Come
tutti i Casali posti a nord di Napoli, anche quelli di Piscinola, Miano, Marianella e
Chiaiano parteciparono attivamente agli avvenimenti del 1647, che, come si sa,
sfociarono in Città e nel Regno nei famosi moti di Masaniello. Molte
testimonianze storiche di quegli avvenimenti, purtroppo tragici per la storia
di Napoli, sono contenute nelle cronache scritte da Innocenzo Fuidoro: “Successi
historici raccolti dalla sollevazione di Napoli dell’anno 1647”. Oltre
agli episodi descritti dal Fuidoro, riporteremo, al termine del post, anche tre
testimonianze contenute nel "Diario di Francesco Capocelatro".
Tomaso Aniello di Amalfi, detto Masaniello |
Durante
i moti: […] Questa sollevazione fu così grave che tutta la città et casali
si ridussero all’arme et correvano al suon delle campane della città che
suonava all’arme nel campanile di S. Lorenzo: e non si vedevano altro […].
Un altro testo riporta: […] Vennero a soccorso di Napoli le genti de’ casali
di Miano, Piscinola, casali di Napoli, Marano, et altri sopra narrati […].
Dopo
la proclamazione di Masaniello a “Capitano del popolo”, i Sedili, le Borgate ed
i Casali di Napoli si recarono a rendergli atto di obbedienza, ognuno
attraverso un gran numero di popolani, armati fino al collo: “[…]
Vennero quelli dell’Arenella, Treporte, Vomero ed Antignano, tutti armati a
dar obbedienza a Masaniello, similmente con tamburri et insegne et ordinò li
capitani loro a detti quartieri e fecero mastro di campo D. Francesco
Catrocucco, di nascita nobile et imparentato con nobili di Seggio, vituperato
da tutti per questa attione d’intricarsi con il popolo. Seguitò il Casale di
Marano, Mugnano, Piscinola, Mariglianella (Marianella), Panicocolo, Calvizzano
e tutti l’altri Casali a prestare obedienza a Masaniello. Però il Casale di
Marano destò molta meraviglia per essere entrato in Napoli con più di
cinquecento huommini armati, con un’altra compagnia di donne armate
rusticamente, come di bastoni, ronghe e spade nude, ancorchè alcune di esse
portavano le scoppette con li micci allummati, alcun’altre con le scoppette a
fucili et con gridi del “Viva il Re di Spagna e mora il mal governo!”.
Seguirono
aspre giornate di rappresaglie e saccheggi, sia in Città che nei Casali
viciniori, durante le quali il popolo, aizzato e infuriato, si accaniva in
maniera incontrollata su persone e cose, a volte solo per sospetto o per
sentito dire. Particolarmente toccante è la descrizione dell’uccisione di
Giovanni Serio Sanfelice, signore di Acquavella, Governatore dell’”Arrendamento
della portolania”: perseguitato, decapitato e poi vilipeso, nell’agosto
1647, solo perché suo figlio, Luccio, a Porta Capuana, aveva improvvidamente
espresso ad alcuni popolani le sue considerazioni, un po’ pesanti, contro la
qualità e la grossezza del pane.
"La
sera dello stesso martedì, andandosene ad Aversa, D. Luccio Sanfelice, capitano
di cavalli, figlio di D. Giovanni Serio, dopo essere dimorato tutto il giorno
con la compagnia in guardia di Pizzofalcone, e del Largo di Palazzo, quando fu
alla Chiesa di S. Lorenzo, e per la Vicaria,, e per porta Capuana, favellò con
poco avvedimento, contro un Giovanni cappellano suo familiare, che custodiva
l'artiglieria, e contro alcuni altri popolari, minacciandoli aspramente sopra la
qualità e grossezza del pane. La qual cosa da loro intesa, se gli avventarono
addosso all'uscir fuori porta Capuana ed avendogli uno zingaro tratta una
lanciata, mancò poco ad ucciderlo, il che al sicuro gli avveniva, se dando gli
sproni al cavallo, non si fosse con la fuga salvato".
Fuggito
Luccio, il popolo riversò la sua furia contro il padre D. Gianserio Sanfelice,
già da questo odiato per aver applicato la gabella sul pane nel Sedile Montagna:
GianSerio fu catturato nel Casale di Capodimonte, in zona detta La Canocchia,
mentre cercava di fuggire dalla città e fu decapitato senza pietà. Il corpo fu legato a un piede e trascinato per tutte le strade principali di Napoli, mentre
la testa, appesa a una "forcina", fu esposta fino alla Canocchia.
Per quanto riguarda il povero Luccio, fu giudicato "reo di morte",
mentre il Viceré assegnò una taglia sulla sua testa, di ben 4000 ducati...
Dall‘opera
di Fuidoro, si traggono altre preziose testimonianze sulle ritorsioni eseguite
dagli abitanti nei confronti di alcuni beni posseduti da altri membri della
famiglia del Sanfelice, a Polvica e a Piscinola:
[…] “Quelli del Casale di
Polvica et Piscinola decidere persecuzione alli Sanfelici parenti di Giovanni
Serio, dove tengono alcune possessioni, ma quelli salvatisi con perdita delle
suppellettili, saccheggiate da quei villani et portate nel Mercato per farne
approfittare la plebe di quel loco“ […].
La
narrazione del Fuidoro continua anche dopo la morte di
Masaniello, quando il nobile francese Enrico di Lorena, duca di Guisa,
appoggiato da alcuni rivoltosi, cercò di approfittare del caos
post-rivoluzionario, per conquistare il traballante potere, ancora in mano
spagnola: […] Il Guisa la sera del 13 dicembre (del 1647) partì per
Giugliano alle frontiere d’Aversa, città e piazze d’armi delli Baroni. Fu
ricevuto con giubilo universale dè giuglianesi e con rustiche dimostrazioni
d’allegrezza da quei armigeri villani “Viva Sua Altezza, viva il duca di
Ghisa!”.
Enrico II di Lorena, duca di Guisa |
Con
queste voci d’applauso intonavano l’orecchie di esso duca e l’aria; dalle
contadine fu buttato grano per le finestre al suo ingresso per dove passava e
tutta la gente di quel Casale cresciuto con armi per naturalezza, si
ritrovarono pronti al servizio per il Ghisa che gradì assai la dimostrazione
del suo ricevimento e ne giubilorno assai altri casali e terre convicine a
Giugliano, e sino <alle donne> concorsero a darli obbedienza, mosse
dall’esempio di una compagnia del Casale di Marano frapponendosi alla tedesca
tra le squadre armate come furono quelle di Mugnano, Carvizzano, Piscinola,
Marianella, Panicocolo ed altri che si erano dichiarati per il popolo. Fece suo
auditor generale sopra tutta la militia il dottor Bernardo Spirito et auditore
del Terzo, con titulo di fiscale del detto auditore, il dottore Antonio Stoppa
(figlio di un poverissimo orefice) che viveva nelli regi tribunali esercitando
la procura, quali accettarono con molto gusto loro la carica conferitali […].
Dal
libro "Diaro di Francesco Capocelatro, contenente la storia delle cose
avvenute nel reame di Napoli negli anni 1647-1650", di F. Capocelatro
e A. Granito, riportiamo:
Episodio
del salvataggio del duca di Maddaloni, grazie all'aiuto ricevuto da un medico
del Casale di Chiaiano, il 10 luglio 1647:
"[...]
Ora il duca di Maddaloni la notte del vegnente mercordì, 10 luglio, con
intendimento del Perrone e del Grasso via si fuggì scampando dal pericolo della
morte vicina quasi che miracolosamente, attribuendolo alla devozione, che egli
aveva alle anime del Purgatorio, alle quali fin che era stato fanciullo, aveva
in loro suffragio fatto dire molte messe al giorno. Salvossi fuggendo a piedi sino
al casale di Chiajano nei tenimenti di Capodimonte: ivi avuto una giumenta da
un medico, che a caso incontrò, coll'aiuto di alcuni suoi famigliari, che seco
erano, montando sopra essa passò a Cardito e di là, per opera di Mario
Loffredo, principe del luogo, alla Torella [...]".
….
Micco Spadaro, uccisione di D. Domenico Carafa |
La
cattura a Miano dell'Eletto del Seggio di Montagna, Cesare Sanfelice, avvenuta mercoledì,
10 agosto 1647:
"[...]
Fu lo stesso Mercordì dalli uomini del Casale di Miano fatto prigione Cesare
Sanfelice Eletto del Seggio Montagna, congiunto in stretto parentado col morto
D. Giovanni Serio; il quale fuggendo da coloro che il presero, avvisato del
loro male animo, si era ascoso entro un campo di grano d'India, ma conosciuto
da alcune donne, quasi costellazione fatale agli uomini di tale legnaggio di
essere in cotale guisa imprigionato, fu da loro sostenuto. E correndovi poi
altri uomini allo strepito che lo ferono le donne, fu da loro condotto in
Napoli, con gran rischio di perdervi la vita, lo che senza fallo gli avveniva,
perché era da quei paesani fieramente odiato, se un capitano dei popolari che
andò a torlo di là, ed aveva avuto 100 ducati da una sorella di Cesare per
camparlo dalla morte, non lo avesse con ogni possibil diligenza difeso e
custodito".
Portato
quindi don Cesare dinnanzi al Toraldo, cominciarono i Popolari a chiedere la
morte, ma D. Francesco che voleva invece salvarlo lo mandò in prigione in
Vicaria ordinando che gli facesse un processo e se per falli lo meritasse fosse
fatto morire. E tardando i Popolari ad obbedirlo li minacciò che avrebbe
inviato contro di loro quelli del Mercato e della Conceria. E così restando
prigione Cesare, di lì a poco non se ne parlò più e fu riposto in libertà.
Il
giorno dopo i Popolari andarono al Monastero di S. Patrizia e della Sapienza e
cominciarono a togliere i mobili di D. Giovanni Serio e di D. Carlo Spinello e
li trasportarono al Monastero di S. Lorenzo. Ma poiché facevano le loro cose
senza prudenza, in un preseguo di tempo, con poca somma di moneta data in
mancia ai Popolari ritornarono questi arredi ai loro padroni. E seguitando
irriverentemente i Popolari ad insultare Monasteri di sacre vergini col rompere
e violare la clausure, D. Francesco Toraldo fece pubblicare una grida che sotto
pena della vita nessuno osasse più entrarvi che se fosse stata necessità si
doveva attender licenze dal Pontefice o chi per esso.
.....
La cattura di filofrancesi a Polvica, il 7 aprile 1648: [...] Furono nello stesso giorno fatto prigioni al casale di Polvica, sedici Francesi e Romani famigliari e palafrenieri di Guisa che cercavano per quella strada passare in Roma o in Abruzzo e con la fuga salvarsi e, sostenuti dagli stessi villani della villa furon condotti al castel Nuovo. Ed essendo rimasti altri cento sessanta alli Bagnoli all'incontro di Nisida, assalita dai Regii, si fecero forti in un luogo rilevato; e fatta tregua con loro che malamente li stringevano, inviarono un di loro per volersi rendersi a patti al Viceré, ma fu ributtato da lui con dirgli che giacchè era colà sotto la parola venuto, il facessero ritornare libero ai compagni, e inviata una galera con altri soldati spagnuoli, comandò che si mandassero tutti a fil di spada, dicendo, che come invasori e bandolieri, e favoreggiatori di rubelli non meritavano cortesia di buona guerra, [...].
La cattura di filofrancesi a Polvica, il 7 aprile 1648: [...] Furono nello stesso giorno fatto prigioni al casale di Polvica, sedici Francesi e Romani famigliari e palafrenieri di Guisa che cercavano per quella strada passare in Roma o in Abruzzo e con la fuga salvarsi e, sostenuti dagli stessi villani della villa furon condotti al castel Nuovo. Ed essendo rimasti altri cento sessanta alli Bagnoli all'incontro di Nisida, assalita dai Regii, si fecero forti in un luogo rilevato; e fatta tregua con loro che malamente li stringevano, inviarono un di loro per volersi rendersi a patti al Viceré, ma fu ributtato da lui con dirgli che giacchè era colà sotto la parola venuto, il facessero ritornare libero ai compagni, e inviata una galera con altri soldati spagnuoli, comandò che si mandassero tutti a fil di spada, dicendo, che come invasori e bandolieri, e favoreggiatori di rubelli non meritavano cortesia di buona guerra, [...].
Ecco
alcuni episodi che riguardano la rivolta di Masaniello, raccontati, una volta
tanto, ponendoci dal "lato" degli antichi Casali posti a nord di Napoli:
Piscinola, Miano, Marianella, Chiaiano, Capodimonte, Polvica, Mugnano, Calvizzano, Giugliano, Marano ...
Episodi
di un periodo storico particolarmente difficile per la città, quando il popolo,
esasperato dalla grave oppressione spagnola, fece sentire altamente la sua
"voce". La rivolta di Masaniello è giustamente considerata una delle
insurrezioni popolari più importanti della storia d'Italia e d'Europa, quando
il popolo, napoletano, guidato da un semplice pescivendolo di Amalfi, ebbe la meglio sugli
oppressori, gridando "Viva 'o Rre 'e Spagna, mora 'o malgoverno".
Purtroppo gli esiti di quella sollevazione non furono benigni per le sorti
della città e del Viceregno, e la situazione divenne ancora più incerta e
aspra dopo l'uccisione di Masaniello. Si dovettero attendere altri
cinquant'anni circa, con l'avvento del Viceregno austriaco e poi con la salita al trono di
re Carlo di Borbone, per assistere alla nascita e al fiorire di un grande Regno.
Salvatore
Fioretto
Molte
delle notizie di questo post sono state tratte dal Libro "Piscinola, la
terra del Salvatore, una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di
S. Fioretto, ediz. The Boopen, 2010, con l'implementazione di nuovi aggiornamenti.
Domenico Gargiulo (Micco Spadaro), la rivolta di Masaniello in piazza Mercato |
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