Quella
che fu la sterminata plaga dell'"Ager Neapolitanus", chiamata così dai Romani, fu
fin dagli albori degli insediamenti antropici stabili luogo rinomato per la
produzione di diverse cultivar ed essenze arboree, utilizzate per la
realizzazione di fibre tessili vegetali, destinate alla produzione di capi di
abbigliamento, di tessuti e di diversi tipi di stoffe, per un vasto e variegato
utilizzo.
Coltivazione di Lino |
A
Secondigliano e a Casoria, per esempio, una delle principali attività extra-agricole era proprio quella della filatura. La gran parte della popolazione di Arzano era poi impiegata nell'attività di
"pettinatura" del lino e della canapa, lavoro che si svolgeva anche in altri centri e contadi della provincia di Napoli e nella stessa città.
Nel Seicento, Secondigliano si reggeva su un'economia
prevalentemente agricola, grazie al terreno fertilissimo. Numerosi impianti di alberi di gelso si trovavano lungo l'antica arteria che collegava (e collega tutt'oggi), Secondigliano a Melito, ad Aversa, fino a Roma (l'attuale Scampia!). La seta qui prodotta era di ottima qualità, e fu definita tra le migliori prodotte del Regno di Napoli, nel secolo XVII. Di buon livello
era anche la produzione del lino che veniva lavorato in casa dalle donne, mentre
gli uomini provvedevano al commercio, esportando i filati e i prodotti di tessitura fuori dai confini dell'antico
Casale. Sempre a Secondigliano, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, molto fiorente era anche la tessitura dei capi in felpa.
Citiamo le testimonianze storiche raccolte sulla vocazione del territorio per la produzione di fibre tessili e filati.
Testimonianze
storiche sulle coltivazioni di canapa, di lino e di gelso
Canapa |
Sono anco fertilissimi di vini preziosi e delicati, di frumento, di lino finissimo e canapo di grande qualità, di bellissime sete, vittovaglie di ogni sorte, selve, nocellami, polli, uccelli, et animali quadrupedi, così da fatica come da taglio: gli abitatori di questi Casali, quasi ogni giorno vengono a Napoli a vendere le loro cose” .
Il
Sacco nel 1796 scrive: […] Piscinola Casale Regio di Napoli nella provincia
di Terra di Lavoro (!), ed in Diocesi di Napoli, il quale giace in una pianura,
d’aria temperata e nella distanza di quattro miglia dalla città di Napoli. Sono
da notarsi in detto Casale, il quale esisteva sin dal tempo, in cui la città di
Napoli fu presa e saccheggiata da Belisario, generale dell’imperatore
Giustiniano, una chiesa parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore, ed una
confraternita laicale sotto la invocazione del Sagramento.
Il suo territorio produce grani, granidindia, lini e canapi. Il numero degli abitanti ascende a milleottocentoquarantasei sotto la guida spirituale di un Parroco.”
Il suo territorio produce grani, granidindia, lini e canapi. Il numero degli abitanti ascende a milleottocentoquarantasei sotto la guida spirituale di un Parroco.”
Il
Libro Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo
Giustiniani a Sua Maestà Ferdinando IV, re delle Due Sicilie, edito nel 1804,
riporta testualmente: “Da una carta celebrata in Napoli, citata dal
Chiarito, a 29 agosto dell’anno XLIV dell’impero di Costantino e VII di Romano,
si legge: “Petiam terre in loco dicto prato in Piscinula”. Il suo territorio fa
grano, granone, lino, canapa, vino e frutta. Gli abitanti ascendono a 1954
(anno 1804), tutti addetti all’agricoltura e alla negoziazione de loro
prodotti”.
Scheda botanica della Canapa |
Nel
libro “Corografia dell’Italia” di G. B. Rampoldi, Volume III, Milano 1834, si
legge: “Piscinola, volgarmente Pascinola, villaggio del Regno delle Due
Sicilie, provincia di Napoli, distretto di Casoria, cantone di Mugnano, con
circa 1800 abitanti. Il suo territorio, intersecato dalla via che da Napoli
conduce a Caserta, è dei più ubertosi che immaginare si possa. Abbondantissime
sono le messi, copiose le piante fruttifere e prelibati i loro prodotti. Sta
sette miglia a ostro di Caserta e altrettanto a borea di Napoli [...]”.
La
macerazione nel lago di Agnano...
Il
lago di Agnano è stato utilizzato per secoli dagli abitanti di Piscinola e di altri centri dell'Area Nord di Napoli, per la macerazione del lino e della canapa. Per
favorire tale pratica e agevolare il collegamento stradale al lago, i Borboni realizzarono l'importante asse viario, denominato la
"Strada dei Canapi Agnano-Miano", oggi via V. Janfolla e altre strade
ad essa collegate, attraverso i quartieri dell'Arenella (Pigna) e di Fuorigrotta (leggere il
post dedicato alla "Via Miano Agnano, la prima tangenziale di Napoli").
Successivamente alla
realizzazione di quest'arteria, il Comune di Piscinola avanzò richiesta di fondi
alla allora Deputazione Provinciale di Napoli, per finanziare la costruzione di una nuova strada
per Miano, che si congiungesse col nuovo asse viario per Agnano (oggi Via Vittorio Veneto), ma a causa del cambio di Governo, scaturito dall'unificazione del Regno d'Italia, all'abolizione del Comune di Piscinola e alle lungaggini burocratiche cittadine, essa veniva completata solo nell'anno 1913...!
Lago di Agnano e il casino di caccia borbonico, foto di fine '800 |
L'utilizzo
del lago di Agnano fu proibito durante i periodi di calamità pubblica in città, anche se
le disposizioni di divieto furono quasi sempre disattese dai nostri antichi
concittadini, tanto da scaturirne pubblici ammonimenti, destinati ai cittadini
evasori...
Ecco
una testimonianza raccolta nella cronaca del tempo: “Napoli nell’anno 1764,
documenti della carestia e della epidemia…”:
Macerazione della canapa |
“[…]
Con dispaccio del 13 luglio del 1764 venne vietata la macerazione della canapa
e del lino nel lago di Agnano, come cosa pregiudizievole alla pubblica salute,
e si ordinò di farsi il macero nel Fusaro, nel lago di Patria e in altri luoghi
lontani dall’abitato e poiché i contadini di Piscinola, Marianella e
Chiajano ed altri si negarono di ubbidire, fu ordinato dal Commissario di
Campagna di procedere con rigore contro i trasgressori […]”.
Nei
secoli precedenti al XIX secolo anche le zone dell’area est di Napoli, ricche
di paludi, furono utilizzate per macerare Lino e Canapa. Infatti a Barra,
furono gli Angioini ad avviare un'efficace azione di bonifica di queste zone
acquitrinose e malsane, dove dai tempi del Ducato si poneva a macerare il lino
e la canapa; ciò permise con il tempo la graduale sistemazione del suolo e il
ripopolamento della campagna dando luogo alla formazione del primo nucleo del
casale di Barra. Ignorato il problema sotto il domino degli Svevi, l’intervento
di bonifica dello Stato proseguì a più riprese in età aragonese e culminò
nell'anno 1485.
Macerazione della canapa |
La
società francese "Chemin de Fer du Midi de Italie", gerente della ferrovia "Napoli Piedimonte d’Alife", proprio per far fronte alle numerose richieste di trasporto
da parte dei tanti lavoratori, braccianti stagionali, occupati in queste attività legate alla Canapa (lavoratori provenienti dalle
provincie di Napoli e Caserta), aveva istituita, a partire dagli anni ’20-‘30, una
fermata facoltativa proprio nei pressi del ponte sul canale, denominata, appunto, "Regi Lagni".
La
coltivazione del Gelso e la Bachicoltura.
Bozzoli di seta |
Ne conseguì una fiorente produzione di seta a livello artigianale e familiare, che preannunciava l'avveneristica istituzione borbonica dell’industria serica di San Leucio, promossa dal Re Ferdinando IV.
Baco da seta |
A
Secondigliano buona parte delle case era provvista almeno di un telaio per la
lavorazione e tessitura della seta a domicilio, ma anche del lino. La lavorazione della seta e del lino
persistette in questi territori per tutto l’Ottocento.
Anche
il Casale di Piscinola, poi divenuto Comune autonomo, ebbe dei luoghi principalmente dedicati alle lavorazioni delle
fibre e alla loro tessitura: il toponimo dell'attuale Via Cupa della Filanda deriva
dalla presenza, nei tempi antichi, di molte filande a sud di Piscinola, dedite
alla tessitura del lino e della seta.
Tessuto di seta "damascato" |
Il
Columella Onorati sosteneva di aver osservato nei dintorni di Napoli tre varietà
di gelso: a foglia bolognese, a foglia palermitana e a foglia bianca
"nostrale”. Le ultime due, più diffuse, erano rispettivamente a frutto
rosso e bianco, ma la bianca "nostrale" era largamente utilizzata...
La
canapa ed il lino
La
canapa ed il lino, come si è già detto furono un
tempo largamente utilizzate nell’economia contadina, per la produzione di
filati e di stoffe sia a carattere semi-industriale, che semplicemente per l'utilizzo familiare.Queste
fibre si ricavavano dalle piante coltivate nei nostri campi in maniera
intensiva. Esse avevano, in sostanza, fasi di lavorazione tra loro molto
simili.
Corde di canapa |
Descriveremo
la produzione della canapa, perché ci è giunta la testimonianza diretta degli
anziani che la coltivavano durante la loro fanciullezza. I semi di canapa (‘o
cannule) erano messi a dimora nel mese di marzo, eseguendo sul terreno
solchi ravvicinati, mediante piccole zappe. A luglio, quando le piante
iniziavano ad ingiallire, si estirpavano (scippavano) e venivano messe a
seccare distribuite sul terreno. Per rendere omogenee le superfici, si
“giravano” più volte i fusti, affinché anche le parti non esposte al sole
divenissero uniformi alle altre.
Si
eseguiva poi una “scrollatura” degli arbusti, in modo da favorire la caduta
delle foglie rinsecchite. Successivamente venivano eliminate le radici e le
cime degli arbusti, mediante dei tagli netti eseguiti con una specie di macete.
I fusti ottenuti erano quindi raggruppati in piccoli fasci e legati con
elementi della stessa canapa. I fasci di canapa erano caricati su appositi carri, detti “carrette”,
e trasportati nelle vasche di macerazione, che si trovavano nei pressi dei Regi
Lagni. Lì venivano immersi in acqua a macerare (‘a maturà) per circa
dieci giorni, coprendoli con dei pesi zavorra o semplicemente con pietre.
Produzione di corde a Frattamaggiore |
Terminata
l’asciugatura, i fusti di canapa erano riportati nelle masserie per essere
ulteriormente essiccati nelle “arie”.
Seguiva
l’operazione di “sfribratura”, che consisteva in una specie di “pestaggio”,
praticato per estrarre le fibre dal fusto. L’attrezzo utilizzato per
l’operazione consisteva in un apposito scanno (macennola), munito di una
leva di legno corta e pesante, con un’apposita scanalatura, dentro la quale si
poneva il fascio di canapa, per subire il “pestaggio”.
Queste fasi della
lavorazione erano condotte da operatori specializzati, impiegati solo per
l’occasione. Un’altra operazione particolare era la “pettinatura” di finitura,
che consisteva nello spatolare le fibre della canapa con uno speciale attrezzo
di legno detto “spatula”. Normalmente queste due ultime lavorazioni
erano condotte dallo stesso operatore, che veniva chiamato “pettinatore”.
Produzione di corde a Frattamaggiore: I "funari" |
Al
termine dell’operazione di “pettinatura”, si raggruppavano tre o quattro
matasse e si componevano i fasci, che avevano dimensioni stabilite per essere
trasportati e venduti in un “Consorzio”.
"Macennola" |
Il
grado d’apprezzamento variava secondo la scala di qualità: 1, 2, 3. Più alto
era il "numero d’apprezzamento" e più scadente era la qualità della canapa e
quindi meno valore economico gli era attribuito.
Spesso,
in occasione di una cattiva stagione primaverile, la canapa s’imbruniva durante
la “maturazione” e questa anomalia della fibra rappresentava uno degli elementi
che le facevano perdere di valore durante la vendita.
In
sostanza, il valore della canapa seguiva l’andamento del mercato ed era
soggetto ad un vero e proprio “borsino di scambio”.
Cartolina di Frattamaggiore |
Sovente
una certa quantità di canapa veniva utilizzava nell’ambito della famiglia del
contadino, il quale la raccoglieva su dei fusi e provvedeva a farla tessere in
alcune filande della zona, attrezzate con telai semi automatici.
Sicuramente
un tempo le masserie possedevano, oltre ad arcolai e fusi, anche i telai di
legno per la tessitura della canapa, poi andati in disuso. Con questi attrezzi
le donne del paese preparavano il loro corredo prima di sposarsi.
Frattamaggiore: Monumento dedicato ai lavoratori di Canapa: "La canapina" |
Non abbiamo raccolto testimonianze sulla produzione del lino a Piscinola, forse perché la coltivazione di questa pianta è stata praticata in tempi ancora più remoti ed è quindi scomparsa ormai da troppi anni. Molto probabilmente la produzione del lino avveniva sul finire dell'Ottocento solo a carattere locale in base a particolari esigenze familiari. Di sicuro in ogni masseria era presente una grossa pietra di basalto grigia, utilizzata per la lavorazione di questa pregiata fibra.
I
Meuricoffre coltivano il cotone a Piscinola…
Abbiamo
già pubblicato sulle pagine di questo blog un post dedicato alla famiglia dei
banchieri svizzeri Meuricoffre, che promossero soprattutto investimenti ed
affari nel campo della finanza, dell’agricoltura e della navigazione.
Fiore di cotone |
L’investimento si presentava già al suo nascere assai costoso, perché era necessario assoldare maestranze specializzate e importare macchinari provenienti da fuori Napoli. A chi gli faceva notare l’enormità della spesa da affrontare in relazione al guadagno atteso, Oscar Meuricoffre rispondeva che l’acqua poteva essere utile anche ai contadini piscinolesi...
Dopo
l’approvazione da parte del Comune di Piscinola, il progetto passò alla
Deputazione Provinciale di Napoli.
Non
sappiamo se l’investimento ebbe un buon rendimento, sappiamo solo che l’opera
idraulica fu realizzata, come pensata da Oscar.
Le
cronache registrano che, alla sua morte, il Comune di Piscinola si trovò in
possesso di un piccolo acquedotto, per soddisfare i bisogni idrici e di sete
della popolazione locale.
Arcolaio |
Nel notiziario “Atti del Regio Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali”, si riporta una sostanziosa descrizione delle piantagioni di cotone e dei ricavi industriali attendibili, oltre ad uno studio del clima e della geomorfologia del territorio esistente attorno alla città di Napoli ed in altre terre del Regno delle Due Sicilie. In quest’opera si dimostrava, in effetti, la fattibilità tecnico-agraria della coltura del cotone anche nel nostro territorio, come poi sperimentata da Oscar.
Formazione di corde a livello artigianale |
Salvatore
Fioretto
Alcuni paragrafi inseriti in questo post sono stati tratti dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010.
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
Alcuni paragrafi inseriti in questo post sono stati tratti dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore. Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010.
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N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.
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