Il recupero e la salvaguarda delle strutture antiche
presenti nel territorio costituiscono i principi fondamentali della cultura,
che concorre altresì a promuovere la conoscenza e la fruizione pubblica, quali
testimonianze di “storia vivente” di un popolo!
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Stampa ottocentesca, con il mausoleo de "La Conocchia" (Napoli) |
Pur tra distruzioni, modifiche e depauperazioni,
intervenute nel corso dei secoli, l'area a nord di Napoli conserva ancora
diverse e importanti testimonianze del mondo romano, che sono sopravvissute fino
ai nostri giorni, anche se in molti casi in condizioni non proprio eccellenti.
La loro significativa presenza è il risultato di una complessa stratificazione storica, subita dal territorio, che risulta essere stato “antropizzato”
prima dagli Osci e, poi, più incisivamente, con l’avvento romano, quando furono
realizzati insediamenti più o meno stabili e diffusi. Il processo di
popolamento, quindi, ha favorito lo svolgersi delle attività umane e contestualmente
l’edificazione di variegati manufatti architettonici: a uso pubblico e privato.
Oltre ai reperti archeologici riconducibili alle ville rustiche romane (ad
esempio a Scampia, a Marianella (Carduino), a Calvizzano, ecc.), oltre agli
edifici pubblici più o meno articolati (cisterne, acquedotto augusteo, ecc.),
oltre alle strade, molte ancora presenti e utilizzate (via Consolare Campana, via
Antiniana, strada dello Scudillo, via Antica Chiaiano, ecc.), troviamo anche
diversi monumenti funerari, che sono sopravvissuti fino ai nostri giorni, sparsi
in quelle che furono le campagne ed i fondi rustici di un tempo. Complici della
conservazione sono stati i contadini e i conduttori dei fondi, i quali,
adattando queste strutture ai vari usi agricoli, come forni, depositi di
derrate, cantine e altri utilizzi, ne hanno favorito la conservazione.
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Sezione del "Ciaurro" di Marano (ricostruzione) |
Singolari risultano essere quelle strutture architettoniche
adibite alla custodia delle urne cinerarie di alcuni membri di famiglie
notabili del posto o anche di soldati di alto grado; quest'ultimi morti in
prossimità del sito di edificazione. Parliamo dei "mausolei cinerari",
che potevano avere forme e collocazioni diverse, dipendenti principalmente dal
periodo della loro costruzione e dal ceto delle famiglie committenti; ma le sepolture
più evidenti sono quelle cosiddette ad “Edicola”, ossia quei mausolei con
sviluppo prevalente in altezza, terminanti quasi sempre con una "cuspide". Forse in Campania troviamo la più alta
concentrazione di questi tipi di sepolture, almeno per quanto è sopravvissuto
fino ad oggi; infatti nella sola provincia di Napoli troviamo ben sette testimonianze
di queste tipologie di mausolei: ben quattro nella sola area della periferia
nord di Napoli: quali i mausolei dei Colli Aminei, di Mugnano, di
Quarto e di Marano (e forse di Chiaiano). Ma se ci spostiamo verso le province di
Caserta e di Avellino, troviamo altre strutture interessanti, della stessa
tipologia.
Con il trascorrere dei secoli alcuni di questi monumenti sono stati
identificati dalla popolazione con dei toponimi molto singolari, come: "Conocchia, "Ciaurro",
“Torricello”, “Fescina”, ecc... Si suppone che questi mausolei, edificati tra il I
secolo a.C e il II secolo d.C., siano stati costruiti in adiacenza a delle ville
rustiche romane oppure lungo lo sviluppo di importanti assi stradali extraurbani
(come avvenuto, ad esempio, lungo la via Appia, a Roma e la via dei Sepolcri, a
Pompei).
I termini “Ciaurro”
e "Conocchia"
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Mappa ottocentesca, con evidenziata la Conocchia allo Scudillo |
Come evidenziato da G. Barbarulo, la denominazione Conocchia deriverebbe dal latino
medievale Conuccla, che
significherebbe letteralmente “rocca” (attrezzo
per filare); probabilmente il termine, in uso fin dal Medioevo, è stato utilizzato
per denotare la particolare forma geometrica del manufatto edile, a forma di “fuso”,
e quindi per indicare una certa
tipologia di mausolei detti “a edicola” o “a cuspide”, la cui forma affusolata
ricordava quella dello strumento tessile. Il termine di Ciaurro, invece, secondo alcuni storici, deriverebbe dall’arabo Tdjiaurr, che significa “Luogo degli infedeli”; anche questo
termine potrebbe essere stato conferito dagli antichi abitanti del posto per
indicare l’inconsueta pratica di conservare le ceneri dei defunti in queste
strutture, dopo averli bruciati; usanza che era ritenuta, con disprezzo, non
consona al rito cristiano della inumazione, a quel tempo largamente esteso.
Il Mausoleo “La
Conocchia”
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La rivista "Napoli Nobilissima" diretta da Roberto Pane |
La Conocchia
era situato presso i Colli Aminei, lungo l'antico percorso della salita dello Scudillo, ubicato in
posizione sopraelevata rispetto alla sede stradale. L'imponente struttura, che
era stata ridotta a stalla, venne barbaramente distrutta nel 1965, nel corso
dei lavori di sbancamenti nella zona, finalizzati alla realizzazione di un
progetto di lottizzazione, poi non portato a termine. Purtroppo il monumento
non era stato sottoposto fino a quel momento al vincolo archeologico e quindi
la sua demolizione non costituì un reato punibile.
Nel Medioevo il mausoleo napoletano diede il nome alla
zona, che si disse "ad illa Conuccla",
tale toponimo subì una degradazione nei secoli, per diventare “la Conocchia”. Durante l'epoca del Grand Tour,
tra il XVII e il XIX secolo, il mausoleo della Conocchia comparve in numerose guide turistiche, fu riprodotto in
diverse vedute panoramiche della città, e fu anche preso in riferimento per
indicare il punto di osservazione di alcuni dipinti celebri, che ritraevano la
classica veduta di Napoli con il Vesuvio sullo sfondo. Solo agli inizi del XX secolo
il mausoleo della Conocchia fu al
centro di seri studi archeologici. Negli anni '50 apparve in vari libri specializzati sull'architettura
romana sepolcrale, in particolare nella guida “Mausolei romani in Campania”.
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Una foto della "Conocchia" ai Colli Aminei (Napoli) |
Ecco quanto denunciava, cinquanta anni fa, lo storico
dell’architettura Roberto Pane, nella celebre rivista da lui fondata e diretta
(nella terza serie) "Napoli Nobilissima" (ediz. marzo-aprile del
1965, fasc. V e VI):
"È
accaduto a Napoli, nel mese di aprile, un fatto che anche il più immaginoso pessimista
non sarebbe stato capace di prevedere, e cioè la demolizione pura e semplice e
quindi la totale scomparsa di un monumento insigne: il mausoleo romano dello
Scudillo, comunemente noto con il nome di Conocchia.
Assolvo il
compito di darne circostanziata notizia in questa rubrica anche perché il fatto
è stato reso pubblico esclusivamente da un comunicato di Italia Nostra, e,
malgrado la sua eccezionale gravità, non ha suscitato sinora alcun commento ma
solo un curioso equivoco. Infatti, essendo, con lo stesso nome, indicata una
scuola dei Gesuiti in prossimità della zona in cui sorgeva il monumento, si è
ritenuto che l'edificio demolito non fosse il mausoleo ma la scuola stessa, e
si è quindi concluso che essa non era poi un edificio di tale importanza da
motivare pubbliche denunzie e deplorazioni. […]
Le
fotografie ed i rilievi del mausoleo, pubblicati nel volume Mausolei romani in
Campania, dimostrano con ogni evidenza che si trattava di una struttura
eccezionale e preziosa. Già la sola presenza di una complessa cornice di cotto
e le cinque nicchie della rotonda cella, coperta a cupola, potevano lasciare
indifferenti soltanto le bestie che vi erano ricoverate e non degli esseri
umani, per quanto eccezionalmente sprovveduti."
Secondo alcune testimonianze, da verificare, dei
ruderi del basamento della Conocchia sarebbero
ancora conservati nel Parco del Poggio
ai Colli Aminei.
Il “Torricelli”
a Mugnano
(Di questo mausoleo e della masseria omonima abbiamo
già dedicato un post l’anno scorso)
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Il mausoleo del "Torricelli" a Mugnano di Napoli |
Attestata sin dal 1628, quale proprietà dei duchi di
Melito, i nobili De Juliis-Caracciolo, la masseria del Torricelli contiene
inglobata nelle sue strutture murarie il mausoleo romano risalente al I secolo
d.C. La masseria è ubicata ai confini tra Mugnano e Chiaiano e si erge ai
margini dell'antica strada consolare romana, di origini osche, oggi denominata
col toponimo di "via Antica Chiaiano". L'arteria è stata nei tempi
antichi una delle poche strade di collegamento esistenti nel territorio a nord
di Napoli, capace di assicurare le comunicazioni tra la Neapolis greco-romana è
le Ville o Vicus esistenti nell'ampio circondario settentrionale. Anche in
questo caso non si conosce il nome della famiglia o delle persone di cui si
sono conservati i resti, ma è lecito supporre che il mausoleo fu realizzato per
accogliere le ceneri di qualche valoroso combattente o di un notabile della gens
romana morto in quel luogo.
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Il mausoleo del "Torricelli" a Mugnano di Napoli |
La struttura è in opus reticolatum a forma di torre cilindrica, un tempo era
sormontata da una volta a catino, poi purtroppo crollata nel corso dei secoli.
A partire dal XVI secolo alla torre romana vennero ad aggiungersi diversi corpi
di fabbrica, fino a formare una masseria fortificata, chiamata appunto Masseria Torricelli (o Torricello),
chiaramente in riferimento al preesistente mausoleo romano. La struttura e gli
ambienti interni al mausoleo sono stati modificati e utilizzati per molto tempo
dagli abitanti per la panificazione e la cottura del pane, con la realizzazione
di un grande forno a legna.
La “Fescina”
di Quarto
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Il mausoleo di Quarto, detto "la Fescina" |
Un altro esempio poco noto di mausoleo “a cuspide” è
situato nelle residue campagne di Quarto, in provincia di Napoli ed è indicato
con il toponimo di “la Fescina”.
Questo monumento, sito in via Brindisi, è oggi purtroppo poco valorizzato e quasi
nascosto dalla vegetazione e dal degrado. Il nome potrebbe derivare dalla sua particolare forma geometrica, molto simile a quei contenitori pensili (detti anche panari), utilizzati dai contadini per la raccolta delle ciliege e dell'uva, chiamati in dialetto "'a Fèscena". Il mausoleo de la Fescina è realizzato in opus reticulatum e si compone di due livelli, terminante con una
caratteristica copertura “a cuspide” a forma conica. Ai suoi lati contiene due
ingressi ad arco. L'accesso al livello superiore probabilmente in origine
avveniva attraverso una scala interna, oggi scomparsa. All'interno dei due vani
sono presenti nicchie scavate nelle pareti e tracce d’intonaco. Nell’area
circostante al mausoleo sono state rinvenute negli anni trascorsi diverse tombe
ipogee ed anfore funebri.
Il “Ciaurro”
di Marano
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Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli |
Di notevole importanza storico-architettonico, per la
struttura e lo stato conservativo, è certamente il mausoleo maranese del Ciaurro. La storia di questo monumento è
stata alquanto travagliata, poiché la struttura fu riportata alla luce diverse
volte e altrettante volte fu sepolta; fu segnalata dallo storico Chianese, nel
1924, ma i primi lavori di scavo sistematici iniziarono solo agli inizi degli
anni ’30 del secolo scorso. I lavori di scavo, però, non diedero ulteriori
sorprese, pur confermando che il sito era già stato depredato delle sue
numerose lapidi un tempo presenti. Il Ciaurro
fu definito dallo storico Roberto Pane, “…il più importante mausoleo campano…”,
mentre finanche Benedetto Croce lo volle visitare, quando si diffuse notizia del
suo rinvenimento.
Il mausoleo, che si erge lungo l’antica via San Rocco,
in contrada Vallesana (oggi parco comunale con accesso da via G. Pepe, traversa
del corso Europa), si compone di un poderoso basamento a pianta quadrata e di
una cupola sostenuta da un tamburo cilindrico. Gli interni sono divisi in due
livelli. Nel livello inferiore si trova una camera sepolcrale, a pianta rettangolare,
che termina con una volta “a botte”, mentre il livello superiore, delimitato
dal tamburo circolare e dalla cupola, presenta alle pareti diverse piccole
nicchie, un tempo adibite al contenimento di urne cinerarie. Tre finestre
illuminano la camera sepolcrale, mentre due rampe di scala, comunicanti con
l’accesso al piano campagna, collegano internamente i vari livelli della
struttura. C’è da dire, però, che le due scalette sono dei rifacimenti posteriori,
eseguiti negli anni ’30, per ottemperare ai precedenti crolli.
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Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli |
La particolarità
e la bellezza di questo monumento sta nel rivestimento esterno, che con la
importante composizione geometrica, ottenuta dall’alternanza di mattoni rossi e
di conformazioni in opus reticolatum,
di tufo giallo e grigio, conferisce un effetto cromatico/estetico, non comune, a
tutto il monumento. Il tamburo e la cupola sono suddivisi in due parti da un
anello in opus latericium, color rosso
e una serie di tufelli rettangolari di colore giallo; essa poi presenta il
paramento esterno in opera reticolata bicromatica, anche qui per l’uso alternato
di blocchetti di tufo di color giallo e grigio. La cupola, che risulta
parzialmente conservata, perché gran parte crollata nei secoli scorsi, è in opus caementicium e, nella cui base, presenta annegati nel
calcestruzzo elementi lapidei più pesanti (mattoni e frammenti tufacei); si suppone che dei materiali più leggeri, quali blocchetti di
tufo e scaglie di lava alveolare sia stata la sua struttura della parte terminale superiore.
I “Ciaurrielli”
di Marano
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Il "Ciaurriello" presso Marano di Napoli |
Con questi termini gli abitanti di Marano identificano
alcuni resti archeologici, in opus
reticolatum, presenti in località Vallesana,
i quali, però, non hanno niente a che vedere con i sepolcreti romani, ma forse sono
riconducibili ai resti di ville rustiche o di strutture adibite in epoca antica
a depositi di derrate agricole.
L’ipotesi di
un Ciaurro al Tirone
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Il mausoleo detto del "Ciaurro", a Marano di Napoli |
Una leggenda, ancora in auge, asserisce che il Ciaurro di Marano sia appartenuto a Marco Tullio Tirone,
liberto e poi discepolo, tanto caro allo scrittore, filosofo e statista Marco
Tullio Cicerone e qui siano state consevate le sue ceneri. Tirone avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua vita in una
villa di Pozzuoli, nella quale si sarebbe ritirato, dopo che i componenti del Triumviato fecero uccidere il suo
maestro, autore delle famose Filippiche.
A sostegno di questa leggenda, qualcuno indica che non molto lontano dal luogo
del Ciaurro, c’è ancora oggi il borgo
di Chiaiano che porta il suo nome, forse in ricordo di un’altra antica villa lì
posseduta da Tirone. Il Borgo infatti è denominato “o Tirone”. Tutt’altra ipotesi, invece, meno fantasiosa, ancora da
dimostrare, asserisce che il toponimo Tirone
deriverebbe dalla presenza in questa zona di un altro Ciaurro romano, che per la sua forma veniva detto “o torrione”, da qui la denominazione di
“o Tirone”. Pura divagazione?!
Potrà essere un argomento di ricerca per i futuri archeologi…!
Gli altri
mausolei del circondario napoletano e campano
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Il mausoleo di Casapulla (Caserta), detto la Conocchia |
Anche quella che viene indicata come la “tomba di Virgilio”, posta sopra un basso
costone tufaceo, all’ingresso della Crypta
Neapolitana, rappresenta in effetti un mausoleo romano adibito ad
accogliere delle urne cinerarie; qui, da tempo immemorabile, la tradizione o
meglio la leggenda, vuole attribuire questo monumento al contenimento delle
ceneri dell’autore dell’Eneide, Publio Virgilio Marone. Realizzata interamente
in scaglie di tufo, la struttura ha la classica conformazione dei monumenti ad
“edicola”, ossia un tamburo cubico e la parte soprastante tronco-conica. Altra testimonianza di monumento "ad edicola" è presente vicino a Santa Maria Capua Vetere, nei pressi di Casapulla; questo monumento è anch'esso chiamato "la Conocchia, anche se, purtroppo, è stato pesantemente rimaneggiato nel corso di antichi restauri. Ad Abella (Avella), in provincia di Avellino, è presente un altro mausoleo che appare in buono stato conservativo; a San Prisco (Caserta) si trova un mausoleo denominato “Le Carceri”, il quale non presenta la
caratteristica cuspide, ma si compone soltanto di un grande tamburo cilindrico, sormontato da un piccolo catino.
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Il mausoleo all'ingresso della Crypta Neapolitana, dedicato a Virgilio |
Termina qui quest’altra bella testimonianza storica sull’Area
Nord di Napoli, scritta su questa nobile terra ricca di tradizioni, di storia e di stratificazioni
antropiche che, tutte insieme, costituiscono un bene culturale unico, appartenente
a un popolo che deve sentirsi per questo fiero e orgoglioso. Tuttavia, oltre
all’opera di ricerca, di divulgazione, di rievocazione storica, questa breve trattazione ha come obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, affinché si possano mettere in atto le necessarie e non più procrastinabili opere di recupero, di conservazione
e di divulgazione di queste testimonianze, perché esse rappresentano un patrimonio storico-culturale
unico ed irripetibile che appartiene alla collettività e alle future
generazioni, così come enunciato in premessa.
Salvatore
Fioretto
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