Ricordare
l'umanità che frequentava ogni giorno
le corse dei treni della ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife, nonché gli altri
mezzi di trasporto dell'epoca, è sempre motivo di nostalgia, perché è stata
quella una ricchezza andata perduta per sempre...
Tanti aneddoti potremmo scrivere, di numerosi episodi accaduti tra gli scompartimenti dei convogli della Piedimonte nel corso dei suoi oltre sessant'anni di esercizio: come di storie di amicizie, di amori, di tradimenti, di litigi, ma anche di personaggi curiosi, che sovente si incontravano a bordo dei treni. Tra questi anche tanti venditori ambulanti e, naturalmente, di musicisti e cantanti, che si improvvisavano mattatori, per poter sbarcare il cosiddetto lunario.
Tanti aneddoti potremmo scrivere, di numerosi episodi accaduti tra gli scompartimenti dei convogli della Piedimonte nel corso dei suoi oltre sessant'anni di esercizio: come di storie di amicizie, di amori, di tradimenti, di litigi, ma anche di personaggi curiosi, che sovente si incontravano a bordo dei treni. Tra questi anche tanti venditori ambulanti e, naturalmente, di musicisti e cantanti, che si improvvisavano mattatori, per poter sbarcare il cosiddetto lunario.
Tra
i posteggiatori, oggi diremo "artisti di strada", è doveroso
rievocare colui che è unanimamente considerato l'ultimo cantastorie del nostro
territorio, degno erede di quella che fu la "Commedia dell'arte
italiana", parliamo di Eugenio Pragliola, meglio conosciuto con i suoi due
pseudonimi d'arte: "Eugenio cu' 'e lente"... e "Eugenio
Cucciariello".
Eugenio,
nacque in Brasile, a Rio de Janeiro, nell'anno 1907, da genitori giuglianesi,
emigranti in quella nazione in cerca di fortuna. Il padre era un onesto
falegname e la madre era casalinga.
Forse
il contatto con i fanciulli brasiliani e la cultura carioca, contribuirono non
poco a fare accrescere nel bimbo giuglianese, già vivace di natura, l'indole
della costante allegria, della musica e del canto.
Nel
1915 la famiglia Pragliola, già diventata numerosa di prole, fece ritorno a
Giugliano, perché il genitore, Gennaro, fu richiamato alle armi, proprio con lo
scoppio della prima Guerra Mondiale.
A
tredici anni, partecipando alla festa patronale a Sant'Antimo, Eugenio, rimase
folgorato dall'esibizione di un anziano, che accompagnandosi abilmente con la
sua chitarra, improvvisava versi burleschi e ammiccanti, e alla fine notò come
venisse premiato dal pubblico, con numerose monete raccolte nel suo piattino.
Decise subito che quella doveva essere la sua ambiziosa meta, l'obiettivo
delle sue aspirazioni di vita e anche di sopravvivenza... E, infatti, non tardò
a realizzarsi, perché a diciott'anni, con i suoi risparmi, riuscì a comprare
una fisarmonica, che doveva essere come il "baricentro" della sua nuova
vocazione artistica. Doveva poi creare la maschera e un nome d'arte... ma occorsero
altri anni, e pure questo traguardo fu raggiunto...
Una
bombetta ottocentesca costituiva il suo copricapo, degli occhiali vistosi e
senza lenti, erano la sua maschera, e poi un vestito sgualcito e rattoppato,
l'abito. Nacque quella maschera che sarà l'emblema di più generazioni, lo spassatempo
di tanti viaggiatori, che in oltre mezzo secolo hanno potuto godere e
apprezzare le esibizioni con le sue memorabili filastrocche, cunti,
gliommeri e falsetti: erano nato "Eugenio cu 'e lente".
Fu
soprannominato anche "Eugenio Cucciariello", per via del
nomignolo di gioventù che era stato coniato dai ragazzi giuglianesi, unitamente
agli altri fratelli. Tutto nacque dal fratello maggiore che faceva di
professione il fotografo. Nel suo negozio esponeva foto con primi piani di
teste di persone, e gli scugnizzi, quando si fermavano ad ammirare le vetrine,
esclamavano, dicendo "che belle coccie", ovvero che belle
teste. "Coccia", in vernacolo antico, si riferisce alla testa,
da qui per trasposizione gutturale e semantica, divenne il nomignolo di "Cucciariello".
Dopo
alcuni decenni, la sua voce, un tempo squillante, finì per diventare roca, ma egli riuscì abilmente a rimediare al deficit fonico, aiutandosi con un
piccolo megafono portatile: apparecchio diremmo avveniristico, considerando
l'epoca... Furono questi gli emblemi della sua maschera, fino a quando l'età e soprattutto il fisico glielo permisero, nella sua lunga e avventurosa esistenza.
Nei
primi anni '30, iniziò il suo girovagare per i quartieri di Napoli.
La
prima biografia di Eugenio ricorda che l'esordio avvenne in una bettola del
quartiere di San Giovanniello, ovvero nei dintorni di Piazza Carlo III.
Era quello un luogo frequentato da cocchieri, specialmente appartenenti
all'impresa funebre "Bellomunno". Roso dalla atavica fame e dal
freddo, improvvisò nella mischia di quel chiassosa comitiva, la recita di
"Chisti guagliune 'e San Giuvanniello": una composizione in
rima lunga e baciata. Fu il suo primo successo. Fu compensato con un discreto
quantitativo di denaro, che portò a casa come un trionfatore...! Ci mancava da
tre giorni!
Dopo
il successo di San Giovanniello, Eugenio, incoraggiato dal iniziale
successo, decise di allargare il raggio di azione delle sue esibizioni, che
dovevano restare popolari e svolte nei luoghi di frequentazioni all'aperto o
sui mezzi di trasporto. Iniziò a girovagare per diversi paesi e città. Era un
continuo susseguirsi di esibizioni, dal mattino fino alla sera inoltrata.
Usciva di buon mattino da casa, con la sua inseparabile fisarmonica, e senza
meta e senza tempo, girovagava, offrendo il frutto delle sue creazioni, spesso
improvvisate, fino ai confini dei paesi dell'hinterland della metropoli.
Fu
il tram provinciale, che prendeva al capolinea di Giugliano, il primo bacino
della sua utenza, per finire per concentrarsi nel largo del capolinea di Piazza
Porta Capuana e poi, a seguire, gli altri mezzi di trasporti provinciali, tram,
autobus, ferrovie, tra cui, ovviamente, la nostra Ferrovia Piedimonte.
Arrivarono anche richieste per cerimonie familiari, come sponsali, battesimi,
serenate di dichiarazione e promesse di matrimonio. Un po' alla volta il suo personaggio
cominciò a diventare popolare e conosciuto, sia dal popolo di bassa estrazione,
che da quello cosiddetto "alto locato". Fu un personaggio molto noto,
tanto che in città erano in tanti a conoscere il suo motto distico: "Sta
arrivanne 'o signore cu 'e lente, 'mmece 'e 'na lira, me dà una 'e
trenta...!"
Gli
anni passavano e la sua professione di mattatore ambulante riusciva a
fornirgli quel minimo di sussistenza, sufficiente per portare avanti la sua
famiglia e a sbarcare il cosiddetto lunario. Infatti prese moglie nel 1935, e la
famiglia iniziò a ingrandirsi velocemente... Nacquero dal matrimonio ben
tredici figli, ma solo otto sopravvissero... Non navigò mai nell'oro, anzi...!
Patì
duramente le ristrettezze della seconda Guerra Mondiale, quando fu chiamato
alle armi, tra le file della Fanteria; dovette suo malgrado abbandonare la numerosa
famiglia nelle mani della povera moglie.
Poi
la guerra finì, ma restarono le sue distruzioni e la la misera e la fame che ne seguirono, per un gran
lasso di tempo...
Riusciva a vivere con il ricavato dei sui spettacoli ed esibizioni, di quel denaro che il pubblico metteva nel suo cappello, a volte anche copiosamente, come per ringraziarlo per il momento di spensieratezza e di divertimento ricevuti. Il suo pubblico di ogni giorno si componeva di
lavoratori, di studenti e di casalinghe, che dai vari paesi dell’entroterra napoletano si recavano nella metropoli, per le loro attività o compere, utilizzando le ferrovie, i tram, gli autobus provinciali e cittadini.
Non si riteneva un
suonatore ambulante, ma un artista che “asceva p’ ‘a campata”. Non
studiò mai solfeggio musicale, ma fu un autentico autodidatta; a chi gli
chiedeva come riuscisse a saper suonare la fisarmonica, sorridendo, rispondeva,
“io non la suono, la straviso”...
Al
capolinea di Napoli delle tramvie provinciali, vicino a Porta Capuana, divenne "'O
bollettino dei prezzi", ovvero l'annunciatore dei prezzi che i
negozianti della zona praticavano per la vendita dei loro prodotti; un po' come
faceva, nei secoli trascorsi, la figura storica del "pazzariello" nei
vicoli di Napoli. Ovviamente lo spettacolo prevedeva l'alternanza di storielle
e aneddoti, rimati e musicati.
Ma lo spettacolo più esilarante avveniva sui
mezzi di viaggio, quando approfittando di curiosità e personaggi che si
scorgevano dai finestrini delle vetture, alla vista dei passeggeri,
improvvisava battute e strofette rimate, piccanti ed esilaranti. Le sue
composizioni in versi non erano astratte; erano sì improvvisate, ma studiate ai
luoghi e alle circostanze, infatti non era mai inopportuno e con una semplice e
rapida osservazione, riusciva a selezionare il tipo di esibizione che più si
addiceva al momento, per poter cogliere con certezza l'approvazione di gran
parte del pubblico.
Sia beneditto stu tramme 'e Giugliano,
quanno 'o signore nun è stritto 'e mano,
ma si nun sente e se mena 'ncampana,
faccio acqua 'a pippa stasera e dimane,
si, mmece site carnale e alla mano,
ve trovo 'o posto, v'acconcio 'o divano,
e gghiate commete fino 'a Giugliano.
Cacciata 'a pezza, si no nun ce apparammo,
Cacciata 'a pezza, si no nun ce apparammo,
nun ce ne jammo,
se nghiomma stu tram...!
Gli
anni trascorrevano e la fisarmonica, come un'amante inseparabile, accompagnava
il suo vagabondare, assieme alla bombetta, agli occhiali senza lenti e al
piccolo megafono. La sua vita fu tutto un girovagare senza mete e pregiudizi:
vita affascinante e ammirevole, fatta di interminabili camminate, di paese in
paese...
Anche se era illetterato, era dotato di un'intelligenza ed un acume
fuori dal comune, riusciva a memorizzare nomi di personaggi famosi, nomi di
città e di nazioni e saperli utilizzare abilmente in filastrocche e stornelli,
che sapevano tanto di satira politica e sociale, raccontando in modo
sarcastico, curiosità, costumi, vizi, virtù e abitudini della società del
tempo.
Alla
stessa stregua dei giullari di un tempo, si divertiva nelle sue
improvvisazioni a ridicolizzare termini della lingua colta, intercalando a
versi e a termini della lingua italiana, frasi in dialetto popolare... In tal
moto faceva satira sulla cultura ufficiale e accademica, ergendosi a paladino
del dialetto e dimostrando l'efficacia del mezzo espressivo, ovvero di quanto fosse
errato relegare il dialetto a forme secondarie di comunicazione.
Il contenuto
delle sue esibizioni umoristiche, miste a satira sociale, non scevri dell'uso
di termini poco ortodossi e anche scurrili, riuscivano però a trasmettere contenuti
di filosofia di vita, conditi dell'arma di una pungente ironia, che spesso si
concludevano, come una lezione di vita finale.
Nel
dopoguerra fece coppia fissa con un altro cantastorie, di nome Giovanni 'o
buffo, anch'egli originario di Giugliano, che gli farà da spalla per quasi
quindici anni. Nella coppia, Eugenio cantava e suonava storielle, come di
solito faceva, mentre Giovanni era il comico che si esibiva in "macchiette
napoletane". Ovviamente nella coppia artistica, Eugenio brillava di luce
propria...
Conobbe
e frequentò l'amicizia di molti grandi artisti, come E.A. Mario (Giovanni
Ermete Gaeta), Antonio de Curtis, Nino Taranto, Raffaele Viviani, i fratelli De
Filippo, e tanti altri, fino ad arrivare al musicologo e compositore Roberto De Simone.
Fu
da alcuni di questi, come Raffaele Viviani, lungamente "corteggiato"
e invitato più volte a solcare le tavole del palcoscenico o a recitare in
comparse nei loro film cinematografici ma, vuoi la sua vocazione a vagabondare
e ad esibirsi all'aperto e vuoi anche alla sorte, non sempre benigna nei
confronti del nostro artista, non fu possibile che ciò si avverasse. Fu uno
dei pochi artisti che riuscirono a far ridere il grande Totò e per questo fu
molto apprezzato e stimato dal comico.
Scriveva
il redattore del Mattino, Pietro Treccagnoli, in un articolo sull'edizione del
giornale, del 1983, dedicato a Eugenio Pragliola: "...è il poeta
dell'oralità e dell'improvvisazione della macchietta, della parola che "ci
azzecca", e della botta e risposta". Altro articolo sul Mattino,
di Clodomirio Tarsia, così recitava: "(Eugenio) puo' essere considerato
l'erede dei cantori-girovaghi della plebe di cui ci hanno tramandato notizie
frammentarie e nebulose il Del Tufo, il Basile, lo Sgruttendio e altri poeti
del '500".
Gli
storici Rossi e D'Errico così definirono il nostro menestrello giuglianese:
"...l'ultimo epigono degli improvvisatori vagabondi di quella Campania
che conobbe i fliaci e gli autokabdali greci, gli improvvisatori dei fescennini
e le maschere dell'Atellana, e poi i comici dell'arte; di quella campana Napoli
che ha visto generazione di umile gente improvvisante dinanzi a una sporta di
pesce, sopra una fetta di melone, dietro un piatto di cozze."
Eugenio
Pragliola, oltre a macchiettista, giullare e posteggiatore, è stato anche poeta e
compositore di canzoni.
Non provvide mai a registrare le sue composizioni, che
sono state interpretate e diffuse negli anni da vari interpreti, spesso mancando di citare il loro
autore.
Fu
sempre amato e stimato dai suoi concittadini, e quest'affetto di simpatia fu
ampiamente dimostrato dal popolo di Giugliano, quando con una colletta
pubblica, i giuglianesi riuscirono a restituirgli la cara fisarmonica, miserevolmente rubata da
alcuni nomadi nel circondario di Giugliano.
A
lui sono attribuiti i versi di Trapanarella e quelli della parte finale
della celebre Tammurriata nera, opere che furono i "cavalli di
battaglia" della Nuova Compagnia di Canto popolare. Come pure, a lui sono
attribuiti i versi della bella fiaba in musica: 'A nuvella.
Per
quanto riguarda il rapporto di "Eugenio cu 'e lente", con il
quartiere di Piscinola e con gli altri centri del circondario a Nord di Napoli,
sappiamo che egli, oltre a esibirsi durante sponsali e cerimonie familiari, fu
chiamato ripetutamente dal comitato dei festeggiamenti del SS. Salvatore a
condurre la vendita all'asta ('a venneta), che si svolgeva il
lunedì della festa, prima dell'esibizione dei fuochi pirotecnici. Egli
alternava l'annuncio di lotti di prodotti offerti all'asta, con i suoi cunti
e filastrocche.
Ricordo una declamazione che mi è stata raccontata pochi mesi fa: in una vendita all'asta della festa, annunciò l'arrivo di una "zuppiera di gnocchi al ragù",
offerti al comitato da mia nonna materna, Maria; così egli declamò: "Tengo
stu ruoto 'e gnocche, che vene da 'o furno d''a masseria 'e Vascio Miano, 'nce
'o manna Mariuccia 'a Rossa, 'a mugliera 'e Salvatore 'e Marotta...."
! Ovviamente fu venduto ad un prezzo alto...
Nelle sue esibizioni, Cucciariello
usava
poi cantare qualche canzone allegra, dopo di che, immancabile, arrivava il
"momento cruciale" della richiesta:
"Signure e signurine, ledi e milòrde,
aggiate pacienza, cacciate ‘nu sòrde,
pe chi nun tene na lira ‘e spiccio:
c'hanna ascì ‘e bbolle ‘ncopp''o sasiccio!"
Eugenio
Pragliola morì poverissimo, nella sua modesta abitazione di Giugliano, accudito
dall'affetto dei suoi familiari ed amici, nel giugno dell'anno 1989.
Consegniamo oggi alla storia della Piedimonte e del quartiere di Piscinola, nonché dell'intero territorio dell'Area Nord di Napoli, la maschera e il poeta, che ha allietato con le sue esilaranti esibizioni tante generazioni passate, perché i giovani, che non l'hanno conosciuto, possano coltivarne la memoria, sperando nella nascita futura di altri artisti, degni continuatori di quella nobile e antichissima arte popolare: del "Mattatore di strada".
Salvatore Fioretto
La biografia e le opere di Eugenio Pragliola sono state tratte dal bel libro di Domenico Maisto: "Eugenio Cuccianiello, vita e versi di un vagabondo", Giugliano ed. 1989, a cui si rimanda l'approfondimento e la lettura, al lettore interessato.
I contenuti di opere e di foto, che sono stati liberamente utilizzati per la composizione di questo post, concorrono alla libera diffusione della cultura, senza altri fini e scopi di lucro.
.................... O ..................
Ecco
alcune composizioni di poesie o di cunti scritti
da Eugenio Pragliola, o meglio "Eugenio cu 'e lente":
L’entrata
Signurì
buongiorno eccellenze
con
insistenza
all’apparire
della mia presenza
dopo
una lunga assenza
addò
nisciuno me penza
faccio
appello alla vostra indulgenza
E
dimostratemi ‘nu poco ‘e benevolenza.
Ma
speriamo a San Crescenzo,
a
San Vincenzo
e
a San Leonardo
io
dimane faccio ‘a partenza:
vaco
a Milano e a Firenze,
a
Cosenza e a Faenza.
Vaco
add’’o generale a chiedere ‘a cunvalescenza
Che
me leva a dint’’e penitenze,
d’’e
riebbete e d’’e malepatenze,
siete
pregati ‘e fa ‘nu poco ‘e silenzio
pecchè
parla l’onorevole Pall’’e Renza!
..............................O...........................
‘O
Brindisi
Questo
si chiama vino vinisti:
è
meglio a venì add’’o canteniere che add’’o farmacista.
Ringraziammo
primmo a Gesù Cristo
‘e
chesta bella comitiva c’aggio visto,
po’
ringraziammo ‘e maste, ‘e pezziente, ‘e artiste
a
fore d’’e prievete, ‘e miedeche, ll’avvocate
‘e
schiattamuorte, ‘e farmaciste.
Vino
vinosse:
‘a
carne ‘e piecore è tutt’ossa,
iette
a Fratta ‘a festa ‘e Sante Sossio,
e
pe’ fa’ na mossa
a
‘na femmena rossa
me
venette ‘na scossa
peggio
‘e ‘na mossa,
me
truvaie cu’’e mmane ‘ncoppa ‘a fossa.
Con
permessso
I’
nun v’’o dicesse
E
quaccheduno ‘e vuie me rispunnesse
Ca
‘i nun vence ‘a scummessa.
Addimanno
a vuie: - Si ‘i nun m’’o bevesse
‘i
che figura facesse?
Rispunniteme
vuie stesse!
“’A
figura d’’o fesso!”
“E
vuiue site ‘o stesso!”
..............................O...........................
Chesta
è ‘a vita
Chesta
è ‘a vita
chi
chiagne e chi ride,
oggi
è cchiù difficile ‘a campare
ed
è cchiù facile ‘a morire,
perciò
mangiammo e bevimmo
e
a chill’atu munno che cacchio n’avimmo?
Tanta
superbia ca tenimmo
ma
sapite nuie chi simmo?
Simme
nate cu’ ‘nu poche ‘e suzzimma,
perciò
quanno murimmo
roppe
‘e ventiquatt’ore già fetimmo.
Sei
possidente
Sei
benestante
E
possiedi miliardi e milioni
t’’e
schiaffe ‘nfaccia ‘e pantaloni:
pure
se si’ marchese, re o barone,
Dante
Alighieri o Guglielmo Marconi
quanno
vene ‘a nas’’e cane nun tene ragione,
e
ce se po’ piglia’ ‘na soddisfazione
ienno
a Bellumunno e a Furgione.
Ma
roppe pure cu’ ‘e diece cavalli
e
‘a cascia ‘e noce
‘e
rrote ‘e attone,
trenta
muonece e quaranta ghirlande,
ricche
e pezziente
avimma
i’ tutti ‘o campusanto,
lo
disse il grande attore Totò,
soldato
e caporale,
colonnello
e generale:
là,
simmo tutt’uguale.
..............................O...........................
Saluto
Finale
Stateve
buone è fernuto ‘ò pruciesso
nun
ve scurdate d’’a vecchia prumessa
e
‘e sorde vuoste menateme appriesso;
si
nun m’’e ddate io perdo ‘a scummessa
e
a’ casa miglierema m’acchiappa e me sfessa.
..............................O...........................
‘A pimmicia
L’ata
matina, m’aizo d’’o lietto,
Vaco
vedenno: ‘na pimmicia mpietto…!
A
me stu fatto me pare strane,
Chella
è cchiù grossa ‘e ‘na zecca ‘e ‘nu cane…
‘Nce
metto ‘o “bob”, a naftalina,
l’insetticida,
cu ‘a creolina,
‘nu
poco ‘e povere ‘e pennicilline,
Vaco
vedenno…, sta aret’’e rine…!
‘A
iere matine, sta piezz’ ‘e fetente,
s’era
‘nfizzata dint’’a stecche d’’e lente,
l’aggio
pigliata cu delicatezza
l’aggio
vuttata dint’’a munnezza!!
Mo,
finalmente, che pace beata,
che
soddisfazione che m’aggio pigliata,…
mo,
quase quase, sto’ ancora in mutande,
e
vaco a stappà ‘na butteglia ‘e spumante…!
Guardo
‘o rilorgio, so’ ancora le sette,
me
ne torno di nuovo a letto;
ma
non appena me so’ cuccato:
”….
è a stessa pimmicia, o chesta ne è nata…!?”
Mo
piglio ‘na mazza, mo piglio ‘o martiello,
neh,
quanno torno sta ncopp’’o cappiello!
‘nce
tiro ‘na mazza, na martellate,
ma
sulo ‘o cappiello m’aggia nguaiate…!
M’appiccio
‘a luce, m’arape ‘o balcone,
po’
pe’ ntramente me ’nfilo ‘o cazone,
ma
non appena me piglio ‘a giacchetta,
neh,
chella me sponte ‘a dint’’a vrachetta...!
Ih!
comme corre sta piezz’‘e fetente,
”Ma
dimme nu poco, tenisse ‘a patente!?”
Ih!
comme corre pe’ mmiez’‘e scale,
“’A
Pimmicia, parola mia, te mann’’o spidale…!”
Po’,
finalmente, l’aggio acchiappiate,
‘a
copp’’a fenesta l’aggio vuttate…!
Si,
ora è questione d’onore,
“Neh,
‘a Pimmicia, issa piglià ‘a ascensore…!?”
Che
solitudine, chesta matine,
senza
‘na pimmicia arete ‘e rine,
quasi
quasi, mi alzo dal letto,
..............................O...........................
E queste i canti attribuiti a Eugenio Pragliola:
'A Nuvella
https://www.youtube.com/watch?v=XnubAO69RYA
'A Nuvella
https://www.youtube.com/watch?v=K60RTcJkkPE&fbclid=IwAR0mRI8rgdRhUEhUR-KBeAMlNVW3Exad9_9WxFLi22_wiK5gWafYT2fmMR4
https://www.youtube.com/watch?v=K60RTcJkkPE&fbclid=IwAR0mRI8rgdRhUEhUR-KBeAMlNVW3Exad9_9WxFLi22_wiK5gWafYT2fmMR4
..............................O...........................
Trapanarella
Trapanarella cu 'o trapanaturo
e trápana 'a mamma e 'a figlia
pure...
e, trapanianno, 'mmiez'a sti guaje,
canto 'a canzona d''a cuccuvaja...
Na signurina cammina p''a strata,
nu giuvinotto lle fa na guardata...
e chella che sùbbeto è femmena onesta,
aret''o purtone, s'aíza 'a vesta!
San Genná', pènzace tu,
ca tanto d''e ccorne 'un se campa cchiù!
Nu prèvete, 'ncopp'a ll'altare maggiore,
mme pare nu santo prerecatore,
ma quanno va dint''a sacrestia,
vò' mille lire p''Avummaria...
San Genná', tu vide a chiste?
'mbrogliano pure a Giesù Cristo!
E nuce, nucelle e castagne 'nfurnate...
quanta paíse aggiu curriate...
'A Torre d''o Grieco e 'Annunziata
e quanta guaje ch'aggio truvato...
e quanta defiette ch'aggiu 'ncantate!...
'E culamappate só 'e Veneziane,
'e magnapulenta sóngo 'e Milano,
'e meglie cantante stanno a Giugliano,
e 'e tirapistole stanno a Casale...
'E ffacce toste sóngo italiane,
'e cchiù mafiuse só' siciliane,
'e po' 'e sbruffune óongo 'e Rumane,
'e ffemmene belle só' napulitane,
e 'e mmazze 'e scopa só' americane....
'E 'mbrogliamestiere só' ll'ingegnere,
'e 'mbrogliamalate só' ll'avvucate,
'e priévete fanno 'e zucalanterne
e 'e cchiù mariuole stann'ô guverno!
San Genná', dice ca sí...
chi 'o ssape comme va a ferní!
Na signurina, a via dei Mille,
s'ha misa 'a parrucca 'a copp'ê capille...
Quanno va â casa se magna 'e ppurpette
e chi tene famma guarda 'e rimpetto...
Nu giuvinotto, cu 'e sòrde d''o pato,
s'accatta 'o cazone 'mpusumato...
po' va dint''a machina, allero allero,
e vò' mená sotto a chi va a père...
'E ccunuscite a sti milorde,
chille stanno 'nguajate 'e sorde...
'e pate só' tanta scurnacchiate...
e campano 'ncopp''a famme 'e ll'ate....
San Genná', pènzace tu,
ca tanto d''e 'mbruoglie 'un se campa cchiù!
............
Mme ne vaco pe' sott''o muro,
e sento 'addore d''e maccarune...
Mme ne vaco pe' Qualiano,
e sento 'addore d''e ppatane...
Mme ne vaco p''o Granatiéllo,
e sento 'addore d''e friariélle...
Ma si vaco add''o putecaro,
tutte cosa va cchiù caro...
Ma vedite quando maje
'sta miseria va aumentanno...
e aumenta ogge,
aumenta dimane,
e doppodimane...
sabato sí
e dummeneca no...
Chi fatica se more 'e famma
na vota ca sí
e na vota ca no...
e, trapanianno, 'mmiez'a sti guaje,
canto 'a canzona d''a cuccuvaja...
Na signurina cammina p''a strata,
nu giuvinotto lle fa na guardata...
e chella che sùbbeto è femmena onesta,
aret''o purtone, s'aíza 'a vesta!
San Genná', pènzace tu,
ca tanto d''e ccorne 'un se campa cchiù!
Nu prèvete, 'ncopp'a ll'altare maggiore,
mme pare nu santo prerecatore,
ma quanno va dint''a sacrestia,
vò' mille lire p''Avummaria...
San Genná', tu vide a chiste?
'mbrogliano pure a Giesù Cristo!
E nuce, nucelle e castagne 'nfurnate...
quanta paíse aggiu curriate...
'A Torre d''o Grieco e 'Annunziata
e quanta guaje ch'aggio truvato...
e quanta defiette ch'aggiu 'ncantate!...
'E culamappate só 'e Veneziane,
'e magnapulenta sóngo 'e Milano,
'e meglie cantante stanno a Giugliano,
e 'e tirapistole stanno a Casale...
'E ffacce toste sóngo italiane,
'e cchiù mafiuse só' siciliane,
'e po' 'e sbruffune óongo 'e Rumane,
'e ffemmene belle só' napulitane,
e 'e mmazze 'e scopa só' americane....
'E 'mbrogliamestiere só' ll'ingegnere,
'e 'mbrogliamalate só' ll'avvucate,
'e priévete fanno 'e zucalanterne
e 'e cchiù mariuole stann'ô guverno!
San Genná', dice ca sí...
chi 'o ssape comme va a ferní!
Na signurina, a via dei Mille,
s'ha misa 'a parrucca 'a copp'ê capille...
Quanno va â casa se magna 'e ppurpette
e chi tene famma guarda 'e rimpetto...
Nu giuvinotto, cu 'e sòrde d''o pato,
s'accatta 'o cazone 'mpusumato...
po' va dint''a machina, allero allero,
e vò' mená sotto a chi va a père...
'E ccunuscite a sti milorde,
chille stanno 'nguajate 'e sorde...
'e pate só' tanta scurnacchiate...
e campano 'ncopp''a famme 'e ll'ate....
San Genná', pènzace tu,
ca tanto d''e 'mbruoglie 'un se campa cchiù!
............
Mme ne vaco pe' sott''o muro,
e sento 'addore d''e maccarune...
Mme ne vaco pe' Qualiano,
e sento 'addore d''e ppatane...
Mme ne vaco p''o Granatiéllo,
e sento 'addore d''e friariélle...
Ma si vaco add''o putecaro,
tutte cosa va cchiù caro...
Ma vedite quando maje
'sta miseria va aumentanno...
e aumenta ogge,
aumenta dimane,
e doppodimane...
sabato sí
e dummeneca no...
Chi fatica se more 'e famma
na vota ca sí
e na vota ca no...
..............................O...........................
Tammuriata
Nera
(strofe finali)
......
'E
signurine 'e Caprichine
Fanno
ammore cu 'e marrucchine,
'e
marrucchine se vottano 'e lanze,
E
'e signurine cu 'e panze annanze.
American
espresso,
Damme
'o dollaro ca vaco 'e pressa
Sinò
vene 'a pulisse,
Mette
'e mmane addò vò isse.
Aieressera
a piazza Dante
'o
stommaco mio era vacante,
Si
nun era po’ contrabbando,
Ì'
mò già stevo 'o campusanto.
E
levate 'a pistuldà
Uè
e levate 'a pistuldà,
E
pisti pakin mama
E
levate 'a pistuldà.
'E
signurine napulitane
Fanno
'e figlie cu 'e 'mericane,
Nce
vedimme ogge o dimane
Mmiezo
Porta Capuana.
Sigarette
papà
Caramelle
mammà,
Biscuit
bambino
Dduie
dollare 'e signurine.
E
Ciurcillo 'o viecchio pazzo
S’è
arrubbato 'e matarazze
E
ll'America pe' dispietto
Ce
ha sceppato 'e pile 'a pietto.
Aieressera
magnai pellecchie
'e
capille 'ncopp’’e recchie
E
capille e capille
E
'o decotto 'e camumilla...
'O
decotto,'o decotto
E
'a fresella cu 'a carna cotta,
'a
fresella 'a fresella
E
zì moneco ten’’a zella...
..............................O...........................
"Signuri, buongiorno Eccellenza
che dopo una lunga assenza,
che dopo una lunga assenza,
all’apparire della mia presenza,
con insistenza,
faccio appello alla vostra indulgenza,
che mi dimostrarono tante di
quelle benevolenze, in conseguenza ne sono a conoscenza,
che nisciuno e’
vuie me penza.
Ma speriamo a San Crescenzo,
Ma speriamo a San Crescenzo,
a sant’Enzo e a San
Vincenzo,
aspetto o’ trammo per Firenze,
aggia ì a Piacenza, a Cosenza e
a Faenza
a truvà a sorema Vicenza
e fratamo Crescenzo…".
complimentissimi......ho conosciuto personalmente a Gegè cu' e lente,.....quando studente viaggiavo nel pulman della TPN da Napoli a Marano........" Quann saglieno e sturiente,io nunn accocchio o riest e niente....piecure zimpere e crapett faccio tutta una bulletta, si accettano sord spicc mpicc bettune e mezzun e sicarrett...!
RispondiEliminaGrazie Antonio per la tua bella testimonianaza di ricordo.
EliminaGradevole e divertente lettura.
RispondiEliminaGrazie Salvatore!
Grazie Antonio, perché ci segui sempre...
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