| Stampa ottocentesca di San Gennaro |
Le reliquie di Gennaro furono conservate a Capodimonte, fino al IX secolo, ma non comprendevano i resti della capo del Martire e nemmeno il Suo sangue, perchè, come risulta dalle fonti antiche, essi furono sempre custoditi in un ambiente del vecchio duomo medioevale napoletano, è precisamente in quello che veniva chiamato "Stefania", perché edificato dal vescovo di Napoli chiamato Stefano I, in contrapposizione con l'altra cattedrale, anch'essa molto antica (intorno al VI sec.), che era chiamata "Ecclesia Sancti Salvatoris", ovvero la "Basilica di Santa Restituta Africana"; secondo una leggenda essa fu edificata dall'imperatore Costantino.
Nell'anno 831, come scritto in altro post dedicato alla figura di Gennaro, le sue reliquie, poste nelle catacombe di Capodimonte, furono rubate dai Longobardi, condotti dal principe beneventano Sicone e trasportate nella città Sannita.Quando nel XIII secolo i regnanti angioini, precisamente re Carlo II d'Angiò, soprannominato "lo zoppo", decisero di edificare l'odierna Cattedrale, fu demolita interamente la struttura della "Stefania" e inglobato nel nuovo tempio quel che restava della basilica di Santa Restituta, rimaneggiata per l'adattamento: ovvero, monca del quadriportico e di un tratto di lunghezza delle cinque navate, nel lato d'ingresso. Quando il duomo angioino fu completato, le reliquie del capo del Martire e del suo sangue furono sistemate in un ambiente appositamente ricavato, posto a un livello superiore della navata laterale di sinistra (guardando l'altare maggiore), a cui si accedeva attraverso una scala a chiocciola molto tortuosa e stretta. In questo locale, che fu chiamato "Tesoro Vecchio", c'era un altare con due nicchie ai lati, dove si conservavano le due reliquie (L'ambiente risulta oggi ancora conservato, anche se rimaneggiato nel periodo barocco).
Incominciava in quel tempo a formarsi anche quello che fu poi chiamato "Tesoro di San Gennaro", con i busti dei primi sei santi compatroni della città (Agrippino, Efebo (o Eufebio), Aspreno, Agnello Abate, Atanasio, Severo), aventi il "mezzo busto" realizzato in legno, mentre il capo e le mani erano eseguiti in argento, fuso e cesellato. Poi c'erano anche dei gioielli e degli oggetti, in metallo e pietre preziose, donati da più parti. A custodia di questo ambiente e di quanto ivi contenuto, fu istituita la figura del "Cimiliarca", ovvero il custode del "Tesoro Vecchio". Quando, durante i casi di calamità pubblica (eruzioni, terremoti, epidemie, carestie, alluvioni e guerre...), il popolo reclamava la benedizione della città con le reliquie di San Gennaro, un sacerdote si affacciava da questo ambiente, che dava sulla navata della cattedrale e attraverso un finestrone, ancora oggi esistente, mostrava le reliquie del sangue e impartiva a tutti la benedizione richiesta.
Questa sistemazione logistica si protrasse fino al XVI secolo, con qualche nota di cronaca particolare (riferite dai cosiddetti "diari" dell'epoca), come ad esempio l'episodio che capitò proprio durante una festa della Traslazione, quando il prelato, che aveva il compito di prelevare la teca con le ampolline del Sangue del Martire dal "Tesoro Vecchio" e condurla in processione, sotto al pallio, per le strade della Città, non afferrò bene la teca d'argento (realizzata da re Roberto d'Angiò) e la fece rovinare a terra! La procedura prevedeva che la teca dovesse essere portata strettamente in petto, raccolta dentro una scola in tessuto ricamato, ma quella volta non furono ben adottate queste precauzioni... Insomma si temette il peggio, perchè la detta reliquia, non solo cadde a terra, ma addirittura rotolò per tutti i gradini della scala a chiocciola! Fu una vera fortuna che le ampolle non accusarono alcun danno alla loro integrità, né si ebbero ripercussioni nel ripetersi del celebre "prodigio". Qualcuno pensò a un miracolo del Santo.

Si impegnarono, affinché fosse debellata l'epidemia e la carestia, a realizzare un nuovo tabernacolo in argento dorato, del valore di 1000 scudi, per contenere la teca della reliquia del Sangue, e di depositare la somma iniziale di 10.000 scudi, destinati alla realizzazione di una nuova e sontuosa Cappella, con ingresso a lato della Cattedrale, per accogliere degnamente le reliquie del loro Santo Patrono e delle statue dei Santi Compatroni della città, che intanto andavano aumentando di numero. In realtà a conclusione dei lavori della Cappella, furono spesi ben oltre 480.000 scudi...! A rappresentare San Gennaro, durante la stipula dell'atto, fu sufficiente esporre le reliquie della testa e quella del Sangue, tanto si riteneva che il sangue liquefatto era segno di una conferma della volontà del Santo... Dopo poco tempo, quando l'epidemia e le altre calamità cessarono, i napoletani onorarono la promessa fatta a San Gennaro, edificando quello che verrà poi detto "Tesoro Nuovo", ovvero la "Real Cappella del Tesoro di San Gennaro". La cappella, con pianta "a croce greca", è di proprietà della Municipalità di Napoli, ovvero di tutti i napoletani, mentre l'organismo che l'amministra, resta ininterrottamente in auge da ben cinque secoli, ed è la "Deputazione del Tesoro di San Gennaro": Deputazione risultante tra le più longeve del mondo, che è presieduta dal Sindaco di Napoli in carica. Questa ultima disposizione fu però introdotta solo durante il Decennio Francese, perchè prima di quel periodo, il presidente della Deputazione era il Sovrano in persona.![]() |
| Stampa con le due cattedrali della Stefania e della Ecc. S. Salvatoris |
L'opera per la costruzione della Cappella di San Gennaro tardò ad essere iniziata e dovettero passare ben 81 anni, dalla firma del "patto", per vedere posata la prima pietra e iniziati i lavori (8 giugno 1608). La progettazione e la direzione dei lavori fu affidata all'architetto teatino Francesco Grimaldi; ma tra lentezze burocratiche, gli espropri, i problemi tecnici, le crisi politiche e anche gli attentati terroristici... (compiuti da alcuni artisti napoletani esclusi dalla committenza), orrorsero ben 38 anni per vederla completata (benedetta nel 16 dicembre 1646), con tutti gli abbellimenti che la compongono. Oggi, infatti, ammiriamo un degno capolavoro cittadino dell'arte barocca, composto da: stucchi, marmi pregiati, bronzi, argenti, e poi: il cancello in ottone (di C. Fanzago), il paliotto d'altare maggiore in argento (vero capolavoro di Giandomenico Vinaccia), le statue d'argento dei 53 Santi Compatroni (ognuna un capolavoro di argenteria napoletana), i dipinti su rame del Domenichino, l'affresco del "paradiso" nella cupola (pregevole opera dell'emiliano Giovanni Lanfranco, completato nel 1643). E, poi, la serie di statue dei santi in bronzo, le statue in marmo (Finelli & C.), i due organi del sei-settecento, gli oggetti ex voto e i gioielli ornati con pietre preziose di valore inestimabile, sono un tutt'uno di questo "capolavoro" d'arte, che dimostra la grande venerazione che il popolo napoletano, insieme ai regnanti e all'aristocrazia napoletana di ogni tempo, hanno sempre avuto verso il grande Santo e Protettore, San Gennaro. La frase scolpita sulla sommità dell'ingresso della Cappella è una sintesi di questo riconoscimento popolare e recita così:
Abbiamo cercato di narrare con parole semplici e senza tanti appesantimenti, un passaggio importante della storia di Napoli, speriamo vivamente di aver raggiunto il nostro obiettivo. L'abbiamo voluto dedicare alla città di Napoli, a tutti i napoletani e a tutti i devoti di San Gennaro sparsi per il mondo, in occasione dell'antica ricorrenza napoletana.
Intanto diciamo, grazie San Gennaro!



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