Per ricordare lo scrittore Emiglio Scaglione (n. 1891 m. 1946), a cui è dedicato un tratto dell'importante arteria che collega la città di Napoli con il suo hinterland settentrionale, ecco due suoi scritti: il primo è una sua lettera dal titolo "L'800 a Napoli", che fu pubblicata sulla rivista "Napoli e i Napoletani", nell'anno 1946, trasmessa pochi giorni prima che lo scrittore morisse; l'altro è un testo pubblicato, tra il 1916 e il 1917, sulla rivista "L'Arte Muta", dal titolo "Il Cinematografo in Provincia".
“ .... Quando mi ritrovo in mezzo
agli artisti, ritrovo la nostalgia di un'età perduta, l'immagine della
giovinezza lucente. Diciannovenne, giungendo a Napoli, i capelli e le cravatte
di tanto svolazzanti di quanto l'intelletto era esiguo e l'esperienza acerba,
io caddi ai primi del novecento in pieno in una gaia brigata : pittori,
scultori, musicisti , poeti.
Sbarcavo dalla Sicilia,
trasognato. La metropoli mi si sciorinò davanti col suo volto più tradizionalmente
suggestivo: non solo l'arco fatato dei colli e la magia di giacinto delle
marine, ma il trionfo giovane delle sue arti canore e figurative, l'irruenza
del suo inesausto genio. L'ottocento a Napoli non si rassegnava a morire. Anzi,
dalla Serao a Scarfoglio, da Costa a De Leva, da Dalbono a Mancini, da Pasquariello
a Maldacea, da D'Orsi a Gemito, da Imbriani a G. Bovio, da Athos di San Malato
a Napoleone Colaianni, da Russo a di Giacomo, rimaneva più vivo che mai.
Dispute
d'arte ; accademie di scherma; partite d'arme fragorose , accapigliamenti di
verseggiatori vernacoli; scintillio di giornalismo umoristico; il goliardesimo
più fitto e più chiassoso del mondo; popolarità di insigni avvocati; furia di
promotrici; ultime risse di fieri democratici e cavallottiani , implacabili
contro Crispi, pur morto da poco ; frotte rivoluzionarie di artisti che
esaurivano il loro furore in fiaschi di vino, in chops di birra ed in pranzi
pantagruelici, nelle Osterie dei sobborghi o nelle tavolate a mare; serate di
attrici e di formose dive delle canzoni del popolo; e il Gambrinus, il Teatro
Nuovo, il Caffettuccio, il Mons. Perrelli, la Cronaca Bizantina, le corse dei
cavalli al campo di Marte; e le stagioni di Piedigrotta, le quali avevano per
il popolo un interesse superiore a qualsiasi dramma internazionale - ricordate
che scandalo quando la Poliphon tedesca tentò il monopolio delle edizioni
Bideri, cioè la scalata alle canzoni ? - e mandolinisti a Mergellina, barcarole
a Toledo, gite in calesse e break – l'automobile era ancora lusso di pochi! - verso
Portici e Resina, nei mesi in cui le facciate delle ville settecentesche diluviano di
ortensie, di gaggie e di mimose; e la tradizione già vaga dei cantastorie dei
paladini di Francia sul molo, del cappellone proverbiale del Duca di San Donato
, degli epigrammi del Duca di Maddaloni e del Marchese di Caccavone.
Venne la
guerra del 1915 a sterminare gli ultimi fanatici del clima umbertino. Ci smarrimmo
nelle trincee. D'allora , sì da allora, non ci siamo più ritrovati . Da allora,
la vita ci è stata storpiata, deviata per sempre. Parecchi di noi eran forse
venuti al mondo per intrecciar fiori e strofi intorno alle trecce di una donna bella
; per levare al cielo, in coppe di topazio e di rubino, un inno alla felicità
di vivere ; per celebrare le albe di amianto e i crepuscoli variegati di nuvole
rosee , romanzeschi come canti dell'Odissea. Le guerre e le tirannidi ci hanno
chiuso il cuore; e di tutti noi, che eravamo genuinamente poeti e amavamo
l'umanità, hanno fatto animali così detti politici, che hanno messo l'epiteto
virulento, la fionda e la daga al posto della tavolozza, della tastiera e della
cetra : insomma la cupa passione di parte in luogo della sorridente gentilezza
latina, della larga espansività napoletana. In un'ora come questa, sentiamo d'aver
barattato tutto per nulla ; d'aver ben più ragione allora, pur dissennati
giovani ed adolescenti, che non oggi, adulti, stanchi, rancunieri ,
attossicati; che la vita degna d'esser vissuta era quella, non questa buia ed
atroce che trasciniamo, senza gioie e senza amore, senza mèta e senza speranza.
Riformuliamone, almeno per i nostri figli, l'augurio! Che sia riserbato ad essi
un migliore destino! Per quanto assurdo possa apparir questo voto , se rievochiamo le cose orrende che abbiamo vissute,
se ci prospettiamo le cose orrende che forse dovremo ancora vivere, esprimiamo,
tuttavia, la fede che almeno ai nostri figli possa esser reso un ideale di
esistenza serena ; che essi tornino ad innamorarsi di una vela gonfia di
libeccio, di un gorgheggio d'usignolo, di un fascio di fiori, di una fanciulla,
di una pagina alata, d'una tela, d'un bronzo, d’una melodia, d'un canto ….!
Emilio SCAGLIONE
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"Il cinematografo in provincia", pubblicato su “L’Arte Muta” (Napoli), n. 6-7, 15 dicembre 1916 – 15 gennaio 1917, pp. 14-16.
"Da quando il
cinematografo, quasi ogni sera, ha sostituito la tombola, la provincia è
finita.
Esso ha fatto sui costumi il lavorio del bulino sui metalli
preziosi: li ha disciolti dalle scorie e dalla tradizione, li ha
sveltiti, affinati, messi al sole.
Lo spettroscopio
balenante ha finalmente dato il passo di
valtzer alla eterna mazurka in sordina della provincia. I visi composti, i
cuori metodici, i desideri sobri, le aspirazioni piatte, gli affetti rettilinei, gli amori
sbiaditi, sono da un pezzo in rotta, inseguiti dalle cavalcate
di passione che scorazzano sul
lenzuolo della cinematografia.
Il
cinematografo ha riempito la vita di provincia di sensi nuovi.
Ha creato mondi di esperienze fittizie. Pagode indiane e salotti parigini,
splendenti oasi desertiche e oscuri drammi russi, storie d'amore,
d'odio, di gioco, di danaro. La provincia non avrebbe mai creduto che tante cose alte e vibranti
esistessero oltre la cerchia dei suoi dazi. Per la prima volta essa è entrata
nella vita e se ne è ritratta, battendo le ciglia.
Uscire, vacillando, da una sala cinematografica e ritrovare a casa
i fascetti di spighe secche, agli angoli delle pareti, l'uva passa che impergola
il soffitto, le pere vernine che ingialliscono sulle scansie, nel tepore del
camino! No: è troppo forte. Chi può più rassegnarsi ? La
provincia è perduta. Ha sentito il
tanfo del suo stesso stantio.
La pellicola
ha segnato per sempre la morte della mela cotogna. Il cinematografo in
provincia ha risoluto il più terribile dei problemi: il problema
dei contatti.
Vi prego di non ridere. Si afferma qui, anzi, una verità molto
seria. In provincia due persone di sesso differente che non siano padre e figlia, fratello e sorella, zia e nipote, cugini o
almeno cognati, quante volte possono vedersi da vicino? La
provincia non ha i vostri mezzi termini: o consanguineo, o marito, o
fidanzato ufficiale, o niente. In altre condizioni, ammirarsi a bell'agio è
quasi impossibile. Discorrere è assurdo. Una stretta di mano ? Favole
! Un bacio ? Miti. Si spiegano così le passioni contrastate,
morigerate, profonde, taciturne che
durano sette, otto, dieci anni prima di giungere del resto al loro legittimo
compimento: il matrimonio. Perchè, in
fondo quei sette, otto o dieci ami non si riducono che ai sette, otto o dieci
giorni in cui fu possibile vedersi,
scambiarsi una promessa di costanza, serrarsi furtivamente la mano, di
sera, all'angolo di una via o tra le sbarre
di un cancello, su cui il fitto fogliame delle roselline mal celava il geloso fitto dei fili di ferro custodi. Quanti
poemi d' amore non rimasero che
abbozzi, nelle fantasie giovinette,
per mancanza d'incontri ! Quanti ovali,
lattei e rosei, non avvizzirono un poco ogni giorno sui testi di garofani, alla finestra, e si
scavarono di rughe solo perchè la via
sottostante non era una via di traffico di passaggio!
Quante pile non svaporarono inutilmente l'elettricità dei
vent'anni, solo perchè mancò loro l'attrito che avrebbe potuto far
scaturire la scintilla.
Il cinematografo ha permesso quasi
tutto questo ed anche altro. Esso ha messo la provincia fuori di casa e dal suo
isolamento, la ha raccolta in una sala e su seggiole poltroncine che si
toccano; fa finalmente sedere insieme uomini e donne che si vedono per la
prima volta o che si conoscono soltanto di vista o che in ogni modo si salutano
appena. Che bouleversement,, immaginate!
Due che non avrebbero
mai potuto varcare i dieci metri che dal balcone alla via s'interpolavano tra i loro desideri, si sentono ora a
pochi millimetri, tanto pochi che è
persino possibile scambiarsi
reciprocamente, e per un' oretta, il calore di un ginocchio e di un
gomito. E questo può ripetersi per sere e sere giacchè il tenue costo dei biglietti non esulcera, come a teatro, la suscettibilità paterna. Inoltrando l'ora, le petit si fa più vicino, più insistente, più accorato; la petite trema, trasalisce, si confonde: lo scompiglio che prende le
nostre fanciulle provinciali, quando commettono una marachella qualunque, tolgano
dalla fruttiera una pesca o rubino dal borsellino di mamma due lire per un
pezzo di nastro, il suo primo orgasmo di donna a contatto con un uomo,
gl'intimi suoi rossori di vergine, la paura che i suoi, seduti dall' altra parte, la sorprendano; questa folla di sentimenti
differenti lei scambia per amore, per un amore infinito, straziante, che la mette fuor di sé, verso l'uomo che le
è al fianco. In questa fede, nel fondo dell'anima, trova per lui accenti e nel fondo delle pupille lampi così sinceri e vibranti
che anche egli si ammollisce intero e si disfà dalla gioia di sentirsi tanto amato. E poichè nessun
amore sulla terra può rassomigliare
al loro, è deciso. Si sposano. Entro una
settimana la chiederà al padre. Se il padre tergiversa, una sera dal
cinematografo se la trascinerà in carrozza, e sarà fatta. Il ratto
consensuale, in provincia, è ancora una istituzione. Su cento matrimoni, almeno quaranta son preceduti
da una fuga. Così, mentre l'imperituro Cretinetti scialacqua sul candido tappeto il suo serotino patrimonio di sciocchezze, si conclude il destino di due vite.
Giuro, perciò, che se non fosse intervenuta la guerra europea, o
meglio, se prima del 1914 si fosse desunta una statistica esatta dello stato
civile, si sarebbe notato un notevole aumento nei matrimoni in provincia.
Datene la giusta parte di merito al cinematografo. Oggi che
l'esterminio della guerra aumenta in proporzioni irrimediabili la differenza numerica dei
due sessi e la terra sta per diventare una sconsolata tebaide dove i
pochi trappisti superstiti son già condannati ad una forma nuovissima d'ascetismo,
la poligamia , la funzione del cinematografo comincia ad
apparire veramente sconfinata.
Per questo riguardo il cinenatografo completa l'evoluzione della
provincia, già cominciata dal tram elettrico. Ogni cittadina nostra, appena ha i
suoi trams si mette bravamente in corsa, su ogni vettura rigurgitante, verso forme di
vita metropolita.
I
lucenti binarii danno un tono alle vie melanconiche. Meno grigio
è il silenzio delle piazze, rotto ogni tanto dalle campanelle
squillanti. Perfino le distanze sembrano inverosimilmente accresciute,
ora che possono misurarsi a tariffa. Ma appunto nei suoi pregi sono i suoi difetti. Il tram
cammina. E’ troppo veloce. Fa troppo chiasso. Non c'è ribalta
che attiri gli occhi e distragga i circostanti. Se si adatta a qualche
incontro, rarissimamente si adatta ad un colloquio. Francamente: il
cinematografo vale di più. A parte tutto, ha almeno una superiorità
indiscutibile: il buio.
Il cinematografo, dimostrando alle donne che si può rimanere al
buio a pochi centimetri da uomini non consanguinei, senza per questo
dover svenire di paura, contribuisce all'educazione morale in provincia, irrobustisce
la coscienza dei propri doveri, tempera i caratteri.
Il buio
cinematografico è uno scacco matto continuo dato alla gelosia.
In provincia era necessario un po’ di buio nelle sale di ritrovo.
Era, parola d'onore, necessario più che la sistemazione
idraulica, gli acquedotti, il rimboschimento, le ferrovie a scartamento, i
milioni alla scuola meridionale, la lotta alle arvicole e alla
peronospora, l'educazione politica, l'igiene etica dei municipi,
lo spezzamento del latifondo. Giacchè tutto questo ha di mira nemici ben noti e che si possono vincere alla fine : la mancanza di forza
motrice, la siccità, il tifo, la malaria, la scarsezza di trasporti, l'analfabetismo, la carestia, il rialzo dei prezzi, il mercimonio elettorale, le malversazioni, il feudalismo. Mentre il buio ha da vincere il mostro centimane che
forse è tutto questo insieme, ma che
sonnecchia accovacciato nella più profonda coscienza provinciale: la tradizione. Il cinematografo può esser considerato come una conquista
del femminismo.
Mi pare che il cinematografo tolga le nostre donne dalla
campana di cristallo, nella cui aria viziata di rinchiuso chi ne ha
diritto la tiene abitualmente, e le restituisca, sia pure per un'ora, en pleine air.
Esso dà loro improvvisamente la sensazione che possono anche essere
riservate e fedeli per elezione o sia pure per capriccio,
quando invece debbono di solito
esserlo per forza. Spesso al cinematografo soltanto si convincono che il fratello, il padre, perfino il marito
son forse i meno peggiori degli uomini. In ogni modo il cinematografo in
provincia mette la donna a discrezione di sè stessa. Le dà facoltà di scelta,
sviluppa il suo senso d'iniziativa. Questo, io chiamo educazione morale.
Quando in provincia ci si convincerà che la donna nostra può
arditamente fissare in faccia un uomo senza che ne debba
arrossire, trasalire, pensare a tradirci ?
Per la provincia il cinematografo è
uno spettacolo completo. Tutti i componenti una buona famiglia
borghese ci trovano qualche cosa. Il padre ha la gioia di condurre allo
spettacolo tutta la famiglia con due lire, e può a suo agio,
sfogare in sbadigli il tedio dell'ufficio, senza che la moglie,
affianco a qualche malevolo, gli appioppi l'accusa che è
incapace di sentire gli affetti domestici. La moglie, anziana, messa in
vena dagli episodi patetici, esala in lagrime
non viste ed in sospironi non uditi,
il trafiggente rimpianto di giorni
giovani. La nonna per un paio d'ore, nelle
traversie della scena, annichila il petulante chiacchierio sul fastidio suo non di stare al mondo, ma di starvi ormai così male. Le figlie un po’ seguono l'azione un pò si
danno a respirare l'oscurità come il più profumato degli incensi. Il bimbo è
immerso in un sonno, pieno della stupefazione che lo si lasci finalmente
dormire in pace, senza chicche stantie e senza scrollate che gli sloghino i
braccini.
La bambinaia si lascia pizzicare da
qualcuno che non conosce e che non distingue nell'ombra. E tutti si divertono.
E’
il cinematografo sufficiente a stabilire in provincia il regime dell' avventura
extra naoenia dell'amore legittimo ?
Io
non credo. La provincia è positiva. Guarda al sodo. Non perde la
testa che raramente. E anche se fosse ? Lo scandaletto di un'avventura
amorosa, scoppiettante tra gli alari della maldicenza scaltra, è necessario in
provincia. Esso riempie, tutto un inverno, i salotti. Tiene accesa la causerie dei
pomeriggi. Fa più intime le amiche che chiacchierano intorno a colei di
cui si chiacchiera, subito sola. Intanto accresce la moda del
cinematografo.
Del resto, se mi date per vero che la virtù, se non messa mai alle
prese col vizio, si rilascia, cede in tensione, perde in energia,
mi darete per dimostrato che l'avventura in provincia è qualche volta
necessaria, appunto per dare risalto al regime normale.
In provincia, essendo tutte le donne spaventosamente oneste e
fedeli, uno solo è il pericolo: che si perda il senso della
bellezza, della fede reciproca dandola per assiomatica sempre.
Un'avventura di origine cinematografica, creando qualche dubbio e qualche rischio,
porta dunque olio nuovo a tal fiamma di fede.
L'avventura è il romanzo : anche quando
disgusta, appassiona la provincia, ligia per temperamento alla
storia.
L'avventura ci crea intorno tali
inspiegabili getti di odio concentrato, e così appariscenti onde di nausea, che
i suoi risultati sono alla fine seriamente morali: e mai come
dopo uno scandaletto, c'è in giro tanto sfoggio di attaccamento al pacifico
spiganardo coniugale.
In fine il cinematografo ristabilisce
in provincia un gusto ignoto o defunto da un pezzo : il gusto
dell'ozio.
In provincia gli uomini lavorano sul
serio e si lavora troppo da tutti. Non c'è perdigiorni e non ci sono pause.
E anche quando non si lavora, ogni azione ha uno scopo pratico. Come
non si spende un centesimo senza rendimento netto, così non si fa niente
per niente. Le ore di riposo si impiegano a cose utili. A Napoli, a Roma, a
Milano il passeggio, la ciarla, l'occheggiar vago, lungo, distratto, il perdere
tempo con convinzione, l'indugiarsi con gioia, il batter con la punta del
bastone il marciapiedi per mezz'ora in fila: tutto questo ha un valore. Nessun
provinciale sensato, invece, vi dirà che va a passeggio per
sgranchire le gambe: ma o cerca qualcuno, o ha da mettersi in mostra per scopi
suoi, o accompagna un'ammalata che ha bisogno d'aria o aspetta nervosamente
gli strilloni. Il più delle volte ci si va per i bambini: « che fare? questi
bimbi si annoiano: bisogna condurli a spasso ». Ecco una delle molle.
I bimbi - voi
sapete —sono assai spesso in ballo ed in nome dei figli troppo numerosi quante cose atroci non commettono oggi ! A teatro non si va per la pièce, diamine ! Nessun ingenuo lo
crederebbe. Ma dall'alto del palco di
seconda fila, c'è da sottolineare la propria posizione consolidata. O da far morire d'invidia con la nuova toilette. O, nella più comune delle ipotesi, da organizzare negli ambulatori certi incontri -- oh ! fortuiti
- che sarebbero altrimenti impossibili e che condurranno
poi al fidanzamento. Niente va perduto in provincia. Tutto è utile. Sopra tutto il tempo: oro
senza scorie, come in Inghilterra.
II cinematografo ha rivoluzionato
cotesta mentalità positiva. Quasi sempre nel cinematografo non si va che per
andare al cinematografo.
I prezzi sono tenui. Non c'è da fare
sfarzo. Non c'è da sfoggiare
toilettes: è buio. Le amiche da
ingelosire non vi scoprono. I bimbi più che divertirsi dormono. Non c’è mete pratiche.
La mezz'ora del cinematografo è quasi
sempre la mezz'ora dell'ozio completo. Comodamente i corpi si adagiano
sulle poltroncine senza ritegni mondani. I gomiti contratti si
distendono. Le mani s'incrociano sul ventre. La bocca automaticamente
si socchiude sino ad una espressione ebete su cui volteggiano le volute
del sigaro. Si riposa davvero! Si ozia davvero ! E’ il preludio del sonno. A domani l'elastica
tensione di ogni giorno. A domani gli affama le pirchierie, il dispetto
della vita immiserita in beghe municipali, tra quattro case: il piccolo
guadagno, i piccoli rancori, le piccole miserie, i piccoli fasti.
Emilio SCAGLIONE
In un successivo post pubblicheremo la biografia del celebre personaggio.
Salvatore Fioretto
Queste pagine pregne di cultura e di storia nostrana, arricchiscono l'animo di chi ha sete di conoscenza. Un grazie enorme e doveroso va a chi instancabilmente continua a diffondere piccole storie che hanno fatto la storia di questo territorio. Grazie Salvatore.
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