(Segue dalla II parte) Il “Cedolare Angioino” fornisce notizie
preziose circa le imposte applicate ai vari Casali. Infatti la somma dei
tributi da questi versati, al periodo risalente il testo, era di 186 once,
contro le 506 once, corrisposte all’erario dagli abitanti della città di Napoli.
Con il trascorrere dei secoli, i Casali Demaniali
godettero di un’ampia autonomia amministrativa nei confronti della corona e
della curia vescovile. In alcuni di essi, già trasformati in “Università”,
erano presenti forme di autogoverno e di assistenza, attraverso propri sindaci
o eletti, che amministravano i Casali in modo del tutto indipendente,
provvedendo ai bisogni dei cittadini con gabelle sui prodotti e pedaggi sui
trasporti.
La giurisdizione della città consisteva nell’amministrare
l’Annona e alcuni dazi promiscui. Esisteva un ispettore (“Giustiziere della
Grassa”), assistito da un suo designato (“Catapano”), che avevano il compito di visitare i
Casali per vigilare sulla qualità e sul prezzo imposto al pane e ad altri
prodotti.
Al fisco si pagava il “Focatico”, che nel
1442 ammontava a un ducato per ogni nucleo familiare. Comunque i Casali Demaniali
dovettero considerarsi privilegiati rispetto a quelli baronali, perché ricevevano
una giustizia più obiettiva ed equa.
Ritratto giovanile di Ferdinando III detto il Cattolico |
Alfonso D’Aragona, detto il Magnanimo, inasprì
il sistema fiscale per compensare il deficit contratto dalla Corona durante le
guerre e a causa della magnanimità con cui Egli dispensava favori e beni. Il re,
con editto del 1443, dispose il censimento ai fini fiscali della popolazione
dei Casali e della città, detto “Numerazione dei focolari” e stabilì che la
tassa pagata da ogni “focolare” ammontasse a 42 carlini. Dal pagamento di
questa tassa furono esonerati parecchi Casali intorno alla città di Napoli, insieme
agli abitanti della stessa capitale. Riporta Nicola Del Prezzo: “Il timore di sommosse doveva comunque
esserci, visto che in primis ad essere esentati erano i cittadini della
capitale”.
Durante la dominazione Aragonese, il re di
Napoli, Ferdinando III detto “Il Cattolico” (Ferdinando II d’Aragona), concesse,
in data 15 ottobre 1505, il privilegio alla città di Napoli di non vendere o
donare ad alcuna persona i suoi Casali.
Nell’opera: “Nuova, e perfettissima descrizione del Regno di Napoli, diuiso in
dodici provincie, nella quale brevemente si tratta della città di Napoli, e
delle cose più notabili…”, di Enrico Bacco Alemanno, edita nel 1629, si riporta la seguente testimonianza: “NAPOLI: città inclita, capo del Regno, per
privilegio che tiene, non si numera, né anco tutti i suoi casali che sono
quarantatré, per dodici miglia intorno, però non pagano cosa alcuna. […] Seguono i NOMI DEI CASALI della città di Napoli, quali per privilegio,
che tiene detta città, non pagano pagamenti fiscali, né altro. San Pietro a
Patierno, La Fragola, Lo Salice, Casalnuovo, Fratta Maiore, Grummo, Pescinola, […]”.
Una delle mappe elaborate da GiovanBattista Porpora, nel 1779 |
Il 15 giugno del 1637 gli abitanti dei Casali si sollevarono tutti uniti, in un’accesa protesa contro l’ordine del Viceré di Napoli, Don Ramiro de Guzman duca di Medina del Las Torres (al trono per conto del re Filppo IV di Spagna). Alla protesta parteciparono trentadue Casali, tra i quali Piscinola. Nonostante il tumulto, la Regia Camera della Sommaria, competente del Foro Feudale, non tenne alcun conto delle richieste e delle rimostranze dei Casali e quindi ratificò la decisione vicereale.
Molti Casali, per non cadere nelle mani dei baroni, furono costretti ad esercitare lo strumento dello “Ius Praelationis”, ossia la possibilità di ritornare allo status di “Regio Demanio” pagando alla Regia Camera, nell’arco di un anno, lo stesso prezzo di vendita offerto dai baroni. Non tutti i Casali riuscirono però a “riscattarsi”.
I Casali che si “riscattarono” passarono sotto lo stato di “Casale Autonomo”, detto anche “Communità” (ossia Comune) ed erano governati dall’assemblea delle famiglie, che poi regolavano i loro rapporti fiscali con il governo centrale, attraverso un Procuratore del Regno.
Intanto, nell’anno 1647, la città di Napoli fu chiamata a “donare” un milione di ducati richiesti dalla maestà cattolica, Filippo IV. La “Piazza della città” stabilì di applicare una gabella sulla farina, divisa in maniera diversa tra la Città e i Casali del Distretto. Per far fronte alla nuova gabella, i Casali dovevano sborsare 3 carlini a tomolo di farina, mentre la città di Napoli un solo carlino a tomolo.
Per il Casale di Piscinola la gabella fu valutata 1.822,75 ducati e fu anticipata con un prestito, dai signori Alessandro Brancaccio e Alfonso de Liguori (trisavolo di Sant’Alfonso), attraverso il patto “quandocunque” (pagamento in qualunque tempo), in base alla propria disponibilità. A causa di questo debito contratto, il Casale di Piscinola ritornò ad essere a rischio di vendita.
Il problema della vendita dei Casali fu molto sentito dalla popolazione locale, fino al punto che, durante i moti del 1647, Masaniello impose nel trattato firmato con il Viceré Duca De Arcos (detto “Capitoli”), l’impegno di non vendere in futuro i Casali.
Al capitolo 43 di questo Trattato si legge: “Item, che tutti li Casali di questa Fidelissima Città in ogni futuro tempo debbiano essere, e stare in demanio, non obstante qualsivoglia alineatione, vendita, o donatione in contrario fatta, le quali si declarano nulle, anche in conformità delle Gratie sopra ciò fatte per lo Serenissimo Re Cattolico, confermate per la Cesarea Maestà di Carlo V”.
Dopo la morte di Masaniello il problema si ripresentò, infatti in un documento datato 17 dicembre 1669 si ricava che il principe di Cardito arrivò a offrire ben 22 ducati per “fuoco”, “[...]senza le giurisdizioni delle eccellentissime Portolania e Cacia[...]”(termini usati per indicare i tributi sulla concessione degli spazi pubblici e sul commercio dei formaggi). Anche un certo “signore”, di nome Pisani, offrì un’alta cifra per l’acquisto di tutti i Casali messi in vendita, tra cui quelli di Piscinola e di Marianella.
Nel 1678 le Università di Secondigliano, Casavatore, S. Pietro, Piscinola, Marianella, Barra, Soccavo fecero richiesta di restare nel Demanio, offrendo di pagare 25 ducati a “fuoco”.
Alla fine si ebbero delle transazioni per ogni Casale. A conferma di ciò sappiamo, attraverso una “Consulta” dello stesso anno 1678, che i Casali sopra menzionati appartenevano ancora al Demano (ASN Sommaria Consultationum Vol. 76 fl. 253 t.).
Nel 1679 il Casale di Piscinola riuscì finalmente a “riscattarsi” ed a rimanere nel Regio-Demanio; purtroppo così non avvenne per Marianella e Miano. Ecco quanto scriverà l’Avv. Rossi, due secoli dopo a tal proposito: “Nel 1679, il Casale di Piscinola per sottrarsi alla Jattura di essere venduto come le altre terre demaniali, e cadere sotto il giogo dei Baroni, pagò alla Regia Corte di Sua Maestà Cattolica Carlo II, la somma di duc. 3800, come da istrumento per Notar Paolo Giuseppe Russo in Napoli”.
Mappa di Napoli e dei suoi 33 casali, di Luigi Marchese, 1804 |
Restando ancora in tema di gabelle, in uno scritto dell’anno 1647, tratto dalle determinazioni del Consiglio Collaterale (Vol. 179 fl. 124), firmato da un certo Ribera, apprendiamo una notizia relativa alla soluzione del problema dell’acquisto della farina a 2822 ducati per tarì e all’esenzione dalla gabella sul “Panizandi”: “…li ha fatto grazia di donarli il jus panizandi e fattala esempte da nisse imposizioni et pagamento ad essa Vendita, e poiché Em.mo Signoro, desidera essa Vindita tra i suoi cittadini offertare detto Jus Panizandi et per fare una poteca di Pizzicheria per detto effetto”. Con questo atto, il principe De Luna aveva ceduto al Casale di Piscinola il diritto di esenzione dalle gabelle sulla panificazione. Fu stabilito che la linea di confine di esenzione dall’”Arrendamento della farina” (cioè la gabella sulla farina) passasse a valle dello stesso palazzo “De Luna”.
Singolare fu la controversia sorta nel 1700, tra il governatore dell’Arrendamento della farina e alcuni nobili che avevano le loro masserie nel territorio piscinolese, tra cui gli eredi di Don Francesco de’ Liguoro, l’Abate Don Carlo Carafa, il marchese Don Danzi principe di Belvedere, il dottor Bartolomeo Imparato e i monasteri di S. Agostino alla Zecca e di S. Giovanni a Carbonara; la controversia mirava a stabilire se i cespiti rientrassero o meno nel territorio di esenzione dalla gabella.
A tal fine, nel 1776, il governatore dell’”Arrendamento della farina”, affidò l’incarico all’ingegnere Camerale Giambattista Porpora, di redigere una “Mappa generale della confinazione” tra Napoli ed i Casali circostanti.
Società di Storia Patria.
Col trascorrere del tempo divennero sempre più numerosi i Casali che erano diventati Universitas (cioè Comune) ed avevano dei Sindaci o Eletti.
Con la dinastia dei Borboni la situazione amministrativa dei Casali rimase immutata, fino all’avvento dei Francesi. (continua nella IV parte)
Salvatore Fioretto
leggere tutte queste belle notizie della nostra cara terra Piscinola e un piacere.un bravissimo al sig salvatore fioretto
RispondiEliminaGrazie, caro lettore.
RispondiEliminaE' stato un vero piacere leggere la "storia" del nostro territorio, descritta con una dovizia di particolari che mi ha veramente appassionato...grazie Salvatore!
RispondiEliminaGrazie, Giovanni Kheiraoui
EliminaLe faccio i miei complimenti per il rigore della sua ricerca storica e per la chiarezza lessicale.
RispondiEliminaGrazie caro lettore, il suo commento ci sprona a continuare nella nostra attività di ricerca.
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