In questo post riportiamo alcuni racconti tramandati dalla tradizione orale
raccolta direttamente dai ricordi dei nostri anziani. Alcuni racconti sono delle leggende, altri invece appartengono alle cronache degli anni
scorsi... Essi sono tratti dal mio libro: "Piscinola, la terra del
Salvatore, una terra, la sua gente, le sue tradizioni", edizione The
Boopen, anno 2010, che in queste settimane festeggia i primi dieci anni di vita...! La pubblicazione del libro è stata una esperienza bellissima, che mi ha portato tante belle soddisfazioni, oltre all'arricchimento umano, per le tante persone conosciute. Grazie al libro, tante nuove notizie e testimonianze mi sono arrivate, e poi tanto interesse ha suscitato nel quartiere, con la riscoperta della storia di Piscinola soprattutto da parte dei giovani.Diretta conseguenza di questa bella esperienza, è stata la creazione del blog: "Piscinolablog" e della pagina rivista facebook: "Amici di Piscinolablog". Grazie!
Ecco i racconti:
La leggenda del “Cippo sotto ‘o campanaro”
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| Campanile e arco chiesa SS. Salvatore, anni '40 |
Secondo la leggenda, una notte di tanto tempo fa, un gruppo di ladruncoli agirono indisturbati e riuscirono a spaccare il mausoleo in due parti e ad estrarre un vero e proprio “tesoro”, che vi era nascosto all’interno. Si narra che dentro al cippo furono trovate numerose monete d’oro, dette “marenghi” ed una pisside d’oro, contenente ostie consacrate. Questi ladri portarono rapidamente via tutto il “tesoro”, servendosi di un carro trainato da buoi. Tuttavia, durante la fuga, lungo la vecchia “cupa” per Miano, in corrispondenza di un saliscendi lì esistente, i buoi “s’inchiantarono”, ossia si impuntarono e non permettevano al carro ed ai suoi conduttori di proseguire il tragitto. A nulla valsero i tentativi dei ladri per far avanzare le bestie, anche con colpi di frusta e botte. Ad un certo momento uno di questi ladri ebbe un’idea brillante, immaginando a chissà quale misterioso arcano si nascondesse nella pisside d’oro, pensò bene di prelevare dal tesoro l’oggetto d’oro, con il suo contenuto sacro e di poggiarlo sul muretto che costeggiava la “cupa”. Così facendo i buoi ripresero a trainare il carro e proseguirono il loro tragitto, senza opporvi altra resistenza. I Piscinolesi ed il Parroco del tempo, dal canto loro, avvertiti dell’avvenimento dagli abitanti del luogo, accorsero in processione a prelevare la pisside d’oro ed a riportarla in chiesa, tra l’acclamazione dei fedeli, che gridarono al miracolo. Di questa pisside, se veramente esistita, si è persa ogni traccia. Del famoso “cippo” sappiamo solo che, a seguito dei lavori di ampliamento della navata della chiesa, fu sotterrato nelle fondamenta della nuova facciata e tutt’oggi giace ancora lì.
La leggenda della “Casa dei serpenti”
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| Ruderi di villa rustica romana in via T. Galimberti |
Un ricco tesoro sotto la “Piazza”…!
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| Piazza B. Tafuri, foto con effetto artistico di S. F. |
Secondo alcune testimonianze, da un lucernario esistente nel sottotetto del
palazzo “Chiarolanza” sporgeva, fino agli anni cinquanta, una statua a mezzo
busto di un curioso e strano personaggio.
Qualcuno, addirittura, guardandolo,
riconosceva le sembianze di un goffo monaco. Questa figura era stata scolpita
con il braccio e l’indice protesi in avanti, come per indicare un punto
preciso, posto nel centro della Piazza B. Tafuri. La credenza popolare asseriva
che questa statua volesse ricordare ai posteri che lì, proprio in mezzo alla piazza principale, vi fosse
sepolta un’antica vasca, nel cui interno si celasse un ricchissimo tesoro!
Chissà se questa leggenda ha qualche legame con quell’ipotesi che fa derivare
il toponimo di Piscinola da un’antica vasca o cisterna dell’acqua…!
Il furto della statua d’argento del Salvatore
Si racconta che molto tempo fa nella chiesa di Piscinola esisteva una statua d’argento del SS. Salvatore. Una notte vennero i ladri e la portarono via su un carro, trainato da cavalli molto veloci. A metà strada, però, i cavalli si fermarono e non volevano più proseguire la corsa, forse per il peso del carico aumentato miracolosamente a dismisura…. Uno dei ladri, dopo varie insistenze, non riuscendo a riprendere la corsa, si rivolse verso la statua ed esclamò: “Ma sì Santo ‘o sì diavule…?” (Sei un Santo oppure sei un demonio?), al ché i cavalli subito ripresero velocemente la fuga, raggiungendo la meta prefissata dai ladri. Si dice che poco tempo dopo il bandito blasfemo morì dannato, dopo aver molto patito…!
La leggenda della marchesa di Rutigliano
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| La masseria di via Vecchia Miano, prima dell'abbattimento, 2002 |
Dopo l’effimera Repubblica Partenopea dichiarata nel 1799 e la breve
restaurazione borbonica, il Regno di Napoli fu occupato dalle truppe francesi
di Giuseppe Bonaparte, cugino di Napoleone.
I Francesi, una volta insediati
nell’ex Regno delle Due Sicilie, iniziarono una dura e spietata opera di
repressione, specie nei confronti dell’aristocrazia e del clero, secondo i
dettami della Rivoluzione Francese. Molti furono i nobili catturati e mandati
al patibolo o alla ghigliottina. Alcuni di essi, vicini alla famiglia regnate,
riuscirono però a fuggire, riparando in Sicilia, che intanto era rimasta nelle
mani del re Borbonico. Forse anche nel nostro territorio questo mutamento
politico-amministrativo ebbe delle conseguenze storiche pesanti. Secondo un
antico racconto, un po’ leggendario, la marchesa di Rutigliano (o Rovigliano),
che abitava nel suo casale di campagna in Via Vecchia Miano, preferì la morte,
anziché essere catturata e giustiziata sul patibolo dai “giacobini”.
All’approssimarsi dei Francesi, in preda al terrore, si lanciò dal balcone
della sua residenza, gridando: “…Arrivano
llì Francesi, …arrivano llì Francesi…!! “
Qualcuno scrisse: “Viva i garibaldini”…!
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| Via del Salvatore, lato chiesa |
Uno sciopero al rovescio…!
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| Targa toponomastica in via Plebiscito a Piscinola |
“Aspetta, ca dimane t’ ’o ddico …!”
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| Portale ligneo del palazzo de Luna d'Aragona |
Un incontro reale: la regina Elena di Savoia e due contadinelle di Piscinola!!
La regina d’Italia, Elena di Montenegro, ebbe a soggiornare spesso nella
Reggia di Capodimonte. Si sa che quando era a Napoli prendeva lezioni di
dialetto napoletano, perché pensava che i re e le regine dovevano parlare i
dialetti dei loro sudditi come lingua propria... Era amante della cultura
partenopea, anche perché, prima che diventasse regina, ebbe il titolo di
“Principessa di Napoli”.
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| Palazzo reale e parco (bosco) di Capodimonte, 1964 |
Salvatore Fioretto
Il racconto della regina Elena è stato liberamente tratto dal racconto contenuto nel libro “Elena e Vittorio. Mezzo secolo di Regno tra storia e diplomazia”, di G. ARTIERI e P. CACACE. Ediz. Luni, anno 1999. Si ringraziano sempre gli amici Natale Mele e Pasquale di Fenzo per la loro generosa collaborazione, presente e passata.











Un bel libro, un documento storico-antropologico da conservare, la poesia di un cultore della storia delle nostre periferie, in particolare dell'area Nord di Napoli...
RispondiEliminaGrazie Salvatore, anche tu ci metti l'anima...!
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