(segue dalla prima parte)
Nel
nuovo Consiglio, presieduto da
Liborio Romano, creato nel 1861, il Mancini ebbe il ruolo di
consigliere, con la responsabilità degli Affari ecclesiastici e, il 6
febbraio, anche la presidenza della Commissione per gli studi
legislativi,
istituita dal luogotenente Eugenio di Savoia Carignano, per decidere le
modifiche da apportare alle normative giuridiche esistenti. Furono
varati, quindi, una serie di decreti che estendevano anche al meridione
d'Italia le normative di attuazione della transizione legislativa, con
l'intento di armonizzare la materia in linea unitaria.
Il compito più gravoso del Mancini fu, in particolare, la modifica della
legislazione ecclesiastica delle province meridionali, per renderla
compatibile con lo statuto. A tale fine Mancini elaborò alcuni decreti,
emanati anch'essi il 17 febbraio, che, tra l'altro, dichiaravano
decaduto il concordato del 1818, sopprimevano le commissioni diocesane,
con il ripristino del Regio Economato per l'amministrazione dei benefici
vacanti, affidavano all'autorità civile la nomina degli amministratori
delle opere pie laicali ed estendevano al Mezzogiorno la legge sarda del
29 maggio 1855, che prevedeva la soppressione della maggior parte degli
ordini religiosi, incamerandone i beni.
Questi provvedimenti, diretti a
eliminare privilegi inaccettabili, caddero tuttavia in un momento poco
opportuno, nuocendo all'azione diplomatica di Cavour, il quale proprio
in quei giorni cercava di aprire trattative con il papa. Inoltre, se
l'alto clero meridionale era rimasto legato alla dinastia borbonica e
sarebbe stato in ogni caso ostile al nuovo governo, il basso clero, per
la maggior parte su posizioni liberaleggianti, era turbato da leggi
giudicate anticlericali e tali da incidere negativamente sulle sue
condizioni di vita: solo la soppressione degli ordini religiosi riguardò
circa 20.000 frati e monache, mettendo in difficoltà molte famiglie.
Proprio
a tal proposito, abbiamo trovato due interessanti testimonianze tratte
da pubblicazioni del periodo, che sono delle critiche politiche rivolte all'azione del
Mancini, da cui si deduce chiaramente la sua presenza a Piscinola, probabilmente con il suo studio legale, ma forse anche con l'abitazione, permanenza attestata sicuramente prima del 1848. Ecco i
frammenti di nostro interesse, tratti dai due testi:
- Da: "Storia del Regno delle due Sicilie, dal 1847 al 1861, vol V, di Giacinto de' Sivo, anno 1867": [...] "Ed ecco che per ordine suo in Napoli a copiare il Pepoli, un Pasquale Mancini, Leguleio (sin. "avvocato di poca fama") di Piscinola, stato editore del Machiavelli, ignorante e presuntuoso, allora consigliere al Culto, esce a rifare il diritto canonico" [...].
- Da: "Un anno di luogotenenza piemontese a Napoli, 1861, S.N.: "[...] "La persecuzione del clero si accrebbe dal momento che si perdette la speranza di soggiocarlo. Sei decreti di un avvocato di Piscinola, di Pasquale Stanislao Mancini abolirono
con un trar di penna i concordati colla corte di Roma, abolirono le
commissioni diocesane, aboliron gli ordini monastici, le comunità
religiose, le congregazioni, i capitoli delle chiese collegiate, i
benefici semplici, le cappellanie e le abbazie e nel momento stesso che
si pubblicava tanta distruzione, il governo temeva lo scontento del
popolo e ne dichiarava prorogata l'attuazione" [...].
Dopo poco tempo, sempre per contrasti con personaggi di spicco locali, si dimise dagli incarichi e fece ritorno a Torino.
Nel parlamento del nuovo Regno, Marcini tenne numerosi interventi, spesso molto critici
verso la Destra e i suoi governi, responsabili, a suo dire, di una
politica sorda alle specificità del Mezzogiorno e al suo passato
amministrativo e giuridico, che poi non era tutto da demolire...
Nell'anno
1862 fece parte al governo Rattazzi, come ministro dell'Istruzione,
ma sempre per contrasti sulla linea del governo, giudicata troppo filo
francese, si dimise ancora.
Passato all'opposizione, si occupò in Parlamento
soprattutto di problemi giuridici. In particolare seguì e sollecitò la stesura del nuovo codice civile, con la redazione di un testo radicalmente rinnovato
rispetto a quello albertino. Notevoli furono i suoi contributi al nuovo codice per il Commercio.
Altri suoi discorsi e interventi parlamentari riguardarono: il
brigantaggio, l'imposta del registro e del bollo, l'amministrazione finanziaria, l'abolizione della pena di
morte.
Un altro tema su cui il Mancini intervenne autorevolmente in
Parlamento fu quello dell'ordinamento giudiziario.
Scrisse un saggio sulla Questione romana dal titolo: Sulle relazioni della Chiesa con lo Stato in Italia e sulla Questione romana,
Firenze 1867.
Dopo Porta Pia, nel 1870, Mancini partecipò da protagonista alla discussione sul disegno di legge delle guarentigie (Garanzie della indipendenza del Sommo Pontefice e del libero esercizio dell'autorità spirituale della Santa Sede).
In
aperto contrasto con i testi legislativi in corso di valutazione, il
Mancini presentò un proprio progetto in 24 articoli, che non fu
preso in considerazione. Per il testo definitivo, che fu poi approvato
nel 1871, Mancini riuscì a far approvare vari suoi emendamenti, ma si
dichiarò sostanzialmente contrario.
Nel 1872, fu chiamato ad insegnare alla Sapienza di Roma, nella facoltà di giurisprudenza.
Nel settembre 1873, prese parte a Gand al Congresso dei Giuristi Internazionalisti, nel quale fu decisa la creazione dell'"Institut de
droit international" e il Mancini ne fu eletto presidente.
Col
l'affermazione della sinistra alle elezioni del 1876, il Mancini entrò
come guardasigilli
nel primo governo Depretis. Uno
dei primi provvedimenti intrapresi da Mancini, fu il
trasferimento di una ventina di alti magistrati e per questo fu
ampiamente criticato, perchè l'adempimento fu visto come una rivalsa
personale. Egli, non solo respinse le accuse ma, durante il suo
dicastero, non eseguì nessuna variazione alla legge
Rattazzi sull'ordinamento della magistratura, tanto criticata nel
passato.
In questo periodo fu degno di rilievo la riforma
del codice di commercio, che fu promulgato nel 1882, e chiamato col suo nome:
"Codice Mancini".
Altre sue iniziative, come ministro, furono l'abolizione della carcerazione per debiti e nuove disposizione sulla
legislazione in materia ecclesiastica.
Nel 1880 fu nominato presidente della "Commissione dei Quindici", incaricata di
preparare la nuova legge elettorale, poi varata nel 1882. Nel 1881
assunse la direzione dell'Enciclopedia giuridica italiana.
Nel
1881, fu nominato ministro degli Esteri nel nuovo governo A.
Depretis. Momento saliente della sua esperienza in questo dicastero, fu
la stipulazione della
Triplice Alleanza.
Nel 1882, fu tra i protagonisti della firma del trattato a Vienna, con l'inclusione
in un'appendice della clausola voluta dal Mancini, dove si definiva che: l'Alleanza, di natura
difensiva, non potesse avere efficacia contro l'Inghilterra.
Si
passò quindi alla politica di espansione coloniale dell'Italia, a cui
Mancini partecipò attivamente nel suo ruolo, nel ministero affidatogli.
Il primo passaggio fu nel 1882, con
l'acquisto da parte della compagnia Rubattino, della baia d'Assab;
l'operazione fu da lui giustificata a fronte delle critiche ricevute,
con la motivazione che i popoli civili hanno la legittimità di esercitare
anche fuori del territorio nazionale "una missione di pacifico
incivilimento"; quindi oppose un rifiuto alla proposta britannica
di intervenire insieme in Egitto e contrastò le aspirazioni francesi sul
Marocco.
Nel 1885, giustificò la spedizione a
Massaua, sostenendo in Parlamento che nel Mar Rosso c'era la "chiave"
del Mediterraneo, senza però giustificare pienamente un impegno così
gravoso per l'Italia. Fu attaccato in parlamento dagli esponenti anticolonialisti e
anche da Francesco Crispi; questa fu una delle cause che portarono alle sue
dimissioni, che furono rassegnate nel giugno 1885.
Gli ultimi momenti della sua lunga, intensa e proficua vita li trascorse in solitudine a Napoli. Era rimasto vedovo dal 1869.
Pasquale Stanislao Mancini morì il 26 dicembre 1888, nella Reggia di Capodimonte,
messa a disposizione come residenza personale dal re Umberto I.
I suoi funerali furono solenni in città, a cui parteciparono tutte le cariche civili, militari e dello Stato.
Le sue spoglie riposano, assieme a quelle della moglie, nel cimitero Monumentale di Poggioreale, nel "Recinto" dedicato agli uomini illustri.
Il
ritrovamento di questa traccia storica, che inserisce il quartiere di
Piscinola nella biografia del grande statista, giurista e letterato
italiano: Pasquale Stanislao Mancini, ci rende ovviamente orgogliosi
come cittadini di questo quartiere, tuttavia speriamo vivamente di trovare, con
ulteriori indagini e prossime ricerche, altre notizie che
approfondiscano i particolari di questa permanenza piscinolese, con
l'individuazione del palazzo che fu sede del suo studio e/o della sua residenza,
e con aneddoti legati alla sua personalità.
Salvatore Fioretto
Fonte: Oltre ai testi citati nel post, gran parte delle notizie biografiche e storiche sono state tratte e riassunte, dal sito "on line" della enciclopedia Treccani.
Caro direttore, non vorrei sbagliare ma credo che hai mancato di riportare che il Mancini fu fatto conte ed era anche marchese di Fusignano.
RispondiEliminaCarissimo, è giusto quel che dici, ma abbiamo fatto un sunto della biografia essenziale del personaggio. Se avessimo riportati scritto tutti i titoli,le onoreficenze, ed anche altre leggi promosse, presentate e ratificate grazie all'impegno di Mancini (es. abolizione pena di morte), non bastavano dieci parti di post da pubblicare, al posto dei due... Grazie ad ogni modo del tuo sempre apprezzato intervento di commento.
Elimina