Processione anno 1987 in via Vecchia Miano |
"Guagliù, ‘e pale, stanno
mettenn’‘e pale!”, era il grido che preannunciava la festa del sei agosto a
Piscinola, intitolata al SS. Salvatore. Ed era tutto uno spiare e intralciare
l’operato degli uomini intenti a piantare i pali azzurri su cui sarebbero state
montate le luminarie! Anche quando le luci erano ancora spente, sembrava che la
monotonia di un’ estate non sempre benedetta dai bagni di mare si accendesse
improvvisamente di colori e promesse. Quando, poi, finalmente, risplendevano le
luci, il quartiere diventava un mondo incantato, dove ogni moccioso era Aladino
e ogni bimbetta una principessa.
Già una settimana prima del 6 agosto, zum pà
pà, zum pà pà..., la musica della banda di Piscinola, tra cui ricordo con
commozione il clarino di don Felice Di Chiara e i tromboni di zi’ Peppe e di
suo figlio Raffaele, seguita da una schiera di monelli, risuonava per le strade
e raggiungeva i contadini devoti, che offrivano galline, formaggi e prodotti
della terra, e i commercianti che donavano gli articoli della loro bottega; il
tutto, poi, la sera della festa, sarebbe stato venduto all’asta che, da noi,
veniva detta ‘a vénneta.
A questo punto, mi sia concessa una breve digressione personale: uno dei più celebri banditori d’asta fu mio nonno materno, Vincenzo Aruta ‘o pazzariello, che faceva della vendita un vero spettacolo, grazie ad uno straordinario senso dell’umorismo che ha poi trasmesso a molti dei figli e dei nipoti. L’ultima volta che la banda lo richiamò suonando sotto il suo balcone, situato sopra la sede dell’associazione del Sacramento, la mia mamma, che si era appena imparentata con la riservata famiglia Montesano, lo scongiurò di rinunciare e di restare in casa, per non farle fare brutta figura; la mamma scongiurava e il nonno protestava, finché lui si arrese alle preghiere di lei; ma, dopo qualche ora, il farmacista dovette correre a mettergli le sanguette (sanguisughe) sul petto perché ‘O pazzariello si era sentito male per il dispiacere; la mia mamma non si è mai perdonata quell’episodio che decretò la fine del banditore più ricercato di Piscinola e dintorni.
A questo punto, mi sia concessa una breve digressione personale: uno dei più celebri banditori d’asta fu mio nonno materno, Vincenzo Aruta ‘o pazzariello, che faceva della vendita un vero spettacolo, grazie ad uno straordinario senso dell’umorismo che ha poi trasmesso a molti dei figli e dei nipoti. L’ultima volta che la banda lo richiamò suonando sotto il suo balcone, situato sopra la sede dell’associazione del Sacramento, la mia mamma, che si era appena imparentata con la riservata famiglia Montesano, lo scongiurò di rinunciare e di restare in casa, per non farle fare brutta figura; la mamma scongiurava e il nonno protestava, finché lui si arrese alle preghiere di lei; ma, dopo qualche ora, il farmacista dovette correre a mettergli le sanguette (sanguisughe) sul petto perché ‘O pazzariello si era sentito male per il dispiacere; la mia mamma non si è mai perdonata quell’episodio che decretò la fine del banditore più ricercato di Piscinola e dintorni.
Processione anno 1978, in via Vecchia Miano |
Ma torniamo a noi:
qualche giorno prima del sei Agosto, già si sentiva per tutto il quartiere il
“Sà... sà..., uno due prova” dal microfono piazzato sul palco di piazza Tafuri sul
quale si sarebbero esibiti numerosi cantanti. E, poi, finalmente, arrivava il
benedetto giorno della festa. Già nel pomeriggio, le donne, in attesa del
passaggio della processione, esponevano ai balconi le loro più belle coperte di
seta o di damasco, le più preziose lenzuola ricamate a mano e, a passare tra
tutto quello sventolio di drappi colorati, pareva di percorrere le pagine delle
Mille e una notte. Poi, un lontano, accorato suono di strumenti musicali
annunciava la banda che andava a prelevare i membri delle varie associazioni
religiose: quelle del Sacramento, di cui faceva parte mio zio Tonino Aruta,
dell’ Addolorata, S. Giuseppe e SS. Salvatore, della Madonna delle Grazie,
della Madonna di Loreto, del Crocifisso, che si distingueva per le piccole luci
nei taschini delle giacche dei soci, i confratelli della congrega del
Sacramento e le donne dell’Azione cattolica, devote al Cuore di Gesù, di cui
faceva parte nonna Carmela e che sfilavano portando sul petto e sulla schiena
un “abetiello” con un grande cuore rosso.
Processione anni '50, in piazza B. Tafuri |
Le associazioni e la banda, diretta
dal maestro Santoro, si recavano, poi, in piazza, attendevano l’arrivo dei
sacerdoti e della statua del Salvatore, sorretta dai volontari, e iniziava la
processione a cui si accodavano le fanciulle in abito da prima comunione e
molti fedeli. Il corteo si snodava sott’’a chiesa, for’a vienova, per via
Napoli, ‘ncopp’o principino e, finalmente, arrivava o’ cap’e coppa, dove tutti
noi eravamo in attesa, per poi proseguire per via Vittorio Emanuele e ritornare
in piazza. Chi in strada e chi dai balconi era pronto, con cesti profumati,
per spargere sul santissimo petali di
fiori variamente colorati e profumati; qualcuno si inginocchiava davanti alla
statua del Salvatore per grazie ricevute o da richiedere. La sera, bambini e
genitori, tutti in ghingheri, provenienti non solo dal nostro quartiere ma
anche da quelli vicini, si avviavano allegramente verso la piazza che si
rivelava un trionfo di luci e di bancarelle sulle quali troneggiavano montagne
di torroni di ogni colore e consistenza o secchi con gli spinosi frutti del
fico d’India che il contadino provvedeva a sbucciare e ad offrire in punta di
forchetta; ma i banchi più affollati erano quelli che offrivano le nostre
saporose e insuperabili zuppe di cozze: le famiglie vi si spaparanzavano
intorno, gustando sapori, odori, colori e la musica e le voci che erompevano
dal palco, interpretando le più celebri canzoni napoletane e anche qualche
brano d’opera.
Processione anno 1987, in via Vecchia Miano |
Più in là, tra le risate del pubblico, avveniva la famosa asta.
Alla fine del concerto, le famiglie ritornavano a casa ma la festa non era
ancora finita: chi poteva saliva sui tetti per ammirare al meglio il finale,
gli splendidi fuochi d’artificio dei migliori fuochisti di Napoli. A
mezzanotte, nell’aria tersa e nel silenzio delle strade, le voci si propagavano
da un tetto all’altro con grande sonorità e chiarezza; esplodevano i fiori
violetti, verdi, azzurri, seguiti da cascate di argento e d’oro ed era tutto un
intrecciarsi di commenti “Cumpà, chesta comm’era? A me me pareva nu poco
storta!” “Ma che ne capisce tu, Totò? Tu nun saie manco si ‘a capa toia è tonna
o quadrata!”. E giù risate, fra uno sgranocchiare di taralli e di torroni. Poi,
tutto taceva, la festa era finita e la gente ritornava in casa tra il sogno e
il rimpianto, mentre i fumi dei fuochi solleticavano ancora le narici e il cuore.
AnnaMaria Montesano
AnnaMaria Montesano
Ringrazio Carmela Montesano e
Tonino Aruta per il contributo dei loro preziosi ricordi.
.... Mi viene da dire, ricordando i bei tempi andati e le loro ricorrenze, così amabilmente descritte da Anna Maria Montesano: ... E il naufragar mi è dolce in questo mar di ricordi.....
RispondiEliminaGrazie, Rosa, le radici non si dimenticano.
Eliminai ricordi di Anna Maria Montesano, sono bellissimi ed aggiungo pieni di un poesia che viene da una splendida malinconia che mi riporta agli inizi delle belle favole. c'era una volta.
RispondiEliminaGrazie di cuore Annamaria, dovresti scrivere più spesso di queste memorie.
Luigi Sica (o' tabbaccaro)
Io ringrazio te per le belle parole, caro Luigi.
EliminaDA RICORDARE O SANNACCHIAR CHE PER L'OCCASIONE METTEVA I TAVOLINI FUORI ALLA CANTINA E SERVIVA A ZUPP E COZZCH
EliminaBellissimo racconto dei tempi andati dove ogni parola è fucina di nostalgia.
RispondiEliminaRivivere quelle atmosfere riempie il cuore di malinconia perché la magia del passato è irripetibile... in questa via Gluck napoletana.