sabato 30 gennaio 2021

Al car.mo amico e scrittore del libro "Piscinola, la terra del Salvatore", di Don S. Nappa

In occasione del decennale della pubblicazione e della presentazione del mio libro "Piscinola, la terra del Salvatore", ho deciso di rendere pubblica la bella lettera che mi ha fatto pervenire il carissimo monsignore don Salvatore Nappa, nella primavera del 2012. Oltre alle belle parole di apprezzamento per il mio lavoro, don Salvatore giustamente ha sottolineato che nel libro ci sono pochissimi riferimenti alla sua azione pastorale e sociale nella comunità piscinolese dell'immediato dopoguerra, come aiutante della Parrocchia del SS. Salvatore.
La lettera è una bellissima testimonianza che racconta uno spaccato di vita del quartiere, in un momento difficile che fu quello della fine della seconda guerra mondiale; ma nonostante le ristrettezze e le difficoltà economiche, la comunità, soprattutto i ragazzi e i giovani, seppero reagire, mostrando un forte senso di appartenenza e una gran voglia di riscatto, attraverso la cultura e lo sport. Ai due nostri Sacerdoti, D. Salvatore Nappa e D. Domenico Severino bisogna riconoscere e apprezzare la preziosa opera di guida alla formazione, non solo religiosa, ma anche culturale, sociale e sportiva, dei giovani di quel periodo.
In quanto al riconoscimento della sua personalità a Piscinola, come promesso, ho dedicato il secondo mio libro del Centenario della Piedimonte: "Comm'era bella la Piedimonte" nel 2014 a don Salvatore Nappa, facendogli dono della prima copia stampata, nel suo studio, nella canonica a Marianella.
Ecco il testo integrale della lettera ricevuta da mons. don Salvatore Nappa:

"Finalmente ti posso dire: ho letto tutto il tuo libro "Piscinola la terra del Salvatore", e mi compiaccio sinceramente con te, che non solo ci hai fatto conoscere tante belle cose del passato su Piscinola, ma ci hai confermato tante belle cose dei nostri tempi, che io e i miei contemporanei conosciamo. Quanto studio da parte tua, quanta pazienza, quante belle cose dei nostri contemporanei e specialmente dei nostri antenati.
Ci voleva proprio tu, con la tua pazienza, con il tuo studio, con la tua volontà e la tua capacità, e solo tu ci sei riuscito a portare a termine questo lavoro su Piscinola, perché altri ancora hanno cominciato ma solo superficialmente e dopo poco tempo hanno alzato le mani, tra gli altri ricordo "Monsignor Umberto Scandone", di Piscinola, ma Parroco a Porta Piccola, che scrisse però solo un opuscolo, che io ho letto, e che fece poco effetto, tu invece hai cominciato e superato tutte le difficoltà arrivando gloriosamente alla fine.
Una cosa sola ci hai mancato, che per me è molto importante, ma ti perdono, però solo a metà, perché tra me e te c'è una bella differenza di età e poi io non sono vissuto stabilmente a Piscinola, perché, per volontà dei miei superiori, due anni dopo la Consacrazione e cioè nel 1944, andai a dirigere altre Parrocchie e quindi me ne andai da Piscinola, però tu sapevi della mia presenza, perché una volta ci siamo incontrati, ma non ci siamo parlati, per esempio in quella che fu la sede, per poco tempo, "degli amici" a via Vittorio Veneto, dove mi portò mio nipote "Nappa Salvatore", e dove parlai di tutta la mia vita, ma non ci incontrammo e non parlammo.
Non ho mai saputo niente del lavoro su Piscinola che tu stavi facendo e solo dopo che l'hai presentato e c'era anche mio nipote Salvatore che me ne parlò e mi portò il tuo libro, che io ho letto, come ti ho detto, ed ho apprezzato moltissimo e non solo per le molte e belle notizie piuttosto recenti, ma soprattutto per quelle antichissime che nessuno conosceva.
E adesso, per quanto riguarda me e la mia presenza in Piscinola, devi sapere che io sono stato per una decina di anni e cioè dal 1935 al 1945 protagonista assoluto. Nel 1935, infatti avevo appena terminato la 5^ ginnasiale, con ottimi risultati, quando un padre di un ragazzo che io conoscevo, mi disse "Don Salvatore volete preparare mio figlio per la prima ginnasiale?" Si, risposi, ma con un po' di preoccupazione.
Per la verità, ci riuscii bene e, da quel momento, uno stuolo di ragazzi anche da Marianella e da Miano vennero da me per essere preparati agli esami di riparazione ad ottobre o per l'italiano, o per il latino, o per la matematica.
Diventai poi Sacerdote, oltre a continuare con la scuola ai ragazzi, mi interessai dei giovani dell'Azione Cattolica nel circolo di via Vittorio Emanuele. Erano quasi "200" i giovani ed i ragazzi che frequentavano alla sera, con mio sommo piacere, e che diedero inizio alla filodrammatica e alla recita del Rosario alla sera fino alla chiesetta della Madonna delle Grazie, e non mancava ogni settimana la riunione in sede per studiare il testo di cultura religiosa.
La novità avvenne quando verso la fine dell'anno 1943, vennero i soldati americani a Piscinola e pigliarono possesso dell'Edificio scolastico e dei locali del Municipio, dove misero, per poco tempo, il tavolo di Ping Pong e quindi alla sera, dopo la giornata di servizio, tutti a divertirsi attorno al tavolo.
La presenza dei soldati americani costituì per tutti noi, come è chiaro, non solo una novità, ma anche una grande curiosità per cui alla sera, io e alcuni altri ci avvicinavamo alla caserma e ci fermavamo al di fuori della sala ex teatro dove stava il tavolo ed eravamo curiosi di sentire il tic tac della pallina senza che qualcuno ce lo spiegasse. E solo dopo un po' di tempo, quando riuscimmo a sapere tutto da uno dei nostri ragazzi che era stato in collegio, decidemmo di cominciare a fare i primi passi necessari per mettere, nel nostro circolo, il Ping Pong.
E così una mattina, io, don Mimì (d. Domenico Severino, sacerdote) che stava sempre con me e altri due giovani, andammo a Napoli, a piedi s'intende, perché i ponti e di S. Rocco e di Miano erano stati abbattuti dai tedeschi. Io sapevo che al Museo, nei pressi di Piazza Dante, c'era un negozio di attrezzi sportivi, e senza perdere tempo andammo dentro e ci facemmo prendere tutto l'occorrente ma senza che ci fosse la volontà di comprarlo perché non tenevamo i soldi.
Così vedemmo tutto quello che ci voleva, ringraziammo il padrone del negozio, e andammo via. Ma per la via del ritorno subito tirammo le prime conclusioni, perché don Mimì si offrì a preparare la retina con lo spago che già aveva, a procurare la pallina perché conosceva un soldato americano e poi l'amico Scaglione Angelo, falegname si pigliò il compito di fare le racchette e di aggiustare il tavolo che già tenevamo e dopo che tutto fu pronto si cominciò a giocare. Ma quante risate, e quante volte la pallina cadeva a terra. Ma dopo pochi giorni le cose si misero a posto, prima, secondo le poche regole che ci aveva suggerito il nostro amico del collegio e, poi, con le regole giuste che ci avevano fatto conoscere alcuni soldati americani diventati nostri amici. Devo dire, per la verità, che col passare del tempo alcuni giovani divennero così bravi, che cominciarono a sfidare a livello regionale i giovani delle altre associazioni. Però quando io andai a fare il Parroco nella zona di Poggioreale portai con me il tavolo del Ping Pong e questo trattamento serale, piano piano finì completamente.
Quanto alla palla a canestro: per cominciare si dovette aspettare più tempo perché si dovette aggiustare la piazza avanti all'Edificio scolastico, modificare le lampade elettriche perché si doveva giocare alla sera e recintare il campo.  Fin dalle prime partite, io e don Mimì fummo presenti insieme ad un gruppo di giovani. E quando ci rendemmo edotti di questo nuovo sport, cominciammo a pensare come farlo anche noi, ed il luogo adatto era il cortile della sede dell'Azione Cattolica, accanto alla grossa pianta di fichi, lo allivellammo, lo illuminammo perché bisognava  giocare di sera e tutti d'accordo per cominciare si decise per la sera della vigilia del Santo Natale 1944.
Io guidavo una squadra e don Mimì l'altra, e ci mettemmo a giocare ma una pallonata andò a finire sopra i miei occhiali che caddero a terra e si ruppero e fu questo il battesimo della palla a canestro del Circolo Cattolico di Piscinola.
Nel mese di luglio 1945, io andai via da Piscinola e don Mimì prese l'impegno del Circolo e dei giovani e fondò la squadra "Virtus", che si è fatto e si sta facendo molto onore.

mons. Nappa Salvatore   
     

mercoledì 27 gennaio 2021

Lo cunto della Sòvera ca nun voleva morire…!

‘Nce steva, tantu tiempe fa, ‘na campagna, doce e gentile, cu llà vicine ‘na masseria antica…, ma antica assaje…! Per lo mmiez’’a nu Casale ‘e Napule, de’ chille antiche ‘e ‘na vota…
‘Sta campagna teneve tanta piante e àrbere, cierte vecchie assaje: 'Na pianta ‘e lauro, n’ata ‘e fico, po’ ‘na ceveze, tanta nucelle, e àrbere ‘e chiuppe, chille nire nire, ma ca facevano funge ghianche e doce comm’‘o latte!
Mmiez’’a sta terra nce steva n’at’àrbero, curiuso assaje, pure isso assaje viecchio: teneva ‘na curteccia nera nera, tutta vacante dinto… Tutt’‘a gente ‘e ‘stu posto 'a chiammavano: Sòvera…!
Quant’anne tenarria, nisciune ‘o pùtarria sape’…; ‘e cchiù viecchie parzunale, ca tenevano cchiù ‘e ottant’anne, diceveno ca se ll’arricurdavano sempre accussì, sempe vecchia e scavata dinto, ‘a quanno erano state pure lloro guagliune…!
Miez’’a chella bella terra de ‘stu Casale, nce steva ‘nu guagliunciello peccerillo, ca se chiammave Turillo, ca era nato proprio dint’a chella masseria...
Turillo vuleva bene a tutte ‘e persone ca stavene ‘e case llà dinto e tutti vulevano pure bene ‘a Turillo…
‘O spasso ‘e stu guaglione era chillo ‘e sta’ tutt’o ghiorno sempe miez’'a ll'aria ‘e chella masseria. Turillo era bellillo,... curreve, curreve sempe, d’’a matina ‘a ssera, p’’e llemmate e p’’e sseparelle e ghieve pure ‘ncoppe ‘e bbinarie d’’o treno… Turillo tenevo solo ‘nu pate, pecchè ‘a mamma era morta quann’era assaje peccerillo… E dint’’a chella massaria senteva tutt’‘o calore e ‘na famiglia…!
Turillo vuleve bene a ‘sta natura, a tutte ll’aucielle e pure a tutte l’arbere ‘e chella campagna.. E miez’'a chelle, po’, s’era ‘nnammurato 'e chella pianta vecchia ‘e Sòvera… Pecche’ a trattava comm’a ‘nu nonno viecchio! 
Dimandave spisso nutizie ô pate, e a ll’atre viecchie, ma pure chilli dicevano sulo che ‘a Sòvera era vecchia assaje… Dicevano ancora ca chisto era n’àrbero affatato, pecché se raccontava ca ‘ntiempe antichi, llà ce ne stavano doje d’àrbere comm’’a cchisto, e ‘nu juorno, cierti cuntadini, scavanno ‘e ffuosse miez’’a esse pe’ semmenà ‘e perzeche, truvajene n’anfolla assaje gruossa e antica, ca llà sotto era ‘nterrata… e rumpennela pe’ vede’ che nce stava d’into, truvajene sulo ‘na pòvera gialla, comm’’a ccennèra. Tiempo doppo, se dicette ca chella pòvera, c’avevano pigliato p’’e ccennèra, ‘nvece era oro…, oro ffino…, ma chille però nun l’avevano capito e l’avevano ghittate, sparpaglianno tutto miez’’o turreno…!
L’anne passavano e ‘sta pianta faceva sempre pochi frutti, carevano sempe ambressa e nisciuno riusceva a fa’ ‘e piennule.
Quarcuno dint’a l’autunno raccoglieva pure ‘e foglie ‘a terra, pecchè dicevano che curavano cierti malatie d’'e viecche e d’'e giuvane…
Turillo, ogni tanto ca passava mmiez’’a chella terra, ‘o pensiero suojo era sempe chillo 'e ghi’ a vede’ 'sta pianta comme stava. Era po’ sempe curiuso ‘e guardà dint’’a "scafongia" se ‘nce steva quarcosa annascuso…, ma niente, quacche vota però n’asceva ‘na lucertolella…
Sta pianta, pure se era sturpiata p’’a vvicchiaja, puteva campà ancora pe’ tanta secule; era accussì attaccata ‘a vita, ca pure se teneva meza corteccia cunsumata, cu ‘o vacante mmiezo, era viva e campava sulo cu ‘nu parme ‘e scorza ‘e lato, ma pe’ chillu tanto ca bastava pe’ purta’ nutrimento ‘a cimma soja ‘e ncoppa!
Turillo ‘nu ghiorno, pensanno ca ‘o viento o ‘na tempesta putesse schiantare ‘a pianta, ‘nce attaccaje ‘nu tirante d’‘e acciaro, pe’ ‘a tene’ tirata e ferma, ‘o lato d’’o punto debole…
E accussì facenne se sentiva cchiù sicuro.., ma ‘stu guaglione, ca s’era fatto già grussiciello, nun aveva fatto ‘o cunto ca ‘o nemico ‘e sta pianta era ‘e n’ata specie: nun erano tempeste e sfuriate ‘e viento, ma era chillu “male” ca se chiamma “prugresso”: nu “male” brutto e ‘ncurabile assaje, ca se magna ‘e campagne, cu ‘e sciure e cu ll’àrbere e porta sulo distruzione e malaciorta addo isso passa!
‘O Guaglione, mentre cresceva, accuminciava ‘a sentere sta minaccia avvicinarse sempe ‘e cchiu’, pecché, comme careno è bombe dint’a ‘na guerra, sempe cchiù vicine, propritamente accussì ‘o rummore ‘e 'stà minaccia s’avvicinava sempe ‘e cchiu’…!
Turillo accuminciava a pensa’ ca era già tutto destinato e che ‘sta pianta ‘e Sòvera eva murì priesto, nzieme ‘a terra soja...!
‘Nu ghiorno ‘sta pianta seculare, ca era stata sempe ‘o stesso e nun aveva mai fatte rampule nove, cacciaje ‘nu figliulillo ‘e latte ‘a dint’’e radeche…

....Ll’omme nun sanne, ca ‘e piante teneno ‘nu core e arragionano meglio ‘e lloro, e esse sanno pure ‘ntiempo quann’è arrivata ‘a fine loro…!!

Turillo rimmanette senza parole pe’ sta nuvità, ne parlaje cu ‘o pate, e accussì decidette 'e farlo crescere pe’ n’at'anno, fino a vierno.
‘O guaglione aveva capito ‘o messaggio ca ll’aveva mannato ‘a pianta ‘e Sòvera: ‘A pianta vuleva cuntinua’ a campà, e sapenno ca nun era possibile pe’ essa stessa, aveva pensato ‘e lascià ‘nu figlio suojo, ‘a fa’ crescere ‘a Turillo!
Accussi dint’’a vierno ‘o guaglione sceppaje ‘stu frustillo, ca era fino fino, duppio quanne a ‘nu retillo d''a mano, e sotto a isso teneva ‘nu capillo pe’ radechèlla… Turillo, senza ‘nce penza’ ‘ncoppa, atterraje ‘sta mazzarella d’into ‘o ciardino ca teneva vicina ‘a casa; dint’a chillo ca era ‘o posto cchiù sicuro e arreparato... 
Dint’’a primmavera appriesso ‘sta mazzarella ‘e Sòvera, cacciaje poche buttune ‘e foglie…
Ma doppo n’anno ‘e vita, se seccaje ‘a cimma. Turillo pensaie subbeto che era morta…! Po’ dicette: "nun ‘a scippo ancora, mo ‘a pòta e vedimmo che succère…"
E, infatti, tenette raggione, pecché dint’a chella pprimmavera ca venette appriesso, ‘sta pianticella se vestette n’ata vota ‘e ffronne, e accumenciaje a crescere chianu chianu.
Passajene n’atu pare d’anne, e chillu presentimento c’aveva tenuto ’a pianta ‘e Sòvera, s’appresentaje senza pietà...!
Sappresentaje ‘nu mostro, cu “pale meccaniche”, “ruspe” e “motoseghe”, e tutt’‘a putenza e ’a malignità ca l’ommo caccia, cu a scusa d’’o prugresso e d’’o benessere ‘e l’atre…! E accussì ghittaje ‘nterra, ‘mbaranza, tutte l’àrbere ‘e chella bella campagna…, accerennole!!
Turillo nun vulette abbanduna’ l’àrbere suoje mentre carevano muorte, comme fa ‘nu figlio vicino ‘o llietto ‘e ‘nu pate o ‘na mamma ca ‘sta murenne... E vedenn’‘a piante soja ‘e Sòvera ‘nterra senza vita, chiagneva, chiagneva disperato, chiagneva comm’’a ‘nu criaturiello…!!
Turillo s’era fatto grusso, e ll’àrbero ‘e Sòvera (figlio) era crisciuto e s’era fatto sempe cchiù gruosso. L’anne passavano e ‘sta pianta cresceva sulamente, ma nun faceva maje ‘nu sciore, mai ‘na Sòvera…
Addivinataje n’àrbero assaje gruosso!
Turillo parlava spisso cu ‘o pate e ‘sta cosa strana, e lo diceva:… “Pa’, ma forse è servatica ‘sta pianta, visto ca nun fa maje Sòvere?” E po’: “Pure se l’avessa ‘nzertà, add’’a piglio n’ata Sòvera? Cca attuorno, oramaje, campagne nun nce stanno cchiù… !?
Responneva ‘o pate: ”Turì, tu nun ‘o saje, pecché sì giovane, ma l’àrbero ‘e Sòvera, pe’ caccià ‘e Sòvere, s’adda fa viecchio, ma viecchio assaje…, si no’ è Sòvere nun è fa maje…!!
Doppo quarche anno, Turillo chiagnette n’ata vota, pe’ n’ato dulore forte assaje, pecchè ‘o pate murette e ‘o lasciaje a isso sulo…!
Ancora affranto p’’o dispiacere avuto, ‘o ggiovane l’anno appriesso pensaje ‘e taglià ‘a pianta. Diceva: “Ma ca me serve ‘sta pianta ca nun fa Sòvere, ma fa sulamente ombra e, po’, ‘nu sacco ‘e fronne…?!”. Pero’ nun tenette ‘o curaggio d’’o fa...! Allora pensaje: “Mo faccio passà n’at’anno ‘e tiempo, taglio sulamente quarche rampulo ‘e vascio, e vedimmo ca succère...
Dint’’a chella primmavera, mentre ‘a pianta cacciava ‘e fronne nove, n’abbondanza n’ata vota, Turillo vedette ‘na cosa strana dint’'e rampule: ‘nce stavano llà ‘ncoppo cierte pampuglie ‘e ‘nu culore ghianco e rrosa… ma belle assaje!!
Turillo nun l’aveva maje viste fino ‘a tanno, ma chille erano ‘e sciure d’’a Sorvera, ca erano schiuppate p’’a primma vota!
E accussì chill’anno Turillo magnaje p’‘a primma vota ‘e Sòvere nove ‘e l’àrbero figlio d’’a Sòvera accisa... E accussì, ogn’anno, ‘n'abbondanza…! 
Da tanno, decidette ‘e nun taglià cchiù l’àrbero, ma d’’o tenè pe’ sempe, pe’ ricordo: d’'a terra, d’'a Sòvera vecchia e d’’o pate, ca nun ce stavano cchiù!
 
Chestà ‘e a storia d’a pianta ‘e Sòvera ca nun vuleva murì, ma vuleva campà…!
Ll’àrbere tenene ‘nu core e vonno campa’ pe’ sempe cu ll’ommo! Ll’ommo ‘e surdo e chistu messaggio nun l’ha capito ancora!
 
O’ cunto è furnuto, loro stanno lla’ e nuje stamme cca!
Salvatore Fioretto
 
Il "Cunto" è stato liberamente tratto da una storia realmente accaduta. Tutti i diritti di pubblicazione sono riservati all'autore.