Dopo aver pubblicato la vita e le opere del missionario mugnanese, padre Nicola Frascogna, ritorniamo sull'argomento dei personaggi famosi, per aver trovato, proprio in questi giorni, l'interessante biografia di un altro padre missionario, le cui vicende vede interessare il quartiere di Miano, infatti morì a Napoli, nell'anno 1924, ed è sepolto nel cimitero di Miano, ci riferiamo al padre Giovanni Russo, appartenente all'ordine franscescano O.F.M. La biografia, che riportiamo è tratta dal libro di Sosio Capasso: "Due Missionari frattesi: Padre Giovanni Russo e Padre Mario Vergara", ed. Istituto di Studi Atellani, 2003. Ecco il testo, tratto in gran parte dall'opera citata, eliminando solo alcune parti non riguardanti la vita del frate:
"Il Francescano Padre Giovanni Russo nacque a Frattamaggiore
il 21 novembre 1831. Il suo paese natale era allora un fiorente casale del
Reame di Napoli, sotto la sovranità di Ferdinando II di Borbone. […].
Egli entrò nell’Ordine Francescano, esattamente nella Provincia Minoritica
Napoletana di S. Pietro ad Aram, il 3 febbraio 1851. Fu avviato alla vita
religiosa da quell’insigne teologo che fu il Padre Provinciale Andrea da Palma.
Il giovane Giovanni restò per otto mesi quale alunno nel convento di S. Antonio
di Afragola e da qui passò nella diocesi di Nola, nel convento di San Giovanni
del Palco di Lauro, ove compì l’anno del noviziato.
Il 20 ottobre 1853 professò
solennemente i voti e, quindi, proseguì la sua preparazione nello Studio
generale di S. Angelo di Nola, un centro allora veramente prodigioso per la
preparazione culturale e religiosa nel meridione d’Italia. Il 10 giugno 1853
Giovanni Russo fu ordinato sacerdote e destinato al convento di S. Pietro ad
Aram di Napoli. Qui frequentò la scuola di sacra eloquenza e qui si rivelò la
sua vocazione per l’attività missionaria. Il suo vivo desiderio fu accolto dai
suoi superiori ed il 14 aprile 1859 fu accolto nel Collegio di S. Pietro a
Montorto in Roma e quell’anno stesso, il 10 luglio, destinato alle missioni
francescane in Albania. […]
Quando il P. Giovanni Russo giungeva in Albania, nell’aprile del 1859,
circa tre anni dopo la conclusione della guerra di Crimea, trovò un paese
oppresso dalla miseria e dalla desolazione. Egli fu assegnato alla Prefettura
di Kastrati, nell’Archidiocesi di Scutari; in questa zona sarebbe rimasto fino
al 1915, per ben 56 anni, dividendo con la povera popolazione locale, senza
distinzione religiosa, sofferenze e privazioni di ogni sorta. Destinato alla
parrocchia di Podgoritza, fu, poco dopo, colpito da febbri malariche di gravissima
intensità, tanto che fu vivamente esortato a fare ritorno in Italia, ma egli
oppose il più ostinato rifiuto. Chiese solo di cambiare parrocchia perché più
intenso fosse il suo apostolato. La vita in Albania era resa particolarmente
difficile dalle frequenti insurrezioni e dalla reazione, sempre feroce, delle
autorità turche. «La missione apostolica in Albania dei Frati Francescani –
egli scrisse in una sua relazione – conta di più di quattrocento anni di
esistenza. Questa missione è composta di più Prefetture, la più estesa di esse
è la Prefettura detta di Kastrati ed in questa sono stato io dal 1858 al 1915.
Questa Prefettura di Kastrati è composta di dieci parrocchie, che prendono nome
dal villaggio in cui vi è la chiesa col missionario, e sono quasi tutte nei
monti a levante dell’Albania, meno due, che sono nei piani. I nomi delle
parrocchie, ossia dei villaggi, sono: Tribuino, Hoti, Podgorizza, Gruda
Triepsci, Koccia, Selze, Vukli, Baiza, Kastrati. Baiza è la più vicina a
Scutari ed è la residenza del Prefetto della missione. Le dette parrocchie sono
tutte di cattolici, eccettuate poche famiglie musulmane. Hanno una estensione
di più leghe, perché ciascun villaggio è lontano dall’altro, ma concatena coi
confini, così da formare tutti insieme la frontiera albanese di contro al
Montenegro. I suddetti villaggi hanno le case l’una lontana dall’altra e nel
centro vi è la chiesa col missionario". […] |
Monti dell'Albania
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In questa impervia regione il Padre Giovanni Russo trascorse parte della sua
vita, affrontando difficoltà e disagi di ogni genere, percorrendo a piedi o a
dorso di mulo distanze rilevanti, spesso superando monti impervi. Privazioni,
persecuzioni, angustie erano la norma quotidiana di vita; le minacce di morte
frequenti ed il buon frate, per ben due volte, si vide puntare al petto un
fucile, ma egli con la bontà e la dolcezza che lo contraddistinguevano, riuscì
a disarmare chi lo minacciava e ad indurlo a più miti consigli. La povertà più
austera, predicata da San Francesco, fu la sua regola di vita. Il suo amore per
le creature non aveva confini ed abbracciava tutte le persone, qualunque fosse
la loro nazionalità o la loro fede religiosa.
La sua umiltà non aveva limiti, tanto da indurlo a rifiutare la prefettura
apostolica e solamente per non venir meno alla regola dell’ubbidienza, che si
era impegnato a professare, accettò la carica di vice prefetto della missione
di Kastrati. Diverse volte fu proposto per la nomina a vescovo, ma egli non
volle mai accettare, ricorrendo ad ogni sorta di motivazioni per sottrarsi
all’alto onore. Non vi fu, nel corso del lungo soggiorno in Albania, epidemia,
carestia, guerra che non lo vide in prima linea, pronto a soccorrere, col
sacrificio personale, nelle condizioni più disperate, chiunque avesse bisogno
di aiuto, fosse cristiano o ottomano. Gli furono necessari ben trent’anni di
lavoro, sacrifizi, speranze e delusioni per riuscire a costruire una chiesetta
in legno per i fedeli di Vukli. Ma la soddisfazione ed il sollievo furono di
breve durata. Proprio in quei giorni, nel 1890, si scatenò una violenta
insurrezione degli albanesi contro il giogo ottomano. La reazione turca fu
violentissima, decisa a stroncare ogni resistenza. Interi villaggi furono
devastati e dati alle fiamme. La Prefettura di Kastrati fu fra le più colpite
ed il buon Padre Giovanni non ha pace, instancabilmente, a dorso di un mulo,
scortato solamente da un servo fedele, valica i monti, percorre grandi distanze,
cercando costantemente di placare gli animi, fermare la violenza, mitigare la
reazione delle truppe turche. Quando torna a Vukli tenta inutilmente di salvare
la sua chiesetta, issando su di essa una bandiera bianca in segno di pace. Il
pericolo è grande e gli stessi insorti lo esortano ad allontanarsi, ma egli
ostinatamente dice loro che è venuto per restare e, se necessario, morirà con
loro.
I turchi non tardano a giungere e, nella loro furia
sanguinaria, incendiano la chiesa. Grande è il dolore del missionario, tanto
che il Comandante delle truppe di Costantinopoli, placata la bufera e resosi
conto della sincerità, della pietà, del dolore di Padre Giovanni gli promette
di adoperarsi perché il governo di Costantinopoli provveda a far riedificare il
tempio. Purtroppo lo zelo e le fatiche del santo frate erano destinate a
vanificarsi: la chiesetta, due volte distrutta, fu ancora distrutta nel corso
di nuove insurrezioni, sempre ferocemente domate.
Padre Giovanni dimorò ancora cinque anni in Albania e furono ancora anni di
avvenimenti tragici e di gravi sofferenze. Nel 1910 gli Albanesi tentarono
ancora di insorgere, ma i Turchi repressero i moti e costrinsero i ribelli a
consegnare le armi. Nel 1911 la guerra italo-turca incoraggiò nuovi tentativi
di rivolta ai quali Costantinopoli tentò prima di convincere alla
pacificazione, poi, non ottenendo risultati positivi, inviò cinque battaglioni
di militari che, però, non conoscendo le insidie di quelle difficili località,
caddero in imboscate e furono sterminati. Allora la Turchia inviò un poderoso
esercito, ben addestrato alle manovre fra i monti; l’invasione si proponeva non
solo di scoraggiare gli albanesi, ma anche di indurre l’ostile Montenegro a più
miti consigli. La repressione ottomana fu tremenda, interi villaggi furono
saccheggiati e dati alle fiamme, le chiese sistematicamente distrutte, gli
Albanesi che riuscirono a sfuggire alla strage trovarono rifugio nel
Montenegro. Il Padre Giovanni riuscì fortunatamente a riparare nel villaggio di
Triepsci, ove trovò altri cinque missionari parroci nella Prefettura della
quale faceva parte anche lui. Finalmente il 1 Agosto 1912 vi fu l’armistizio
ed i ribelli, senza deporre le armi, potettero tornare nei loro villaggi. Il
vecchio missionario fu felice di rivedere i suoi figli, ma la vista delle
devastazioni compiute era desolante. «Io
fui il primo ad arrivare nella mia parrocchia di Vukli il 4 agosto 1912 –
egli scrive nella sua relazione –. Il mio
villaggio, come tutti gli altri, era invaso dall’esercito turco in piede di
guerra e proprio nel mio villaggio vi era il quartiere generale del Comandante
Generalissimo poco discosto dalla Chiesa. Appena mi presentai tutti i Pascià
nonché il Generalissimo mi abbracciarono e mi baciarono. Dopo di essermi
riposato e dopo d’avermi confortato col caffè ed altro, mi dissero che fino
alla loro partenza sarei stato ospite gradito e che non avessi pensato a nulla.
Posero due tende a mia disposizione e mi fornirono delle cose più necessarie.
Io pranzavo e cenavo con loro». Tanta considerazione da parte dei turchi
era dovuta alla grande pietà e disponibilità caritativa che Padre Giovanni
usava verso tutti, senza discriminazione alcuna né di nazionalità, né di
religione. L’alto comando turco, rientrando in patria, lasciò al missionario
tutte le proprie provviste e una notevole quantità di legname da baracche, che
furono una vera provvidenza per la povera gente del posto. Il padre Giovanni,
in riconoscimento della sua alta opera umanitaria, ricevette importanti
decorazioni dal governo turco. Successivamente gli Ottomani furono costretti
dalle pressioni internazionali ad indennizzare gli albanesi dei danni subiti. Così il missionario narra l’evento inatteso e sorprendente: «I cattolici albanesi di tutte le parrocchie
della Prefettura di Kastrati, ricevuta tutta quella provvidenza di danaro,
subito diedero mano ciascuno a fare ricovero per la famiglia; chi una casa a
pianterreno, chi una comoda capanna. “Anche io, con le tavole ricevute dai
turchi e con altro legname, feci una grande e comoda capanna da starci
benissimo. Più feci una piccola cappella all’aperto da contenere il solo
celebrante con l’inserviente. Il vescovo ed altri benefattori di Scutari mi
provvidero del più necessario al mio ministero. Dopo assestatomi con la testa e
non pensando che più sì rinnovassero simili uragani, mi diedi con tutta lena a
fabbricare la chiesa e l’ospizio migliori di prima e a gloria di Dio ci ero
riuscito dopo quattro mesi. Poco mancava al compimento, cioè il soffitto e le
finestre, mentre tutto il materiale occorrente era pronto sul piazzale e dentro
la chiesa». Ma i guai non erano finiti: scoppiò la guerra balcanica ed i
montenegrini circondarono d’assedio Scutari, compiendo devastazioni e stragi
orrende. Con il sopravvenire della pace, si verificarono notevoli mutamenti
nella sistemazione del territorio. Quasi tutte le parrocchie della Prefettura
di Kastrati si trovarono sotto la potestà montenegrina, proprio la più odiata dagli
Albanesi. Vi furono nuove insurrezioni e nuove devastazioni. Le cittadine
turche di Plave e Gusigne furono devastate e saccheggiate dai montenegrini. Gli
abitanti di Rapscia, Trabuino e Gruda, con i loro parroci, furono costretti
all’esilio. Le minuscole città turche di Plave e Guisigne furono occupate dai
soldati del Montenegro e distrutte. Gli abitanti costretti alla fuga; i pochi
rimasti dovettero abiurare alla loro religione. Tre parrocchie restavano ancora libere, Vukli, Seize e Nikei;
Vukli e Nikei erano curate dal Padre Giovanni. Questi villaggi erano abitati
dai cosiddetti Clementi, perché discendenti da un Clemente. Questa popolazione
fu la più perseguitata dal Montenegro. In proposito il nostro buon missionario
così si esprime: «Il Montenegro sapendo
che i Clementi non avevano nessun aiuto da nessuna parte, il 3 settembre 1913
sul far del giorno si presentò con poderoso esercito a questi tre villaggi, li
attaccò con cannoni e mitragliatrici… I Clementi resistettero per poco,
lasciando alcuni morti; ma soverchiati dalla forza maggiore dovettero fuggire.
Presero le loro famiglie e qualche capo di bestiame e via per i monti
disastrosi e sentieri difficili per portarsi a Scutari due giorni distante: una
carovana di gente e di bestie che faceva pietà ed in mezzo a questa carovana mi
trovavo io, il mio ausiliare e il servo col mio cavallo. Arrivato di sera alla
cima di un alto monte, chiamato Kappa, il quale domina tutte e tre le
parrocchie, vidi un incendio universale che sembrava un inferno … Dopo due
giorni e due notti all’aperto arrivai nel convento di Scutari, dove trovai
quasi tutti gli altri missionari della Prefettura di Kastrati».
Il lungo e
fecondo soggiorno di Padre Giovanni Russo in Albania stava per concludersi.
Dopo oltre un cinquantennio di proficuo apostolato in un paese povero e
difficile quale era ed è l’Albania, il buon frate fu richiamato in Italia per
un meritato riposo. Aveva ben 84 anni ed era giusto che, al tramonto di una
vita tanto operosa e tanto ben spesa al servizio della fede e della Chiesa,
egli rivedesse la patria, tornasse nei luoghi ove aveva tanto devotamente
indossato il saio francescano e dove era stato ordinato tanto felicemente
sacerdote. Fu destinato al convento di S. Maria Immacolata della Palma in
Napoli (quartiere Sanità n.d.r.) e quivi visse ancora nove anni. [...]
Si spense il 24 settembre 1924 e riposa nel cimitero di Miano. Il nostro
auspicio è che l’opera altamente benemerita di questo francescano, tanto
modesto quanto illustre, non sia dimenticata e la città, che ebbe l’onore di
dargli i natali, lo tragga dalla dimenticanza nella quale è ingiustamente
caduto e lo onori come uno dei suoi più illustri figli".
Aggiungiamo alla biografia di sopra, che il padre Russo ebbe a rifiutare anche la nomina vescovile presso la cattedrale di Durazzo.
Speriamo anche noi, come auspica l'autore del testo, dott. Sosio Capasso, che le opere e la vita di padre Giovanni Russo siano da esempio per quanti sapranno apprezzare la grandezza umana di questo frate, assieme a quelle di tanti altri umili padri missionari, di qualsiasi ordine monastico appartengano, i quali per amore della fede e per aiutare i più poveri ed emarginati, hanno dato e danno ancora oggi, esempio di coerenza e di grande testimonianza, rischiando spesso anche la propria vita.
Siamo certi che il sacrificio e le opere di Padre Giovanni Russo non saranno mai dimenticate!
S. Fioretto
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