martedì 11 novembre 2014

Un medico deputato... Raffaele Chiarolanza!

"Nemo propheta in patria"...! (Nessuno è mai profeta nella sua patria), così recita pressappoco un passo del Vangelo di Luca, riferendosi a una frase detta da Gesù Cristo; questa massima la prendiamo qui in prestito proprio per sintetizzare il trattamento ricevuto dal personaggio che ci apprestiamo a ricordare e lo diciamo senza clamore, solo per sottolineare la superficialità con cui, dopo tanti anni, e ancora ai nostri tempi, vengono trattati eminentissimi personaggi della nostra storia, che tanto lustro hanno dato innanzitutto al nostro quartiere, e, poi, alla città di Napoli, alla Campania, all'Italia e all'Europa. Mi riferisco alle opere e alla personalità del grande medico e dell'erudito scienziato, il professor Raffaele Chiarolanza.  
Il prof. Chiarolanza in una foto ritratto
Chiarolanza nacque a Piscinola, allora Villaggio di Napoli (annesso al quartiere di San Carlo All'arena), il 17 settembre 1881, da Vincenzo, insegnante e da Maria A. Di Febbraro, casalinga. 
Fin da fanciullo si dedicò con assiduità e perspicacia agli studi ordinari presso la scuola elementare di Piscinola. Compì in città gli studi secondari, frequentando il Liceo e conseguendo la "Licenza liceale d'onore".
Si iscrisse subito alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Napoli, presso la quale ebbe insegnanti di valore, del calibro di G. Pascale, N. Pane, G. Paladino, e altri. Si distinse subito nello studio accademico, vincendo finanche una borsa di studio per meriti scolastici. Conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia, col massimo dei voti e con la lode accademica finale, il 31 luglio 1905.
Prestò subito servizio come assistente volontario nell'ospedale di Loreto a Napoli, nel biennio 1905-1906. Ma già nel corso del 1907 il prof. Antonino D'Antona lo volle con sè come assistente ordinario presso la Clinica Chirurgica dell'Università di Napoli. Nel 1908 vinse una borsa di studio di perfezionamento all'estero, che lo consentì di frequentare le più prestigiose università e tanti laboratori di ricerca europei, allora in auge: toccò prima Berlino, frequentando il "Königliches Institut für Infektionskrankheiten", ove conobbe i proff. Von Wassermann e J. Koch, coi quali lavorò fianco a fianco, poi si diresse presso il laboratorio "Charlottenburg - Westendkrankenhaus", diretto dal prof. E. Grawitz. Seguì Londra, conoscendo sir A. E. Wright e altre tappe ancora. Dopo questa significativa esperienza formativa, Chiarolanza ritornò a Napoli e riprese la sua attività medica, presso la Clinica Chirurgica dell'ospedale napoletano.
Biglietto di visita del dott. prof. comm. Raffaele Chiarolanza
A partire dall'anno 1911 e fino al 1915, divenne Aiutante Medico presso la stessa struttura. Nel 1910 si perfezionò nella libera docenza in Patologia Speciale Chirurgica, raccogliendo la cattedra ai corsi d'insegnamento universitario pareggiati; finalmente, nel 1914 ottenne la meritata cattedra in "Clinica Chirurgica". 
Tra gli anni 1913-15 fu chiamato dal direttore dell'Ospedale Loreto, vale a dire dal già famoso prof. Giovanni Pascale, alla supplenza degli insegnamenti di Semeiotica e Clinica Chirurgica.
Fu militare durante la Prima Guerra Mondiale, prestando servizio come ufficiale medico (Maggiore) nella citta di Alessandria, dirigendo sia le sezioni ospedaliere militarizzate e sia lo stesso ospedale militare, denominato "De Amicis". 
Finita la guerra ritornò a Napoli e poco tempo dopo divenne chirurgo ordinario, prima nell'ospedale di Loreto e poi nel vecchio ospedale Pellegrini, situato nell'antico quartiere della Pignasecca.
Chiesa della Real Arciconfraternita dei Pellegrini, ubicata all'interno dell'ospedale
Nel 1933 vinse il concorso di direttore medico presso lo stesso ospedale Pellegrini, ruolo che mantenne, svolgendo con esemplare servizio e con spirito di sacrificio, per ben dieci anni, senza interruzioni.
E' famoso l'avvenimento che lo vide coinvolto, dimostrando tutta la sua valenza di integerrimo chirurgo; infatti quando, nel 4 agosto 1943, l'ospedale Pellegrini da lui diretto fu bombardato dagli aerei americani, egli non si perse d'animo e mentre cadevano ancora le bombe distruttive sulla città di Napoli, continuò i numerosissimi suoi interventi operatori, svolti sotto una tenda da campo, fatta da lui allestire, alla men peggio, al centro del cortile dell'ospedale. Quanti napoletani sono stati allora salvati grazie all'opera di Chiarolanza!!
Raffaele Chiarolanza, oltre a essere un ottimo chirurgo, esperto e abile nell'operare, fu soprattutto un eccellente ricercatore medico. Già a partire dal conseguimento della laurea, grazie alle esperienze degli studi compiuti all'estero, ebbe modo di pubblicare il frutto delle sue ricerche su importanti argomenti medico-scientifici, tra i quali i trattati di batteriologia, di istologia e di ematologia. 
Durante la sua attività universitaria si applicò in numerosi studi e ricerche riguardanti gli argomenti di diagnostica e di tecnica chirurgica. Pubblicò, infatti, i suoi lavori su diverse riviste edite da importanti società scientifiche dell'epoca, sia italiane che europee. Si occupò, tra l'altro, degli interventi di chirurgia plastica e di ricostruzioni facciali, del trattamento della tubercolosi, dei tumori dell'apparato respiratorio e intestinale, delle cisti, delle fistole ossee, delle artriti purulente, ecc. Fece esperienze, pubblicando gli studi, sulla chirurgia del simpatico, sul pneumotorace artificiale, delle cisti del pancreas, delle embolie post-operatorie. Ebbe modo di relazionare anche sui vantaggi e sulle controindicazioni dell'anestesia locale, nonché sul trattamento e le cure delle temutissime fratture alla colonna vertebrale.
Il celebre tenore Enrico Caruso
Fu medico chirurgo e specialista molto noto e apprezzatissimo in città, alla pari di Giuseppe Moscati e di Antonio Cardarelli, infatti, oltre a esserne il medico personale, fu chiamato assieme a questi luminari per un disperato consulto medico al famoso cantante Enrico Caruso, ormai morente in una suite dell'Hotel Vesuvio, tra il 1 e il 2 agosto 1921. Chiarolanza ne stilò anche il referto di morte. Dopo i funerali instaurò un'accesissima discussione medica con i colleghi statunitensi, riguardo alle cure mediche prestate in USA al cantante, da lui reputate non all'altezza della situazione clinica del paziente.
Il prof. Chiarolanza ebbe modo di impegnarsi anche in campo sociale e politico, infatti nel primo dopoguerra frequentò attivamente la vita politica, seppur ancora circoscritta a livello locale e cittadino.
Il 28 luglio 1920 fu tra i fondatori della sezione napoletana della Democrazia Sociale, di cui fu eletto segretario politico. Nelle elezioni comunali del 1920, il Suo partito conquistò la maggioranza al Comune di Napoli. Nell'amministrazione di quel quinquennio, che fu diretta dal sindaco Russo, Raffaele Chiarolanza fu nominato assessore, carica che mantenne almeno fino all'aprile del 1921. Durante il Ventennio fu un dichiarato antifascista ed è annoverato tra i personaggi della cultura napoletana che nel 1925 firmarono il Manifesto Croce. Il manifesto fu un'iniziativa di provocazione antifascista, organizzata dallo storico Benedetto Croce, in risposta ad un analogo manifesto firmato da personaggi filo-fascisti. Non si iscrisse mai al PNF, nonostante fosse un obbligo imposto dal regime per chi svolgeva compiti e mansioni sociali.
Lo storico Benedetto Croce
Terminata la seconda guerra mondiale il Professore rivolse la sua attenzione ai problemi lamentati dalla classe medica, che fino a quel tempo non godeva praticamente di nessuna tutela sociale. Fu inizialmente commissario del disciolto sindacato dei medici di Napoli; tra le prime battaglie sindacali, egli promosse azioni a protezione e a garanzia sociale per quei medici che avevano ricoperto cariche politiche sotto il regime fascista, allora esposti a discriminazioni. Con la ricostruzione dell'Ordine dei Medici di Napoli, avvenuta tra il 1945 e il 1946, fu eletto presidente; carica mantenuta, eccetto per un triennio, fino all'anno 1966. 
Dal 1946 al 1967 partecipò ai lavori del Comitato Centrale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, nella quale fu eletto segretario dal 1950 al 1952. Nel 1953 fu eletto presidente della stessa Federazione, carica mantenuta, ininterrottamente, fino all'anno 1964. Alla scadenza del mandato fu nominato, poi, presidente onorario a vita. 
Dedicò molto del suo tempo alla riorganizzazione del settore assistenziale e sanitario della classe medica e si adoperò molto affinché venisse riconosciuta un'assicurazione contro le malattie professionali e, soprattutto, l'assistenza assicurativa ai figli dei medici rimasti orfani, con la costituzione di un apposito Ente assistenziale.
Nei decenni seguenti fu eletto più volte consigliere al Comune di Napoli, nelle file del Partito Nazionale Monarchico (PNM), che a Napoli era coordinato da Achille Lauro. Nel giugno 1953 fu eletto deputato al Parlamento per la II Legislatura repubblicana. Nella III Legislatura (1958-63), subentrò come "primo non eletto" a un deputato deceduto nel 1959. Nella IV Legislatura (1963-68) venne confermato deputato per il partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, a cui aveva nel frattempo aderito. 
Simbolo stilizzato dell'Ordine dei Medici
Come deputato parlamentare, Chiarolanza diede una grande spinta e il suo contributo per la regolamentazione legislativa nel settore ospedaliero e sanitario, quindi completò la sua azione a favore della previdenza e per l'assistenza della classe medica, che culminò con la fondazione dell'E.N.P.A.M. (Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Medica), nel quale egli fu eletto primo presidente e poi ne conservò, dopo il mandato, la carica di consigliere direttivo. 
Presentò anche il disegno di legge, che fu poi convertito in legge, a tutela degli operatori sanitari lesi dalle radiazioni durante lo svolgimento del servizio: la legge porta il suo nome.
Fu membro del Consiglio Superiore di Sanità, dal 1952 al 1964. 
Notevole è stato anche l'impegno giornalistico di Raffaele Chiarolanza; giusto per citarne alcune opere: fondò e diresse per circa venti anni il periodico Risveglio sanitario, nell'anno 1951 fondò l'Associazione A.S.M.I. (Associazione Stampa Medica Italiana), che aderì alla Federazione Italiana della Stampa. Rifondò il periodico Bollettino ufficiale dell'Ordine dei medici di Napoli. Nell'anno 1964 fondò il settimanale Il Medico d'Italia, che fu considerato l'organo ufficiale di stampa della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici. Potenziò la rivista medica, già preesistente, intitolata Federazione Medica.

Aderì, infine, a numerose società scientifiche, fra le quali: la Società italiana di chirurgia e la Società nazionale di scienze e arti, la Société internationale de chirurgie, l'International College of Surgeons, l'Association française de chirurgie et d'orthopédie, e altre ancora.
Morì nella sua abitazione in via Costantinopoli, la sera dell'11 marzo 1969.
Foto del prof. on. Raffaele Chiarolanza
Per il quartiere natale di Piscinola, Chiarolanza mostrò il suo impegno politico-amministrativo, interessandosi a diversi suoi problemi, soprattutto a livello urbanistico, fu promotore tra l'altro per la realizzazione delle case popolari dell'IACP e per la costruzione dell'asse viario, che secondo le intenzioni progettuali iniziali, doveva collegare via Vittorio Veneto con Piazza B. Tafuri. Tale opera rimase incompiuta per sopraggiunti problemi, pare di ordine amministrativo. 
Secondo una fonte testimoniale, da accertare ancora, pare che Chiarolanza sia stato tra i promotori, presso gli allora governanti fascisti, per la costruzione dell'imponente edificio della scuola Torquato Tasso: opera poi completata nel 1929 (ma attendiamo i riscontri storici).
Concludendo e ricollegandoci alla massima citata all'inizio di questo scritto: "Nemo propheta in patria"..., al prof. Chiarolanza Raffaele non è stato dedicato nemmeno un vico, non diciamo di Piscinola..., ma nella intera città di Napoli! 
Questa grave lacuna attende ancora una riparazione storica...!
Salvatore Fioretto
Molte notizie contenute in questo post sono state tratte dalla biografia inserita nell'enciclopedia Treccani,  a cura di Arnaldo Cantani. 


Ringraziamo Vincenzo Tomo per la sua collaborazione.

N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

martedì 4 novembre 2014

Campo di Marte... un sito reale...

La facciata della chiesa dell'Immacolata in una cartolina dell'800
Già avemmo modo di parlare qualche settimana fa del celebre Campo di Marte esistente a Capodichino: un'estesa plaga pianeggiante, confinante con i Casali di San Pietro a Patierno e Secondigliano. 
Al Campo di Marte si solevano organizzare nei secoli scorsi parate militari e corse di cavalli, soprattutto nel corso del 1800
Nel 1856 le cronache qui registrarono un avvenimento cruento e stupefacente allo stesso tempo, forse rasentando il fanatismo e la propaganda politica di comodo... Infatti, in questo luogo del Campo di Marte, il re Ferdinando II scampò (si disse miracolosamente!) a un attentato compiuto ad opera di un soldato borbonico sovversivo...
La facciata della chiesa parrocchiale dell'Immacolata
Era l'8 dicembre 1856, giorno dedicato all'Immacolata Concezione (la festa fu solennizzata due anni addietro da papa Pio IX, l'8 dicembre 1854, con la proclamazione del Dogma dell'Immacolata), quando il re decise di partecipare, come era suo solito fare, alle manovre militari che si tenevano periodicamente in questo ampio campo, attrezzato per le parate militari. Sovente era lo stesso sovrano a comandare le truppe, considerando queste esercitazioni come delle vere e proprie operazioni militari.  
Nel corso della sfilata delle truppe, che seguì la fine delle esercitazioni, un soldato di leva appena arruolato nelle truppe borboniche, di nome Milano Agesilao, ruppe le righe e attentò alla vita del sovrano, che in quel momento si trovava a cavallo, sferrando un colpo di baionetta. Agesilao aveva 26 anni, proveniva da San Benedetto Ullano, un paesino calabrese in provincia di Cosenza e apparteneva ad una famiglia di origine greco-albanese. 
Piazza Capodichino, a sinistra la facciata della chiesa dell'Immacolata, anni '60
Fu un ufficiale della Guardia Reale, di nome Francesco La Tour, che con un lampo di genio riuscì a disarmare l'attentatore, rendendolo inoffensivo ed evitando danni sicuramente ben più gravi per il sovrano. Il soldato fu subito arrestato e condotto in carcere. Il re se la cavò con una leggera ferita al fianco ed ebbe la forza di continuare la parata, incurante delle possibili conseguenze alla sua salute. Al termine del cerimoniale fece ritorno al palazzo reale, dove fu assistito e curato. 
Ritratto di Agesilao Milano
Cinque giorni dopo l'attentato, il 13 dicembre, il soldato Milano Agesilao fu condannato a morte e la sentenza fu subito eseguita per impiccagione nel largo fuori Porta Capuana. Le sue ultime parole furono inneggianti la libertà e l'Italia.
Alcuni episodi concomitanti, che si verificarono in quel giorno, furono ritenuti soprannaturali e interpretati dal popolino come premonitori dell'attentato... Infatti pare che nella mattina dell’attentato, un tal frate di sant’Antimo, di nome fra Luigi, sostando in preghiera davanti all'altare della Madonna, ebbe una visione della Vergine che gli presagiva l'attentato al sovrano. Riferì tutto al suo frate guardiano, chiedendo di avvisare a sua volta la gendarmeria di palazzo reale e di far sapere al Re di non andare al Campo, perché la sua vita era in grave pericolo. Il frate guardiano, che si chiamava fra Angelo di Napoli, si recò subito a palazzo reale e ottenne l'udienza reale.  
La scena dell'attentato al Campo di Marte in una stampa dell'epoca
Ferdinando II non volle ascoltare minimamente le parole del frate, che lo scongiuravano a recarsi alla prevista parata. Confermò quindi la sua presenza alla cerimonia militare, anche se la segnalazione lo aiutò a restare vigile durante lo svolgersi della parata; infatti ebbe un guizzo che lo aiutò a schivare i colpi dell'attentatore... 
Particolare con la scena dell'attentato
Dopo lo scampato pericolo, il re decise di far innalzare una chiesa in quel luogo, dedicandola in ringraziamento alla Madonna Immacolata, verso la quale si mostrò grato per la grazia ricevuta. 
Dal canto suo, Agesilao divenne un eroe acclamato durante la conquista garibaldina. Alla madre fu riconosciuto un vitalizio dai governanti del nuovo Regno. Sono noti anche alcuni scritti e delle poesie del patriota, attraverso le quali egli esprime i suoi pensieri politici ed i suoi ideali.
Il 13 luglio 1857 l'Arcivescovo di Napoli, il card. Sisto Riario Sforza, benedisse e posò la prima pietra della costruenda chiesa, con il titolo dato di "Vergine Santissima Immacolata". L'evento fu immortalato dal celebre pittore di casa reale, Salvatore Fergola, in un bel quadro oggi conservato nel museo di San Martino.
Piazza Capodichino modificata con la stele dedicata ai caduti.
La facciata del tempio si compone di due ordini di lesene, realizzate in stucco, sormontate da un grande timpano triangolare, dentro il quale è stato poi riportato un bassorilievo in stucco raffigurante l'Immacolata,  mentre, in due nicchie laterali, sono state sistemate le statue in gesso di S. Pietro e S. Paolo. Sopra il portale d'ingresso, si legge la seguente iscrizione di dedica fatta scrivere in ex voto da Ferdinando II: "IMMACULATAE DEIPARAE VIRGINI DICATUM".  La chiesa unizialmente fu chiamata anche della "Glorietta al Campo di Marte".
Salvatore Fergola, posa della prima pietra della Chiesa al Campo di Marte
Purtroppo  la costruzione della chiesa subì diverse sospensioni e ritardi nel completamento, a causa della conquista del Regno da parte dei Savoia e del processo di annessione all'Italia. La chiesa fu completata nel 1863, anche se con forme non rispettose delle linee progettuali iniziali. La stessa facciata è stata nel corso del tempo affiancata da alcuni edifici di civili abitazioni, che l'hanno privata della visione integrale del suo bel campanile posteriore. Nel 1945, e ancora nei decenni seguenti, la chiesa ha subito importanti interventi per ampliamenti e restauri. Furono in particolare realizzate le cappelle laterali.
Piazza Capodichino e il tempietto della dogana, foto di inizio '900
Nella chiesa sono conservate diverse statue antiche di santi, in particolare una statua lignea di san Michele Arcangelo del '700, proveniente dalla chiesetta omonima degli Edbomandari, distrutta per realizzare la Salita di Capodichino e la statua dell'Immacolata Concezione, opera di Francesco Caputo.
Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.





martedì 28 ottobre 2014

Ambiente e psiche.... (1^ parte) La Villa Russo di Miano



L’argomento qui trattato sarà sviluppato in più post, perché complesso e articolato, dato che è complessa e articolata la storia delle attività medico assistenziali esercitate e delle strutture realizzate nel territorio napoletano e in particolar modo a Nord di Napoli, favorite soprattutto dalla tranquillità e dall’amenità del paesaggio e per la salubrità del suo clima. Mi riferisco alle opere deputate alla cura delle persone affette da patologie neuropsichiatriche e quelle psicolabili.
Se il progresso di un popolo si misura da come vengono trattati e assistiti gli ultimi e i diversamente abili della società, allora possiamo dire che nei secoli passati c’è stata una particolarissima attenzione per queste problematiche, da parte dei vari regnanti che si sono succeduti nell’amministrazione del territorio, e dobbiamo anche aggiungere, a differenza di quanto avviene ai giorni nostri, dato che il problema dei “malati di mente” è tanto spesso trascurato e sottovalutato.
L'istituto provinciale "San Francesco di Sales" a Napoli
Nella capitale partenopea si ebbe, fin dal XVI secolo, una particolare attenzione per la cura e per l’assistenza delle persone affette da problemi psichici; infatti per la cura di queste patologie era stato demandato, praticamente fin dalla sua fondazione (nell’anno 1525), un reparto esistente nell’antico ospedale di “Santa Maria del Popolo”, meglio conosciuto come “Ospedale degli Incurabili”, fondato nel 1520, dalla pia donna di origini spagnole, al secolo Maria Lorenza Longo (Lonc). Dobbiamo però attendere la venuta dei Francesi, con il celebre “Decennio Giacobino”, per assistere alla realizzazione del più grande complesso di cura dell’allora penisola italiana, ossia il Morotrofio di Aversa, fondato da Gioacchino Murat nel 1813, considerato infatti il primo manicomio d’Italia. La grandiosa struttura, detta anche “Real Casa per Matti di Aversa”, fu realizzata nella cittadina normanna,  vicino alla chiesetta di S. Maria Maddalena (è detto per questo anche Complesso della Maddalena) e riusciva, per le sue ragguardevoli dimensioni (esteso su un’area di 170.000 mq) ad ospitare fino a 6000 pazienti, di qualsiasi età, sesso e condizione sociale, sia essi indigenti che facoltosi.
L'istituto provinciale "Madonna dell'Arco" di S. Anastasia
Presto qui si affiancò anche una sezione per i detenuti maniaco-criminali, fino a divenire il primo manicomio giudiziario d’Italia. Per le persone benestanti l’ospedale disponeva anche di reparti riservati, a pagamento, con stanze singole e con trattamenti personalizzati, anche per il tipo di assistenza prestata. Nel complesso di Aversa operarono le più illustre e illuminate menti del mondo medico-accademico dell’epoca, quali il prof. Biagio Miraglia, in ruolo nel nosocomio fin dal 1843, e per tal notorietà esso ebbe numerosi pazienti provenienti da ogni angolo del Regno. Con la sopraggiunta restaurazione borbonica il complesso di Aversa fu praticamente confermato nella gestione preesistente, senza apportare sostanziali modifiche all’organizzazione.
Locandina pubblicitaria della Casa di Salute di Miano 
Nel 1825, un medico dell’ospedale di Aversa, il dott. Giuseppe Santoro, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dal Ministero degli Interno, ebbe la brillante idea di prendere in fitto un appartamento della famiglia Quattromani, sito nella frazione di Miano, complice il paesaggio e la vicinanza con la capitale, e qui vi impiantò il primo stabilimento di cura privato per matti, vale a dire il primo manicomio privato del Regno e, salvo smentite, forse il primo in Italia…, con rette di pagamento contrattate direttamente tra il fondatore ed i familiari dei pazienti. Il canone di fitto mensile della casa di Miano era di 25 ducati e 80 grani. Il medico Santoro capì, infatti, prima di tutti, la reale portata dell’investimento e le potenzialità di guadagno derivanti dall’esercitare pratiche di cure offerte in forma privata, conoscendo bene i problemi dell’ospedale di Aversa e le necessità di riservatezza delle classi agiate e dell’aristocrazia. Infatti tra costoro elevato era il numero di quelli che volevano far curare i propri parenti, affetti da problemi psichici, in piccole strutture loro riservate, evitando la bolgia esistente nel nosocomio di Aversa, la cui condizione di promiscuità scaturita dal contatto con il ceto popolare, favoriva indubbiamente l’accrescimento dei sintomi delle patologie depressive.
Il prof. Leonardo Bianchi
Occorre sapere che nell’ospedale psichiatrico di Aversa, pur disponendo a pagamento delle camere riservate per trascorrere la notte, non era possibile, invece, evitare la promiscuità diurna con i pazienti ricoverati, soprattutto con quelli in grave stato di salute mentale; esposizione questa che infondeva uno stato di particolare disagio e di sconforto nelle persone affette da patologie leggere e reversibili (definito contagio morale), che non aiutava di certo il loro rapido recupero. Poi il fatto di essere stati ricoverati ad Aversa ed esserne usciti guariti non toglieva all’ex malato l’onta impressa dalla società civile, ossia di essere stato un paziente ricoverato nel manicomio di Aversa...
Nel 1839 l'immobile di Miano fu venduto dal Cav. G. Quattromani a Santoro per la somma di 1300 ducati, con l'aggiunta di altri 121 ducati e 32 grani di interessi, da pagarsi in quattro rate, entro l'anno 1839. Lo stabilimento aveva una ricettività di circa 12 stanze, procurando al Santoro un reddito annuo di circa 1200 ducati.
Saggio teatrale eseguito da inferme ricoverate nella Villa Russo
Nel 1833 il dottor Santoro fu sicuramente l'artefice della fondazione di un’altra casa di cura privata, sorta poco distante dalla prima, in località Ponti Rossi. Questa struttura era inizialmente un casino di villeggiatura che fu rilevata dal profumiere Giuseppe Bayl, il quale aveva tentato lui stesso per primo di trasformarlo in manicomio privato, ma, non essendoci riuscito, cedette la proprietà a un certo Pietro Fleurent, anche se, a detta degli studiosi, in effetti Pietro Fleurent potrebbe essere stato solo un prestanome del dott. Santoro... perchè non era un possidente e aveva svolto in vita sua la mansione di semplice portiere nella Real Casa dei Matti di Aversa. Fleurent sicuramente conosceva il dott. Santoro... quindi il dubbio sulla proprietà resta fondato.... La struttura fu intitolata “Istituto per malattie nervose e mentali - Villa Fleurent”. Di questa struttura tracceremo tra non molto un post a parte…
L'isitituto provinciale "S. Francesco di Sales" di Napoli
Nella seconda metà del ‘800 si ebbe un proliferare di strutture private e pubbliche per la cura dei malati di mente, sia nella capitale che nel suo immediato suburbio.
Nell’allora Infrascata”, oggi Via Salvator Rosa, nacque nel 1881 l’Ospedale Provinciale di San Francesco di Sales (dal nome del convento esistente), mentre, nel 1871, il comune di S. Anastasia aveva già fondato il manicomio, detto ”Madonna dell’Arco”, perché ospitato nel convento della celebre chiesa. Le due strutture pubbliche si organizzarono dividendo i pazienti in modo che, al "Sales" erano ricoverati i folli non curabili, di ambo i sessi, mentre alla "Madonna dell’Arco" quelli curabili.
L'atrio interno e il monumento a Giuseppe Russo
Seguirono il "Regio Ospizio di San Gennaro e san Pietro" in ex moenia,  detto “dei poveri”, il manicomio privato “Leboffe” a Ponticelli, la “Villa Vernicchi” e il “San Francesco Saverio alle Croci”, detto “dei Miracolilli”, queste ultime due strutture si trovavano sempre in città. La clinica di Miano ebbe negli anni un notevole apprezzamento e successo, tanto che il Santoro rilevò diverse proprietà attigue e l’ampliò di molto, realizzando diversi reparti. La gestione Santoro si protasse fino al 1888, allorquando, essendo la struttura caduta in uno stato di abbandono, fu chiusa e di lì a poco fu rilevata dal possidente cav. uff. Giuseppe Russo, noto imprenditore originario di Miano, che aveva fatto fortuna producendo e commercializzando guanti di pelle. Russo ristrutturò il complesso, riportandolo al passato splendore e rinominandoloVilla Russo”, titolo che conserva ancora oggi. Con la gestione Russo la casa di cura di Miano ebbe una "nuova primavera", arruolando i medici e gli accademici più famosi dell’epoca e dotandosi di reparti divisi in prima, seconda e terza classe. Il manifesto pubblicitario che riportiamo in questo post, la dice lunga sul prestigio e importanza delle tante personalità che in essa svolsero la loro libera professione. Ricordiamo: Leonardo Bianchi, Pietro Castellino, Andrea Grimaldi, Giuseppe Buonanno, ecc.
La clinica stipulò negli anni diverse e importanti convenzioni con enti e province italiane, tra cui, degna di nota, quella con la provincia di Matera, convenzione che risulta rinnovata nel 1924 e protratta fino al 1960, per curare i pazienti originari della lucania.
Un reparto della casa di cura convenzionata di Miano
Nelle strutture di Miano si tennero, nel corso del secolo scorso, diversi convegni specialistici e simposi scientifici di levatura e importanza europea. A Miano, inoltre, si pubblicarono diverse riviste scientifiche attinenti alle problematiche psichiche, con l’istituzione di una vera e propria casa editrice, che fu chiamata "Casa editrice di Villa Russo". Infatti il prof. Andrea Grimaldi con il dott. G. F. Montesano fondarono, nel 1924, la “Nuova rivista di clinica ed assistenza psichiatrica e di terapia applicata" (con cadenza trimestrale); mentre, nel 1933 risulta che la società Russo, aveva fondato la “Rivista di Psicologia, neuropsichiatria e psicoanalisi” diretta inizialmente dallo stesso dott. Andrea Grimaldi (già vicedirettore della clinica e poi, successivamente, direttore per molti anni). 
Negli anni seguenti, siamo nel 1951, il dottor Marco Levi Bianchini (che fu direttore della clinica dal 1945 al 1957), diede vita nella struttura di Miano alla sua ultima iniziativa editoriale, la "Rivista di psicopatologia, neuropsichiatria e psicoanalisi", che diresse per sei anni, prima di ritirarsi a vita privata.
Nelle strutture di Miano era presente anche una sala teatrale, dove spesso i pazienti si poterono esibire come attori dilettanti, recitando testi teatrali.
L'insegna della casa di cura convenzionata
La struttura della Villa Russo di Miano è sopravvissuta fino a pochi anni fa, in gran parte rinnovata e convertita a clinica convenzionata con il S.S.N, specializzandosi nell’assistenza degli anziani e nella cura delle patologie senili e in geriatria. Purtroppo, nel novembre 2010, la Casa di Cura di Miano, con la sua bella storia bicentenaria alle spalle, è stata definitivamente chiusa, privando il territorio di un importante punto di riferimento sociale e culturale e di molti posti di lavoro, diretti e indiretti.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
L'ingresso principale e la facciata della casa di cura "Villa Russo"
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.