Desideriamo ricordare in questo post i tanti personaggi del popolo, che pur nella loro semplicità e modestia, sono stati grandi e hanno dato un segno tangibile della loro presenza nella storia del territorio. Abbiamo quindi scelto la storia di tre personaggi, senza eseguire alcuna selezione particolare, ma raccogliendo a caso le loro figure tra le tante che in questi anni abbiamo conosciuto, attraverso le varie testimonianze e i ricordi. Essi sono nati e hanno vissuto nei tre quartieri che condizionano gran parte del territorio della cosiddetta "Napoli Nord": ossia Miano, Piscinola e Chiaiano.
Vincenzo Lamberti, abitante di Miano vecchia, era soprannominato 'o Muzzianese. Frequentava sovente Piscinola ed era anche conosciuto per un altro soprannome, quello di "Sarchiapone"; infatti ogni anno era tra gli organizzatori della Cantata dei Pastori scritta dal Perrucci, che si rappresentava soprattutto a Piscinola, nel vico Appagliaro (odierno Vico Operai). Alla Cantata dei Pastori egli infatti partecipava anche come attore, recitando nel ruolo di "Sarchiapone".
Si arrangiava facendo cento mestieri, ma principalmente faceva l'imbianchino e lo stuccatore. Era in effetti un discendente di quella nobile schiera di artigiani (meglio dire artisti), che un tempo erano chiamati "mast''e capetiello", ossia decoratori di capitelli di colonne e di cornici nelle sale dei nobili palazzi e nelle chiese antiche. Vincenzo era stato per molti anni componente della banda musicale di Piscinola, suonando il tamburo. Ma più di tutto, era conosciuto e apprezzato perché nel suo povero basso, un tempo esistente nella Miano vecchia, allestiva un affollato presepe del Settecento napoletano, con figure di pastori alte anche 30 centimetri e oltre. Iniziava a prepararlo diversi mesi prima del Natale, già all'inzio dell'autunno. Spesso era solito incontrarlo per i viottoli di campagna e per le selve del territorio circostanti Miano e Piscinola, in cerca di curiosi rametti d'alberi, zolle di muschio e altri materiali biologici che, abilmente adattati, servivano per creare la scenografia del suo bel presepe settecentesco. Si racconta che addirittura l'aveva fatto assicurare contro i furti. Non sappiamo come l'avesse ricevuto, forse era un bene di famiglia, tramandato da generazioni. Per molti anni Vincenzo aveva abitato in un basso in via Del Salvatore a Piscinola.
Negli ultimi anni della sua vita, lasciò Miano, per abitare presso un figlio che risiedeva fuori provincia. Di carattere schivo e un po' scorbutico, era alla fine un animo buono e nobile, si faceva voler bene da tutti, infatti di lui, a distanza di tanti anni, si conserva ancora un buon ricordo. A proposito della sua partecipazione alla banda di Piscinola, si racconta un simpatico aneddoto accaduto a Miano, alla fine degli anni '50, durante i festeggiamenti di San Gaetano, quando la banda di Piscinola fu chiamata a suonare durante le celebrazioni patronali. La sera della festa, Vincenzo ebbe un diverbio, non si sa bene per quale motivo, con l'altro suonatore di tamburo della banda, che si chiamava Francesco De Chiara, soprannominato Ciccio 'o fasciste: forse per una rivalità artistica sorta durante l'esibizione dei brani sinfonici. La discussione si animò e divenne così accesa che Vincenzo, a un certo momento non contenendo l'ira, scaraventò il suo tamburo a terra, sfondandolo con i piedi. Abbandonò all'istante la banda, addirittura senza giustificarsi con il maestro. Quando gli animi si calmarono, rifece rimpellare il tamburo a sue spese, presso un aggiustatore di strumenti che si trovava in via San Sebastiano a Napoli, riprendendo il suo posto di musicista nel complesso bandistico di Piscinola.
Vincenzo Lamberti, abitante di Miano vecchia, era soprannominato 'o Muzzianese. Frequentava sovente Piscinola ed era anche conosciuto per un altro soprannome, quello di "Sarchiapone"; infatti ogni anno era tra gli organizzatori della Cantata dei Pastori scritta dal Perrucci, che si rappresentava soprattutto a Piscinola, nel vico Appagliaro (odierno Vico Operai). Alla Cantata dei Pastori egli infatti partecipava anche come attore, recitando nel ruolo di "Sarchiapone".
Si arrangiava facendo cento mestieri, ma principalmente faceva l'imbianchino e lo stuccatore. Era in effetti un discendente di quella nobile schiera di artigiani (meglio dire artisti), che un tempo erano chiamati "mast''e capetiello", ossia decoratori di capitelli di colonne e di cornici nelle sale dei nobili palazzi e nelle chiese antiche. Vincenzo era stato per molti anni componente della banda musicale di Piscinola, suonando il tamburo. Ma più di tutto, era conosciuto e apprezzato perché nel suo povero basso, un tempo esistente nella Miano vecchia, allestiva un affollato presepe del Settecento napoletano, con figure di pastori alte anche 30 centimetri e oltre. Iniziava a prepararlo diversi mesi prima del Natale, già all'inzio dell'autunno. Spesso era solito incontrarlo per i viottoli di campagna e per le selve del territorio circostanti Miano e Piscinola, in cerca di curiosi rametti d'alberi, zolle di muschio e altri materiali biologici che, abilmente adattati, servivano per creare la scenografia del suo bel presepe settecentesco. Si racconta che addirittura l'aveva fatto assicurare contro i furti. Non sappiamo come l'avesse ricevuto, forse era un bene di famiglia, tramandato da generazioni. Per molti anni Vincenzo aveva abitato in un basso in via Del Salvatore a Piscinola.
Negli ultimi anni della sua vita, lasciò Miano, per abitare presso un figlio che risiedeva fuori provincia. Di carattere schivo e un po' scorbutico, era alla fine un animo buono e nobile, si faceva voler bene da tutti, infatti di lui, a distanza di tanti anni, si conserva ancora un buon ricordo. A proposito della sua partecipazione alla banda di Piscinola, si racconta un simpatico aneddoto accaduto a Miano, alla fine degli anni '50, durante i festeggiamenti di San Gaetano, quando la banda di Piscinola fu chiamata a suonare durante le celebrazioni patronali. La sera della festa, Vincenzo ebbe un diverbio, non si sa bene per quale motivo, con l'altro suonatore di tamburo della banda, che si chiamava Francesco De Chiara, soprannominato Ciccio 'o fasciste: forse per una rivalità artistica sorta durante l'esibizione dei brani sinfonici. La discussione si animò e divenne così accesa che Vincenzo, a un certo momento non contenendo l'ira, scaraventò il suo tamburo a terra, sfondandolo con i piedi. Abbandonò all'istante la banda, addirittura senza giustificarsi con il maestro. Quando gli animi si calmarono, rifece rimpellare il tamburo a sue spese, presso un aggiustatore di strumenti che si trovava in via San Sebastiano a Napoli, riprendendo il suo posto di musicista nel complesso bandistico di Piscinola.
Un personaggio
caratteristico di Piscinola di un tempo era Don Vicienzo 'o Popolo, famoso per
avere un repertorio recitativo, con centinaia di storielle e aneddoti, che hanno incantato
diverse generazioni di piscinolesi, soprattutto i bambini dell'epoca.
Don Vincenzo, che di cognome faceva Capobianco, spesso raccontava, ostentando anche un pizzico di orgoglio, che era figlio illegittimo di un nobile. Di queste origini ne faceva anche un motivo di vanto per giustificare il suo estro e la sua prosopopea da letterato... Per descrivere la singolarità del personaggio, basti ricordare che dal suo matrimonio ebbe ben nove figli, tutte femmine, tranne un unico figlio maschio che fu chiamato Costantino, le fanciulle ebbero tutti nomi singolari; chiamò, ad esempio, l'ottava figlia: "Ottavia", e l'ultima: "Nona". Purtroppo un grande dolore colpì il suo sensibile e nobile animo. L'unico figlio maschio, Costantino, fu vittima di un incidente mortale avvenuto in tenera età, subito dopo la Guerra, a causa dello scoppio di un ordigno bellico, mentre egli giocava con un gruppo di coetani, nel cortile esistente in vico II Plebiscito. Morirono in quell'episodio, oltre Costantino, una decina di bambini piscinolesi, mentre alcuni rimasero feriti gravemente. Non è stato ancora accertato il numero preciso delle vittime.
Dopo questo tragico episodio, Vincenzo riprese la sua vita quotidiana di padre di famiglia. La sua famiglia era pur sempre numerosa e per sbarcare il cosiddetto lunario, si arrangiava a fare il ciabattino, ovvero 'o solachianiello. Il suo negozio consisteva in un piccolo "scannetto" (detto 'o bancariello), ricolmo di attrezzi del mestiere. Lo posizionava in un angolo antistante alla sua abitazione, nel vico II Plebiscito. Seduto dietro allo "scannetto", trascorreva intere giornate intento a sostituire suole di scarpe consunte o a inchiodare dei tacchi malfermi. La cosa simpatica, però, era quella che il suo "scannetto" era sempre circondato da decine di bambini, che qui sostavano ore intere, restando incantati ad ascoltare i suoi affascinanti racconti ed a osservare le sue espressioni mimiche e colorite. Specie in estate, iniziava di buon mattino e finiva all'imbrunire, raccontando, come una recita senza sosta, i suoi numerosi fattarielli... Si esprimeva sempre in italiano, con una prosopopea da letterato e per tale motivo la gente gli coniò il soprannome di 'o Popolo. Si racconta che egli ricordasse a memoria l'intera Divina Commedia.
Vincenzo 'o Popolo è stato un concentrato di filosofia di vita e di simpatia!
Per descrivere il personaggio del quartiere di Chiaiano, prenderemo in prestito il racconto contenuto nel libro "I figli della Selva", scritto da Giovanni Baiano: racconteremo la vita di Luigi 'o Zainiello, detto anche 'o Muntese.
Don Vincenzo, che di cognome faceva Capobianco, spesso raccontava, ostentando anche un pizzico di orgoglio, che era figlio illegittimo di un nobile. Di queste origini ne faceva anche un motivo di vanto per giustificare il suo estro e la sua prosopopea da letterato... Per descrivere la singolarità del personaggio, basti ricordare che dal suo matrimonio ebbe ben nove figli, tutte femmine, tranne un unico figlio maschio che fu chiamato Costantino, le fanciulle ebbero tutti nomi singolari; chiamò, ad esempio, l'ottava figlia: "Ottavia", e l'ultima: "Nona". Purtroppo un grande dolore colpì il suo sensibile e nobile animo. L'unico figlio maschio, Costantino, fu vittima di un incidente mortale avvenuto in tenera età, subito dopo la Guerra, a causa dello scoppio di un ordigno bellico, mentre egli giocava con un gruppo di coetani, nel cortile esistente in vico II Plebiscito. Morirono in quell'episodio, oltre Costantino, una decina di bambini piscinolesi, mentre alcuni rimasero feriti gravemente. Non è stato ancora accertato il numero preciso delle vittime.
Dopo questo tragico episodio, Vincenzo riprese la sua vita quotidiana di padre di famiglia. La sua famiglia era pur sempre numerosa e per sbarcare il cosiddetto lunario, si arrangiava a fare il ciabattino, ovvero 'o solachianiello. Il suo negozio consisteva in un piccolo "scannetto" (detto 'o bancariello), ricolmo di attrezzi del mestiere. Lo posizionava in un angolo antistante alla sua abitazione, nel vico II Plebiscito. Seduto dietro allo "scannetto", trascorreva intere giornate intento a sostituire suole di scarpe consunte o a inchiodare dei tacchi malfermi. La cosa simpatica, però, era quella che il suo "scannetto" era sempre circondato da decine di bambini, che qui sostavano ore intere, restando incantati ad ascoltare i suoi affascinanti racconti ed a osservare le sue espressioni mimiche e colorite. Specie in estate, iniziava di buon mattino e finiva all'imbrunire, raccontando, come una recita senza sosta, i suoi numerosi fattarielli... Si esprimeva sempre in italiano, con una prosopopea da letterato e per tale motivo la gente gli coniò il soprannome di 'o Popolo. Si racconta che egli ricordasse a memoria l'intera Divina Commedia.
Vincenzo 'o Popolo è stato un concentrato di filosofia di vita e di simpatia!
Per descrivere il personaggio del quartiere di Chiaiano, prenderemo in prestito il racconto contenuto nel libro "I figli della Selva", scritto da Giovanni Baiano: racconteremo la vita di Luigi 'o Zainiello, detto anche 'o Muntese.
Lo Zainiello era un uomo alto e robusto che faceva il duro
mestiere del cavatore di pietre di tufo nelle cave di Chiaiano (il soprannome di "Montese" deriva dal
termine "Monte" che sta per cava), ma si arrangiava nel tempo libero,
specie nei giorni festivi e anche di notte, a produrre e commerciare il vino, ottenuto
dalle uve provenienti dalle campagne di Chiaiano e di Marano. Abitava in una
piccola frazione di Chiaiano, detta Calori di Basso e nella sua abitazione
aveva organizzato una piccola taverna, dove commerciava e offriva del vino da
bere: prevalentemente, Fravulella, Pere 'e Palumme o Falanghina. Lo Zainiello
era un intenditore di vini e anche un grande bevitore..., anche se, come diceva, senza mai ubriacarsi in vita sua. Diversi aneddoti si raccontano sulle sue
"doti enogastronomiche". Una volta, in una gara, riuscì ad ingoiare ben cinquanta, tra sfogliatelle e babà, distaccando di misura gli avversari. In un’altra
gara pure vinse per aver mangiato, tutto di un fiato, cinquanta salsicce, accompagnate da più di cinque litri di
vino!
Lo Zainiello non era famoso solo per queste sue qualità, diciamo di estro, ma anche per le sue idee politiche, che in piena dittatura, era considerate sovversive e antifasciste: era un convinto comunista e stalinista. Secondo il suo pensiero, non era giusto che le terre e le case dovessero appartenere solo ai ricchi, ma dovevano essere di tutti, come l'aria, il cielo, il sole, le stelle... Da acceso sostenitore, non vi era un comizio di partito a cui non partecipasse. Per vendere il vino faceva diversi chilometri, carico di un tino sulle spalle, pesante una cinquantina di chili... Una volta i carabinieri lo fermarono infliggendogli una pesante multa. Per questo episodio aumentò il suo dissapore contro la dittatura fascista e contro l'ordine costituito del tempo. Se la prendeva anche con la Chiesa e i preti, considerati, a suo dire, degli impostori, che sfruttavano la buona fede dei poveri ignoranti. Una volta per le sue idee fu punito dai fascisti con il solito olio di ricino...
Lo Zainiello non era famoso solo per queste sue qualità, diciamo di estro, ma anche per le sue idee politiche, che in piena dittatura, era considerate sovversive e antifasciste: era un convinto comunista e stalinista. Secondo il suo pensiero, non era giusto che le terre e le case dovessero appartenere solo ai ricchi, ma dovevano essere di tutti, come l'aria, il cielo, il sole, le stelle... Da acceso sostenitore, non vi era un comizio di partito a cui non partecipasse. Per vendere il vino faceva diversi chilometri, carico di un tino sulle spalle, pesante una cinquantina di chili... Una volta i carabinieri lo fermarono infliggendogli una pesante multa. Per questo episodio aumentò il suo dissapore contro la dittatura fascista e contro l'ordine costituito del tempo. Se la prendeva anche con la Chiesa e i preti, considerati, a suo dire, degli impostori, che sfruttavano la buona fede dei poveri ignoranti. Una volta per le sue idee fu punito dai fascisti con il solito olio di ricino...
Durante la guerra faceva più viaggi, perché il suo vino "andava a ruba", anche per la presenza in zona di diverse centinaia di sfollati provenienti dal
centro cittadino: famiglie intere che alloggiavano nelle cave di Chiaiano, per proteggersi dai bombardamenti angloamericani. A chi gli domandava notizie sulla guerra, rispondeva informato
sulla situazione di tutti i fronti del conflitto: Grecia, Jugoslavia, Africa,
Russia... Entrava nei dettagli, facendo anche un pronostico sugli esiti di ogni
battaglia... Preoccupato quando avanzavano i tedeschi, era invece allegro quando
erano le truppe anglo-americane ad avanzare.
Il 1943 fu per lui l'anno più bello. Le notizie della Liberazione lo entusiasmarono. Luigi 'o Zainiello fu un uomo dotato di grande coraggio, per tutta la sua vita aveva percorso viottoli e strade di campagne solitarie, famose per essere frequentate da malviventi e da ladruncoli, senza temere per la sua incolumità, considerando anche che il peso dei recipienti trasportati gli avrebbero impedito ogni sorta di difesa. Quelli che invece gli facevano paura erano i militari e i poliziotti, che potevano sequestrargli il vino e infliggere multe...
Un giorno gli amici gli fecero un brutto scherzo, lo appostarono a un angolo di strada e, quando sopraggiunse, gli gridarono di scappare perché c'erano le guardie. Lui, terrorizzato, adagiò la botte a terra e scappò in fretta per la campagna. I burloni, una volta guadagnato il campo, si sedettero tranquilli ai lati della botte e la lasciarono solo quando fu svuotata quasi di tutto il suo contenuto. Dopo aver recuperato il recipiente, Luigi raccontava, compiaciuto, che le guardie quella volta erano state più generose del solito, perché, pur sequestrando parte del vino, almeno gli avevano risparmiato la contravvenzione...
Dopo l'Armistizio, divenne un protagonista della Resistenza, andando a caccia dei tedeschi in fuga. Si sparse la voce che con l'aiuto di altri tre valorosi aveva cercato di disinnescare il ponte della "Savorella", presso Monte Cassino, perché era stato minato dai tedeschi in ritirata. Ma, nell'intervenire, i nostri combattenti si accorsero che altri partigiani li avevano preceduti... Resta comunque il valore del gesto compito da parte del nostro Zainiello e compagni.
Dopo la Liberazione, egli divenne un membro attivissimo del partito
comunista, anche se questo partito non raccolse grossi consensi nel territorio. Segno
caratteristico di questa sua passione erano i due vistosi baffoni, modellati
alla maniera di Stalin, che portò con molto orgoglio durante tutta la sua
vita.
Fu apprezzato per la sua coerenza e la statura morale, anche se era un idealista e forse anche po' semplicione. Pur di tempera forte, non visse a lungo, forse proprio a causa dei suoi eccessi alimentari. Era un fatalista e non credeva nei medici. Considerava che per un uomo, quando giungeva il momento della fine della propria vita, non esistevano medici o santi che potessero evitarla, per questo, era meglio viverla in pienezza, senza dar conto alle privazioni inflitte dai medici. E, quindi, incurante, continuò a mangiare e a bere, senza preoccuparsi dei segnali di malasalute... Durante la vendemmia di quell'anno, mentre pigiava con i piedi le uve, come era solito fare nell'antico tino tramandato dai suoi antenati, Luigi 'o Zainiello terminò per sempre la sua battaglia con la vita. I familiari lo trovarono all'ora di cena, esamine, sdraiato sopra le sue vinacce profumate, come se dormisse. L'espressione del viso pareva che trasmettesse felicità e soddisfazione...
Termina qui l'evocazione dei "personaggi del popolo", di quei semplici e coraggiosi combattenti nelle avversità e nella vita di tutti i giorni, che hanno insegnato ai loro contemporanei e oggi anche a noi, uomini del XXI secolo, il concetto profondo di "Umanità".
Il 1943 fu per lui l'anno più bello. Le notizie della Liberazione lo entusiasmarono. Luigi 'o Zainiello fu un uomo dotato di grande coraggio, per tutta la sua vita aveva percorso viottoli e strade di campagne solitarie, famose per essere frequentate da malviventi e da ladruncoli, senza temere per la sua incolumità, considerando anche che il peso dei recipienti trasportati gli avrebbero impedito ogni sorta di difesa. Quelli che invece gli facevano paura erano i militari e i poliziotti, che potevano sequestrargli il vino e infliggere multe...
Un giorno gli amici gli fecero un brutto scherzo, lo appostarono a un angolo di strada e, quando sopraggiunse, gli gridarono di scappare perché c'erano le guardie. Lui, terrorizzato, adagiò la botte a terra e scappò in fretta per la campagna. I burloni, una volta guadagnato il campo, si sedettero tranquilli ai lati della botte e la lasciarono solo quando fu svuotata quasi di tutto il suo contenuto. Dopo aver recuperato il recipiente, Luigi raccontava, compiaciuto, che le guardie quella volta erano state più generose del solito, perché, pur sequestrando parte del vino, almeno gli avevano risparmiato la contravvenzione...
Dopo l'Armistizio, divenne un protagonista della Resistenza, andando a caccia dei tedeschi in fuga. Si sparse la voce che con l'aiuto di altri tre valorosi aveva cercato di disinnescare il ponte della "Savorella", presso Monte Cassino, perché era stato minato dai tedeschi in ritirata. Ma, nell'intervenire, i nostri combattenti si accorsero che altri partigiani li avevano preceduti... Resta comunque il valore del gesto compito da parte del nostro Zainiello e compagni.
Masseria di Campodisola, foto di Ferdinando Kaiser |
Fu apprezzato per la sua coerenza e la statura morale, anche se era un idealista e forse anche po' semplicione. Pur di tempera forte, non visse a lungo, forse proprio a causa dei suoi eccessi alimentari. Era un fatalista e non credeva nei medici. Considerava che per un uomo, quando giungeva il momento della fine della propria vita, non esistevano medici o santi che potessero evitarla, per questo, era meglio viverla in pienezza, senza dar conto alle privazioni inflitte dai medici. E, quindi, incurante, continuò a mangiare e a bere, senza preoccuparsi dei segnali di malasalute... Durante la vendemmia di quell'anno, mentre pigiava con i piedi le uve, come era solito fare nell'antico tino tramandato dai suoi antenati, Luigi 'o Zainiello terminò per sempre la sua battaglia con la vita. I familiari lo trovarono all'ora di cena, esamine, sdraiato sopra le sue vinacce profumate, come se dormisse. L'espressione del viso pareva che trasmettesse felicità e soddisfazione...
Termina qui l'evocazione dei "personaggi del popolo", di quei semplici e coraggiosi combattenti nelle avversità e nella vita di tutti i giorni, che hanno insegnato ai loro contemporanei e oggi anche a noi, uomini del XXI secolo, il concetto profondo di "Umanità".
Salvatore Fioretto
Desideriamo ringraziare per la collaborazione gli amici Pasquale Di Fenzo e il maestro Nicola Mormone. Ringraziamo il Gen. Giovanni Baiano per aver acconsentito di poter utilizzare liberamente il contenuto del racconto "Luigi 'o Zainiello", tratto dal suo bel libro: "I figli della Selva", a cui rimandiamo i lettori interessati per un doveroso approfondimento.
Desideriamo ringraziare per la collaborazione gli amici Pasquale Di Fenzo e il maestro Nicola Mormone. Ringraziamo il Gen. Giovanni Baiano per aver acconsentito di poter utilizzare liberamente il contenuto del racconto "Luigi 'o Zainiello", tratto dal suo bel libro: "I figli della Selva", a cui rimandiamo i lettori interessati per un doveroso approfondimento.
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