatti esplodere durante i loro giochi. Nell'incidente di via Vecchia Miano un terzo bambino fu ferito, perdendo un occhio.
Palladino Domenico abitava in via
Vecchia Miano nel palazzo detto della “Meza
capa” (palazzo Di Febbraro), assieme ad altri partigiani, inseguirono un tedesco, il quale salì nell’appartamento,
e si nascose sotto il letto, ma nello scontro si spararono a vicenda e morirono
insieme (secondo le cronache, in uno stabile in via Vittorio Veneto). Un altro
piscinolese, soprannominato "‘o zuoppo", rimase ferito, perché si trovò in mezzo a una sparatoria
tra tedeschi e partigiani.
La Piedimonte fu bombardata nella
stazione di Secondigliano e ci furono i morti.
Durante la Guerra, con la mia famiglia, assieme a tanti altri, ci recavamo in un
rifugio ricavato "dint’o Monte", detto così perchè questo rifugio era stato ricavanto in
una cava abbandonata, situata in località Boscariello:
stava appena dopo l’incrocio, scendendo, sulla destra della strada, da lì si accedeva al
rifugio antiaereo.
La signora maestra Altamura era
di Calvizzano e veniva alla scuola Tasso con il treno della Piedimonte. Anche le
altre maestre venivano con la Piedimonte, molte da Aversa. Le mie due maestre
si chiamavano Vastarella e…(non ricordava il nome). Molte insegnanti dormivano nella
casa costruita nell’ex giardino della Piedimonte e lì facevano anche
doposcuola.
Palazzo Villa Vittoria, detto "Grammatico" (Foto di repertorio) |
Padre Juvè era un monaco (era un gesuita) che organizzava le Missioni, ogni
volta metteva le croci in ricordo di quei raduni, come sotto al campanile della chiesa di Piscinola e su via Napoli a Marianella.
Convertiva le persone e andava a convincere le persone che si riunivano nei
luoghi di gioco ad abbandonare il vizio e a partecipare alle funzioni
liturgiche in Chiesa.
Ricordo il vecchio parroco Carandente, originario di
Calvizzano, aveva una grande ferita alla testa come il segno di una croce… Poi
vennero i due Ferrillo. Angelo, divenuto parroco, e il fratello (era invece il cugino, anche lui di nome Angelo) …., detto “’o piccerillo”, che poi andò a fare il parroco nella
parrocchia di Chiaiano.
Con il treno della ferrovia
Piedimonte si andava fino a Piedimonte, sotto alla montagna del Matese, dove c’era
un tram (?) che portava sul lago del Matese. Spesso ci recavamo anche a Caiazzo. "Come era bello e comodo quel treno, che
peccato che lo tolsero da mezzo!".
Stazione di Giugliano, foto di H. Roherer, 1972 |
Il lunedì facevano la vendita all’asta e i fuochi. Il martedì c’era il concertino. Prima al concertino partecipavano solo i cantanti maschi, poi, man mano, si aprirono anche alla partecipazione di cantanti donne, vennero: Gloria Cristian, Angela Luce, Maria Paris; tra i cantanti uomini vennero a cantare: Aurelio Fierro…..
A Pasquetta andavamo alla festa dell’"Archetiello" a Miano, dove si compravano giocattoli semplici e poco costosi. Spesso si ci allungavamo anche alla chiesa che stava giù al Cavone.
Festeggiamenti della Madonna di Loreto in vico Operai, anni '50 |
Ogni zona di Piscinola aveva una sua festa: ‘o Capo 'a Chianca: il Crocifisso e facevano anche la funzione del Crocifisso; 'a Madonna delle Grazie: la festa della Madonna e facevano ’a funzione di Campoleone; ‘o vvico ‘a Pagliaro: la Madonna de Loreto; ‘o Capo ‘e Coppa: il SS. Sacramento e ‘Mmieza ‘a Piazza: l’Addolorata. Abbascio Miano si festeggiava la Madonna del Carmine e S. Anna. Durante ogni festa si faceva una grande processione, dove i soci delle varie associazioni si vestivano tutti uguali, in abito nero e portavano i fiocchi dello stendardo. Quello del Crocifisso indossavano, come distintivo, oltre a un crocifisso al collo, anche una lampadina rossa all’occhiello.
Con la mia famiglia coltivavamo ben 33 moggi di terreno a Scampia (equivalente della superficie di 10 ettari) e vi accedevamo attraversando via Cupa Acquarola. Il proprietario era un certo sig. Frignano, presidente della Cassa del Mezzogiorno e della Banca dei Paesi Vesuviani. Era chiamato "‘o Signore d’’a terra". La mia famiglia aveva anche diversi appezzamenti di terreno di proprietà, che dicevamo "‘a terra franca". Il terreno della fondazione Ruggero non fu donato, ma venduto alla fondazione da Ruggero(?), perché i proprietari delle campagne erano tutti “tirati”, e non donavano niente a nessuno!
Spesso portavo liberamente il maiale per le strade, attraversando via Cupa Acquarola e, giunti in campagna, gli davo da mangiare "'e papagne" (dei papaveri) ed altre erbe. Si diceva anche il detto: ‘a ll’Annunziata leva ‘o puorco ‘a dint’’o pprato!
La mucca, quando la portavamo a montarla, si diceva: "porta'’a ‘ntaurà” 'a vacca" (il termine deriverebbe da "tauros"= toro). La gestazione della mucca durava nove mesi e dopo il parto avveniva l'allattamento del vitello; la mucca si faceva accoppiare di nuovo, dopo un anno. Durante la gestazione, la mucca produceva il latte, anche se in quantità ridotta.
Raccolto della Canapa, foto nelle campagne del Casertano |
In campagna, seminavamo il granoturco, dopo l'avvenuta raccolta del grano. Si chiamavano i portatori di buoi, con il "prussiano", (aratro) per fare "porche" (solchi). Noi, che seguivamo i buoi, seminavamo i chicchi di granoturco. I buoi venivano da un paese di Caserta.
La Canapa si seminava sul terreno, dopo averlo zappato e "schianiato" (terreno livellato e appianato dalle zolle), a tale scopo tiravamo a mano il "mangano" (una specie di erpice) e nei solchi che si facevano, seminavamo i semi della Canapa. Io ero bravissima a seminare i chicchi, non ne sprecavo nemmeno uno, tutti sistemati nei piccoli solchi formati. Poi i semi si coprivano di terreno, facendo uso dei nostri piedi. Infine, passavamo sulla superficie di terreno un fascio di rametti di erba selvatica, chiamata "‘e fetiente", che uniformava il tutto e rendeva fine la superficie, perché così era richiesto per la coltivazione della Canapa, questo per poter fare germogliare facilmente i semi.
Messa a macero della canapa ai Lagni:i massi appesantivano i fusti in acqua |
Quando si raccoglieva la Canapa, la portavamo a macerare ai Lagni (Regi Lagni) e, poi, una volta mecerata e seccata, era riportata nell'aia della nostra masseria, dove si estraevano le fibre dal tessuto degli steli; mentre con “i capizzi”, ossia i fusti della Canapa, si formava il “letto”, sul quale erano messe le mele annurche a maturare e, poi, dopo l'utilizzo, si bruciavano nel camino.
Io spesso estraevo dalle matasse un po’ di Canapa e la portavo a farla tessere nel palazzo Chiarolanza, dove c’erano "‘e vicchiarelle", che avevano un telaio e tessevano dei teli. Non ricordo della produzione del lino a Piscinola.
Prima non c’era il frigorifero e per la conservazione durante l'inverno si seccava al sole tutto il raccolto durante l'estate. Con le fave piccole, dette "‘e favielli", oltre a essere utilizzati per concimare la terra, si seccavano e si cuocevano in inverno. I zucchini si facevano a fette e pure erano esposti al sole per essere seccati, erano chiamati "‘e felle".
L’urina raccolta nelle stalle, dentro un pozzetto interrato chiamato "pisciniello", era trasportata nei campi, a spalla, dentro un contenitore di legno (detto ‘o varricchione), sostenuto con un asse di legno da due portatori e serviva come concime delle colture (elemento ricco di azoto e potassio).
Durante i lavori nei campi, agli operai si cucinava "pasta e patate" o "pasta e fagioli" e quindi si portava il pasto in un'unica "zuppiera", racchiusa in un telo. Dalla "zuppiera" mangiavano tutti insieme, ognuno con una propria posata. Si beveva in una grande otre ("mummara") di terracotta, detta "aulara" (altri chiamavano "‘o Zerretiello"), che era anche molto pesante da portare. L’acqua si manteneva fresca, anche con il caldo estivo.
Chi restava a casa, durante la settimana, mangiava "pasta e patate", "pasta e fagioli", a volte "pasta e ceci", broccoli lessi, rape lesse, e altri piatti semplici. Spesso nel forno a legna si cuoceva un "ruoto di patate" (patate al forno), con l'aggiunta di sugna: non si crederà, ma l’odore genuino e accattivante si diffondeva per tutta Piscinola…!!
Si cucinava condendo le pietanze sempre con sugna e lardo, pochissime volte si utilizzava l’olio d'oliva. Nessuno aveva il colesterolo alto e altre patologie…!
La carne si mangiava solo la domenica e sembrava veramente una festa: Allora si vedeva che era domenica…!.
La pasta si faceva in casa con farina e uova, e si formavano "le pettule" (specie di sfoglie di pasta per fare delle fettuccine).
Stazione di Santa Maria C. Vetere, S. Andrea de Lagni |
Nel forno a legna, dopo aver sfornato il pane, si mettevano a cuocere anche le cotogne e le mele.
La "quagliata" era un formaggio molto liquido, realizzato con il latte avanzato; questo formaggio si rapprendeva mettendo dentro il "caglio". Il "caglio" ci veniva dato dai caprari, e in cambio noi li facevamo accedere nelle nostre terre, per far pascolare le loro pecore e capre. Il "caglio" era usato un poco alla volta, ogni volta che si faceva il formaggio della "quagliata". Sovente la "quagliata" si portava anche nei campi e si mangiava in mezzo a due fette di pane.
Spesso, quando si era nei campi, anche i pomodori si mangiavano schiacciati in mezzo al pane. Non si lavava niente!
I ravanelli si raccoglievano dal terreno, si pulivano, strofinandoli sui vestiti e si mangiavano così… Oggi invece utilizzano l’Amuchina per disinfettare…, hii!
Le nostre mele, dette "Austegne", erano molto saporite, e maturavano a fine di agosto: erano piccoline, bianche, con macchioline rosse. Non si sono viste più da anni...!
Seminavamo una qualità di patate che erano dette "Ghianculelle", avevano la pasta bianchissima, che non si sono viste più da allora! C’erano anche la qualità dette "‘e Riccioni".
Le patate per la semina non si compravano, ma ogni anno si conservava una certa quantità, di ogni qualità, per utilizzarle nella semina dell’anno seguente.
Con uva "Tindarella" usavamo colorare e dosare il vino. Il vino era buono e durava tutto l’anno.
Da ragazza eseguivo anch'io i lavori nei campi particolarmente faticosi, come l’irrorazione delle viti, con pompa a mano, utilizzando calce e "Verderame". Il "Verderame" e la calce si facevano sciogliere nell’acqua, dal giorno prima.
In via Cupa Acquarola molti andavano a fare i bisogni all'aperto, perché non c’erano i bagni pubblici. Quando pioveva molti realizzavano delle specie di canalizzazioni, con piccoli argini di terreno, per incanalare quell’acqua concimata nei loro campi…
Prima il netturbino comunale (forse anche di ditta appaltante) andava per tutte le case, con il sacco a tracolla, scendendo e salendo scale dei palazzi; i rifiuti si mettevano dentro a un carro detto "carrone", che aveva le sponde alte e si portavano via. Per avere quel rifiuto, che serviva a concimare i campi, si doveva pagare!
La "Maternità" in via Vittorio Veneto occupava tutto il primo piano del palazzo, lì si curavano e si visitavano le madri incinte o allattanti e i bambini piccoli. La chiusero negli anni cinquanta, perché la struttura fu spostata nel vecchio Municipio in piazza Tafuri: la nuova sede si trovava dietro la scala al piano terra del cortile".
Purtroppo, da qualche anno, la cara anziana piscinolese ci ha lasciati, resteranno di lei questi belli e nitidi ricordi, scritti e conservati nelle pagine di questo blog, per tutti coloro che vorranno leggerli in futuro.
Ciao, cara G. L.
Salvatore Fioretto
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