Indagando sui costumi della civiltà
contadina del territorio posto a nord di Napoli, in particolare di quello
piscinolese, scopriamo diverse pratiche e rimedi usati in passato per curare
malanni o lievi indisposizioni del corpo: alcuni di essi erano molto “alla
buona”, privi quindi di fondamento scientifico, mentre altri erano naturali e
soprattutto efficaci.
Ai bambini che avevano avuto uno spavento (vermenata)
si soleva far indossare loro, per una sola notte, una collana interamente
composta da spicchi d’aglio; si riteneva che in questo modo si impedisse la
formazione dei vermi (tenie). Per i casi più ostinati e ricorrenti, ci si
affidava alle pratiche della “verminara”.
Nel libro "La nascita - Usi e riti in Campania e nel Salento", ed. FEU di T. Pasquali Coluzzi e L. Crescenzo, a pag. 66, è ricordato: "... E a Piscinola, e nei dintorni di Napoli, negli anni sessanta, c'era ancora Rusinella, a calmare i "vierme". Se ne ricorda la signora Maria B. che, in braccio alla madre, la guardava, con una certa diffidenza, tracciare strani ghirigori sulla sua pancia e l'udiva cantilenare in una specie di "susurrus" magico, misteriose formule".
Nel libro "La nascita - Usi e riti in Campania e nel Salento", ed. FEU di T. Pasquali Coluzzi e L. Crescenzo, a pag. 66, è ricordato: "... E a Piscinola, e nei dintorni di Napoli, negli anni sessanta, c'era ancora Rusinella, a calmare i "vierme". Se ne ricorda la signora Maria B. che, in braccio alla madre, la guardava, con una certa diffidenza, tracciare strani ghirigori sulla sua pancia e l'udiva cantilenare in una specie di "susurrus" magico, misteriose formule".
Le infiammazioni del cavo orale, come
gengiviti e mal di denti, si curavano eseguendo delle applicazioni locali di
foglie di lattuga (lattughella), precedentemente bollite in acqua.
Per curare le ferite da taglio si applicava
una medicazione preparata alla buona, a base di ragnatele (‘a felìnia),
verificando prima se l’oggetto causa della ferita fosse arrugginito o meno:
poiché era credenza diffusa che la presenza della ruggine determinasse l’insorgenza
del tetano.
Lo scienziato Vincenzo Tiberio |
In sostanza gli antichi avrebbero anticipato di
parecchi secoli la scoperta scientifica della Penicillina! Infatti, nell'anno 1895, il medico e
scienziato Vincenzo Tiberio, proprio
nella vicina cittadina di Arzano, eseguì delle ricerche sul potere delle muffe,
anticipando di ben trent'anni gli studi di Fleming che gli valsero il
riconoscimento del premio Nobel alla Medicina.
Nei casi di slogature agli arti si
eseguivano delle bendature rigide, tipo manicotti, utilizzando come supporto la
“stoppa”, impregnata di albume d’uovo e di ragnatele ammuffite. Con
l’essiccazione della parte umida dell’uovo, i manicotti si indurivano, riuscendo
in qualche modo ad immobilizzare gli arti.
Noci e Nocillo |
Per combattere la colite e il mal di pancia
si applicava sull’addome una “borsa” di acqua bollente, perché, come si sa, il
caldo aiuta a lenire il dolore.
Le difficoltà di digestione venivano
superate assumendo un bicchierino di “nocillo”, la sera prima di andare
a dormire. Il latte fresco era, invece, considerato un ottimo antidoto nei casi
di intossicazione alimentare.
I casi di stitichezza erano risolti
mangiando, durante la colazione del mattino, alcune prugne cotte al forno. Le prugne
utilizzate per questa pratica curativa erano anche conservate in vasetti di
vetro e in grado di durare per l’intero inverno.
Aglio |
I denti “di latte”, quando cadevano,
dovevano essere depositati in un nascondino, che poteva essere anche un piccolo
foro in un muro. Il dente doveva essere posizionato con cura dallo stesso
bimbo, recitando questa cantilena dedicata a Sant’Antonio Abate:
Sant’Antuono,
Sant’Antuono,
Pigliet’
’o viecchio e damm’ ’o nuovo;
E
dammillo forte forte,
Quanno
me ròseco ‘sta varr’ ’e porta.
Il nascondino doveva essere sempre lo
stesso per gli altri denti, che sarebbero caduti e doveva rimanere segreto:
solo cosi sarebbe cresciuta una bella e sana dentatura!
Nei casi di urti alla testa, si dovevano applicare
subito, sulla zona ferita, alcune fette di patate, o mollica di pane bagnata in
acqua fredda e poi strizzata. La zona doveva essere opportunamente compressa
con le mani. Si riteneva che in questo modo non si formassero quei vistosi
rigonfiamenti della cute.
La testa doveva essere fasciata con una spessa
bendatura, chiamata ‘a scolla, la quale, applicata molto stretta,
dava la sensazione di attutire il dolore. Tutt’oggi si suole dire l’espressione
un po’ sarcastica:
…Tengo
‘e scolle nfronte!
Per indicare la presenza di problemi che
fanno soffrire, paradossalmente e per paragone, come un mal di testa….! Anche
per curare l’emicrania si eseguiva una bendatura alla testa, interponendo però
foglie fresche di limone o fette di patate.
Cespuglio di Ruta in fiore |
Le patate erano applicate anche sulle
palpebre degli occhi, nei casi di abbagliamento. Mentre le cipolle (oppure le
superfici metalliche di monetine o di lame di coltelli) si utilizzavano per
lenire le zone del corpo punte da api o da altri insetti.
Per lenire i dolori reumatici e quelli
muscolari si praticavano degli energici massaggi con tintura a base di alcol e
canfora (o foglie di eucalipto), oppure a base di olio di oliva e ruta.
Qualcuno usava anche l’acqua o l’olio benedetto.
La tintura a base di ruta veniva utilizzata
soprattutto per curare il mal di gola, ungendo dolcemente il collo e coprendo
successivamente la zona con un panno nero. La tintura si preparava ponendo gli
ingredienti sopra un grosso cucchiaio e riscaldando il tutto sulla fiammella di
una candela. Per sottolineare le grandi proprietà curative della pianta di
ruta, gli anziani recitavano questo detto:
‘A
ruta, ogni male stuta,
tranne
pe’ jetteche e lli mali furute…!
Vale a dire: “La ruta sana ogni
malattia, tranne la tubercolosi e le gravi ferite”.
Le bronchiti, le vene varicose e le altre
infiammazioni venivano curate con i “salassi”, attraverso l’applicazione di
sanguisughe (sanguette) su alcune zone del corpo del malato. Questi
insetti, utilizzati fino a qualche anno fa anche negli ospedali pubblici, erano
prelevati dai loro habitat naturali, costituiti da stagni e pantani.
vite con tralci e uva |
Altre essenze botaniche utilizzate nelle
cure di malanni venivano ricavate dalle foglie di sorbo, dalle foglie di ortica
e da alcune parti della pianta di granoturco.
I bambini malati di “Pertosse” (tossa
cummerziva, ossia “tosse convulsiva”), venivano portati (“esposti”) nelle
stalle, perché l’aria umida respirata in questi luoghi era ritenuta, anche
secondo alcuni medici, favorevole alla guarigione.
La diffidenza degli anziani verso la medicina
ufficiale è molto antica ed è chiaramente espressa nelle parole di questo
antico proverbio:
Dicette
‘o mmiereco, chest’ è ‘a ricetta
e
che Ddio t’ ’a manne bbona…!
Al termine di questo racconto è
obbligatorio sottolineare che le pratiche curative qui descritte, frutto di
semplici deduzioni o intuizioni della civiltà contadina, non sono suffragate
da verità scientifica e non sono da prendere da esempio per improvvisare cure
mediche e rimedi, ma occorre far riferimento sempre alla medicina ufficiale.
Salvatore Fioretto
Racconto
in gran parte tratto dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua
gente, le sue tradizioni" di S. Fioretto, ed.The Boopen, anno 2010.
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Raccolta di aglio in un dipinto antico |
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