Come
è noto la strada denominata via del Plebiscito viene da tutti gli
abitanti originari di Piscinola indicata con il toponimo di "'o Cap’' a
Chianca", questo perché, molto probabilmente in tempi remoti, in questo
luogo doveva esserci una rinomata macelleria, da cui Chianca, che sta
per "Panca", ossia un asse o un bancone di legno usato per esporre le carni;
d'altra parte tutt'oggi nell'idioma napoletano il macellaio viene denominato
"Chianghiero". Dal libro di Fioretto si apprende anche che
all'inizio del secolo scorso in questa zona si realizzò un piccolo macello
comunale, per scoraggiare la ricorrente abitudine dei piscinolesi di macellare
in proprio i maiali e altro bestiame, senza nessun controllo veterinario... ma
forse all'epoca non c'era tanto bisogno...
Chiesetta Madonna della Pietà, via del Plebiscito, foto Fioretto, 2014 |
Il
nostalgico ricordo di 'o Cape 'a Chianca mi porta a considerare che per
la sua vivacità non era da meno dell'altro "capo" di Piscinola, più
famoso, già ampiamente descritto in questo blog, ovvero de "O cap''e
Coppa".
Il
nostro Cap''a Chianca era uno straordinario posto con tanti negozi e
negozietti, con un pullulare di ambulanti e c'era anche una rinomata trattoria.
Molti
di questi negozianti li ho ricordati nel mio libro "Il borgo perduto"
ed. Marotta e Cafiero, tuttavia mi piace qui descrivere questi esercizi
seguendo il percorso stradale, che si sviluppa dalla Piazza B. Tafuri verso il
ponte della Piedimonte, lato Scampia.
Tatonno ‘o gassusaro
Don
Antonio Ronga era un uomo assai intraprendente, invece di commerciante si
potrebbe definirlo un "industriale antesignano", del perché lo
capirete seguendo la lettura... In un locale che oggi posizioneremmo tra l’attuale
tabaccheria Biancardi e il fioraio Sica,
donn’Antonio approfittando di una fontana pubblica posta all’inizio di
Via Acquarone, aprì una fabbrica di ghiaccio; con un grosso macchinario
di refrigerazione, produceva enormi parallelepipedi a sezione quadrata di
ghiaccio e bacchette di ghiaccio della lunghezza di un metro con lato di circa
15 cm.
Foto panoramica, lato via del Plebiscito, di C. Pernice, anno 2013 |
Questo
ghiaccio che serviva a pescivendoli, venditori di meloni e angurie e di gelati
garantiva una attività esclusivamente estiva. Ma il buon donn’Antonio per
lavorare tutto l’anno associò a quest’attività la produzione di ‘gazzose’.
Tanto di acqua gratuita ne aveva a volontà, zucchero (saccarina), acido citrico
e anidride carbonica, acquistati a livelli industriali, costavano poco o
niente. Ma donn’Antonio completò la
sua piccola impresa con un piccolo impianto di imbottigliamento ed
etichettatura con il nome di ‘RONGAssosa’.
La
gassosa di donn'Antonio si comprava nelle cantine o nella stessa fabbrica
produttrice e serviva per diluire o dolcificare vini pesanti o ‘spunti’ in
processo di acidificazione. Tempo dopo lo stabilimento sparì ed al suo posto
sorse un bellissimo bar con un ampio saloncino vetrato d’ingresso, arredato con
tavolini e sedie. Oltre al locale del bar vero e proprio, all’interno c'era una
sala biliardo e una sala per guardare la nascente televisione in bianco e
nero...
Nannina ’a malamente
Il
negozio di Nannina, detta 'a malamente, si trovava esattamente dove ora c’è
il fioraio Sica. Nannina vendeva stoffe in quel locale che si presentava come
un antro buio, con un nauseabondo odore di naftalina e canfora, sostanze usate
allore per allontanare tarme, cocciniglie e altri insetti che potevano
danneggiare le stoffe. In quel tempo le stoffe erano realizzate prevalentemente
con filati di origine animale o vegetale.
Cartolina anni '40 |
Nannin’a’malamente vendeva tela per i sarti
(taffetà per camiciai, orbace, panno casentino o toscano, panno
grosso, mussola, georgette in seta, chiffon, organza, cretonne bianco o
stampato, batista leggera in lino o cotone, gabardine di lana o seta, stoffe di
lana per vestiti e cappotti (pied de poule e spina di pesce), tela di
lino per lenzuola, federe), cotoni d’ogni tipo e infine bottoni di variegati
colori, dimensioni e qualità. Caratteristico e molto richiesto in quei tempi
era il fustagno, una stoffa nera detta “pell’e’riavulo”, per la
sua resistenza agli strappi e all’usura, adatta per i pantaloni dei contadini. I
suoi figli, si alzavano di buon ora la mattina e uscivano di casa con enormi
sacchi di panno nero sulle spalle. Praticavano l’ambulantato a piedi,
recandosi nei paesi vicini: Marianella, Chiaiano, Marano, Mugnano, Arzano,
Grumo Nevano, Secondigliano, Casandrino ecc...
Don Mario Sica (fioraio)
Veduta aerea del Cap''a Chianca... |
Il
negozio di don Mario Sica (mio zio) era (e resta tuttora) la fioreria
più accorsata di Piscinola. Il retro del negozio sbucava in un cortile
attraverso il quale, tramite una breve scalinata, s’accedeva in un giardino che
aveva del fantastico, perché conteneva un'immensa varietà di specie vegetali:
rose, camelie (bianche e rosse), palme, philodendron, garofani, phicus
semplici e benjamin variegati, cespi di capelvenere ed orchidee
difficili da coltivare, insomma era una foresta di specie indigene ed esotiche!
Non c’era festa d’onomastico, di nascita, di battesimo, di comunione o uno
sposalizio che non fosse addobbata da Mario Sica il fioraio e,
ovviamente, nemmeno una cerimonia funebre.
Tra
le tecniche di addobbo floreali utilizzate da zio Mario ricordo
l'utilizzo di particolari arbusti che crescevano spontanei ai lati del binario
della Piedimonte, chiamati 'e fetienti, a causa dell'odore
nauseabondo emanato dal fogliame. Nel
nostro territorio si trovavano da per tutto; ricordo che da ragazzo mi fermavo a
guardare i lenti treni della Piedimonte che, avanzando, aprivano
spazi tra i folti cespugli di questi arbusti... Avevano uno stelo
dritto, alto anche più di un di un metro, che venivano sezionati e servivano da
supporto per sostenere i delicati fiori e poter comporre cuscini oppure corone
(ghirlande) sorrette a loro volta da grandi foglie di palma, che diventavano
l’emblema d’ogni funerale o delle ricorrenze storiche.
Felice ’e po' parlamme,
Portale della proprietà Del Forno, foto Fioretto, 2004 |
Felice era un ciabattino che
amava intrattenersi a parlare con la sua clientela. Sovente quando iniziava
a raccontare un fatto, improvvisamente interrompeva il racconto, chissà se per
mancanza di memoria o per sua tattica, dicendo la proverbiale frase finale "po'
parlamme’" (poi ne riparliamo). Se Felice avesse solo voluto
mantenere fede a tutti quei numerosi rimandi, non gli sarebbero bastate altre
tre vite...
Ebbe
un solo figlio molto dedito allo studio, che divenne esempio e scorno di
tutti i ragazzi svogliati, me compreso. Talvolta, quando frequentavo le medie,
mi mandavano da lui a ripetizione; con gli anni ho capito che quel ragazzo,
laureando in lettere e filosofia, era, almeno in quel tempo, un ragazzo molto
timido e riservato, con un gran desiderio di affermarsi nella vita e compensare
i genitori dei sacrifici che avevano compiuto per sostenerlo.
Pascalino d''a lavanderia’ (sig. Pasquale di Vaia),
quando Nannin’a’
malamente chiuse il suo esercizio commerciale, sorse sul lato opposto della
strada la lavanderia di Pascalino, dove oggi c’è il bar Scopato. Pascalino
vendeva tutti gli articoli di merceria e per sartoria che in precedenza erano
venduti da Nannina e in più esponeva: shampoo, deodoranti, smalti per
unghie, rossetti ed altri articoli per donne. Iniziò a svolgere il servizio di
lavanderia, ritirando coperte e capi di vestiario sporchi, che provvedeva a
portare in una lavanderia industriale che si trovava in centro, nei pressi
di Piazza Carlo III.
La cantina don Vincenzo Di Guida
Festeggiamenti del SS. Crocifisso, processione in via del Plebiscito, anni '50 |
La salumeria di donna Giulia Biancardi
La
salumeria era posta quasi alla fine di via del Plebiscito e vendeva gli stessi
prodotti delle ‘puteche’ piscinolesi,
solo che all’interno del cortile retrostante disponeva di un forno, che era
attivo tutta la notte per produrre un pane ricercato da numerose famiglie di
Piscinola e anche da fuori contado. Erano in tanti a preferire "'o ppane 'e
onna Giulia a putecara, abbascio 'o Capa 'a Chianca...!"
Sulla
via del Plebiscito si trovava (e si trova tutt'oggi) il caratteristico doppio
portale di tufo che fungeva da arco di ingresso della proprietà di don Mimì
del Forno, famoso imprenditore agricolo, abitante a Materdei.
In
questo luogo, infatti, Don Mimì aveva il suo tenimento agricolo, che era
molto vasto e soprattutto curato, dove erano selezionate pregiate varietà di
pesche che venivano presentate nei vari congressi specialistici italiani,
ricevendo spesso dei riconoscimenti e premi, con recensioni su riviste
specializzate del campo. Della varietà di pesca di Mimì del Forno e di
altri aneddoti legati alla figura di questo apprezzato imprenditore a Piscinola,
sono stati dedicati altri post all'interno di questo blog.
Tra i tanti venditori ambulanti ricordo: don Silvestro, che d’estate vendeva la "rattata" (granita di limone), in primavera, caramelle e d’inverno castagne lesse; don Vicienzo e don Rafele ’o caramellaro, che vendevano caramelle con dei caratteristici banchetti di legno muniti di lastre di vetro scorrevoli; don Ciro 'o piattaro, che vendeva piatti, bicchieri, posate in alluminio, pentole, bacili e bagnarole di stagno; Donn’Eugenio ’o pulezzastivali, che lucidava scarpe con tinture e cere di sua produzione. C'erano altri ambulanti che ora non ricordo molto bene il nome, che ormai sono entrati nell’immaginario collettivo piscinolese.
Tra i tanti venditori ambulanti ricordo: don Silvestro, che d’estate vendeva la "rattata" (granita di limone), in primavera, caramelle e d’inverno castagne lesse; don Vicienzo e don Rafele ’o caramellaro, che vendevano caramelle con dei caratteristici banchetti di legno muniti di lastre di vetro scorrevoli; don Ciro 'o piattaro, che vendeva piatti, bicchieri, posate in alluminio, pentole, bacili e bagnarole di stagno; Donn’Eugenio ’o pulezzastivali, che lucidava scarpe con tinture e cere di sua produzione. C'erano altri ambulanti che ora non ricordo molto bene il nome, che ormai sono entrati nell’immaginario collettivo piscinolese.
Portale ad arco e cortile palazzo "Staviano", foto Fioretto, 2014 |
Senz'ossa era un contadino, abbastanza
in carne, che abitava nel palazzo posto a confine con il giardino di Villa
Vittoria. Era molto bravo a crescere polli, conigli e soprattutto maiali, che ingrassava
al punto che non erano più capaci di stare sulle proprie zampe. Sapeva fare un
vino apprezzatissimo e produrre salami, capicolli, prosciutti e salsicce di un
sapore ricercato e non più gustato.
Altri tempi!
Altri tempi!
Luigi
Sica
Ringrazio
l'amico, Luigi Sica, per aver contribuito con quest'altro suo bel racconto alla
ricostruzione di un altro pezzo della storia recente del nostro amato Borgo.
S.F.
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